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TESTO
S. Ambrogio di Milano, De Nabuthae, 1.1
"Nabot possedeva una vigna vicino al palazzo di Acab di Samaria..." (1 Re 21).
La storia di Nabot è antica per età, ma nel costume è quotidiana.
Quale ricco, infatti, non desidera ogni giorno avidamente i beni altrui?
Quale potente non pretende di cacciare via il povero dal suo piccolo podere e di togliere chi non ha mezzi dalla terra dei padri?
Chi è mai contento di quello che ha?
Quale ricco non sente accendersi l'animo dal desiderio di possedere i beni del vicino?
Sicché di Acab non ne è nato uno solo; e ciò che è peggio, Acab nasce ogni giorno e non muore mai a questo mondo.
Appena ne scompare uno, ne vengono fuori altri, in gran numero, e sono più quelli che rubano di quelli che accettano di rimetterci.
Ma neppure Nabot è l'unico povero che sia stato ucciso; ogni giorno un Nabot è prostrato, ogni giorno un povero viene ucciso.
Angosciata da questo timore la gente si ritira dalle sue terre e il povero, carico del suo pegno d'amore, emigra con i figli, mentre la moglie lo segue in lacrime, come se accompagnasse il marito al sepolcro.
Fin dove volete arrivare, o ricchi, con le vostre assurde cupidigie?
Pensate di rimanere soli ad abitare la terra?
Perché scacciate chi è compartecipe ai beni della natura e rivendicate per voi soli il possesso dei beni naturali?
La terra è stata creata come un bene comune per tutti, per i ricchi e per i poveri: perché voi ricchi vi arrogate il diritto di proprietà del suolo?
inviato da Eleonora Polo, inserito il 11/12/2002
TESTO
Tradizione indù
Se hai due pezzi di pane, danne uno ai poveri, vendi l'altro e compera dei giacinti per nutrire la tua anima.
animainterioritàsolidarietàcondivisionericchezzapovertà
inviato da Corradini Don Lorenzo, inserito il 10/12/2002
PREGHIERA
83. Caro Gesù Bambino, ti voglio avvisare... 1
Giuliana Martirani, Il drago e l'agnello
Caro Bambino,
ora che di nuovo nasci bambino sulla Terra,
ti voglio avvisare:
Non nascere nella cristiana Europa:
ti metterebbero solo solo davanti alla Tv
riempiendoti di pop corn e merendine
e ti educherebbero a essere competitivo,
uomo di potere e di successo,
e a essere un «lupo» per altri bambini
semmai africani, latinoamericani o asiatici.
Tu che sei l'Agnello mite del servizio.
Non nascere nel cristiano Nord America:
ti insegnerebbero che sei superiore agli altri bambini,
che il tempo è denaro,
che tutto può essere ridotto a business, anche la natura,
che ogni uomo «ha un prezzo»
e tutti possono essere comprati e corrotti;
e ti eserciterebbero a sparar missili e a fare embarghi
che tolgono cibo e medicine ad altri bambini.
Tu che sei il Principe della pace.
Evita l'Africa:
ti capiterebbe di nascere con l'aids
e di morire di diarrea, ancora neonato
oppure di finire profugo in un Paese non tuo
per scappare a delle nuove stragi degli innocenti.
Tu che sei il Signore della Vita.
Evita l'America Latina:
finiresti bambino di strada oppure ti sfrutterebbero
per tagliar canna da zucchero o raccogliere caffè e cacao
per i bambini del Nord del mondo
senza mai poter mangiare una sola tavoletta di cioccolato.
Tu che sei il Signore del creato.
Evita anche l'Asia:
ti metterebbero «a padrone» lavorando quattordici ore al giorno
per tappeti oppure scarpe, palloni e giocattoli
da regalare... a Natale... ai bambini del Nord del mondo,
e tu andresti scalzo e giocheresti a calcio con palloni di carta o pezza.
Tu che sei il Padrone del mondo.
Ma soprattutto non nascere... di nuovo in Palestina:
alcuni ti metterebbero un fucile, altri una pietra in mano
e ti insegnerebbero a odiare i tuoi fratelli... di stesso Padre:
gli ebrei, i musulmani e i cristiani.
Tu che ogni anno sei inviato dal Padre per darci il suo amore misericordioso.
Caro Bambino, a pensarci bene,
devi proprio rinascere in tutti questi posti
ma non nei cuori dei bambini,
e dei Paesi «piccoli e deboli»:
là ci stai già,
ma nei cuori dei grandi e dei Paesi «grandi e potenti»
perché come hai fatto tu stesso:
Dio potente che diventa bambino impotente, rinascano anch' essi:
piccoli, innocenti e finalmente... deboli.
natalesolidarietàgiustiziaingiustiziasfruttamentomondialitàricchezzapovertà
inviato da Viola, inserito il 06/12/2002
ESPERIENZA
Tutti desideriamo amare Dio. Ma come si fa?
Gesù si convertì in pane di vita per saziare la nostra fame.
Quindi si fece ignudo, sfrattato, abbandonato, lebbroso, drogato, prostituta, di modo che tutti noi, tanto voi come io, potessimo saziare la sua fame con il nostro amore.
Sicuramente non vi capiterà di vedere nei vostri paesi malati rosi da vermi, ma ci sono vermi che tarlano i cuori.
Mi commosse moltissimo il gesto di una bambina piccola che decise di mandarmi i soldi della sua prima comunione invece di tenerseli per comprare un vestito per quella festa.
In Africa ci sono molte migliaia di persone che muoiono di fame a causa della siccità.
Mi imbattei in strada in una bambina di cinque o sei anni e le diedi un pezzo di pane.
Cominciò a mangiarlo briciola per briciola, dicendo che avrebbe avuto ancora fame, una volta terminato il pane.
Lei aveva già fatto esperienza di cosa è la fame, qualcosa che né io né voi ancora sappiamo cos'è.
inviato da Viola, inserito il 04/12/2002
TESTO
gratitudinepovertàumiltàpiccolezza
inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 03/12/2002
TESTO
povertàcaritàamorecondivisionesolidarietà
inviato da Mariella Romanazzi, inserito il 03/12/2002
PREGHIERA
87. Nostra signora del mondo senza voce
Madre,
la Provvidenza
mi ha fatto incontrare una statua
nella quale tu resti perfetta e bella
ma tuo figlio è senza testa.
Mi si è consigliato
di toglierla dalla vista del pubblico.
Hanno perfino avuto il cattivo gusto
di suggerirmi di far scolpire
una testa per il bambino.
Non hanno capito, che,
in questa statua,
ricevevo un simbolo perfetto
di Nostra Signora del terzo mondo,
di Nostra Signora del mondo senza voce...
Non è forse esattamente così
che ho incontrato ad ogni istante
tuo figlio e nostro fratello,
il Cristo?
Quando vedo i bambini del mio popolo,
atrofizzati,
il ventre gonfio, la testa enorme,
e molto spesso vuota, arretrata,
come se mancasse,
incontro il Cristo!...
Conserverò la statua con il bambino deformata
come nella vita,
come nel nostro mondo,
dove l'egoismo genera mostri,
dove il ricco è sempre più ricco
e il povero sempre più povero,
dove le torture e gli arresti arbitrari continuano,
dove la violenza di destra e di sinistra,
ferisce la giustizia
e impedisce la pace,
dove l'uomo continua a decapitare l'uomo.
ingiustiziapovertàricchezzaviolenzasfruttamentogiustiziafame nel mondo
inviato da Federico Bernardi, inserito il 03/12/2002
TESTO
88. Come vuoi vivere: felice o infelice?
Voi sarete la generazione più disgraziata
che sia mai esistita
se stupidamente entrate nella vita
con il desiderio mostruoso
che noi abbiamo avuto prima di voi:
«Io, io, io, la mia carriera, la mia ricchezza.
Che mi importa degli altri?».
Sarete infelici,
se metterete il vostro benessere
a vostro esclusivo servizio, indifferenti degli altri.
Sarete invece la più felice generazione
che sia mai esisitita nel mondo,
se capirete che soltanto l'amore
è capace di mettere il benessere
al servizio di tutti.
Ma per far questo,
abbiate cura di non vivere neppure un giorno
nella prosperità, nella comodità,
nel benessere, nei piaceri,
senza che il dolore degli altri
sia venuto fino a voi.
giustiziaingiustiziacompassionesolidarietàamorecaritàcondivisionecompetitivitàricchezzapovertà
inviato da Federico Bernardi, inserito il 03/12/2002
TESTO
Chiunque possiede qualcosa di cui non ha bisogno, è un ladro.
ricchezzapovertàgiustiziaingiustiziapossedere
inviato da Ilaria Zocatella, inserito il 27/11/2002
PREGHIERA
Per favore, non rubatemi
la mia serenità.
E la gioia che nessun tempio
ti contiene, o nessuna chiesa
t'incatena:
Cristo sparpagliato
per tutta la terra,
Dio vestito di umanità:
Cristo sei nell'ultimo di tutti
come nel più vero tabernacolo:
Cristo dei pubblicani,
delle osterie dei postriboli,
il tuo nome è colui
che-fiorisce-sotto-il-sole.
povertàGesù Cristoincarnazione
inviato da Barbara, inserito il 24/11/2002
RACCONTO
91. La vecchietta che aspettava Dio 9
La vita di ognuno di noi è intessuta di attese. Si tratta di una esperienza importante e di grande valore educativo. Consapevole di ciò, la Chiesa ha fissato un tempo per ravvivare questo 'stato' fondamentale nella vita del cristiano: il tempo dell'Avvento. La storia sottolinea che Dio è sempre sorprendente... è possibile incontrarlo in tanti modi, ma in modo particolare nelle persone che ci avvicinano tutti i giorni.
C'era una volta un'anziana signora che passava in pia preghiera molte ore della giornata. Un giorno sentì la voce di Dio che le diceva: "Oggi verrò a farti visita". Figuratevi la gioia e l'orgoglio della vecchietta. Cominciò a pulire e lucidare, impastare e infornare dolci. Poi indossò il vestito più bello e si mise ad aspettare l'arrivo di Dio.
Dopo un po', qualcuno bussò alla porta. La vecchietta corse ad aprire. Ma era solo la sua vicina di casa che le chiedeva in prestito un pizzico di sale. La vecchietta la spinse via: "Per amore di Dio, vattene subito, non ho proprio tempo per queste stupidaggini! Sto aspettando Dio, nella mia casa! Vai via!". E sbattè la porta in faccia alla mortificata vicina.
Qualche tempo dopo, bussarono di nuovo. La vecchietta si guardò allo specchio, si rassettò e corse ad aprire. Ma chi c'era? Un ragazzo infagottato in una giacca troppo larga che vendeva bottoni e saponette da quattro soldi. La vecchietta sbottò: "Io sto aspettando il buon Dio. Non ho proprio tempo. Torna un'altra volta!". E chiuse la porta sul naso del povero ragazzo.
Poco dopo bussarono nuovamente alla porta. La vecchietta aprì e si trovò davanti un vecchio cencioso e male in arnese. "Un pezzo di pane, gentile signora, anche raffermo... E se potesse lasciarmi riposare un momento qui sugli scalini della sua casa", implorò il povero.
"Ah, no! Lasciatemi in pace! Io sto aspettando Dio! E stia lontano dai miei scalini!" disse la vecchietta stizzita. Il povero se ne partì zoppicando e la vecchietta si dispose di nuovo ad aspettare Dio.
La giornata passò, ora dopo ora. Venne la sera e Dio non si era fatto vedere. La vecchietta era profondamente delusa. Alla fine si decise ad andare a letto. Stranamente si addormentò subito e cominciò a sognare. Le apparve in sogno il buon Dio che le disse: "Oggi, per tre volte sono venuto a visitarti, e per tre volte non mi hai ricevuto".
avventoincarnazionerapporto con Diopovertàcaritàsolidarietàamore
inviato da Andrea Zamboni, inserito il 23/11/2002
TESTO
Tonino Bello, Sui sentieri di Isaia
L'educazione alla povertà è un mestiere difficile: per chi lo insegna e per chi lo impara. Forse per questo il Maestro ha voluto riservare ai poveri la prima beatitudine.
Non è vero che si nasce poveri.
Si può nascere poeti, ma non poveri.
Poveri si diventa. Come si diventa avvocati, tecnici, preti.
Dopo una trafila di studi, cioè.
Dopo lunghe fatiche ed estenuanti esercizi.
Questa della povertà, insomma, è una carriera. E per giunta tra le più complesse. Suppone un noviziato severo. Richiede un tirocinio difficile. Tanto difficile, che il Signore Gesù si è voluto riservare direttamente l'insegnamento di questa disciplina.
Nella seconda lettera che San Paolo scrisse ai cittadini di Corinto, al capitolo ottavo, c è un passaggio fortissimo: "Il Signore nostro Gesù Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per voi".
E' un testo splendido. Ha la cadenza di un diploma di laurea, conseguito a pieni voti, incorniciato con cura, e gelosamente custodito dal titolare, che se l'è portato con sé in tutte le trasferte come il documento più significativo della sua identità: "Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli il nido; ma il figlio dell'uomo non ha dove posare il capo".
Se l'è portato perfino nella trasferta suprema della croce, come la più inequivocabile tessera di riconoscimento della sua persona, se è vera quella intuizione di Dante che, parlando della povertà del Maestro, afferma: "Ella con Cristo salì sulla croce".
Non c'è che dire: il Signore Gesù ha fatto una brillante carriera.
E ce l'ha voluta insegnare.
Perché la povertà si insegna e si apprende. Alla povertà ci si educa e ci si allena. E, a meno che uno non sia un talento naturale, l'apprendimento di essa esige regole precise, tempi molto lunghi, e, comunque, tappe ben delineate.
Proviamo a delinearne sommariamente tre.
Povertà come annuncio
A chi vuole imparare la povertà, la prima cosa da insegnare è che la ricchezza è cosa buona.
I beni della terra non sono maledetti. Tutt'altro. Neppure i soldi sono maledetti.
Continuare a chiamarli sterco del diavolo significa perpetuare equivoci manichei che non giovano molto all'ascetica, visto che anche i santi, di questo sterco, non hanno disdegnato di insozzarsi le tasche.
I beni della terra non giacciono sotto il segno della condanna. Per ciascuno di essi, come per tutte le cose splendide che nei giorni della creazione uscivano dalle mani di Dio, si può mettere l'epigrafe: "ed ecco, era cosa molto buona".
Se la ricchezza della terra è buona, però, c'è una cosa ancora più buona: la ricchezza del Regno, di cui la prima è solo un pallidissimo segno. Ecco il punto. Ci vorrà fatica a farlo capire agli apprendisti. Ma è il nodo di tutto il problema. Farsi povero non deve significare disprezzo della ricchezza, ma dichiarazione solenne, fatta con i gesti del paradosso e perciò con la rinuncia, che il Signore è la ricchezza suprema.
Un po' come rinunciare a sposarsi in vista del Regno non significa disprezzare il matrimonio, ma annunciare che c'è un amore più grande di quello che germoglia tra due creature. Anzi, dichiarare che questo piccolo amore è stato scelto da Dio come segno di quell'altro più grande. Sicché, chi non si sposa sembra dire ai coniugi: "Splendida la vostra esperienza. Ma non è tutto. Essa è solo un segno. Perché c'è un'esperienza di amore ancora più forte, di cui voi attualmente state vivendo solo un lontanissimo frammento, e che un giorno saremo tutti chiamati a vivere in pienezza".
Analogamente, farsi povero significa accendere una freccia stradale per indicare ai viandanti distratti la dimensione "simbolica" della ricchezza, e far prendere coscienza a tutti della realtà significata che sta oltre. Significa, in ultima analisi, divenire parabola vivente della "ulteriorità".
In questo senso, la povertà, prima che rinuncia, è un annuncio. E' annuncio del Regno che verrà.
Povertà come rinuncia
E' la dimensione che, a prima vista, sembra accomunare la povertà cristiana a quella praticata da alcuni filosofi o da molte correnti religiose. Rinunciare alla ricchezza per essere più liberi.
in realtà, però, c'è una sostanziale differenza tra la rinuncia cristiana e quella che, per intenderci, possiamo chiamare rinuncia filosofica.
Questa interpreta i beni della terra come zavorra. Come palla al piede che frena la speditezza del passo. Come catena che, obbligandoti agli schemi della sorveglianza e alle cure ansiose della custodia, ti impedisce di volare. E' la povertà di Diogene, celebrata in una serie infinita di aneddoti, intrisa di sarcasmi e di autocompiacimenti, di disprezzo e di saccenteria, di disgusti raffinati e di arie magisteriali. La botte è meglio di un palazzo, e il regalo più grande che il re possa fare è quello che si tolga davanti perché non impedisca la luce del sole.
La rinuncia cristiana ai beni della terra, invece, pur essendo fatta in vista della libertà, non solleva la stessa libertà a valore assoluto e a idolo supremo dinanzi a cui cadere in ginocchio.
Il cristiano rinuncia ai beni per essere più libero di servire. Non per essere più libero di sghignazzare: che è la forma più allucinante di potere.
Ecco allora che si introduce nel discorso l'importantissima categoria del servizio, che deve essere tenuta presente da chi vuole educarsi alla povertà. Spogliarsi per lavare i piedi, come fece Gesù che, prima di quel sacramentale pediluvio fatto con le sue mani agli apostoli, "depose le vesti".
Chi vuol servire deve rinunciare al guardaroba. Chi desidera stare con gli ultimi, per sollecitarli a camminare alla sequela di Cristo, deve necessariamente alleggerirsi dei "tir" delle sue stupide suppellettili.
Chi vuol fare entrare Cristo nella sua casa, deve abbandonare l'albero, come Zaccheo, e compiere quelle conversioni "verticali" che si concludono inesorabilmente con la spoliazione a favore dei poveri.
E' la gioia, quindi, che connota la rinuncia cristiana: non il riso.
La testimonianza, non l'ostentazione.
Come avvenne per Francesco, innamorato pazzo di madonna Povertà. Come avvenne per i suoi seguaci, che si spogliarono non per disprezzo, ma per seguire meglio il maestro e la sua sposa: "O ignota ricchezza, o ben verace! Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro, dietro allo sposo; sì la sposa piace!".
Povertà come denuncia
Di fronte alle ingiustizie del mondo, alla iniqua distribuzione delle ricchezze, alla diabolica intronizzazione del profitto sul gradino più alto della scala dei valori, il cristiano non può tacere.
Come non può tacere dinanzi ai moduli dello spreco, del consumismo, dell'accaparramento ingordo, della dilapidazione delle risorse ambientali.
Come non può tacere di fronte a certe egemonie economiche che schiavizzano i popoli, che riducono al lastrico intere nazioni, che provocano la morte per fame di cinquanta milioni di persone all'anno, mentre per la corsa alle armi, con incredibile oscenità, si impiegano capitali da capogiro.
Ebbene, quale voce di protesta il cristiano può levare per denunciare queste piovre che il Papa, nella "Sollicitudo rei socialis", ha avuto il coraggio di chiamare strutture di peccato? Quella della povertà!
Anzitutto, la povertà intesa come condivisione della propria ricchezza.
E' un'educazione che bisogna compiere, tornando anche ai paradossi degli antichi Padri della Chiesa: "Se hai due tuniche nell'armadio, una appartiene ai poveri". Non ci si può permettere i paradigmi dell'opulenza, mentre i teleschermi ti rovinano la digestione, esibendoti sotto gli occhi i misteri dolorosi di tanti fratelli crocifissi. Le carte patinate delle riviste, che riproducono le icone viventi delle nuove tragedie del Calvario, si rivolgeranno un giorno contro di noi come documenti di accusa, se non avremo spartito con gli altri le nostre ricchezze.
La condivisione dei propri beni assumerà, così, il tono della solidarietà corta.
Ma c'è anche una solidarietà lunga che bisogna esprimere.
Ed ecco la povertà intesa come condivisione della sofferenza altrui. E' la vera profezia, che si fa protesta, stimolo, proposta, progetto. Mai strumento per la crescita del proprio prestigio, o turpe occasione per scalate rampanti.
Povertà che si fa martirio: tanto più credibile, quanto più si è disposti a pagare di persona.
Come ha fatto Gesù Cristo, che non ha stipendiato dei salvatori, ma si è fatto lui stesso salvezza e, per farci ricchi, sì è fatto povero fino al lastrico dell'annientamento.
L'educazione alla povertà è un mestiere difficile: per chi lo insegna e per chi lo impara.
Forse è proprio per questo che il Maestro ha voluto riservare ai poveri, ai veri poveri, la prima beatitudine.
povertàricchezzaingiustiziacelibatovita eternaparadisoserviziocaritàregno dei cieliregno di Diorinuncia
inviato da Eleonora Polo, inserito il 18/11/2002
TESTO
Beati coloro
che hanno scelto
di vivere sobriamente
per condividere i loro beni
con i più poveri.
Beati coloro che rinunciano
a più offerte di lavoro
per risolvere
il problema dei disoccupati.
Beati i funzionari
che sveltiscono
gli iter burocratici
e tentano di risolvere i problemi
delle persone non informate.
Beati i banchieri,
i commercianti
e gli agenti di vendita
che non approfittano
delle situazioni
per aumentare i loro guadagni.
Beati i politici e i sindacalisti,
che si impegnano a trovare
soluzioni concrete
alla disoccupazione.
Beati noi
quando smetteremo di pensare:
"Che male c'è nel frodare,
tanto lo fan tutti".
Allora la vita sociale
sarà un'anticipazione
del Regno dei Cieli.
mondialitàcaritàamoreserviziopovertàricchezzaingiustiziapoliticasocietà
inviato da Anna Barbi, inserito il 16/09/2002
TESTO
94. Il pane quotidiano - Pane per tutti i gusti 1
Noi, popoli supernutriti, abbiamo inventato:
Il pane insipido e il pane salato.
Il pane croccante e quello floscio.
Il pane a rosetta e quello a filone.
Il pane all'olio e quello col riso.
Il pane bianco e quello integrale.
Il pane magro e quello vitaminizzato.
Il pane a fuoco e quello a vapore.
Il pane diabetico e quello con patate.
Le fette rotonde e quelle quadrate.
I poveri cercano semplicemente il pane quotidiano.
Altra versione
Voi popoli del benessere avete pane per tutti i gusti: salato, insipido, pane bianco e integrale, magro e vitaminizzato, per diabetici e linfatici, cotto a legna o a vapore; pane di tutte le forme: a sfogliata, rotondo, quadrato, a filone o in grissini di varia grandezza; biscotti e focacce di ogni tipo.
Noi, popoli della fame, chiediamo solo pane e preghiamo Gesù: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano".
mondialitàcaritàamoreserviziopovertàricchezzaingiustiziafame nel mondo
inviato da Anna Barbi, inserito il 16/09/2002
TESTO
95. Vivevo sul lato in ombra della strada
Vivevo sul lato in ombra della strada
e osservavo i giardini dei vicini
al di là della strada, festanti
nella luce del sole.
Mi sentivo povero,
e andavo di porta in porta con la mia fame.
Più mi davano della loro incurante abbondanza,
più diventavo consapevole
della mia ciotola da mendicante.
Finché un mattino mi destai dal sonno
all'improvviso aprirsi della mia porta,
e tu entrasti a chiedermi la carità.
Disperato, ruppi il coperchio del mio scrigno,
e scoprii sorpreso la mia ricchezza.
interioritàesterioritàstima di sédarericeveredonarericchezzapovertà
inviato da Luca Mazzocco, inserito il 14/06/2002
TESTO
Se Cristo, domani, busserà alla vostra porta, lo riconoscerete?
Sarà, come una volta, un uomo povero,
certamente un uomo solo.
Sarà senza dubbio un operaio,
forse un disoccupato,
e anche, se lo sciopero è giusto, uno scioperante.
Salirà scale su scale, senza mai finire.
Ma la vostra porta è così difficile da aprire.
«Non mi interessa» comincerete
prima d'ascoltarlo.
E sbatterete la porta
in faccia al povero che è il Signore.
Sarà forse un profugo,
uno dei quindici milioni di profughi
con un passaporto dell'ONU,
uno di coloro che nessuno vuole,
e che vagano un questo deserto che è diventato il Mondo;
uno di coloro che devono morire
«perché dopo tutto non si sa da dove arrivino
persone di quella risma...».
O meglio ancora, in America, un uomo nero,
un negro come dicono loro,
stanco di mendicare un buco negli alloggi di New York,
come una volta a Betlemme
la Vergine Nostra Signora...
Se Cristo, domani, busserà alla vostra porta, Lo riconoscerete?
inviato da Luca Peyron, inserito il 12/06/2002
PREGHIERA
Dammi solo poco,
perché non dimentichi mai
di chiamarti il mio tutto.
Lasciami solo poco,
perché in ogni luogo
senta bisogno di te,
perché senza ritegni
possa tornare da te,
perché in ogni momento
possa offrirti il mio cuore.
Lasciami solo poco,
perché i tuoi doni
non ti nascondano mai;
dammi una sola catena
con cui possa legarmi
al tuo viso per sempre;
lascia che il tuo desiderio
inanelli la mia vita
e diventi catena per te.
inviato da Luca Mazzocco, inserito il 02/06/2002
PREGHIERA
Amore, che mi formasti
a immagine dell'Iddio che non ha volto,
Amore che sì teneramente
mi ricomponesti dopo la rovina,
Amore, ecco, mi arrendo:
sarò il tuo splendore eterno.
Amore, che mi hai eletto fin dal giorno
che le tue mani plasmarono il corpo mio,
Amore, celato nell'umana carne,
ora simile a me interamente sei,
Amore ecco, mi arrendo:
sarò il tuo possesso eterno.
Amore, che al tuo giogo
anima e sensi, tutto m'hai piegato,
Amore, tu m'involi nel gorgo tuo,
il cuore mio non resiste più,
ecco, mi arrendo, Amore:
mia vita ormai eterna.
amoremorteparadisovita eternavocazionefragilitàpovertà
inviato da Luca Mazzocco, inserito il 27/05/2002
ESPERIENZA
99. Andate in missione per cercare luoghi e modi per dare la vita
Questo titolo un po' strano è quello che meglio descrive il mio viaggio in Bangladesh fatto proprio lo scorso settembre. Fin dall'inizio del mio cammino di preparazione al PIME, iniziato lo scorso ottobre, ho sempre avuto come motivazione principale quella di scoprire cosa avrei potuto fare come medico in una Missione.
E così mi sono completamente affidata a questo cammino, io ho deciso di parteciparvi, tutto il resto mi è stato donato.
Nel mese di aprile ho saputo che la mia destinazione sarebbe stata il Bangladesh.
Non sapevo nulla di questo paese, solo che è il più povero del mondo...
Sono partita per questa esperienza caricata molto positivamente, la gioia e la curiosità erano davvero grandi, ma avevo anche un po' di paura. Le aspettative erano molte ma ho voluto un po' accantonarle dicendo: "Lascio al Signore di decidere quello che vorrà donarmi con questa esperienza".
Al momento della partenza sapevo solo che io, a differenza delle due ragazze che sono partite con me, sarei stata da sola in un'altra missione più a nord del paese, dove mi aspettava il lavoro in un dispensario.
Il primo impatto all'arrivo a Dahka è stato davvero traumatico, la prima sera i miei sentimenti e le emozioni erano incontrollabili continuavo a ripetermi: Perché sono qui? Non potevo seguire i consigli di chi mi ha sempre un po' scoraggiato in questo viaggio?!. Ma chi me lo ha fatto fare? Voglio tornare a casa!
Dahka è una città lasciata a metà, tutto è stato iniziato ma ben poco è stato portato a termine, grande caos, forti rumori, traffico peggio che a Milano, odori nauseabondi...
Ma in fondo la mia destinazione era un piccolo villaggio del nord, questo mi faceva avere la speranza che le cose sarebbero cambiate.
Dopo due giorni ho raggiunto Boldipukur, la mia piccola e accogliente missione. Le case diroccate hanno lasciato spazio al verde che è la nota caratteristica del B, qua la gente vive nelle capanne in mezzo alla natura, proprio intorno alla missione.
Uno spettacolo meraviglioso!
Così le angosce e le paure che mi avevano accompagnato fino a quel momento hanno lasciato spazio ad una sensazione di pace. Sono stata ospite di una piccola comunità di cinque suore, tre bengalesi e due italiane, suor Eleonora e suor Mariangela. Mi sono sentita subito ben accolta, mi sentivo come a casa mia.
A differenza di Dahka dove sono stata solo spettatrice di un mondo che sentivo estremamente estraneo a me e anche un po' ostile, in questo ambiente sono dovuta scendere allo scoperto, entrando nella quotidianità di questa gente, nelle loro case, nelle loro vite.
Sono entrata con timore, quasi in punta di piedi per non voler far notare troppo la differenza e mi sono scontrata subito con una povertà che disarma e fa cadere tutte le certezze.
Appena arrivata in missione mi hanno mostrato la mia camera e subito mi ha colto una sensazione di disagio: non funzionava il ventilatore, assolutamente necessario per affrontare alcuni momenti della giornata, e l'acqua che scendeva dal mio rubinetto era arancione. "Voglio tornare a casa" e il solito "Chi me lo ha fatto fare?!".
In risposta a queste mie domande mi hanno portato a fare un giro nel villaggio appena fuori le mura della missione e ho visto gente che vive nelle capanne, in una unica stanza c'è tutto e soprattutto nessuna comodità, niente ventilatore, niente acqua corrente, solo la luce per chi è fortunato.
La povertà che ho incontrato nel piccolo villaggio è diversa da quella di Dahka, è una povertà dignitosa, hanno davvero poco per il loro sostentamento, ma quel poco lo condividono.
Ho voluto conoscere la realtà della Sanità in B, suor Mariangela si è fatta carico di questa cosa e mi ha fatto vedere tutto quello che le era possibile, portandomi da una cittadina all'altra, consapevole che di fronte ad alcune realtà sarei rimasta senza parole.
Così ho visitato l'ospedale governativo di Rangpur, la città più grande vicino alla mia missione, una decina di chilometri, penso che le parole non riescano a rendere il significato di quello che ho visto: non credevo di essere in un ospedale. La struttura è fatiscente, mi verrebbe da paragonarla alla stazione centrale, ogni angolo di corridoio o di scala è utilizzato come bagno o spazzatura. Nel reparto di chirurgia generale, uno stanzone enorme nel quale sono ricoverati una cinquantina di persone, uomini e donne insieme, chi su di un letto dalle lenzuola putride, chi addirittura per terra adagiato su delle coperte di lana anch'esse molto sporche. Ogni paziente ha al suo fianco la famiglia per qualsiasi necessità, l'ospedale non dà cibo, ma nemmeno i farmaci necessari al ricovero. Tutto è a carico del paziente.
E' stato sufficiente vedere quel reparto per chiedere alla suora di portarmi via, non volevo veder più nulla e nel cuore la speranza che non succeda mai nulla per cui i missionari abbiano bisogno di un ricovero urgente.
La speranza si è accesa quando invece a Dinajpur ho visto l'ospedale gestito dai Missionari, una stretta al cuore, nella povertà e nella semplicità della struttura, riesco comunque a riconoscere un ospedale. Corridoi e stanze pulite, ognuno ha un proprio letto con lenzuola degne di essere chiamate tali.
L'esperienza comunque più significativa l'ho vissuta proprio al dispensario dove ho potuto agire direttamente.
Il dispensario raccoglie tutti i giorni dalle 100 alle 150 persone e più provenienti dai villaggi limitrofi, solo donne e bambini. Vi lavorano solo due suore infermiere, il numero di utenti sarebbe troppo alto con gli uomini.
Vengono fatte accomodare 5 o 6 persone tutte insieme e ognuno dice apertamente il proprio problema, non esiste certo la legge sulla privacy.
Così le suore gestiscono i loro pazienti, ascoltandoli, facendo diagnosi, consigliando terapie con farmaci che loro stessi devono pagare. E non si può certo eccedere con i farmaci, dipende da quanti soldi può offrire il paziente.
I primi giorni mi domandavo che senso avessero tali terapie che non duravano più di quattro giorni a dosi che da noi non utilizziamo nemmeno nei bambini. E ho fatto fatica a mettere da parte le mie conoscenze e le mie certezze per entrare in un'ottica che è completamente diversa dalla mia.
Ho subito pensato a come noi, facilmente, possiamo avere dei farmaci che ci aiutano e a quanti Km di strada devono fare loro per raggiungere il dispensario che copre un territorio vastissimo. Certo nei villaggi ci sono i loro dottori che nella maggior parte dei casi sono stregoni che impongono terapie che io non ho voluto nemmeno conoscere.
Certo che i ricordi sono davvero tanti e potrei stare raccontare per ore...
Prima di partire mi hanno consigliato di non andare a vivere un'esperienza di questo tipo con l'idea di andare a fare grandi cose, con l'idea di salvare il mondo, ma anzi, di lavorare poco e di guardare, ascoltare, imparare.
E così ho fatto, sono partita dicendo: "Non dirò di no a nulla e farò tutto quello che mi verrà proposto...".
Ora il sentimento che sento davvero forte nel mio cuore è quello della gratitudine, io non ho fatto assolutamente nulla in questa esperienza, ho solo ricevuto tanti doni.
E quello davvero più grosso è stato quello di una comunità accogliente che mi ha permesso di essere davvero libera di guardare, ascoltare, registrare tutto quello che veniva messo sul mio cammino.
Ho fatto migliaia di km per scoprire in terra straniera uomini e donne italiane, sì, i missionari!!
"Negli occhi una terra lontana, nel cuore una speranza, andare ai confini del mondo per far conoscere te" sono le parole di un canto che porto nel cuore da quando sono tornata e racchiudono davvero il senso del mio viaggio.
Porto nel cuore queste persone che mi hanno insegnato uno stile di vita davvero semplice e sobrio, il loro sguardo carico di amore, i loro sorrisi... riflesso di un amore più grande che li accompagna e li sostiene ogni giorno.
Non posso che chiedervi di pregare per queste persone perché possano davvero continuare questa grande opera che non è altro che la loro vita per Dio!
inviato da Mariangela Molari, inserito il 26/05/2002
TESTO
Prego per voi,
perché possiate conservare nei vostri cuori la gioia di amare Dio,
la gioia dell'amore e della bontà,
e di condividere questa gioia con tutti quelli con i quali vi trovate,
con le persone che lavorano al vostro fianco,
davanti a tutti i membri della vostra stessa famiglia.
Quello che importa non è la quantità del dono,
bensì l'intensità dell'amore con cui lo diamo.
C'è qualcosa in più di cui vi posso parlare:
della mia esperienza con i Poveri più poveri.
Devo ancora trovare la prima donna Povera disposta ad abortire.
Senza dubbio darà alla luce suo figlio.
È possibile che abbandoni la sua creatura sulla strada,
ma non sarà lei a eliminare suo figlio.
È un qualcosa che dobbiamo imparare dai Poveri:
la grandezza del loro amore per il figlio.
Preghiamo.
Chiediamo a nostro Signore che non si allontani dal nostro fianco
nel momento della tentazione.
Perché allo stesso modo in cui fu tentato Gesù,
il diavolo tenterà anche noi.
Non dobbiamo aver paura,
perché Dio è amore.
Se Dio ci ama, dal momento che lui è Padre amoroso,
non smetterà di aiutarci.
Quando ci rendiamo conto di aver commesso un errore,
andiamo da lui e diciamogli:
«Dio mio, mi spiace! Sono pentito!».
donoamoreperdonoabortovitapovertà
inviato da Luca Mazzocco, inserito il 11/05/2002