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TESTO

1. Le beatitudini del vescovo

Mimmo Battaglia, Omelia del 31/10/2021

Beato il Vescovo che fa della povertà e della condivisione il suo stile di vita, perché con la sua testimonianza sta costruendo il regno dei cieli.

Beato il Vescovo che non teme di rigare il suo volto con le lacrime, affinché in esse possano specchiarsi i dolori della gente, le fatiche dei presbiteri, trovando nell'abbraccio con chi soffre la consolazione di Dio.

Beato il Vescovo che considera il suo ministero un servizio e non un potere, facendo della mitezza la sua forza, dando a tutti diritto di cittadinanza nel proprio cuore, per abitare la terra promessa ai miti.

Beato il Vescovo che non si chiude nei palazzi del governo, che non diventa un burocrate attento più alle statistiche che ai volti, alle procedure che alle storie, cercando di lottare al fianco dell'uomo per il sogno di giustizia di Dio perché il Signore, incontrato nel silenzio della preghiera quotidiana, sarà il suo nutrimento.

Beato il Vescovo che ha cuore per la miseria del mondo, che non teme di sporcarsi le mani con il fango dell'animo umano per trovarvi l'oro di Dio, che non si scandalizza del peccato e della fragilità altrui perché consapevole della propria miseria, perché lo sguardo del Crocifisso Risorto sarà per lui sigillo di infinito perdono.

Beato il Vescovo che allontana la doppiezza del cuore, che evita ogni dinamica ambigua, che sogna il bene anche in mezzo al male, perché sarà capace di gioire del volto di Dio, scovandone il riflesso in ogni pozzanghera della città degli uomini.

Beato il Vescovo che opera la pace, che accompagna i cammini di riconciliazione, che semina nel cuore del presbiterio il germe della comunione, che accompagna una società divisa sul sentiero della riconciliazione, che prende per mano ogni uomo e ogni donna di buona volontà per costruire fraternità: Dio lo riconoscerà come suo figlio.

Beato il Vescovo che per il Vangelo non teme di andare controcorrente, rendendo la sua faccia "dura" come quella del Cristo diretto a Gerusalemme, senza lasciarsi frenare dalle incomprensioni e dagli ostacoli perché sa che il Regno di Dio avanza nella contraddizione del mondo.

serviziovescovobeatitudini

inviato da Qumran2, inserito il 11/02/2022

PREGHIERA

2. Litania interreligiosa per la pace

Remy Nahimana, Commissione Giustizia e Pace del Burundi, Bujumbura

Che la fede nasca e cresca in ogni uomo e donna di questa terra:
Dio della giustizia e della pace, riconcilia le nostre vite.

Che il pregiudizio e il sospetto che separano gli individui e le comunità umane siano rimossi:
Dio della giustizia e della pace, riconcilia le nostre vite.

Che le nostre differenze psicologiche e culturali servano a costruire positivamente la nostra personalità e il nostro paese:
Dio della giustizia e della pace, riconcilia le nostre vite.

Che i nostri cuori siano sensibili al dolore e alla sofferenza di coloro che sono indifesi ed emarginati nelle nostre società:
Dio della giustizia e della pace, riconcilia le nostre vite.

Che ogni uomo e ogni donna intorno a noi sperimenti la gioia di vivere liberamente e indipendentemente:
Dio della giustizia e della pace, riconcilia le nostre vite.

Che il baratro tra ricchi e poveri, oppressori e oppressi, leader politici, vincitori e vinti, scompaia:
Dio della giustizia e della pace, riconcilia le nostre vite.

Che le nostre divisioni etniche e sociali siano rimpiazzate dall'ascolto empatico e dall'accettazione degli altri:
Dio della giustizia e della pace, riconcilia le nostre vite.

Che tutte le nostre relazioni siano caratterizzate da verità, umiltà, onestà e apertura:
Dio della giustizia e della pace, riconcilia le nostre vite.

Che i nostri buoni rapporti con i paesi vicini siano rafforzati aiutandosi a vicenda e diventando un sigillo della nostra reciproca fiducia e sicurezza:
Dio della giustizia e della pace, riconcilia le nostre vite.

Che l'unione di giustizia, verità, perdono e riconciliazione diventi realtà nelle nostre vite:
Dio della giustizia e della pace, riconcilia le nostre vite.

Che le nostre famiglie, le nostre colline e i nostri villaggi siano spazi di gioia e condivisione tra indigeni e coloni e tutti coloro che condividono la terra:
Dio della speranza, dacci la tua pace.

pacegiustiziainterculturalità

inviato da Qumran2, inserito il 22/03/2018

PREGHIERA

3. Maria, Vergine della Quaresima

Antonio Rungi

Maria, Madre della conversione,
in questo tempo di Quaresima,
guidaci nel cammino che porta a Gesù,
unico Salvatore e Redentore dell'umanità.

Fa', o Vergine della Quaresima,
che in questi giorni di ascolto, preghiera e penitenza,
ogni uomo, credente nel Vangelo,
e che sa di essere polvere e in polvere ritornerà,
possa sperimentare la misericordia divina
nel sacramento della riconciliazione e del perdono.

Nell'assiduo ascolto della Parola di Dio,
nella celebrazione quotidiana della liturgia eucaristica,
nella carità senza limite verso ogni fratello di questa Terra,
possa diventare un vero adoratore di Dio, in spirito e verità.

O Maria, Madre del Redentore,
Madre del Cristo ritirato nel deserto,
per pregare, fare penitenza e prepararsi
all'annuncio del suo Regno,
ottienici dal tuo Figlio, Morto e Risorto,
per la nostra salvezza,
la grazia di non abbandonarci nella tentazione,
ma di liberarci da ogni male
e portarci con lui nell'eternità. Amen

quaresimamariaconversioneparoladesertoriconciliazione

inviato da Padre Antonio Rungi, inserito il 06/03/2017

TESTO

4. Pace a voi, il saluto di Cristo risorto ai suoi discepoli

Papa Francesco, Omelia Festa della Divina Misericordia, 3 aprile 2016

«Pace a voi!»: è il saluto che Cristo porta ai suoi discepoli; è la stessa pace, che attendono gli uomini del nostro tempo. Non è una pace negoziata, non è la sospensione di qualcosa che non va: è la sua pace, la pace che proviene dal cuore del Risorto, la pace che ha vinto il peccato, la morte e la paura. È la pace che non divide, ma unisce; è la pace che non lascia soli, ma ci fa sentire accolti e amati; è la pace che permane nel dolore e fa fiorire la speranza. Questa pace, come nel giorno di Pasqua, nasce e rinasce sempre dal perdono di Dio, che toglie l'inquietudine dal cuore. Essere portatrice della sua pace: questa è la missione affidata alla Chiesa il giorno di Pasqua. Siamo nati in Cristo come strumenti di riconciliazione, per portare a tutti il perdono del Padre, per rivelare il suo volto di solo amore nei segni della misericordia.

misericordiapacesperanzaamoreperdonoGesù RisortoPasqua

inviato da Stefano Molisso, inserito il 26/08/2016

TESTO

5. Il decalogo del buon comunicatore

Papa Francesco, Messaggio Giornata Comunicazioni Sociali 2016

1. Comunicare con tutti senza esclusione
2. Creare ponti, favorire l'incontro
3. Non spezzare mai la relazione e la comunicazione
4. Attivare un nuovo modo di parlare e di dialogare
5. Orientare le persone verso processi di riconciliazione
6. Superare la logica che separa i peccatori dai giusti
7. Per comunicare bisogna ascoltare
8. Favorire le relazioni nelle reti sociali
9. Costruire una vera cittadinanza anche in rete
10. Generare una prossimità che si prende cura

Riassunto a cura di Alessandro Gisotti, vicecaporedattore della Radio Vaticana, delle indicazioni di Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali 2016.

comunicazionemisericordia

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 23/05/2016

RACCONTO

6. Il mantello lacerato   1

Dagli Apoftegmi dei Padri del deserto

Un guerriero dal passato piuttosto torbido chiese ad un anacoreta se pensava che Dio avrebbe mai potuto accogliere il suo pentimento.
E l'eremita, esortato che l'ebbe con molti discorsi, gli domandò: «Dimmi, ti prego, se la tua camicia è lacerata, la butti via?...»
«No», rispose l'altro: «la ricucio e torno ad indossarla.»
«Dunque», soggiunge il monaco, «se tu hai riguardo al tuo vestito di panno, vuoi che Dio non abbia misericordia per la sua immagine?»

confessioneperdonopazienzamisericordia di Dio

5.0/5 (2 voti)

inviato da Il Patriota Cosmico, inserito il 09/06/2015

TESTO

7. Foglietto illustrativo della Confessione   6

Alessandro Cochi

Reconciliationis
Categoria Farmaceutica: Farmaci essenziali per la salute fisica, mentale e spirituale.
Composizione Farmaco: Composto da sincero pentimento, ammissione dei peccati, preghiere di riconciliazione.
Indicazioni Terapeutiche: Farmaco indicato nei casi di sofferenza, di difficoltà, di crisi interiore ed esteriore.
Posologia, Modo e Tempo di Somministrazione: Utilizzare quando si vuole, avendo un cuore pentito dei propri peccati, e sinceramente rivolto al Signore.
Controindicazioni: Nessuna.
Precauzioni d'uso: Non utilizzare per fare scena, e non aver paura di mostrare umiltà, e di ammettere i propri peccati: il Signore non si fa problemi a perdonare.
Interazioni: Nessuna interazione con altri farmaci.
Sovradosaggio: Nessun sovradosaggio.
Effetti Indesiderati: Nessuno.
Conservazione: Si conserva nel proprio cuore.
Avvertenze: Comportarsi da veri cristiani, con coerenza e sincerità di fede, seguendo l'esempio del Signore Gesù.
Scadenza: Il farmaco non ha scadenza.
Prezzo: Il farmaco è gratuito.

riconciliazioneconfessioneperdono

5.0/5 (3 voti)

inviato da Alessandro Cochi, inserito il 21/06/2014

RACCONTO

8. I due sassi   10

C'erano una volta due sassi di montagna, due fratelli che si erano staccati dalla parrete rocciosa e si erano trovati a terra insieme, vicino ad un ruscello. Un giorno decisero di seguire il corso del ruscello per scendere a valle e vedere la grande città. Così si misero di buon sasso... cioè, di buon passo, e rotola oggi, rotola domani, pian piano si dirigevano verso la città. Uno dei due sassi (il più furbo dei due) di tanto in tanto si tuffava nelle acque del ruscello, si fermava un po' a farsi carezzare dall'acqua, e poi riprendeva il cammino.

"Sbrigati!" gli gridava l'altro, il più sciocco dei due, "Non vedi che resti indietro? E poi, cosa ti fermi a fare nell'acqua?"

"Mi levo un po' di polvere di dosso!", rispondeva quello. "Che stupido che sei! Quando esci di qui, e hai fatto due rotolate sulla terra, sei di nuovo sporco come prima! A che ti serve lavarti, se poi ti sporchi ancora?".

Ma il sasso furbo non gli dava retta. Rotolava un po', poi si fermava, entrava nel ruscello e si faceva lavare. Po tornava sul prato e ricominciava a rotolare. E la cosa bella è che non rimaneva mai indietro! Sì, perché mentre il sasso sciocco, tutto spigoloso e appuntito, faceva una gran fatica a rotolare, e faceva pochi metri per volta, il sasso furbo diventava più rotondo ogni volta che entrava in acqua! Sapete perché? Perché l'acqua, scorrendoli tutta intorno, lo levigava, cioè gli levava ogni volta un po' di pietra di dosso, e lo consumava, così da renderlo liscio e tondo. Così, quando usciva dall'acqua, con poca fatica raggiungeva l'amico sciocco.

Andarono avanti così per un bel pezzo. E ogni volta che il sasso furbo usciva dall'acqua, si accorgeva di essere diventato un po' più piccolo. Entra oggi, entra domani, il sasso furbo stava rimpicciolendo. Il sasso sciocco, che non capiva, lo scherzava ancora di più: "Ecco che cosa ci guadagni a fare il bagno ogni giorno! Se vai avanti di questo passo, fra un po' non ci sarai più! Quell'acqua ti sta uccidendo, ti toglie le forze, e non sei più tu! Ma guardati! Siamo fratelli, figli della stessa montagna! Eravamo uguali, e ora? Tu non sei che un piccolo ciottolo di fiume! Io sì che assomiglio alla grande montagna! Guarda come sono forte!"

Ma un bel giorno, uscendo dall'acqua, il sasso furbo si accorse che ora risplendeva su di lui una strana luce. Era un puntino piccolo piccolo, ma luminoso come il sole. E ogni volta che riemergeva dall'acqua, il puntino luminoso era sempre più grande. Finché, adagio adagio, tutto il suo corpo aveva perduto il colore grigio ed era diventato completamente luminoso e dorato.

Erano ormai giunti in città; il sasso sciocco era identico a quando era partito. Anzi, era ancora più incrostato di polvere e di terra. Il sasso furbo era molto più piccolo, ma tondo e luminoso. Il sasso sciocco si lamentava:" Non capisco proprio che cosa ti abbia ridotto così! Sei mio fratello e quasi non ti riconosco! Ma cosa sei diventato?" (Però era invidioso di quel luccichìo...).

In quell'istante passò accanto a loro un signore con una valigetta in mano. Quando vide i due sassi, si fermò di colpo, si inginocchiò a terra, prese il sasso luminoso, aprì la valigetta e ne estrasse una lente. Osservò attraverso la lente quel piccolo ciottolo, e poi esclamò pieno di gioia: "Ma è una pepita d'oro!". Subito lo avvolse con cura in un panno morbido, lo mise nella valigetta e si incamminò verso il suo negozio in città. Era infatti un gioielliere..
...E... l'altro sasso?...

Rimase solo, vicino al fiume, e finalmente capì: "Che sciocco, sono stato... Ma sono ancora in tempo: mi tufferò nel fiume e mi lascerò levigare fino a che tutto il sasso e le incrostazioni si saranno consumate, e sarò anch'io una pepita d'oro...".

Domande per la comprensione e la catechesi:
1. Anche il sasso sciocco era una pepita? (Sì)
2. Perché il gioielliere ha preso solo il piccolo ciottolo? (Perché era dorato)
3. Perché l'altra pepita era ancora ricoperta di incrostazioni? (Perché non si era mai lavata)
4. Come ha fatto il primo sasso a diventare pepita? (Era entrato tante volte nell'acqua)
5. Cosa rappresenta il fiume? (La misericordia di Dio e il sacramento della Riconciliazione)

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4.5/5 (4 voti)

inviato da Maria Cristina Cattaneo, inserito il 14/04/2014

TESTO

9. Torti e ragioni   2

Bruno Maggioni, Padre Nostro, ed. Vita e Pensiero, 2004, pag 104

I torti e le ragioni costituiscono un intreccio complesso e inestricabile, che solo il perdono può risolvere.

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4.7/5 (3 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 16/05/2013

TESTO

10. Il momento supremo

Oscar Wilde

Il momento supremo di un uomo è quello in cui si inginocchia nella polvere e si batte il petto e confessa tutti i peccati della sua esistenza.

confessionepentimentointerioritàcambiamentoconversioneconsapevolezza

5.0/5 (3 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 05/04/2013

TESTO

11. Voglio credere   7

Jorge Mario Bergoglio

Voglio credere in Dio Padre, che mi ama come un figlio, e in Gesù, il Signore, che ha infuso il suo Spirito nella mia vita per farmi sorridere e portarmi così al regno di vita eterna.
Credo nella mia storia, che è stata trapassata dallo sguardo di amore di Dio e, nel giorno di primavera, 21 settembre, mi ha portato all'incontro per invitarmi a seguirlo.
Credo nel mio dolore, infecondo per l'egoismo, nel quale mi rifugio.
Credo nella meschinità della mia anima, che cerca di inghiottire senza dare... senza dare.
Credo che gli altri siano buoni, e che devo amarli senza timore, e senza tradirli mai per cercare una sicurezza per me.
Credo nella vita religiosa.
Credo di voler amare molto.
Credo nella morte quotidiana, bruciante, che fuggo, ma che mi sorride invitandomi ad accettarla.
Credo nella pazienza di Dio, accogliente, buona come una notte d'estate.
Credo che papà sia in cielo insieme al Signore.
Credo che anche padre Duarte (*) stia lì intercedendo per il mio sacerdozio.
Credo in Maria, mia madre, che mi ama e mai mi lascerà solo. E aspetto la sorpresa di ogni giorno nel quale si manifesterà l'amore, la forza, il tradimento e il peccato, che mi accompagneranno fino all'incontro definitivo con quel volto meraviglioso che non so come sia, che fuggo continuamente, ma che voglio conoscere e amare. Amen.

Testo di papa Bergoglio scritto del 1969, poco prima di essere ordinato sacerdote, tratto da Avvenire del 31 marzo 2013.

(*) il sacerdote che lo confessò quel 21 settembre​​​​ citato prima.

credoconfessione di fedepapa Francesco

4.3/5 (7 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 04/04/2013

PREGHIERA

12. Rimetti a noi i nostri debiti   13

Tonino Lasconi, Amico Dio

Tu ci perdoni sempre.
Tu ci dai sempre
la possibilità di essere nuovi
e di ricominciare da capo.
Allora anche noi
dobbiamo perdonare
gli amici che ci lasciano,
a quelli che parlano male di noi,
a quelli che non mantengono
gli impegni presi insieme.
Tu ci perdoni sempre.
Allora nessuno deve mai
«chiudere» con un fratello.
Mai disperare che il bene
la spunti sui difetti.
Allora mai dobbiamo aspettare
che incomincino gli altri.
Tu ci perdoni sempre.
Allora nessuno di noi
deve mai stancarsi
di ricominciare,
di ridare fiducia,
di risalire la china
delle delusioni.
Tu ci perdoni sempre
e non ti stanchi mai di noi.

perdonoriconciliazioneamorefiduciamisericordiaamore di Dioaperturagratuità

4.5/5 (4 voti)

inserito il 23/09/2012

TESTO

13. Il dono dell'amore   2

Massimo il Confessore

Se vuoi preservare l'amore come Dio lo ha chiesto, non lasciare che tuo fratello vada a dormire con un sentimento di amarezza verso di te, e tu, da parte tua, non ritirarti con un senso di amarezza verso di lui, ma va' a riconciliarti col tuo fratello e verrai a offrire a Cristo, con una coscienza pura e una preghiera fervente, il dono dell'amore.

amore fraternodissaporioffesariconciliazioneperdonoamarezza

inviato da Qumran2, inserito il 19/06/2012

TESTO

14. Piccoli e grandi peccati   1

François De La Rochefoucauld

Confessiamo solo i piccoli peccati per persuadere noi stessi che non ne abbiamo commessi di grandi.

peccatipeccatoconfessionericonciliazionesinceritàvergogna

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 18/04/2012

TESTO

15. La segnaletica del Calvario   2

Tonino Bello, Scritti vari

Miei cari fratelli, sulle grandi arterie, oltre alle frecce giganti collocate agli incroci, ce ne sono ogni tanto delle altre, di piccole dimensioni, che indicano snodi secondari. Ora, per noi che corriamo distratti sulle corsie preferenziali di un cristianesimo fin troppo accomodante e troppo poco coerente, quali sono le frecce stradali che invitano a rallentare la corsa per imboccare l'unica carreggiata credibile, quella che conduce sulla vetta del Golgota? Ve ne dico tre. Ma bisogna fare attenzione, perché si vedono appena.

La freccia dell'accoglienza. E' una deviazione difficile, che richiede abilità di manovra, ma che porta dritto al cuore del Crocifisso. Accogliere il fratello come un dono. Non come un rivale. Un pretenzioso che vuole scavalcarmi. Un possibile concorrente da tenere sotto controllo perché non mi faccia le scarpe. Accogliere il fratello con tutti i suoi bagagli, compreso il bagaglio più difficile da far passare alla dogana del nostro egoismo: la sua carta d'identità! Si, perché non ci vuole molto ad accettare il prossimo senza nome, o senza contorni, o senza fisionomia. Ma occorre una gran fatica per accettare quello che è iscritto all'anagrafe del mio quartiere o che abita di fronte a casa mia. Coraggio! Il Cristianesimo è la religione dei nomi propri, non delle essenze. Dei volti concreti, non degli ectoplasmi. Del prossimo in carne ed ossa con cui confrontarsi, e non delle astrazioni volontaristiche con cui crogiolarsi.

La freccia della riconciliazione. Ci indica il cavalcavia sul quale sono fermi, a fare autostop, i nostri nemici. E noi dobbiamo assolutamente frenare. Per dare un passaggio al fratello che abbiamo ostracizzato dai nostri affetti. Per stringere la mano alla gente con cui abbiamo rotto il dialogo. Per porgere aiuto al prossimo col quale abbiamo categoricamente deciso di archiviare ogni tipo di rapporto. E' sulla rampa del perdono che vengono collaudati il motore e la carrozzeria della nostra esistenza cristiana. E' su questa scarpata che siamo chiamati a vincere la pendenza del nostro egoismo ed a misurare la nostra fedeltà al mistero della croce.

La freccia della comunione. Al Golgota si va in corteo, come ci andò Gesù. Non da soli. Pregando, lottando, soffrendo con gli altri. Non con arrampicate solitarie, ma solidarizzando con gli altri che, proprio per avanzare insieme, si danno delle norme, dei progetti, delle regole precise, a cui bisogna sottostare da parte di tutti. Se no, si rompe qualcosa. Non il cristallo di una virtù che, al limite, con una confessione si può anche ricomporre. Ma il tessuto di una comunione che, una volta lacerata, richiederà tempi lunghi per pazienti ricuciture.

Il Signore ci conceda la grazia di discernere, al momento giusto, sulla circonvallazione del Calvario, le frecce che segnalano il percorso della Via Crucis. Che è l'unico percorso di salvezza.

via crucisgolgotaaccoglienzariconciliazionecomunioneperdonocomunitàvolontariato

inviato da Qumran2, inserito il 09/04/2012

PREGHIERA

16. Tu sei esagerato, mio Dio!   6

Don Angelo Saporiti

Grazie, Signore,
perché tu non ci tieni prigionieri,
ma ci lasci andare,
anche se sai che ci perderemo.
Grazie, perché quando torniamo da te,
tu ci corri incontro,
non ci rinfacci niente,
ma ci butti le tue braccia al collo.
Grazie, Signore,
perché con noi tu hai sempre pazienza
e la tua pazienza è già il segno di una festa.
Grazie, Signore,
perché tu sei esagerato,
sei eccessivo nel volerci bene.
Ma l'amore vero è sempre così.
Come te.
Perché tu sei l'amore
e amandoci ci doni la tua vita.
Amen.

amoremisericordiaperdonopazienzaconversioneconfessionericonciliazioneritornopadre misericordiosofigliol prodigo

4.8/5 (4 voti)

inviato da Don Angelo Saporiti, inserito il 23/01/2012

TESTO

17. Che cos'è un sacerdote? Meditazione dettata in occasione di una prima messa

Karl Rahner, Sul sacerdozio

Nella prima messa si compie un sacrificio tutto particolare dell'eterno rendimento di grazie. Celebriamo infatti il momento in cui un uomo, consacrato prete di Gesù Cristo, compie per la prima volta ciò che d'ora in poi, con sublime, divina monotonia, dovrà compiere tutti i giorni della sua vita...

Come popolo dei redenti in Gesù Cristo, noi presentiamo sugli altari della Chiesa il sacrificio della Nuova Alleanza. Anche in un giorno come questo, non possiamo far niente di più di quello che facciamo sempre. Si compie infatti qualcosa che è così alto da non essere suscettibile di reale accrescimento: si fa presente in mezzo a noi il Signore di tutti i secoli, il cuore del mondo e, insieme, l'azione del suo amore che muove le stelle e tutto accoglie nella gloria di Dio.

E tuttavia nella prima messa si compie un sacrificio tutto particolare dell'eterno rendimento di grazie. Celebriamo infatti il momento in cui un uomo, consacrato prete di Gesù Cristo, compie per la prima volta ciò che d'ora in poi, con sublime, divina monotonia, dovrà compiere tutti i giorni della sua vita, finché un giorno la sua vita intera sarà consumata in quel sacrificio, che egli celebra ogni giorno e nella cui accettazione soltanto tutta la realtà terrena trova la propria accettazione nell'infinita maestà di Dio. Perché celebriamo solennemente questo giorno? Forse che la Chiesa vuol indurre i suoi fedeli a concedere, per così dire, anticipati allori ad un giovane, il quale non ha fatto ancora niente altro che offrire a Dio il suo cuore e la sua vita, mentre sarebbe lecito glorificare solo il sacrificio interamente compiuto? No, noi non celebriamo un uomo: celebriamo solo il sacerdozio di Gesù Cristo. Celebriamo la Chiesa, tutta la Chiesa di tutti i redenti, i santificati, i chiamati alla vita eterna: quella di cui noi tutti facciamo parte, sia che siamo preti o 'soltanto' credenti e santificati. Poiché noi tutti apparteniamo all'unico Corpo del Cristo in modo tale che ciò che ad uno viene concesso di grazia, dignità e potenza è grazia ed elevazione per tutti, ed in maniera tale che nel servizio e nella vocazione di uno si manifesta la santa dignità di tutti.

Che cos'è un sacerdote?

Egli è un uomo
Quando Paolo, nella lettera agli Ebrei, parla del prete, la prima cosa che dice è che il prete è scelto fra gli uomini. A tal punto che perfino l'eterno sommo sacerdote Gesù Cristo, nato da donna, soggetto alla legge, pellegrino attraverso la valle di questa realtà peritura, volle essere il figlio dell'uomo, un uomo, trovato in tutto simile a noi. Il prete è un uomo. Non è fatto, dunque, di un legno diverso da quello di cui tutti siete fatti: è vostro fratello. Egli continua a condividere la sorte dell'uomo anche dopo che la destra di Dio, attraverso la mano del vescovo, si è posata su di lui: la sorte dei deboli, la sorte di quelli che sono stanchi, scoraggiati, inadeguati, peccatori. Gli uomini, però, se l'hanno a male, se uno si presenta nel nome di Dio, pur essendo soltanto un uomo: vogliono messaggeri più splendi, araldi più convincenti, cuori più ardenti. Accoglierebbero volentieri dei vittoriosi, di quegli uomini che hanno sempre una risposta a tutto e un rimedio per tutto. Terribile illusione! Quelli che vengono sono deboli, in timore e tremore, uomini che devono anch'essi continuamente pregare: Signore, io credo, aiuta la mia incredulità! che devono anch'essi continuamente battersi il petto: Signore, abbi pietà di me, povero peccatore! Eppure essi proclamano la fede che vince il mondo e portano la grazia, che trasforma i peccatori e i perduti in santi e redenti. Sono uomini quelli che vengono. Vengono e dicono, con la loro povera umanità: vedete, Dio ha misericordia di uomini come noi; vedete, per i poveri e per gli stolti, per i disperati e per i moribondi è sorta la stella della grazia. Dicono, come messaggeri umani dell'eterno Dio: non vi adirate contro di noi! Noi sappiamo di portare il tesoro di Dio in vasi di argilla; sappiamo che la nostra ombra offusca continuamente la divina luce che dobbiamo portarvi. Siate misericordiosi verso di noi, non giudicate, abbiate pietà della debolezza sulla quale Dio ha posato il fardello troppo pesante della sua grazia. Considerate come una promessa per voi stessi il fatto che noi siamo uomini: riconoscete da ciò che Dio non ha orrore degli uomini. Voi avrete un giorno paura e orrore di voi stessi, quando avrete sperimentato anche in voi che cosa è l'uomo, che cosa c'è nell'uomo. Beati voi, allora, che non vi siete scandalizzati dell'uomo che è nel prete. Egli è un uomo, affinché voi crediate che la grazia di Dio può essere concessa all'uomo, al pover'uomo, così com'è.

Il sacerdote è un messaggero della verità di Dio
Nella verità di Dio c'è qualcosa di inquietante e insieme di beato. Essa è del tutto semplice, e non fa progressi così rapidi come la verità degli uomini, che diventano tanto sapienti da arrivare, da ultimo, alla fabbricazione delle bombe atomiche. Spesso la verità di Dio penetra nei cuori degli uomini, senza che essi lo sappiano: solo in piccola parte la sua venuta si manifesta, per esempio nell'umiltà silenziosa del cuore, in un'oscura nostalgia dello spirito, nella rassegnazione con cui uno accetta le tacite e mai autogiustificantesi disposizioni del destino. Ma quando viene, per quanto piccola, con la forza dello Spirito Santo, essa è tutta presente, e vi è già in essa anche l'inizio dell'amore e della vita eterna. E tutta questa semplice, unica verità di Dio, per mezzo della quale Dio afferma se stesso nel più profondo del cuore dell'uomo, è la Verità, che è presente nel mondo, perché stillata dal cuore trafitto del Cristo Dio. Perciò questa verità vuole farsi carne nella parola umana; vuole penetrare in tutti i pensieri e le parole degli uomini; vuole divenire il tema permanente di una sinfonia infinita, che risuona attraverso tutti gli spazi del cosmo; vuole essere spiegata e proclamata; vuole entrare attraverso le porte dell'udito nel cuore degli uomini; vuole salire e sorgere dal cuore degli uomini, sua più intima dimora, per penetrare anche in tutti i settori della vita umana, per essere predicata da tutti i tetti, per congiungersi, infine, con ogni verità umana, correggendola e purificandola, salvandola e portandola a compimento. Perciò vi sono messaggeri di questa verità, messaggeri umani. Essi vengono con parole umane, ma queste sono ripiene di verità divina. E dicono una cosa antichissima e tuttavia non mai ancora compresa: dicono la verità, che sola non avvizzisce, sola non si logora, sola non si consuma. Dicono Dio: il Dio dell'eterna gloria, il Dio della vita eterna; dicono che Dio stesso è la nostra vita; proclamano che la morte non è la fine; che l'astuzia del mondo è stoltezza e miopia; che vi è un giudizio, una giustizia ed una vita eterna. Dicono sempre la stessa cosa, monotonamente, infinite volte. La dicono a se stessi ed agli altri, poiché gli uni e gli altri devono confessare di non aver ancora mai compreso ciò che viene predicato: Dio, il Dio vivente, il vero Dio, il Dio rivelato, Dio, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo; Dio, che riversa prodigalmente la propria infinità nel nostro cuore, senza che noi ce ne accorgiamo; Dio, che fa della nostra spaventosa precarietà l'inizio della vita eterna - e noi non vogliamo crederlo. Questo dicono i messaggeri. Per questo hanno studiato e meditato; tutto questo si sono sforzati, spesso disperatamente, di far penetrare anche nella meschinità del proprio spirito e nell'angustia del proprio cuore. Eppure non ci sono ancora riusciti: sono ancora apprendisti di Dio. E tuttavia, Dio ordina loro di mettersi a parlare di ciò che essi stessi hanno compreso soltanto a metà. Ed essi cominciano. Balbettano, sono impacciati, sanno bene che tutto ciò che hanno da dire suona così strano, così inverosimile, sulla bocca di un uomo. Ma vanno e parlano. E, oh meraviglia! trovano perfino degli uomini che, attraverso il loro strano discorso, percepiscono la Parola di Dio; uomini nel cui cuore la Parola penetra, giudicando, salvando e portando la serenità, la consolazione e la forza nella debolezza, sebbene siano essi a dirla, e sebbene portino così male il messaggio. Ma Dio è con loro. Con loro, nonostante la loro miseria e il loro peccato. Essi non predicano se stessi, ma Gesù Cristo, predicano nel suo nome, e sono confusi fino in fondo al cuore per ciò che egli ha detto loro: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me». Ma egli ha detto proprio così. E dunque essi vanno e parlano. Sanno che si può essere un bronzo sonante e un cembalo tintinnante, e che ci si può perdere dopo aver predicato agli altri: ma non si sono scelti da sé. Sono stati chiamati e inviati, e così devono andare e predicare, opportunamente e importunamente. Vanno per i campi del mondo e spargono il seme di Dio: sono pieni di riconoscenza quando un poco ne germoglia, e implorano per sé la misericordia di Dio, affinché non ne rimanga sterile troppo per colpa loro. Seminano fra le lacrime, e per lo più un altro raccoglie ciò che essi hanno seminato. Ma essi lo sanno: la parola di Dio deve diffondersi dovunque e portar frutto, perché essa è la felice Verità di Dio, la luce dei cuori, la consolazione nella morte e la speranza della vita eterna.

Il sacerdote è il dispensatore dei divini misteri
La parola, che Dio ha posto sulla bocca del prete, non è una semplice parola generica, che viene pronunciata nel vago. È la parola di Dio, deve perciò riguardare anche i singoli, nella loro individualità originale e nella loro irrepetibile storicità. Deve essere detta a ciascun uomo in particolare: al mattino della vita, quando egli comincia a creare nel tempo una eternità; nei molti monotoni giorni del suo pellegrinaggio, in cui egli deve cercare faticosamente se stesso, attraverso tutte le vallate e gli errori di una vita umana; nella cupa disperazione della colpa; in quel sacro istante, in cui sembra che, dalla pienezza del tempo che muore, debba venir fuori per sempre il frutto dell'eternità nella morte. In tali istanti, il prete deve dire la parola di Dio, la parola potente e creatrice di Dio, la parola che non dice, bensì opera, la parola sacramentale: io ti battezzo; io ti assolvo dai tuoi peccati; questo è il mio Corpo. Tali parole, pronunziate nel nome del Cristo, il pret le dice applicandole alla concreta situazione dell'uomo. Ed esse apportano ciò che proclamano, operano quello che annunziano, perché sono parole di Dio. Grazie a queste parole sacramentali, il prete è, al tempo stesso, l'uomo più privo di potenza e il più potente, poiché esse non sono assolutamente più parole sue, ma parole interamente del Cristo: egli, però, ha il diritto di dirle, di ripeterle continuamente, di dirle con pazienza e con fede, instancabilmente. Tutte le altre parole, che egli deve pur dire, nella predica e nell'insegnamento, non sono altro che un'eco, una spiegazione, un commento, aggiunto alle eterne parole fondamentali della sua esistenza sacerdotale, che egli pronunzia nell'amministrare i sacramenti, accompagnandole col gesto santo, che utilizza i poveri elementi della terra per celarvi la beatitudine del cielo, fecondandoli con la parola del Cristo. Munito dunque della parola efficace del Cristo, egli dispensa i misteri del Cristo, i sacramenti. Gli uomini, per lo più, vogliono da lui qualcos'altro: il pane, la soluzione dei problemi sociali, ricette per poter essere felici su questa terra. Si irritano e si annoiano, se si continua a ripetere loro sempre soltanto parole, che si devono credere, che producono effetto solo nella divina eternità e il cui valore non si può negoziare sui mercati del mondo. Ma il prete continua a ripetere la sua parola, la parola dei sacramenti. Il loro effetto non si può provare nei laboratori degli uomini, che vogliono riconoscere come reale solo ciò che si manifesta concretamente. Ma l'effetto c'è. E così, da quella parola, ha inizio il destino dei figli di Dio, si compie il perdono dei peccatori, si celebra il banchetto della vita eterna, scaturisce dalle tenebrose profondità della morte la luce che non conosce tramonto. Col suo dono e con la sua offerta dei misteri di Dio, il prete se ne sta, come uno che sia estraneo al mondo, agli angoli delle vie, dinanzi ai quali passa in fretta il corteo interminabile degli uomini e della loro storia, precipitando non si sa bene se verso la morte o verso la vita. Chi si arresta, chi accetta l'offerta di questo viandante tra due mondi che è il prete, costui riceve i misteri di Dio, per lui si realizza nel tempo l'eternità, dalla morte la vita, dalle tenebre la luce, e si fa manifesta la presenza di Dio. E colui che ha il potere di penetrare nella situazione sempre unica del singolo queste parole della presenza e dell'efficacia sacramentale del Dio vivente nello spazio della santa Chiesa, noi lo chiamiamo il prete.

Al sacerdote è affidato il sacrificio
Abbiamo cominciato a parlare dell'opera del prete nel mondo; dobbiamo intraprendere la trattazione, più esplicita di quanto finora sia stata, del mistero che nel Corpo della Chiesa è paragonabile al cuore, in quanto apporta al regolare battito del polso dei singoli membri la forza nutritiva del sangue. Il prete è l'uomo a cui è affidata l'offerta sacrificale della Chiesa, la ripetizione liturgica della Cena del Cristo, e poiché proprio questo è l'aspetto più intimo e supremo dell'esistenza sacerdotale, noi celebriamo solennemente l'inizio di tale vita non già con un battesimo che egli celebri per la prima volta, o con la parola dell'assoluzione che pronunzi per la prima volta, bensì col sacrificio della messa che egli celebra per la prima volta e noi con lui. Qui, in questo momento, tutto si raccoglie: gli uomini, la Chiesa, Dio, il Cristo, il sacrificio della Croce, i vivi e i morti, l'angoscia terrena e la beatitudine celeste. Qui, infatti, il Signore glorioso è in mezzo alla sua comunità: la comunità dei santificati e redenti, che il prete, per mandato ricevuto dal Cristo, con pieni poteri che provengono dall'alto, e non dal basso, conduce dinanzi al trono della Grazia, affinché essa comunità offra il Signore, reso presente mediante la parola del prete, come offerta di tutta la Chiesa, all'eterno Padre, in lode del suo nome e per la salvezza di tutti quelli che celebrano il sacrificio e in esso sono ricordati con amore e fedeltà. Avendone ricevuto facoltà dal Cristo stesso, che ama la sua Chiesa e a lei ha fatto dono del proprio sacrificio, il prete può celebrare in nome di tutti, con tutti e per tutti, il sacrificio dell'eterna riconciliazione. E se è vero che in questa vocazione egli è stato da Dio sollevato più in alto di tutti gli altri, è anche vero che egli è divorato e consumato al massimo, in un puro servizio di Dio, per gli uomini. Egli acquista, in questo momento, il diritto di portare il Corpo del Signore e di prendere il calice della salvezza, riempito del prezzo del riscatto del mondo, non già per essere lui, il prete, innalzato, bensì perché ne venga salvezza per tutto il popolo di Dio. E ciò che, nel giorno della sua prima messa, egli fa', circondato dalla gioia degli altri, lo farà tutti i giorni. Tutti i giorni, nella giovinezza e nella vecchiaia, nelle grigie mattine di ogni giorno, e nelle ore terribili, che non sono risparmiate a nessuna vita. E sempre questa piccola, povera celebrazione racchiuderà in sé il contenuto, e al tempo stesso la soluzione, di tutti gli enigmi dell'esistenza: il Corpo, che venne immolato, e il Sangue, che fu versato per il perdono dei peccati. Sempre, tutto ciò sarà contenuto in questa piccola mezz'ora, perché in essa è presente, come il Sacrificato e il Vittorioso insieme, colui che è in sé l'unità reale dell'enigma e della sua soluzione, l'unità della terra e del cielo, l'unità dell'uomo e di Dio, nella celebrazione di quell'istante unico in cui, sulla Croce, l'estrema lontananza tra loro divenne inseparabile vicinanza.

Conclusione
È uomo, il prete, messaggero della Verità di Dio, dispensatore dei divini misteri, capace di rendere presente il sacrificio unico del Cristo. Sorte felice! Certo, ogni uomo ha da Dio la sua vocazione, la sorte a lui assegnata dalla eternità, il suo compito anche nel Corpo del Cristo, che è la Chiesa. Non vi è esistenza profana, per nessuno. Ma ciò che per la maggior parte è quasi soltanto la presenza della divina realtà nel profondo della loro più intima coscienza e nel silenzioso segreto della loro sfera privata, per il prete, chiamato da Dio, erompe da quella profondità per abbracciare tutta la estensione della vita. Tutto, in quella vita, Dio deve consumare e ridurre al servizio della sua signoria onnipotente. Questo è il destino del prete: vivere interamente nella manifesta vicinanza di Dio. Un destino beato e terribile a un tempo. Beato, perché Dio solo è la beatitudine; terribile, perché solo difficilmente l'uomo resiste in mezzo al tremendo splendore di Dio. Nessuna meraviglia, dunque, che il progetto più sublime rimanga sempre anche il più frammentario. Nessuna meraviglia, che l'alta vocazione nasconda in sé anche il pericolo delle cadute estreme: il pericolo che esser prete voglia dire non dovere esser più uomo; il pericolo della perdita della pietà per gli uomini, dell'inaridirsi della sostanza umana; il pericolo della fuga lontano da Dio, verso la più familiare vicinanza degli uomini; il pericolo del compromesso miserabile, del tentativo di soddisfare l'altissimo prezzo richiesto dall'esistenza sacerdotale con una mediocrità a buon mercato. Se si esamina attentamente questo destino beato e terribile del prete, si potrebbe rimanere colpiti, e quasi ammutolire per lo spavento, in questa festa, perché qui ha inizio ciò che nessun uomo, da solo, può portare a compimento. Ma noi confidiamo nella grazia di Dio: essa, non già noi, porterà a compimento ciò che ha iniziato. È fedele, infatti, colui che ha chiamato il prete, e non si pente dei doni di grazia che concede. E noi, in questa celebrazione del santo sacrificio, vogliamo pregare per la Chiesa sulla terra, che Dio mandi operai alla sua messe, perché gli operai sono pochi. Preghiamo per i nostri preti, che essi comincino nel timore e nella gioia del Signore e perseverino in fedele servizio sino alla beata fine, che noi tutti attendiamo, e in cui è il termine unico e beato di tutte le vocazioni, nell'infinita celebrazione del sacrificio eterno, in cui il Figlio, e noi in lui, tutto rimettiamo al Padre, affinché Dio sia tutto in tutti. Amen.

tratto da www.donboscoland.it

sacerdotepretepresbitericleroanno sacerdotale

inviato da Qumran2, inserito il 03/09/2010

RACCONTO

18. Il barilotto (versione 2)   7

Bruno Ferrero, Parabole

Tempo fa, in una terra lontana, viveva un signore potente e famoso in ogni angolo del regno.

Sull'orlo di una nera scogliera aveva fatto costruire una roccaforte così solida e ben armata, da non temere né re, né conti, né duchi, né principi, né visconti.

E questo possente signore aveva un bell'aspetto, nobile e imponente.

Ma nel suo cuore era sleale, astuto e ipocrita, superbo e crudele.
Non aveva paura né di Dio né degli uomini.

Sorvegliava come un falco i sentieri e le strade che passavano nella regione e piombava sui pellegrini e mercanti per rapinarli.

Aveva da tempo calpestato tutte le promesse e le regole della cavalleria.
La sua crudeltà era divenuta proverbiale.
Disprezzava apertamente la gente e le leggi della Chiesa.

Ogni Venerdì santo invece di digiunare e rinunciare a mangiare carne organizzava grandi festini e lautii banchetti per i suoi cavalieri.
Si divertiva a tiranneggiare vassalli e servitù.

Ma un giorno, durante un combattimento, un colpo di balestra lo ferì gravemente ad un fianco.

Per la prima volta, il crudele signore provò la sofferenza e la paura.

Mentre giaceva ferito, i suoi cavalieri gli fecero balenare davanti agli occhi la gola spalancata e infuocata dell'inferno a cui era sicuramente destinato se non si fosse pentito dei suoi peccati e confessato in chiesa. 
"Pentirmi io? Mai! Non confesserò neppure un peccato!".

Tuttavia il pensiero dell'inferno gli provocò un po' di spavento salutare.

A malincuore gettò elmo, spada e armatura e si diresse a piedi verso la caverna di un santo eremita.

Con tono sprezzante, senza neppure inginocchiarsi, raccontò al santo frate tutti i suoi peccati: uno dietro l'altro, senza dimenticarne neppure uno.
Il povero eremita si mostrò ancora più afflitto:

"Sire, certamente hai detto tutto, ma non sei pentito. Dovresti almeno fare un po' di penitenza, per dimostrare che vuoi davvero cambiare vita".

"Farò qualunque penitenza. Non ho paura di niente, io! Purché sia finita questa storia".
"Digiunerai ogni Venerdì per sette anni...!".
"Ah, no! Questo puoi scordartelo!".
"Vai in pellegrinaggio fino a Roma...".
"Neanche per sogno!".
"Vestiti di sacco per un mese...".
"Mai!".

Il superbo cavaliere respinse tutte le proposte del buon frate, che alla fine propose: "Bene, figliolo. Fa' soltanto una cosa: vammi a riempire d'acqua questo barilotto e poi riportamelo".

"Scherzi? E' una penitenza da bambini o da donnette!". Sbraitò il cavaliere agitando il pugno minaccioso.
Ma la visione del diavolo sghignazzante lo ammorbidì subito.

Prese il barilotto sotto braccio e brontolando si diresse al fiume.

Immerse il barilotto nell'acqua, ma quello rifiutò di riempirsi.

"E' un sortilegio magico", ruggì il penitente, "ma ora vedremo".

Si diresse verso una sorgente: il barilotto rimase ostinatamente vuoto.
Furibondo, si precipitò al pozzo del villaggio.
Fatica sprecata!

Provò ad esplorare l'interno del barilotto con un bastone: era assolutamente vuoto.

"Cercherò tutte le acque del mondo", sbraitò il cavaliere. "Ma riporterò questo barilotto pieno!".

Si mise in viaggio, così com'era, pieno di rabbia e di rancore.
Prese ad errare sotto la pioggia e in mezzo alle bufere.

Ad ogni sorgente, pozza d'acqua, lago o fiume immergeva il suo barilotto e provava e riprovava, ma non riusciva a fare entrare una sola goccia d'acqua.

Anni dopo, il vecchio eremita vide arrivare un povero straccione dai piedi sanguinanti e con un barilotto vuoto sotto il braccio.
Le lacrime scorrevano sul suo volto scavato.

Una lacrima piccola piccola scivolando sulla folta barba finì nel barilotto.
Di colpo il barilotto si riempì fino all'orlo dell'acqua più pura, più fresca e buona che mai si fosse vista.

Una sola piccola lacrima di pentimento...

L'esperienza nascosta nel racconto:
Il cavaliere del racconto scopre, con fatica e sofferenza personale, la radice del vero pentimento essenziale per ottenere il perdono di Dio e la pace vera dell'anima.

Clicca qui per un'altra versione della stessa storia.

conversionepenitenzapentimentoconfessionericonciliazioneperdono di Dio

5.0/5 (2 voti)

inviato da Don Benito Giorgetta, inserito il 26/08/2010

TESTO

19. Scusami..   5

Cristina Carmagnola

Per le parole che non ho detto e per quelle che purtroppo ho detto.
Per la mano che non ho teso.
Per quel grido che ho ignorato.
Per tutte le volte che ho chiuso gli occhi, quando era più facile.
Per quel dito che ho puntato.
Per tutti i sorrisi falsi che ho esibito.
Per quando ho bevuto tutta la poca acqua che c'era.
Per tutte le volte in cui ho voluto vedere solo le nubi,
senza cercare il sole che splendeva dietro.
Per tutti i doni che avrei potuto condividere
e che invece ho tenuto gelosamente nascosti.
Per tutte le volte in cui ho dato ascolto all'urlo della vendetta,
e ho ignorato il sussurro della speranza.
Perché non avevo capito che dare fa coppia con ricevere.
Perché la mia ipocrisia non ha limiti.
Perché al canto del gallo anch'io dovrò rispondere dei miei "non lo conosco".
E, infine, perché do sempre per scontato il tuo perdono.

perdonoperdono di Dioesame di coscienzaipocrisiapeccatoconfessionericonciliazione

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inviato da Cristina Carmagnola, inserito il 14/08/2010

ESPERIENZA

20. Missione è amare

Giuseppe Rizzo, SMA

A volte noi pensiamo che la carità sia darsi da fare, cercare tutti i modi per riempire i poveri e gli ammalati di attenzioni. Partiamo cioè con un'idea un po' troppo precisa di quello che serve a chi ci chiede aiuto.

L'avevo conosciuta un anno prima, come tanti giovani, aveva l'AlDS. Con l'infermiere della Caritas siamo riusciti a ridarle un po' di energia con alcuni farmaci. Dopo diversi anni di allontanamento da Dio e di una vita senza regole, era ritornata a partecipare alla messa della domenica per ringraziare Dio di quello che lei chiamava il miracolo della guarigione.

Ma un anno dopo, puntuale come un compleanno e senza scampo, arriva una forte crisi e lei è in fin di vita. Mi fa chiamare e mi precipito appena so che si tratta di lei. Arrivato in casa sua, non le chiedo niente, perché mi accorgo della situazione disperata. Prendo la macchina, vado al dispensario e con l'infermiere ritorno da lei. Iniezioni, flebo, pastiglie, gocce. La portiamo all'ospedale, ma anche lì ci dicono che non c'è più niente da fare. Ritornati a casa cerchiamo di fare tutto il possibile per salvarla, offriamo tutte le medicine di cui disponiamo.

Ad un certo momento lei, che fino a quel momento non aveva detto una parola, mi guarda. Poi il silenzio. Provate ad immaginarlo: un silenzio infinito, di quelli che normalmente porgono alla vita come un minuscolo boato, che diventerà un ricordo indimenticabile: "Io ti ho chiamato perché volevo confessarmi! Ti ringrazio per tutto ciò che hai fatto finora, ma in questo momento l'unica cosa di cui ho bisogno, è il perdono di Dio".

È stato come prendere contatto con la realtà. Dieci minuti di confessione: un dialogo d'amore tra lei e Dio. lo l'ho ascoltata e le ho dato il dono dell'assoluzione. Solo ora lei ha chiuso gli occhi con la serenità di aver avuto quello che cercava. Dopo averle preso le mani nelle mie, ci siamo immersi di nuovo in quel meraviglioso silenzio. È passato qualche minuto e lei non respirava più: era fra le braccia di quel Dio che ha voluto incontrare a modo suo, avendo la pazienza di aspettare che il padre se ne rendesse conto.

missionecaritàmorteassoluzioneconfessioneperdono di Dio

inviato da Don Raffaele Gobbi, inserito il 11/08/2010

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