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TESTO

1. ​La preghiera bussa, il digiuno ottiene, la misericordia riceve

Pietro Crisologo, vescovo, Discorsi. 43; PL 52, 320 e 322

Tre sono le cose, tre, o fratelli, per cui sta salda la fede, perdura la devozione, resta la virtù: la preghiera, il digiuno, la misericordia. Ciò per cui la preghiera bussa, lo ottiene il digiuno, lo riceve la misericordia. Queste tre cose, preghiera, digiuno, misericordia, sono una cosa sola e ricevono vita l'una dall'altra.

Il digiuno è l'anima della preghiera e la misericordia la vita del digiuno. Nessuno le divida, perché non riescono a stare separate. Colui che ne ha solamente una o non le ha tutte e tre insieme, non ha niente. Perciò chi prega, digiuni. Chi digiuna abbia misericordia. Chi nel domandare desidera di essere esaudito, esaudisca chi gli rivolge domanda. Chi vuol trovare aperto verso di sé il cuore di Dio non chiuda il suo a chi lo supplica.

Chi digiuna comprenda bene cosa significhi per gli altri non aver da mangiare. Ascolti chi ha fame, se vuole che Dio gradisca il suo digiuno. Abbia compassione, chi spera compassione. Chi domanda pietà, la eserciti. Chi vuole che gli sia concesso un dono, apra la sua mano agli altri. È un cattivo richiedente colui che nega agli altri quello che domanda per sé.

O uomo, sii tu stesso per te la regola della misericordia. Il modo con cui vuoi che si usi misericordia a te, usalo tu con gli altri. La larghezza di misericordia che vuoi per te, abbila per gli altri. Offri agli altri quella stessa pronta misericordia, che desideri per te.

Perciò preghiera, digiuno, misericordia siano per noi un'unica forza mediatrice presso Dio, siano per noi un'unica difesa, un'unica preghiera sotto tre aspetti.

Quanto col disprezzo abbiamo perduto, conquistiamolo con il digiuno. Immoliamo le nostre anime col digiuno perché non c'è nulla di più gradito che possiamo offrire a Dio, come dimostra il profeta quando dice: «Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, tu, o Dio, non disprezzi» (Sal 50, 19).

O uomo, offri a Dio la tua anima ed offri l'oblazione del digiuno, perché sia pura l'ostia, santo il sacrificio, vivente la vittima, che a te rimanga e a Dio sia data. Chi non dà questo a Dio non sarà scusato, perché non può non avere se stesso da offrire. Ma perché tutto ciò sia accetto, sia accompagnato dalla misericordia. Il digiuno non germoglia se non è innaffiato dalla misericordia. Il digiuno inaridisce, se inaridisce la misericordia. Ciò che è la pioggia per la terra, è la misericordia per il digiuno. Quantunque ingentilisca il cuore, purifichi la carne, sràdichi i vizi, semini le virtù, il digiunatore non coglie frutti se non farà scorrere fiumi di misericordia.

O tu che digiuni, sappi che il tuo campo resterà digiuno se resterà digiuna la misericordia. Quello invece che tu avrai donato nella misericordia, ritornerà abbondantemente nel tuo granaio. Pertanto, o uomo, perché tu non abbia a perdere col voler tenere per te, elargisci agli altri e allora raccoglierai. Da' a te stesso, dando al povero, perché ciò che avrai lasciato in eredità ad un altro, tu non lo avrai.

preghieradigiunomisericordiaquaresima

inviato da Qumran2, inserito il 11/02/2022

TESTO

2. Zaccheo sul sicomoro

Giuseppe Impastato S.I.

Ora tocca a lui, a Gesù.
Sento una indicibile nostalgia.
Stamattina mi ha preso un colpo
quando un amico mi disse:
"Sai, c'è Gesù, il Maestro, a Gerico.
E tra poco passerà da queste parti,
per andare a Gerusalemme".
Mi ha preso un colpo, e non so come,
mi è venuta una gran voglia di vederti!
Ma che? sto parlando come se fosse qui!

Mi sono messo a correre. Una spinta,
non so come sia successo.
Ti volevo vedere. E, come dicevo,
mi son messo a correre,
come quando ero bambino.
Che figuraccia, correre come i ragazzini!
Avresti dovuto vedere le facce
di clienti e conoscenti.
Ma io ho continuato, perché non m'interessa
quello che può dire la gente.

Ce l'ho fatta ad arrampicarmi.
Ho sete di te, e mi brucia questa sete
di vederti. Mi basterà vederti?
Non so.
Ho paura di ciò che potrà capitarmi.
Me ne starò qui, abbastanza nascosto,
per vederlo senza farmi vedere.
Ora tocca a te, Gesù.

Il cuore mi dice che oggi
sarà un giorno indimenticabile.
Perché sono stanco,
stanco di maneggiare denaro,
di rendere la gente più arrabbiata,
di vedermi l'odio di tutti in faccia.

Mi son fatto una posizione, sì.
Tutti mi rispettano, mi temono.
Ma io non ce la faccio più a rubare,
a esigere, a fare i conti, a controllare,
ad arricchirmi. Sono diventato anche io
spietato, come i romani. Gentaglia!

Certe volte mi sono vergognato
vedendo piangere i miei fratelli ebrei.
Già, fratelli. Sono stato un carnefice.
Ho fatto disperare. Io, sì, disperare.
Quanti mi hanno implorato,
quanti mi hanno maledetto.
Qualche volta avrei voluto restituire i soldi,
fare la spesa per le famiglie sfortunate.
Ma c'era sempre qualche sodato romano
accanto, a controllarmi.
Ma ora non ce la faccio più.

Eccolo!!! Arriva. E' proprio lui.
Che occhi attenti, che occhi buoni.
Non guarda come guardo io.
Guarda dentro, guarda con amore.
Ora capisco come la gente gli vada dietro.
Mi avevano detto che la gente ascolta,
lo segue, cambia vita. E' proprio vero.
Che faccio ora? Scendo dall'albero?
Mi piacerebbe invitarlo a casa mia.

"Zaccheo, scendi. Subito".
Dice a me? Conosce il mio nome!
Come se sappia tutto di me!
“Scendi subito! Oggi devo fermarmi da te”
Ma certo! Era quello che sognavo.
Ho fatto bene a venire qui.
"Gesù, sono onorato di averti a casa mia".

Ora sono contento. Finalmente.
Contento come quand'ero bambino.
Ora posso cambiare. Potrò guardare tutti negli occhi.
Mi guardano tutti, sorpresi.
"Subito! Devo... fermarmi... A casa tua!"
E' un sogno!
Zaccheo, corri.

incontrare Gesùzaccheoattesamisericordia

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 29/12/2018

TESTO

3. Buon Natale a voi   2

Buon Natale a voi che avete ancora paura di Dio e lo te­mete come un giudice inappellabile. Egli invece viene co­me un bambino. Un bambino non giudica e non condanna; un bambino non può far paura, fa leva sull'amore, vive per­ché è amato; lo puoi rifiutare ma lui non ti rifiuterà mai.

Buon Natale a voi che avete abbandonato Dio e dite di aver perso la fede in lui. Anche se tu lo perdi, lui, Dio, non ti perde. Lui, Dio, non ha perso la fiducia in te, non è fini­ta la sua speranza. Per questo nasce uomo, perché ha fede in ogni uomo e in tutta la nostra storia di santi e peccatori.

Buon Natale a tutti quelli che vivono in situazioni irre­golari, dopo le ferite di amori finiti o lacerati. Voi siete come i pastori di Betlemme: considerati ai margini, fuori dalle regole, impuri, perché mangiavano senza lavarsi le mani, perché non andavano mai alla sinagoga, sempre die­tro ai loro greggi.

Ebbene proprio voi siete i primi a ricevere la bella noti­zia dagli angeli, perché davanti a Dio non vale la legge, ma l'uomo; contano la carne e il cuore dell'uomo, non il ruolo o le regole, non l'etichetta religiosa. L'uomo guarda le apparenze, ma Dio guarda il cuore: guarda i piccoli, l'u­miltà della sua serva, i pastori nella notte.

È la forza dirompente del Natale, che dirotta l'attenzio­ne non sul grande, sul colto, sul famoso, ma su chi è lon­tano dai riflettori, sul piccolo, su un bambino, su chi non ha nessun altro titolo che quello di essere uomo.

E questo basta. Basta essere uomo. Non occorre altro, dal giorno in cui Dio ha messo la sua gloria in un bambi­no. Buon Natale a voi che siete semplicemente umani.

E poi Buon Natale a voi che siete qui, ricchi di regali, forse poveri di verità e di amore.

A noi Buon Natale, ricchi di agitazione e poveri di rac­coglimento e di silenzio. Questo bambino ci insegna che sono così poche le cose che contano davvero. Sono così poche!

Buon Natale a voi che vi sentite affaticati dai lati oscuri della vita, incapaci di capire il senso di tanta fatica, di tan­ta sofferenza.

Buon Natale a voi che avete sofferto troppo. Questo bambino può darvi un po' di luce, perché viene come la luce vera che illumina ogni uomo. Ogni uomo! E nessuno è perduto, nessuno è fuori dal raggio di questa luce.

Buon Natale anche a voi che avete perso il gusto di vi­vere perché niente più vi soddisfa, neanche il benessere o il prestigio sociale. Questo bambino può restituire il sapo­re alla vita, egli porta ciò che vi manca: la bellezza, il gu­sto di sentirsi amati e di poter amare.

Buon Natale perché Dio è con voi, non siete soli, non lo sarete mai!

nataleaccoglienzamisericordia

4.7/5 (3 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 28/12/2016

RACCONTO

4. Tre figli e una gemma preziosa

Beato don Luigi Monza

Un filosofo moderno, buon pensatore, scriveva un giorno ad un suo amico così: vorrei scrivere la tua vita in un bel volume, questo volume però lo vorrei raccogliere in una sola pagina, questa pagina in una sola riga e questa riga in una sola parola.
L'amico gli riscontrava: lo puoi. Scrivi così di me: Tu sei niente. Forse aveva ragione.
Se il medesimo filosofo dicesse a noi: io vorrei scrivere la vita del cristianesimo in un bel volume, questo volume in una pagina, questa pagina in una riga, questa riga in una sola parola, noi gli risponderemmo dicendo: scrivi "Amore".
Ci sono diverse specie di amore del prossimo, per diversi motivi.
I genitori amano i propri figlioli come i figlioli amano i propri genitori. E' un amore lodevole ma non è carità. Quello tra i genitori e i figli è un amore puramente naturale....
Si ama una persona perché ci fa dei favori, perché ci aiuta nelle più gravi necessità. E' lodevole questo amore, ma non è carità; questa sarà riconoscenza che facevano anche i pagani; si può amare una persona per la sua genialità, per il suo modo graziato di dire, perché ci riesce simpatica. E' pur anche questo un amore lodevole, ma non si può chiamare carità. Sarà invece amicizia, sarà simpatia e nulla più.
La vera carità è che si debba amare il prossimo nostro per un motivo soprannaturale cioè per amore di Dio. E perché?
Perché il nostro prossimo è l'immagine di Dio. Ora se noi amiamo la persona cara, amiamo anche la sua immagine. Quindi non bisogna distinguere né chi è in alto né chi sta in basso nella società; né se è ricco o povero; né se è dotto o ignorante... Il Vangelo dice di perdonare ai nostri nemici e Iddio ce ne dà l'esempio perché fa sorgere il sole sia sul campo del buono come sul campo del cattivo, come fa piovere sia sul campo del buono come sul campo del cattivo.
Il Vangelo però continua e dice: perdonate e sarete perdonati.
Il cristiano pertanto deve conformarsi a questa legge. Ora, il cristianesimo è nato e cresce nella grandiosa legge del perdono. E per comprendere maggiormente la nobiltà della legge cristiana sul perdono, racconto una parabola.

Un uomo aveva tre figli coi quali divise la sua eredità. Avanzò per sé una gemma preziosa da destinarsi a quello dei tre figli che avrà compiuta la più grande e più magnanima azione entro un anno. Andarono i fratelli e ritornarono dopo un anno.

E il primogenito si presenta a suo padre e gli dice: «Io ho incontrato un forestiero che mi ha affidato tutti i suoi averi. Al suo ritorno io gli consegnai ogni cosa e nessuna garanzia egli aveva fuorché la mia parola». E il padre: «Hai fatto bene, ma la tua opera è giustizia e non generosa azione».

Il secondo invece dice: «Padre, io un giorno ritornavo a casa lungo un fiume rigonfio di acqua e, vedendo un bimbo caduto nell'acqua che stava per annegare, mi buttai nel fiume e lo trassi in salvo». «Tu sei degno di lode - rispose - ma la tua azione si deve chiamare umanità e non è la più perfetta».

Il terzogenito si fece innanzi e disse: «Padre, io trovai lungo la strada il mio mortal nemico addormentato sull'orlo di un precipizio; solo che un poco si fosse mosso nel sonno, sarebbe precipitato e avrebbe trovata la sua morte. Io mi accostai a lui, cautamente, lo svegliai perché badasse a salvare la sua vita».

«Figliol mio - disse il padre, abbracciandolo - tu hai veramente compiuta la più bella azione, il diamante tocca a te».

O cristiano, qui sta l'essenza del cristianesimo, amare i nemici; qui è legge divina, la perfezione, la santità, il premio del paradiso.

perdonomisericordiaamoregratuitàcarità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Simona Fontanesi, inserito il 28/12/2016

TESTO

5. Dio è più grande del nostro peccato

Papa Francesco, Udienza Generale del 30 marzo 2016

Dio è più grande del nostro peccato. Non dimentichiamo questo: Dio è più grande del nostro peccato! "Padre, io non lo so dire, ne ho fatte tante, grosse!". Dio è più grande di tutti i peccati che noi possiamo fare. Dio è più grande del nostro peccato. Lo diciamo insieme? Tutti insieme: "Dio è più grande del nostro peccato!". Un'altra volta: "Dio è più grande del nostro peccato!". Un'altra volta: "Dio è più grande del nostro peccato!". E il suo amore è un oceano in cui possiamo immergerci senza paura di essere sopraffatti: perdonare per Dio significa darci la certezza che lui non ci abbandona mai. Qualunque cosa possiamo rimproverarci, lui è ancora e sempre più grande di tutto (cfr 1 Gv 3,20), perché Dio è più grande del nostro peccato...

Dio non nasconde il peccato, ma lo distrugge e lo cancella; ma lo cancella proprio dalla radice, non come fanno in tintoria quando portiamo un abito e cancellano la macchia. No! Dio cancella il nostro peccato proprio dalla radice, tutto! Perciò il penitente ridiventa puro, ogni macchia è eliminata ed egli ora è più bianco della neve incontaminata. Tutti noi siamo peccatori. È vero questo? Se qualcuno di voi non si sente peccatore che alzi la mano... Nessuno! Tutti lo siamo.

Noi peccatori, con il perdono, diventiamo creature nuove, ricolmate dallo spirito e piene di gioia. Ora una nuova realtà comincia per noi: un nuovo cuore, un nuovo spirito, una nuova vita. Noi, peccatori perdonati, che abbiamo accolto la grazia divina, possiamo persino insegnare agli altri a non peccare più. "Ma Padre, io sono debole, io cado, cado". "Ma se cadi, alzati! Alzati!". Quando un bambino cade, cosa fa? Solleva la mano alla mamma, al papà perché lo faccia alzare. Facciamo lo stesso! Se tu cadi per debolezza nel peccato, alza la tua mano: il Signore la prende e ti aiuterà ad alzarti. Questa è la dignità del perdono di Dio! La dignità che ci dà il perdono di Dio è quella di alzarci, metterci sempre in piedi, perché Lui ha creato l'uomo e la donna perché stiano in piedi.

perdonopeccatopeccatoripentimentofiducia in Diofiduciamisericordia di Diomisericordia

inviato da Qumran2, inserito il 26/08/2016

RACCONTO

6. Vengo da Samaria

Oliviero Ferro

Nessuno conosce il mio nome. Quel tale che mi ha fatto entrare nel suo racconto ha detto che sono un samaritano. Mi sta bene così, perché quello che ho fatto è una cosa normale per me. Non ho bisogno di pubblicità. Ma, se volete, ve la racconto, a modo mio.

Era un giorno d'estate e faceva molto caldo. Avevo preparato delle cose da andare a vendere a Gerico. Ormai quella strada la conoscevo bene. L'avevo percorsa tante volte. Dopo la sosta in un alberghetto a Gerusalemme, stavo per ripartire, quando un amico mi ha detto di stare attento, perché in questo periodo la strada era pericolosa. Invocai l'aiuto del Signore e cominciai la discesa verso Gerico. Andavo piano, accompagnando il mio asino che faceva fatica. Era sovraccarico. Dovevo fare attenzione che non finisse in un burrone. Quando, ad una curva della strada, sento qualcuno che si lamenta. Affretto il passo e vedo a terra un pover'uomo, pieno di sangue, più morto che vivo. Faccio fermare l'asino contro una roccia e prendo qualcosa per curarlo. Mi faceva compassione. Lui riesce a dirmi qualche parola. Certo, era stato assalito dai banditi che gli avevano portato via tutto e lo avevano picchiato per bene. Mentre lo medicavo, riesce a dirmi che era passato qualcuno prima di me. Mi pare gente che lavorava al tempio (un sacerdote e un levita), ma non si erano fermati. Si vede che avevano fretta. Ma a me interessava lui. Non lo conoscevo, ma lo sentivo come uno della mia famiglia. L'ho pulito per bene e l'ho fasciato. Poi l'ho messo sull'asino e piano piano siamo arrivati a Gerico. Alla prima locanda, lo affido al proprietario, gli do dei soldi e gli dico di accoglierlo come se accogliesse me. E al ritorno, concludo, aggiungerò il resto. Me ne vado a vendere tutte le merci e chissà perché, faccio dei buoni affari. Finalmente, dopo essermi riposato, ritorno alla locanda e trovo l'amico, sano, in piedi. La storia non lo dice, ma ve lo dico io. Ci abbracciamo felici. Lui riprende la sua strada, io la mia. Forse non ci incontreremo più, ma io so che ho incontrato Dio e quell'uomo è diventato mio fratello. Non mi è costato molto fare questo. Mi hanno insegnato a tenere gli occhi aperti e anche il cuore. Così è stato tutto più facile.

buon samaritanomisericordiaopere di misericordiacaritàcompassioneempatia

inviato da P. Oliviero Ferro, inserito il 25/08/2016

TESTO

7. I verbi della misericordia   2

Ermes Ronchi, Il Messaggero di Sant'Antonio, Gennaio 2016

Le porte sante della terra, le porte del Signore, quali sono? Non ha nessun senso passare per la Porta Santa della cattedrale e non passare per la porta santa di un povero, di un malato, non far varcare la porta di casa tua a uno che ha fame, la porta del cuore a uno che è solo. Non ha senso chiedere misericordia a Dio, e non offrirla al tuo vicino.
Se il Giubileo non tocca la vita, non è giubileo. Il Giubileo sarà santo se scriveremo la nostra pagina, la nostra riga, il nostro frammento di un racconto amoroso, con le nostre mani.
La misericordia è un'arte che s'impara, imparando tre verbi: "vedere", "fermarsi", "toccare", i primi gesti del Buon Samaritano.

Vedere. "Lo vide e ne ebbe compassione". Il samaritano vede e si lascia ferire dalle ferite di quell'uomo.
La misericordia inizia con lo sguardo non giudicante del vangelo: "Il primo sguardo di Gesù nei vangeli non si posa mai sul peccato delle persone, ma sempre sul loro bisogno" (Johann Baptist Metz).
Molte volte i vangeli riferiscono che Gesù "mentre camminava vide" (Mt 4,18); camminava e abitava la vita, ben presente a tutto ciò che accadeva nel suo spazio vitale; sapeva guardare negli occhi: "Donna, perché piangi?" (Gv 20,13) e scoprire nel riflesso di una lacrima urgere una promessa, un desiderio.
Davanti alle ferite della vita qualcosa di noi vorrebbe chiudere gli occhi, girare la testa. Come fanno i falsi discepoli: quando mai, Signore, ti abbiamo visto affamato, assetato, nudo...? Non hanno avuto occhi per vedere le ferite della carne di Cristo.

Fermarsi. Per vedere bene, che sia un volto, un paesaggio, un'opera d'arte o un povero, non puoi accelerare il passo, ti devi fermare. E non "passare oltre" come il sacerdote e il levita della parabola. Oltre non c'è niente, tantomeno Dio.
Quando ti fermi con qualcuno hai messo nel telaio in cui si tesse il tessuto buono della terra i tuoi doni impagabili, le risorse più preziose che hai: tempo e cuore. Hai fatto una dichiarazione d'amore senza parole.
Per vedere un prato bisogna inginocchiarsi e guardarlo da vicino (Ermanno Olmi).
C'è un solo modo per conoscere un uomo, Dio, un paese, una ferita: fermarsi, inginocchiarsi, e guardare da vicino. Guardare gli altri a millimetri di viso, di occhi, di voce. Guardare come bambini e ascoltare come innamorati, in silenzio.

Toccare. Ogni volta che Gesù si commuove, si ferma e tocca. Tocca l'intoccabile: il lebbroso, il cieco, la bara del ragazzo di Nain.
Toccare è parola dura, che ci mette alla prova, perché non è spontaneo toccare, non dico il contagioso o l'infettivo, ma anche il mendicante.
Fai la tua elemosina, e lasci cadere la tua monetina dall'alto, guardandoti bene dal toccare la mano che chiede, mantenendo la distanza di sicurezza, senza rivolgere un saluto, una parola. E il povero rimane un problema anziché diventare una fessura d'infinito.
Il tatto è un modo di amare, il modo più intimo; è il bacio e la carezza. E apre stagioni nuove.

Vedere, fermarsi, toccare: piccoli gesti. Ma la notte comincia con la prima stella, il mondo nuovo con il primo samaritano buono.

misericordiaporta santagiubileovederefermarsitoccarebuon samaritano

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 25/08/2016

TESTO

8. Sognare   1

Gianni Fanzolato, Da Loreto nell'anno della misericordia 2015-2016

Chiudo gli occhi e mi butto fra le braccia della fantasia: e sogno.
Sognare è l'unico tesoro che nessuno ti può rubare e non costa niente.
Il sogno è il volo dell'anima, è passare il limite, è sfiorare la mente di Dio;
ti prende, ti circonda, ti sprona, ti affascina, ti strega e ti proietta all'infinito.

Che meraviglioso sognare un mondo dove tutti si abbracciano, mano nella mano,
e l'amore di ognuno fa crollare i muri, rompe barriere, spezza le guerre e semina pace.
Ma il sogno si fa duro, perché devo entrare nel cuore di tutti per dare la buona notizia
di quel sognatore che ci ha detto: "amatevi gli uni e gli altri come io ho amato voi".

E' bello sognare che ci sono più abbracci che bombe, più mani tese che armi puntate,
più gente che accoglie che bambini smarriti e annegati nei mari di un mondo diviso.
Cosa costa chiudere gli occhi e vedere che tutti i bambini della terra, di ogni colore
stanno facendo un grande girotondo, un arcobaleno di luce, perché amati da Dio.

Chi mi può rubare il fascino del sogno di Dio di fare del mondo una unica famiglia
dove non si guarda il colore, non c'è passaporto, ma basta la dignità di figli di Dio.
Mi possono togliere la libertà, impedire di parlare, ma non la sfida di volare in alto.
Dio mi sussurra la gioia di essere missionario della sua misericordia e mi accarezza.

Gesù, il grande sognatore che ha cambiato il sogno in un nuovo stile di vita,
si è identificato col migrante, col prigioniero, con l'ammalato, con chi ha fame.
"Ma, Signore, quel che tu dici è sogno, è utopia, la vita è dura, ad ognuno la sua pena."
"Se hai amore, mi vedrai presente nel povero, migrante e il sogno si farà benedizione."

Solo adesso, Signore, ho capito che devo aprire gli occhi, perché il sogno è reale;
ho sognato perché ho volato vicino a Te che mi hai trasmesso la forza di osare.
Sono una goccia d'amore nell'oceano del mondo, sogno e son desto, immerso nell'utopia
di Te che ci vuoi abbraccio, perdono, ponte e famiglia in un mondo possibile.

misericordiagiustiziaaccoglienzamigranti

inviato da P. Gianni Fanzolato, inserito il 25/08/2016

PREGHIERA

9. Cristo, volto misericordioso del Padre

padre Antonio Rungi

Convertici a Te, Gesù,
che sei venuto a chiamare i peccatori
e non i giusti che non hanno bisogno di redenzione.

Convertici a Te, in questo anno giubilare,
indetto da Papa Francesco, per aiutare
il cammino di credenti verso la penitenza,
la conversione e il rinnovamento spirituale e morale.

Riconosciamo, Signore, le nostre colpe di oggi
e tutte quelle della vita passata,
vissuta, molte volte, nell'ipocrisia e nella falsità.

Noi abbiamo bisogno del tuo perdono
e della tua misericordia
per sentire quanto è grande il tuo amore per noi,
e quanto tieni poco conto dei nostri errori,
e delle nostre deviazioni,
dalla tua santa legge, o Signore.

Non abbandonarci, Signore, nella tentazione
di poter fare a meno di Te,
illudendo noi stessi che è possibile
essere felici e vivere senza il tuo sorriso
e dell'abbraccio della tua paternità infinita.

Con il tuo aiuto, vogliamo sinceramente
riprendere il cammino che ci porta a Te,
mediante la Penitenza e l'Eucaristia,
sacramenti della nostra continua rinascita spirituale
nel segno della coscienza di quanto poco valiamo
se non siamo ancorati a Te che sei la Via, la Verità e la Vita.

Non sia, Gesù, il nostro pentimento
solo e soltanto esteriore o apparente,
ma tocchi le profondità del nostro essere
e le corde di quell'armonia d'amore
che solo tuo puoi ridonarci, Signore.

Convertici a Te, con la tua Parola,
che è luce ai nostri passi,
è forza nel nostro cammino
è consolazione nel nostro patire.

Convertici a Te Signore e abbatti in noi
l'orgoglio e la presunzione di essere giusti
come il fariseo al tempio,
mentre dovremmo batterci sinceramente il petto,
come il pubblicano che non ha avuto
neppure la forza di alzare gli occhi
e lasciarsi illuminare dal tuo volto,
indegno quale era di avanzare nel tempio,
quale segno di riavvicinamento a Te.

Signore, converti il nostro cuore,
la nostra vita,
la nostra storia.

Purifica tutto e lava le nostre colpe
nel tuo sangue prezioso versato sulla croce per noi.
Gesù abbi pietà di noi e non abbandonarci più
nelle nostre illusioni, delusioni e tentazioni,
non abbandonarci nel peccato,
ma donaci il tuo abbraccio di Padre
dal volto tenero e misericordioso.
Amen.

misericordiagiubileo

5.0/5 (2 voti)

inviato da Antonio Rungi, inserito il 13/04/2015

TESTO

10. Povero fratello Giuda   3

Primo Mazzolari, Bozzolo, Giovedì Santo 1958

Povero Giuda. Che cosa gli sia passato nell'anima io non lo so. È uno dei personaggi più misteriosi che noi troviamo nella Passione del Signore.

Non cercherò neanche di spiegarvelo, mi accontento di domandarvi un po' di pietà per il nostro povero fratello Giuda. Non vergognatevi di assumere questa fratellanza. Io non me ne vergogno, perché so quante volte ho tradito il Signore; e credo che nessuno di voi debba vergognarsi di lui. E chiamandolo fratello, noi siamo nel linguaggio del Signore. Quando ha ricevuto il bacio del tradimento, nel Getsemani, il Signore gli ha risposto con quelle parole che non dobbiamo dimenticare: "Amico, con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo!" Amico! Questa parola che vi dice l'infinita tenerezza della carità del Signore, vi fa anche capire perché io l'ho chiamato in questo momento fratello. Aveva detto nel Cenacolo non vi chiamerò servi ma amici. Gli Apostoli son diventati gli amici del Signore: buoni o no, generosi o no, fedeli o no, rimangono sempre gli amici. Noi possiamo tradire l'amicizia del Cristo, Cristo non tradisce mai noi, i suoi amici; anche quando non lo meritiamo, anche quando ci rivoltiamo contro di Lui, anche quando lo neghiamo, davanti ai suoi occhi e al suo cuore, noi siamo sempre gli amici del Signore...

Povero Giuda. Povero fratello nostro. Il più grande dei peccati, non è quello di vendere il Cristo; è quello di disperare. Anche Pietro aveva negato il Maestro; e poi lo ha guardato e si è messo a piangere e il Signore lo ha ricollocato al suo posto: il suo vicario. Tutti gli Apostoli hanno abbandonato il Signore e son tornati, e il Cristo ha perdonato loro e li ha ripresi con la stessa fiducia. Credete voi che non ci sarebbe stato posto anche per Giuda se avesse voluto, se si fosse portato ai piedi del calvario, se lo avesse guardato almeno a un angolo o a una svolta della strada della Via Crucis: la salvezza sarebbe arrivata anche per lui. Povero Giuda. Una croce e un albero di un impiccato. Dei chiodi e una corda...

Io voglio bene anche a Giuda, è mio fratello Giuda. Pregherò per lui anche questa sera, perché io non giudico, io non condanno; dovrei giudicare me, dovrei condannare me. Io non posso non pensare che anche per Giuda la misericordia di Dio, questo abbraccio di carità, quella parola amico, che gli ha detto il Signore mentre lui lo baciava per tradirlo, io non posso pensare che questa parola non abbia fatto strada nel suo povero cuore. E forse l'ultimo momento, ricordando quella parola e l'accettazione del bacio, anche Giuda avrà sentito che il Signore gli voleva ancora bene e lo riceveva tra i suoi di là. Forse il primo apostolo che è entrato insieme ai due ladroni...

speranzaperdonoconversionepeccatomisericordiarapporto con Diotradimentodisperazionegiovedì santo

4.6/5 (5 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 21/06/2014

TESTO

11. Ho imparato   8

Ho imparato che nessuno è perfetto... finché non ti innamori.
Ho imparato che la vita è dura... ma io di più!
Ho imparato che le opportunità non vanno mai perse... quelle che lasci andare tu, le prende qualcun altro.
Ho imparato che quando serbi rancore e amarezza... la felicità va da un'altra parte.
Ho imparato che bisognerebbe usare sempre parole buone... perché domani forse si dovranno rimangiare.
Ho imparato che un sorriso è un modo economico per migliorare il tuo aspetto.
Ho imparato che non posso scegliere come mi sento... ma posso sempre farci qualcosa.
Ho imparato che quando tuo figlio appena nato tiene il tuo dito nel suo piccolo pugno... ti ha agganciato per la vita.
Ho imparato che bisogna godersi il viaggio e non pensare solo alla meta.
Ho imparato che è meglio dare consigli solo in due circostanze: quando sono richiesti e quando è in gioco la vita.
Ho imparato che meno tempo spreco e più cose faccio.
Ho imparato a godermi le cose!
Ho imparato ad accettare le sconfitte, le delusioni.
Ho imparato che non importa quanto sia buona una persona, ogni tanto ti ferirà. Per questo bisogna che tu la perdoni.
Ho imparato che ci vogliono anni per costruire la fiducia, e pochi secondi per distruggerla.
Ho imparato che non dobbiamo cambiare amici se comprendiamo che gli amici cambiano.
Ho imparato che le circostanze e l'ambiente hanno influenza su di noi, ma noi siamo sempre responsabili di noi stessi.
Ho imparato che la pazienza richiede molta pratica.
Ho imparato che ci sono persone che ci amano, ma semplicemente non sanno come dimostrarcelo.
Ho imparato che a volte, la persona che tu pensi ti sferrerà il colpo mortale quando cadrai, è invece una di quelle poche che ti aiuteranno ad alzarti.
Ho imparato che solo perché qualcuno non ti ama come vorresti, non significa che non ti ami con tutto se stesso.
Ho imparato che non si deve mai dire ad un bambino che i sogni sono sciocchezze, sarebbe una tragedia se lo credesse.
Ho imparato che non sempre è sufficiente essere perdonato da qualcuno, nella maggior parte dei casi sei tu a dover perdonare te stesso.
Ho imparato che non importa in quanti pezzi il tuo cuore si sia spezzato, il mondo non si ferma aspettando che lo ripari.
...E dopo tutto ciò, avrò imparato a vivere?

viveresaggezzavitasenso della vitagratuitàmisericordiacomprensioneforza interiore

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inviato da Qumran2, inserito il 23/09/2012

RACCONTO

12. L'albergatore di Betlemme   3

don Davide Caldirola

Mi avete messo dalla parte di cattivi. Da secoli spio la mia statuina nei vostri presepi. La vedo sulla porta dell'osteria, la faccia truce, lo sguardo severo, il dito alzato in segno di rifiuto; oppure dietro le porte dell'albergo, china sui profitti della giornata, incurante della coppia di galilei che bussa per domandare un giaciglio. Forse non avete l'idea di cosa significhi gestire una locanda in un borgo come Betlemme. Pochi guadagni, lavoro di bassa lega, rogne a grappoli. Clientela non selezionata, e ladri e farabutti pronti a portarti via i magri ricavi appena giri le spalle. È vero: in quel periodo gli affari andavano bene. Merito della follia di Cesare Augusto, e del suo ordine assurdo di bandire un censimento. Ma più degli introiti, ad essere sinceri, crescevano le preoccupazioni. La mia locanda era invasa da persone di ogni tipo: viaggiatori sconosciuti, gente comune che veniva a farsi registrare, facce da galera pronte a tagliare la gola per due denari, vagabondi di passaggio, avventori con pochi soldi e tante richieste. E quella notte io, l'albergatore di Betlemme, semplicemente non ce la facevo più. Tutti a pretendere un posto, a gridare ordini, a tirarmi per i capelli, a lamentarsi per la minestra insipida o il vino annacquato; tutti pronti a darmi addosso perché il servizio era lento, il letto sporco, il cibo cattivo. Gli uomini bestemmiavano, i bambini gridavano, le donne si accapigliavano. Altro che notte di stelle e di amore, come cantate nelle vostre canzoni. Era una bolgia, un inferno. C'erano persone sdraiate sul tavolo della cucina, bestie ed esseri umani buttati l'uno sull'altro, animali e ragazzi coricati insieme. Non mi restava nemmeno il mio letto, ceduto per quattro spiccioli all'ultimo avventore, e dormivo in piedi, come un somaro.

E allora ho detto no. Non per cattiveria, non perché Maria e Giuseppe (si chiamano così, vero?) erano dei poveracci che non potevano pagare. Semplicemente perché non ce la facevo più. Cosa ne sapete voi, che mi avete messo tra i cattivi? Magari - oltre a tutto questo - avevo anch'io una vecchia madre malata, o una moglie bisbetica con cui bisticciare, o un figlio scappato di casa, o un dolore sordo nel cuore, una ferita nelle viscere, un rimorso, un fallimento, un rimpianto. Da secoli vedo che fate come me, del resto. Come me chiudete le porte a Dio, incatenati dai vostri dispiaceri, schiantati dalla stanchezza della vita, torchiati da pesi che non riuscite a portare, da paure che vi tolgono la speranza e il respiro. E Dio arriva, e bussa alla soglia. Ma non ce la fate più, e la vostra casa rimane chiusa.

Eppure - i vostri vangeli non lo raccontano - eppure non è finita così. Quella notte, quella stessa notte, mi sono destato di soprassalto. Un rumore, un tuono, un canto: non chiedetemi cos'è stato. Ho aperto gli occhi di colpo, e ho rivisto come in un sogno Maria e Giuseppe che camminavano verso la stalla che avevo loro indicato. Ho raccolto un paio di coperte, un po' di formaggio, del pane avanzato. Mi sono messo il fagotto sulle spalle e sono uscito dall'albergo di nascosto, come un ladro. La capanna era poco distante, avvolta da una luce strana; qualcuno si allontanava nel buio, verso le colline dei pascoli. Sono entrato quasi di soppiatto e mi sono fermato in un angolo, nascosto dietro una trave di legno. Ho lasciato le quattro cose che mi ero portato appresso, e sono caduto in ginocchio. Non so quanto tempo sono rimasto, incantato, a fissare il Bambino. Quel tanto che basta per capire che io gli avevo detto di no, ma lui mi diceva di sì. Che per lui non c'era posto nel mio albergo, ma per me c'era posto nella sua vita, nel suo cuore, tutte le volte che avrei voluto.

E vorrei dirvi che poco m'importa se nei vostri presepi e nelle vostre recite sarò sempre l'oste cattivo: perché lui non mi vede così, perché - ne sono sicuro - mi aspetta di nuovo, come quella notte, ogni notte, ogni giorno, in ogni istante. Siete, siamo ancora in tempo. Non importa se gli abbiamo detto no. Non importa se l'affanno, la stanchezza, la tristezza della vita ci ha fatto, un giorno, chiudere le porte a Dio. C'è tempo. La sua casa rimane aperta, non ci manderà indietro. E forse cadremo, finalmente, in ginocchio davanti a lui, nel pentimento e nel perdono, in un sorriso di tenerezza o nella consolazione del pianto.
Buon Natale!

nataleaccoglienzamisericordiaperdono di Dio

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inviato da Qumran2, inserito il 09/04/2012

TESTO

13. Testamento spirituale di frère Christian   1

Padre Christian de Chergé, Testamento spirituale

Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese.

Che essi accettassero che l'unico Padrone di ogni vita non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale. Che pregassero per me: come potrei essere trovato degno di una tale offerta? Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell'indifferenza dell'anonimato.

La mia vita non ha più valore di un'altra. Non ne ha neanche meno. In ogni caso non ha l'innocenza dell'infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimé, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca.

Venuto il momento, vorrei avere quell'attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nel tempo stesso di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito.

Non potrei auspicare una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo. Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi del fatto che questo popolo che amo sia indistintamente accusato del mio assassinio.

Sarebbe un prezzo troppo caro, per quella che, forse, chiameranno «grazia del martirio», il doverla a un algerino, chiunque egli sia, soprattutto se dice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l'Islam.

So il disprezzo con il quale si è arrivati a circondare gli algerini globalmente presi. So anche le caricature dell'Islam che un certo islamismo incoraggia. E' troppo facile mettersi a posto la coscienza identificando questa via religiosa con gli integralismi dei suoi estremisti.

L'Algeria e l'Islam, per me, sono un'altra cosa: sono un corpo e un'anima. L'ho proclamato abbastanza, credo, in base a quanto ne ho concretamente ricevuto, ritrovandovi così spesso il filo conduttore del vangelo imparato sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima chiesa, proprio in Algeria e, già allora, nel rispetto dei credenti musulmani.

Evidentemente, la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo o da idealista: «Dica adesso quel che ne pensa!». Ma costoro devono sapere che sarà finalmente liberata la mia più lancinante curiosità.

Ecco che potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell'Islam come lui li vede, completamente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre lo stabilire la comunione e il ristabilire la somiglianza, giocando con le differenze.

Di questa vita perduta, totalmente mia, e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per quella gioia, attraverso e nonostante tutto.

In questo grazie in cui tutto è detto, ormai, della mia vita, includo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, accanto a mia madre e a mio padre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e ai loro, centuplo accordato come promesso!
E anche te, amico dell'ultimo minuto, che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e questo ad-Dio profilatosi con te. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen!
Insc'Allah.

Algeri, 1º dicembre 1993
Tibhirine, 1º gennaio 1994

Testamento spirituale di Padre Christian de Chergé del Monastero di Tibhirine.

Nella notte tra il 26 e il 27 marzo del 1996, sette dei nove monaci che formavano la comunità del monastero di Tibhirine, fondato nel 1938 vicino alla città di Médéa 90 km a sud di Algeri, furono rapiti da un gruppo di terroristi. Il 21 maggio dello stesso anno, dopo inutili trattative, il sedicente «Gruppo Islamico Armato» ha annunciato la loro uccisione. Il 30 maggio furono ritrovate le loro teste, i corpi non furono mai ritrovati.

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inserito il 07/01/2011

ESPERIENZA

14. Jacques Fesch: la drammatica storia di un giovane moderno   1

Chi è Jacques Fesch? E' un giovane moderno, che a 24 anni commette un terribile delitto, epilogo di una vita vuota e senza ideali, piena di egoismo e di capricci. Ecco una veloce cronaca del delitto. Il 24 febbraio 1954 Jacques entra al mattino nel negozio di un cambiavalute e ordina un quantitativo d'oro. L'uomo si fida perché sa che alle spalle del giovane c'è un opadre facoltoso che può pagare. Nel pomeriggio dello stesso giorno Jacquaes torna per prelevare l'oro e approfittando di un momento di disattenzione del cambiavalute lo colpisce alla testa con il calcio della pistola del padre. Il cambiavalute reagisce urlando. Jacques fugge e si nasconde in un palazzo vicino fino a che è riconosciuto da un polizziotto accorso sul posto. All'ingiunzione di fermarsi Jacques spara e uccide l'agente di polizia. Intervengono poi altri agenti che lo catturano.

Perché questo delitto assurdo? Jacques voleva aprire una propria attività e chiede un grosso prestito al padre che glielo rifiuta. Sa che il figlio ha le mani bucate! Allora Jacques decide di compiere una rapina: di procurarsi i soldi con l'inganno.

Che cosa accade in carcere? Viene raggiunto dal cappellano ma egli lo rifiuta dicendo: "Io non ho la fede e non ho bisogno di lei!". Passano i giorni, chiuso tra quattro pareti, solo con la sua disperazione. Ma una notte: "Era una sera, nella mia cella... Nonostante tutte le catastrofi che da alcuni mesi si erano abbattute sulla mia testa, io restavo ateo. Ora quella sera, ero a letto con gli occhi aperti e soffrivo realmente per la prima volta nella mia vita per le conseguenze del mio delitto; ed è allora che un grido mi scaturì dal petto, un appello di soccorso: "Mio Dio, Mio Dio aiutami!". E instantaneamente, come un vento violento, che passa senza che si sappia dove viene, lo Spirito del Signore mi prese alla gola! Ho creduto e non capivo più come avessi fatto prima a non credere. La grazia mi ha visitato e una grande gioia s'è impossessata di me e soprattutto una grande pace". Quella notte Jacques udì una voce che gli diceva: "Tu ricevi le grazie della tua morte!". Una frase per lui incomprensibile, il cui senso capirà più tardi.

Inizia una nuova vita in Cristo. Il cambiamento di questo giovane è qualche cosa di straordinario: è una testimonianza di quanto Dio può operare. "Ora veramente ho la certezza di cominciare a vivere per la prima volta. Ho la pace e ho dato un senso alla mia vita, mentre prima non ero che un uomo morto!". Jacques organizza la vita in prigione come la vita in un monastero: si dà un orario per la preghiera, legge libri religiosi e la Bibbia, scrive lettere per dare conforto ai suoi famigliari, che stanno vivendo una grossa crisi, vuole soprattutto poter vivere per riparare il male fatto.

Arriva il giorno del processo: il 3 aprile 1957 si apre il processo che si conclude con la sua condanna a morte. In quel momento capisce la frase: "Tu ricevi le grazie della tua morte!". Jacques dopo un iniziale smarrimento vive la sentenza e la condanna come una vocazione ad amare fino in fondo la croce di Gesù. Egli desidera prepararsi spiritulamente alla sua morte e desidera salutare da vero cristiano tutti coloro che lo hanno amato e coloro a cui ha fatto del male. Scrive alla moglie e alla sua piccola figlia di 6 anni, si mette in contatto, tramite il suo avvocato anche con la famiglia del gendarme che lui ha ucciso per chiedere il perdono. Nonostante il grande cambiamento di vita che stupisce lo stesso presidente della Repubblica a cui era stata inoltrata la domanda di grazia, la sentenza viene confermata per il 30 settembre.

Le ultime ore: l'attesa dell'incontro con Gesù. "Ancora soltanto qualche ora di lotta, prima di conoscere Colui che è l'Amore. Oggi sarò in cielo. Cara mamma, innanzi tutto ti devo dire un grosso grazie per tutto l'amore di cui mi hai circondato in questi ultimi mesi... Tu sai che Gesù ha detto nel suo vangelo: Ero carcerato e siete venuti a visitarmi. Con queste righe io ti affido la mia bambina e mia moglie. Proteggile assiduamente. Amale in Dio e sii certa che di lassù io vi proteggerò e veglierò su di voi...". Alle 5,30 del mattino del 30 settembre le guardie carcerarie che sono veute a prenderlo per l'esecuzione capitale, lo trovano in ginocchio e in preghiera accanto al letto rifatto. Si confessa e riceve l'Eucarestia. Abbraccia il crocefisso e si avvia verso la ghigliottina... Le ultime sue parole: "Signore non abbandonarmi, io confido in te!".

confessioneconversionecambiare vitapeccatomisericordia di Dio

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 13/12/2005

PREGHIERA

15. Peccare   4

Michel Quoist, Preghiere

Sono caduto, Signore.
Ancora.
Non ne posso più, mai ce la farò.

Ho vergogna di me, non oso più guardarti.
Pure, ho lottato, Signore, perché ti sapevo vicino a me, chino su di me, attento.
Ma la tentazione si è scatenata come una tempesta,
ed ho voltato il capo,
e mi sono allontanato,
mentre tu restavi, silenzioso e dolorante,
come un fidanzato tradito che vede il suo amore allontanarsi nelle braccia del rivale.

Quand'è cessato il vento, caduto di colpo come di colpo s'era scatenato,
quando s'è spento il fulmine dopo aver fieramente illuminato la penombra,
in un momento, mi son ritrovato solo, vergognoso, disgustato, con il mio peccato nelle mani.

Quel peccato che mi nausea,
inutile oggetto che vorrei gettar via;
quel peccato che ho voluto e che non voglio più,
quel peccato che infine ho raggiunto allontanandoti freddamente, Signore,
quel peccato che ho colto, poi consumato, avido.
Ora lo posseggo, anzi mi possiede, come la tela del ragno tiene prigioniero il moscerino.

E' mio,
mi sta attaccato,
è entrato in me,
non posso disfarmene.

Mi pare che si veda,
ho vergogna di stare in piedi, vorrei strisciare per sfuggire gli sguardi,
ho vergogna di comparire davanti al mio amico,
ho vergogna di comparire davanti a te, o Signore,
perché tu mi amavi ed io ti ho dimenticato.
ti ho dimenticato perché ho pensato a me.

Signore, non guardarmi così.
Perché sono nudo,
sono sporco,
sono a terra,
lacero,
non ho più forze,
non oso più promettere nulla,
non posso che restare là, curvo, innanzi a te.

Via, piccolo, rialza il capo.
Non è soprattutto il tuo orgoglio ferito?
Se mi amassi, avresti dispiacere, ma avresti fiducia.
Credi che l'amor di Dio abbia limiti?
Credi che un solo momento Io abbia cessato di amarti?
Ma fai ancora affidamento su di te, piccolo,
non devi fare affidamento che su di me.

Chiedimi perdono
e poi rialzati vivamente,
perché, vedi, la cosa più grave non è cadere,
ma restare a terra.

peccatomisericordiaperdonoconfessionericonciliazione

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inserito il 21/04/2005

RACCONTO

16. Il segnale   4

Bruno Ferrero, La vita è tutto quello che abbiamo

Un giovane era seduto da solo nell'autobus; teneva lo sguardo fisso fuori del finestrino. Aveva poco più di vent'anni ed era di bell'aspetto, con un viso dai lineamenti delicati.

Una donna si sedette accanto a lui. Dopo avere scambiato qualche chiacchiera a proposito del tempo, caldo e primaverile, il giovane disse, inaspettatamente: «Sono stato in prigione per due anni. Sono uscito questa mattina e sto tornando a casa».

Le parole gli uscivano come un fiume in piena mentre le raccontava di come fosse cresciuto in una famiglia povera ma onesta e di come la sua attività criminale avesse procurato ai suoi cari vergogna e dolore. In quei due anni non aveva più avuto notizie di loro. Sapeva che i genitori erano troppo poveri per affrontare il viaggio fino al carcere dov'era detenuto e che si sentivano troppo ignoranti per scrivergli. Da parte sua, aveva smesso di spedire lettere perché non riceveva risposta.

Tre settimane prima di essere rimesso in libertà, aveva fatto un ultimo, disperato tentativo di mettersi in contatto con il padre e la madre. Aveva chiesto scusa per averli delusi, implorandone il perdono.

Dopo essere stato rilasciato, era salito su quell'autobus che lo avrebbe riportato nella sua città e che passava proprio davanti al giardino della casa dove era cresciuto e dove i suoi genitori continuavano ad abitare.

Nella sua lettera aveva scritto che avrebbe compreso le loro ragioni. Per rendere le cose più semplici, aveva chiesto loro di dargli un segnale che potesse essere visto dall'autobus. Se lo avevano perdonato e lo volevano accogliere di nuovo in casa, avrebbero legato un nastro bianco al vecchio melo in giardino. Se il segnale non ci fosse stato, lui sarebbe rimasto sull'autobus e avrebbe lasciato la città, uscendo per sempre dalla loro vita.

Mentre l'automezzo si avvicinava alla sua via, il giovane diventava sempre più nervoso, al punto di aver paura a guardare fuori del finestrino, perché era sicuro che non ci sarebbe stato nessun fiocco.

Dopo aver ascoltato la sua storia, la donna si limitò a chiedergli: «Cambia posto con me. Guarderò io fuori del finestrino».

L'autobus procedette ancora per qualche isolato e a un certo punto la donna vide l'albero. Toccò con gentilezza la spalla del giovane e, trattenendo le lacrime, mormorò: «Guarda! Guarda! Hanno coperto tutto l'albero di nastri bianchi».

Siamo più simili a bestie quando uccidiamo.
Siamo più simili a uomini quando giudichiamo.
Siamo più simili a Dio quando perdoniamo.

perdonomisericordia

5.0/5 (3 voti)

inviato da Brigida, inserito il 27/03/2005

RACCONTO

17. Se i peccati... fossero pietre   1

Due donne si recarono da un saggio, che aveva fama di santo, per chiedere qualche consiglio sulla vita spirituale. Una pensava di essere una grande peccatrice. Nei primi anni del suo matrimonio aveva tradito la fiducia del marito. Non riusciva a dimenticare quella colpa, anche se poi si era sempre comportata in modo irreprensibile, e continuava a torturarsi per il rimorso. La seconda invece, che era sempre vissuta nel rispetto delle leggi, si sentiva perfettamente innocente e in pace con se stessa. Il saggio si fece raccontare la vita di tutte e due.

La prima raccontò tra le lacrime la sua grossa colpa. Diceva, singhiozzando, che per lei non poteva esserci perdono, perché troppo grande era il suo peccato. La seconda disse che non aveva particolari peccati da confessare.

Il sant'uomo si rivolse alla prima: «Figliola, vai a cercare una pietra, la più pesante e grossa che riesci a sollevare e portamela qui». Poi, rivolto alla seconda: «E tu, portami tante pietre quante riesci a tenerne in grembo, ma che siano piccole».

Le due donne sì affrettarono a eseguire l'ordine del saggio. La prima tornò con una grossa pietra, la seconda con un'enorme borsa piena di piccoli sassi. Il saggio guardò le pietre e poi disse: «Ora dovete fare un'altra cosa: riportate le pietre dove le avete prese, ma badate bene di rimettere ognuna di esse nel posto esatto dove l'avete presa. Poi tornate da me».

Pazientemente, le due donne cercarono di eseguire l'ordine del saggio. La prima trovò facilmente il punto dove aveva preso la pietrona e la rimise a posto. La seconda invece girava invano, cercando di ricordarsi dove aveva raccattato le piccole pietre della sua borsa. Era chiaramente un compito impossibile e tornò mortificata dal saggio con tutte le sue pietre.

Il sant'uomo sorrise e disse: «Succede la stessa cosa con i peccati. Tu, - disse rivolto alla prima donna - hai facilmente rimesso a posto la tua pietra perché sapevi dove l'avevi presa: hai riconosciuto il tuo peccato, hai ascoltato umilmente i rimproveri della gente e della tua coscienza, e hai riparato grazie al tuo pentimento. Tu, invece, - disse alla seconda - non sai dove hai preso tutte le tue pietre, come non hai saputo accorgerti dei tuoi piccoli peccati. Magari hai condannato le grosse colpe degli altri e sei rimasta invischiata nelle tue, perché non hai saputo vederle».

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inviato da Samiland80, inserito il 08/12/2004

PREGHIERA

18. Ai suoi amici il Signore dà il pane nel sonno   1

Tonino Bello

Eccoci, Signore, davanti a te. Col fiato grosso, dopo aver tanto camminato .Ma se ci sentiamo sfiniti, non è perché abbiamo percorso un lungo tragitto, o abbiamo coperto chi sa quali interminabili rettilinei. E' perché, purtroppo, molti passi, li abbiamo consumati sulle viottole nostre, e non sulle tue: seguendo i tracciati involuti della nostra caparbietà faccendiera, e non le indicazioni della tua Parola; confidando sulla riuscita delle nostre estenuanti manovre, e non sui moduli semplici dell'abbandono fiducioso in te. Forse mai, come in questo crepuscolo dell'anno, sentiamo nostre le parole di Pietro: "Abbiamo faticato tutta la notte, e non abbiamo preso nulla".

Ad ogni modo, vogliamo ringraziarti ugualmente. Perché, facendoci contemplare la povertà del raccolto, ci aiuti a capire che senza di te non possiamo far nulla. Ci agitiamo soltanto.

Grazie, perché obbligandoci a prendere atto Dei nostri bilanci deficitari, ci fai comprendere che, se non sei tu che costruisci la casa, invano vi faticano i costruttori. E che, se tu non custodisci la città, invano veglia il custode. E che alzarsi di buon mattino, come facciamo noi, o andare tardi a riposare per assolvere ai mille impegni giornalieri, o mangiare pane di sudore, come ci succede ormai spesso, non è un investimento redditizio se ci manchi tu. Il Salmo 127, avvertendoci che, il pane, tu ai tuoi amici lo dai nel sonno, ci rivela la più incredibile legge economica, che lega il minimo sforzo al massimo rendimento. Ma bisogna esserti amici. Bisogna godere della tua comunione. Bisogna vivere una vita interiore profonda. Se no, il nostro è solo un tragico sussulto di smanie operative, forse anche intelligenti, ma assolutamente sterili sul piano spirituale.

Grazie, Signore, perché, se ci fai sperimentare la povertà della mietitura e ci fai vivere con dolore il tempo delle vacche magre, tu dimostri di volerci veramente bene, poiché ci distogli dalle nostre presunzioni corrose dal tarlo dell'efficientismo, raffreni i nostri desideri di onnipotenza, e non ci esponi al ridicolo di fronte alla storia: anzi, di fronte alla cronaca.

Ma ci sono altri motivi, Signore, che, al termine dell'anno, esigono il nostro rendimento di grazie. Grazie, perché ci conservi nel tuo amore. Perché ancora non ti è venuto il voltastomaco per i nostri peccati. Perché continui ad aver fiducia in noi, pur vedendo che tantissime altre persone ti darebbero forse ben diverse soddisfazioni. Grazie, perché non solo ci sopporti, ma ci dai ad intendere che non sai fare a meno di noi. Perché ci infondi il coraggio di celebrare i santi misteri, anche quando la coscienza della nostra miseria ci fa sentire delle nullità e ci fa sprofondare nella vergogna. Grazie, perché ci sai mettere sulla bocca le parole giuste, anche quando il nostro cuore è lontano da te. Perché adoperi infinite tenerezze, preservandoci da impietosi rossori, e non facendoci mancare il rispetto dei fedeli, la comprensione dei collaboratori, la fiducia dei poveri. Grazie, perché continui a custodirci gelosamente, anzi, a nasconderci, come fa la madre con i figli più discoli. Perché sei un amico veramente unico, e ti sei lasciato così sedurre dall'amore che ci porti, che non ti regge l'animo di smascherarci dinanzi alla gente, e non fai venir meno agli occhi degli uomini i motivi per i quali, nonostante tutto, continuiamo a essere reverendi. Grazie, Signore, perché non finisci di scommettere su di noi. Perché non ci avvilisci per le nostre inettitudini. Perché, al tuo sguardo, non c'è bancarotta che tenga. Perché, a dispetto delle letture deficitarie delle nostre contabilità, non ci fai disperare. Anzi, ci metti nell'anima un così vivo desiderio di ricupero, che già vediamo il nuovo anno come spazio della Speranza e tempo propizio per sanare i nostri dissesti. Spogliaci, Signore, d'ogni ombra di arroganza. Rivestici dei panni della misericordia e della dolcezza. Donaci un futuro gravido di grazia e di luce e di incontenibile amore per la vita. Aiutaci a spendere per te Tutto quello che abbiamo e che siamo. E la Vergine tua madre ci intenerisca il cuore. Fino alle lacrime.

preghierarapporto con Diomisericordia di Diomagnanimitàfine annonuovo annocapodannoapostolato

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inviato da Don Giosuè Lombardo, inserito il 28/06/2003

TESTO

19. Guarire la memoria

Henri J. M. Nouwen

Perdonare non significa dimenticare
Quando perdoniamo una persona, la memoria di quella ferita può rimanere a lungo con noi, anche tutta la vita. Talvolta portiamo questa memoria nel nostro corpo come un segno visibile. Il perdono cambia però la maniera in cui ricordiamo; trasforma la maledizione in benedizione.
Quando perdono i miei genitori per il loro divorzio, i miei figli per la loro mancanza di attenzione, i miei amici per la loro infedeltà nelle crisi, i miei medici per i loro cattivi consigli, non devo più sentirmi la vittima di eventi che non ho potuto dominare.
Il perdono mi consente di fare appello alla mia stessa forza e di non lasciare che questi eventi mi distruggano; li fa diventare eventi che approfondiscono la saggezza del mio cuore.
Il perdono guarisce veramente il ricordo.

Perdonare nel nome di Dio
Siamo tutti persone ferite. Chi ci ferisce? Molto spesso coloro che amiamo e che ci amano. Quando ci sentiamo respinti, abbandonati, maltrattati, manipolati o violati, spesso questo viene soprattutto da persone che ci sono molto vicine: i genitori, gli amici, gli sposi, gli amanti, i figli, i vicini, gli insegnanti, i pastori.
Coloro che ci amano ci feriscono anche. È questa la tragedia della nostra vita, ed è questo che rende così difficile perdonare di cuore. È proprio il nostro cuore ad essere ferito.
Esso grida: «Proprio tu, che credevo mi saresti stato vicino, mi hai abbandonato. Come potrò mai perdonarti per questo?».
Il perdono sembra spesso impossibile, ma niente è impossibile a Dio. Il Dio che vive in noi ci darà la grazia di andare al di là del nostro io ferito per dire: «Nel nome di Dio sei perdonato». Preghiamo per ricevere questa grazia.

Tornare all'amore di Dio
Noi confondiamo spesso l'amore senza condizioni con un'approvazione senza condizioni. Dio ci ama senza condizioni, ma non approva ogni comportamento umano.
Dio non approva il tradimento, la violenza, l'odio, il sospetto e tutte le altre espressioni del male, perché esse contraddicono tutte l'amore che Dio vuole stillare nel cuore umano. Il male è l'assenza dell'amore di Dio. Il male non appartiene a Dio.
L'amore incondizionato di Dio significa che Dio continua ad amarci anche quando diciamo o pensiamo cose malvage.
Dio continua ad aspettarci come un padre amorevole aspetta il ritorno di un figlio smarrito. È importante per noi attenerci alla verità che Dio non rinuncia mai ad amarci, anche quando è rattristato da quel che facciamo.
Questa verità ci aiuterà a tornare all'onnipresente amore di Dio.

perdonomisericordia di Dioamore di Dio

inviato da Eleonora Polo, inserito il 28/11/2002

RACCONTO

20. Festa grande per un pacco consegnato   1

Marina Parodi

C'era un uomo che di mestiere faceva il corriere espresso (sapete? quello che consegna nelle case i pacchi...). Come tutte le mattine, caricò il suo camion e si preparò al lungo giro di consegne. Quel giorno aveva 100 pezzi da consegnare.

Iniziò con una cassa di bottiglie di vino, che andava consegnata proprio all'ultimo piano di un lussuoso palazzo del centro. Con il fiatone suonò alla porta. Aprì un distinto signore: "Buongiorno, sì è per me, prego la metta qui, no un po' più in là, ecco perfetto, arrivederci!".

Poi fu la volta di una anziana signora, a cui trepidante consegnò un pacchetto con un preziosissimo anello. La donna annoiata e indifferente commentò solo: "Ah, lo metta lì con tutti gli altri, poi lo aprirò...".

A una giovane coppia doveva consegnare la lavatrice nuova. Mentre era in cucina e li aiutava a dismballare, i due iniziarono a litigare "Vedi, avevo ragione io: dovevamo prendere l'altro modello". "Invece no, abbiamo fatto bene a seguire il consiglio di mia madre". "Ma cosa dici, non vedi che sta malissimo vicino al frigo". "Piantala, si sa che tu hai un pessimo gusto!". "Perché secondo te era di buon gusto il regalo che tu mi hai fatto a Natale"... Il trasportatore se ne andò un po' imbarazzato.

Un pacco era destinato a un parroco. Era una statua molto bella, ma molto pesante. Il trasportatore era molto in difficoltà, e nell'entrare in sacrestia si ferì una mano contro un'acquasantiera. Ma il parroco lo accolse solo con un "Oh, finalmente me l'ha portata! Per favore faccia presto, si sbrighi. Sono impegnatissimo, tra 2 min e 40 sec. devo dire messa, tra 45 min c'è la lezione di catechismo, poi c'è la riunione con il gruppo della 3 età, poi il comitato di programmazione economica, poi i giovanissimi e la catechesi per famiglie. Capisce, no?, c'è tanto da fare: faccia presto!". Con la mano ancora dolorante il trasportatore uscì e andò a bagnarla alla fontana del sagrato.

Con il passare delle ore e il crescere della fatica, i pacchi pian piano diminuivano. Alla fine ne rimase solo uno. Quando arrivò all'indirizzo segnato sul pacco, aprì la porta un ragazzo: "No mi dispiace, il suo indirizzo è sbagliato, la signora Beatrice Bianchi (quello era il nome della destinataria) non abita più qui, si è trasferita almeno da un mese...". "E sa dove è andata ad abitare?". "No, io no, ma provi a chiedere al fruttivendolo all'angolo. Lui conosce tutti".

Il camionista si presentò al fruttivendolo e spiegò il suo problema: "Devo consegnare un pacco alla signora Beatrice Bianchi, ma ho l'indirizzo sbagliato. Lei sa dirmi dove posso trovarla?". "Ah, sì, si è trasferita, in un altro quartiere, me lo aveva detto, però l'indirizzo proprio non me lo ricordo... Provi a chiedere a Piero, lo trova là all'osteria, lui sicuramente lo sa".

Il camionista entrò nel fumoso bar e dietro un bicchiere di vino e un mazzo di carte, trovò Piero, un vecchietto con la barba bianca e due occhi azzurri come il cielo. "Ma sì la Beatrice! La conosciamo tutti qui, faceva la cameriera, è un peccato che si sia trasferita... Ecco, le scrivo il nuovo indirizzo".

Finalmente, dopo la lunga ricerca, il nostro amico si trovò di fronte alla porta dell'appartamento della signora Beatrice Bianchi. Il palazzo era in una delle zone più povere e degradate della città, lo squallore del luogo metteva proprio tristezza. Come aveva fatto con gli altri 99 pacchi, suonò e annunciò: "Signora, devo consegnarle un pacco". Aprì una giovane ragazza, mentre da una stanza interna si sentiva il pianto di un ragazzino. "Un pacco per me?". "Sì, signora; non è stato facile, ma sono contento di averla trovata...". "E cosa sarà mai? Non aspettavo pacchi... Oh... mi scusi, la sto lasciando sulla porta; prego, si accomodi, si sieda, posso offrirle un caffè? intanto guardiamo cosa c'è nel pacco...". Piacevolmente sorpreso, il corriere accettò volentieri l'invito. Il bambino intanto aveva smesso di piangere e si era avvicinato a osservare curioso quell'ospite sconosciuto.

Dopo aver versato il caffè all'ospite, Beatrice aprì il grosso pacco. Non poté trattenere un grido di gioia, quando ne vide il contenuto. Il pacco era pieno di cibi buonissimi, tra cui una grossa torta di compleanno. Insieme ai cibi una lettera. Quando la lesse, a Beatrice vennero gli occhi lucidi. Poi spiegò: "5 anni fa litigai violentemente con mia madre, e da allora non ci siamo più frequentate. Ora mi scrive che non vuole più discutere del passato, ma si è ricordata che oggi è il compleanno di Roberto, mio figlio e ci manda un po' di dolci per festeggiare. E pensare che proprio 10 minuti fa io stavo spiegando a Roberto che non avremmo potuto fare la festa con i suoi amici perché dopo aver pagato le bollette mi sono avanzati pochissimi soldi... È lei che ha permesso tutto questo! Io... io voglio ringraziarla. Si fermi e festeggi con noi!".

E così il trasportatore si trovò coinvolto in una festa piena di musica, allegria e risate, insieme con Beatrice, Roberto, i suoi amici e altre persone del vicinato. E alla fine della giornata, potete star certi, fu proprio lui il più contento per quel pacco con l'indirizzo sbagliato!

La storia può essere un punto di partenza per parlare di Dio che cerca tutti gli uomini, anche la pecorella smarrita... per suggerimenti sull'attività e per scaricare altre storielle simili, clicca qui.

rapporto con Diomisericordiapecorella smarrita

inviato da Andrea Zamboni, inserito il 20/11/2002

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