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TESTO

1. Vado in montagna lentamente (La visita)

Erri de Luca, Rivista Vita e Pensiero

Vado in montagna lentamente. Per buone ore i passi risalgono i pendii. I boschi intorno sono irrigiditi, sul ripido gli abeti stanno attaccati al suolo dalla neve.

Più in alto la vegetazione smette, resta la pietra, il ghiaccio e sopra l'aria senza confini. L'inverno è agli ultimi giorni, il vento ha meno forza di comprimere il fiato.

In salita assecondo il moto della terra che continua spingere in alto le montagne. La cresta del pianeta si solleva e sposta la sua frontiera con il cielo.
Sulla cima mi accorgo del pareggio tra la forza del corpo e quella di gravità. Ho portato il mio peso fino all'ultimo gradino e lo depongo lì.
Il respiro rallenta, dentro di me sento il silenzio di una sala di attesa.
Guardo il girotondo delle montagne intorno, i risaputi profili, i loro nomi. Sto nel centro inventato di una circonferenza, poi sollevo la testa a vista dello spazio e non sto più in un centro. Gli occhi rivolti in su sprofondano nel vuoto delle altezze, le sole che hanno diritto al titolo di altezze reali.

La luce, l'aria hanno splendore di vernice fresca.
Sto sul confine tra il pianeta e lo spazio che l'avvolge. Sono grato al corpo che mi permette di visitare il bordo del luogo e del tempo ricevuto in prestito.
Non sto vicino al cielo, sto su una terrazza della terra. Ci si può vedere il cimitero di chi è salito ai piani celesti, ma non ho questa Diottria, i miei sono sepolti interamente in basso e li raggiungerò in fondo a una discesa.

Aspetto che la pausa sulla cima arrivi fino al principio del freddo. Poi mi avvio in discesa, dove i muscoli opposti fanno avvertire il peso che dimentico in salita.
I passi reggono e ammortizzano il carico del corpo che discende. Completo così l'opera inutile e gratuita di un giorno in montagna.
Ho visitato un orlo del pianeta, mio atto di devozione terrestre.
Ho calcato i gradini della scala invisibile formata dall'appoggio dei passi. S'interrompono dove oltre possono proseguire solamente le ali.
Per una volta in più riconosco che una cima non è traguardo, ma vicolo cieco, in fondo al quale c'è da invertire la direzione e tornare indietro.

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inviato da Qumran2, inserito il 23/06/2020

RACCONTO

2. Non c'è posto nella locanda... ma se vogliamo, possiamo cambiare la storia   6

Guido Purlini aveva 12 anni e frequentava la prima media. Era già stato bocciato due volte. Era un ragazzo grande e goffo, lento di riflessi e di comprendonio, ma benvoluto dai compagni. Sempre servizievole, volenteroso e sorridente, era diventato il protettore naturale dei bambini più piccoli.
L'avvenimento più importante della scuola, ogni anno, era la recita natalizia. A Guido sarebbe piaciuto fare il pastore con il flauto, ma la signorina Lombardi gli diede una parte più impegnativa, quella del locandiere, perché comportava poche battute e il fisico di Guido avrebbe dato più forza al suo rifiuto di accogliere Giuseppe e Maria.

La sera della rappresentazione c'era un folto pubblico di genitori e parenti. Nessuno viveva la magia della santa notte più intensamente di Guido Purlini. E venne il momento dell'entrata in scena di Giuseppe, che avanzò piano verso la porta della locanda sorreggendo teneramente Maria. Giuseppe bussò forte alla porta di legno inserita nello scenario dipinto. Guido il locandiere era là, in attesa.

"Che cosa volete?" chiese Guido, aprendo bruscamente la porta.
"Cerchiamo un alloggio".
"Cercatelo altrove. La locanda è al completo". La recitazione di Guido era forse un po' statica, ma il suo tono era molto deciso.
"Signore, abbiamo chiesto ovunque invano. Viaggiamo da molto tempo e siamo stanchi morti".
"Non c'è posto per voi in questa locanda", replicò Guido con faccia burbera.
"La prego, buon locandiere, mia moglie Maria, qui, aspetta un bambino e ha bisogno di un luogo per riposare. Sono certo che riuscirete a trovarle un angolino. Non ne può più".
A questo punto, per la prima volta, il locandiere parve addolcirsi e guardò verso Maria. Seguì una lunga pausa, lunga abbastanza da far serpeggiare un filo d'imbarazzo tra il pubblico.
"No! Andate via!", sussurrò il suggeritore da dietro le quinte.
"No!", ripeté Guido automaticamente. "Andate via!".

Rattristato, Giuseppe strinse a sé Maria, che gli appoggiò sconsolatamente la testa sulla spalla, e cominciò ad allontanarsi con lei. Invece di richiudere la porta, però, Guido il locandiere rimase sulla soglia con lo sguardo fisso sulla miseranda coppia. Aveva la bocca aperta, la fronte solcata da rughe di preoccupazione, e i suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime. Tutto ad un tratto, quella recita divenne differente da tutte le altre.
"Non andar via, Giuseppe", gridò Guido. "Riporta qui Maria". E, con il volto illuminato da un grande sorriso, aggiunse: "Potete prendere la mia stanza".
Secondo alcuni, quel rimbambito di Guido Purlini aveva mandato a pallino la rappresentazione. Ma per gli altri, per la maggior parte, fu la più natalizia di tutte le rappresentazioni natalizie che avessero mai visto.

nataleaccoglienza

5.0/5 (3 voti)

inviato da Marcello Rosa, inserito il 08/07/2011

RACCONTO

3. Lo studente e l'anello   2

Un alunno presentò al suo professore un problema: "Sono qui, professore, perché sono tanto debole, e non ho la forza per fare niente. Dicono che non servo a nulla, che non faccio bene niente, che sono lento e multo stupido. Come posso migliorare? Che posso fare per valorizzarmi di più?".

Il professore senza guardarlo, disse: "Sono molto spiacente mio caro, ma ora non posso aiutarti, devo prima risolvere il mio problema. Forse dopo". E facendo una pausa parlò: "Se mi aiuterai, potrò risolvere il mio problema con più rapidità e dopo forse potrò aiutarti a risolvere il tuo".

"Va bene, professore", balbettò il giovane, ma si sentì un'altra volta sminuito.

Il professore prese un anello che portava al mignolo, lo dette al ragazzo e disse: "Monta a cavallo e vai fino al mercato. Devi vendere questo anello perché devo pagare un debito. È necessario che tu ottenga per l'anello il massimo possibile, ma non accettare meno di una moneta d'oro. Va e torna con la moneta il più velocemente possibile".

Il giovane prese l'anello e partì. Arrivò al mercato e cominciò a offrire l'anello ai commercianti. Essi lo guardavano con interesse, fino a quando il giovane diceva quanto pretendeva per l'anello.

Quando il giovane menzionava una moneta d'oro, alcuni ridevano, altri andavano via senza nemmeno guardarlo, e solo un vecchietto fu amabile al punto di spiegargli che una moneta d'oro era molto preziosa per comprare un anello.

Tentando di aiutare il giovane, arrivarono a offrire una moneta d'argento e una tazza di rame, ma il giovane ricusava le offerte seguendo le istruzioni di non accettare meno di una moneta d'oro.

Dopo aver offerto il gioiello a tutti coloro che passavano al mercato e abbattuto per l'insuccesso, montò a cavallo e ritornò. Il giovane avrebbe desiderato avere una moneta d'oro per comprare egli stesso l'anello, liberando così il suo professore dalla preoccupazione e poter poi ricevere il suo aiuto e i suoi consigli.

Entrò in casa e disse: "Professore, mi dispiace molto, ma è impossibile ottenere ciò che ha chiesto. Forse si potrebbero ottenere 2 o 3 monete d'argento, ma non credo che si possa ingannare nessuno sul valore dell'anello".

"È importante quello che mi dici, ragazzo", obiettò sorridendo. "Prima si deve sapere il valore dell'anello. Prendi il cavallo e vai dal gioielliere. Chi meglio di lui può sapere il valore esatto dell'anello? Digli che vuoi venderlo e domanda quanto ti può dare. Ma non importa quanto ti offre, non lo vendere. Torna qui con il mio anello".

Il giovane arrivò dal gioielliere e gli dette l'anello da esaminare. Il gioielliere lo esaminò con una lente d'ingrandimento, lo pesò e disse: "Dica al suo professore che, se vuole venderlo ora, non posso dargli più di 58 monete d'oro". "58 monete d'oro!", esclamò il giovane. "Sì", replicò il gioielliere, "io so che col tempo potrei offrire circa 70 monete, ma se la vendita è urgente...".

Il giovane corse emozionato a casa del professore per raccontare quelle che era successo. Il professore dopo aver udito quanto offerto dal gioielliere, disse: "Tu sei come questo anello, una gioia preziosa e unica. Può essere valutata solo da uno specialista. Pensavi che chiunque potesse scoprire il suo vero valore?". E così dicendo tornò a collocare il suo anello nel dito.

Tutti noi siamo come questa gioia. Preziosi e unici e andiamo per tutti i mercati della vita pretendendo che persone inesperte ci valorizzino. Ripensa al tuo valore!

valoreinterioritàsperanzaricchezza interiorericchezzaunicitàimportanza del singolo

5.0/5 (2 voti)

inviato da Liliana, inserito il 01/02/2011

TESTO

4. E' possibile pregare o meditare scandendo i tempi della giornata?   2

Jean-Marie Lustiger, Avvenire del 30/11/2008

Ecco i consigli dell'arcivescovo di Parigi: «Obbligatevi a spezzare il ritmo frenetico delle nostre metropoli. Fatelo sui mezzi pubblici e nelle pause del lavoro». Uno scritto inedito del cardinale Francese morto un anno fa.

Come pregare durante il giorno? La tradizione della Chiesa raccomanda di pregare sette volte al giorno. Perché? Una prima ragione è che il popolo d'Israele offriva il proprio tempo a Dio in sette preghiere quotidiane, in momenti fissi, nel Tempio o almeno voltati verso di esso: «Sette volte al giorno io ti lodo» ci rammenta il salmista (Salmo 118,164). Una seconda ragione è che il Cristo stesso ha pregato così, fedele alla fede del popolo di Dio. La terza ragione è che i discepoli di Gesù hanno pregato così: gli apostoli (vedi Atti 3,1: Pietro e Giovanni) e i primi cristiani di Gerusalemme «assidui nelle preghiere» (vedi Atti 2,42; 10,3-4: Cornelio nella sua visione); poi le comunità cristiane e, più tardi, le comunità monastiche. E così anche i religiosi e le religiose, i preti, sono stati chiamati a recitare o a cantare in sette riprese le «ore» dell'«ufficio» (che significa «dovere», «incarico», «missione» di preghiera), facendo una pausa per cantare i salmi, meditare la Scrittura, intercedere per i bisogni degli uomini e rendere gloria a Dio. La Chiesa invita ogni cristiano a scandire la propria giornata con una preghiera ripetuta, deliberata, voluta per amore, fede, speranza.

Prima di sapere se è bene pregare due, tre, quattro, cinque, sei, sette volte al giorno, un consiglio pratico: associate i momenti di preghiera a gesti fissi, a punti di passaggio obbligati che scandiscono le vostre giornate.

Per esempio: per coloro che lavorano e in genere hanno orari stabili, esiste pure un momento in cui lasciate il vostro domicilio e vi recate al lavoro... a piedi o in auto, in metropolitana o in autobus. A un orario preciso. E ciò vi prende un determinato tempo, sia all'andata sia al ritorno. Perché quindi non associare dei tempi di preghiera a quelli di spostamento?

Secondo esempio: siete madre di famiglia e rimanete a casa, ma avete dei figli da portare e riprendere a scuola in momenti precisi della giornata. Un altro obbligo che segna una pausa: i pasti, anche se a causa di forza maggiore o cattiva abitudine mangiate solo un panino o pranzate in piedi. Perché non trasformare queste interruzioni nella giornata in punti di riferimento per una breve preghiera?

Sì, andate a cercare nella vostra giornata questi momenti più o meno regolari di interruzione delle occupazioni, di cambiamento nel ritmo di vostra vita: inizio e fine del lavoro, pasti, tempi di viaggio ecc.

Associate a questi momenti la decisione di pregare, anche solo per un breve istante, il tempo di fare l'occhiolino a Dio. Datevi l'obbligo rigoroso, qualunque cosa accada, di consacrare quindi anche solo trenta secondi o un minuto a dare un nuovo orientamento alle vostre diverse occupazioni sotto lo sguardo di Dio.
La preghiera così, pervaderà quanto vi sarà dato vivere.

Quando andate al lavoro forse intanto rimuginate sui colleghi che ritroverete, sulle difficoltà da affrontare in un ufficio in cui lavorate in due o in tre; le personalità cozzano maggiormente quando la vicinanza è troppo stretta e quotidiana. Chiedete a Dio in anticipo: «Signore, fa' che io viva questo rapporto quotidiano nella vera carità. Permettimi di scoprire le esigenze dell'amore fraterno nella luce della Passione di Cristo che mi renderà sopportabile lo sforzo richiesto».

Se lavorate in un grande centro commerciale, forse rimuginerete sulle centinaia di volti che vi scorreranno davanti senza che abbiate il tempo di guardarli. Chiedete a Dio in anticipo: «Signore, ti prego per tutte quelle persone che passeranno davanti a me e alle quali cercherò di sorridere.

Anche se non ne ho la forza quando mi insultano e mi trattano come fossi una macchina calcolatrice».

Insomma, approfittate al meglio, durante la vostra giornata, di questi punti di passaggio obbligati, dei momenti in cui disponete di un po' di margine e vi lasciano, se siete vigili, un piccolo spazio di libertà interiore per riprendere fiato in Dio.

Si può pregare nella metropolitana o sui mezzi pubblici? Io l'ho fatto. Ho utilizzato diversi metodi secondo i momenti della mia vita o le circostanze. Ci fu un tempo in cui mi ero abituato a mettere i tappi nelle orecchie per isolarmi e poter avere un minimo di silenzio, tanto ero esasperato dal rumore. Pregavo così, senza per questo tagliar fuori le persone che mi erano attorno visto che potevo ancora essere presente a essi con lo sguardo, senza però scrutarli, senza fissarli, senza essere indiscreto nel modo di guardarli. Il silenzio fisico dell'orecchio mi permetteva di essere ancora più libero nell'accoglienza. In altri periodi, invece, ho vissuto un'esperienza esattamente contraria. Ognuno di noi fa come può, ma in nessun caso dobbiamo ritenere che sia impossibile pregare.

Ecco un altro suggerimento. Scommetto che lungo il vostro tragitto, dalla stazione della metropolitana o dalla fermata dell'autobus fino a casa o al posto di lavoro, potete incontrare, nel raggio di trecento o cinquecento metri, una chiesa o una cappella (una piccola deviazione vi consentirebbe di camminare un po'). A Parigi si può fare. In quella tal chiesa potete pregare in tranquillità o, al contrario, essere continuamente disturbati; può essere adatta o meno alla vostra sensibilità: questo è un altro discorso. Ma c'è una chiesa con il Santissimo Sacramento. Perciò, camminate per qualche centinaio di metri in più; vi ci vorranno dieci minuti, e un po' d'esercizio non farà male alla vostra linea... Entrate in chiesa e andate fino al Santissimo Sacramento. Inginocchiatevi e pregate. Se non potete di più, fatelo per dieci secondi. Ringraziate Dio Padre per il mistero dell'Eucaristia nel quale siete inclusi, per la presenza del Cristo nella sua Chiesa. Lasciatevi andare all'adorazione con il Cristo, nel Cristo, tramite la forza dello Spirito. Rendete grazie a Dio. Rialzatevi.
Fatevi un bel segno della croce e ripartite.

preghierapregaretempoquotidianitàperseveranzafedeltà nella preghiera

4.7/5 (3 voti)

inviato da Anna Barbi, inserito il 05/09/2010

TESTO

5. Cos'è per me la preghiera

Don Gasparino, Domande difficili, Città Nuova editrice

Credo che la preghiera non sia tutto, ma che tutto cominci dalla preghiera: perché l'intelligenza umana è troppo corta e la volontà dell'uomo troppo debole: perché l'uomo che agisce senza Dio non dà mai il meglio di sè. Credo che Gesù Cristo, donandoci il Padre Nostro, ci abbia voluto insegnare che la preghiera è amore.

Credo che si possa pregare tacendo, soffrendo, lavorando; ma il silenzio è preghiera solo se si ama, la sofferenza è preghiera solo se si ama, il lavoro è preghiera solo se si ama.

Credo che non sapremo mai con esattezza se la nostra è preghiera o non lo è.

Ma esiste un test infallibile della preghiera: è riuscire a crescere nell'amore, nel distacco dal male, nella fedeltà all'amore di Dio.

Credo che impara a pregare solo chi impara a tacere davanti a Dio, a resistere al silenzio di Dio.

Credo che tutti i giorni dobbiamo chiedere al Signore il dono della preghiera, perché chi impara a pregare impara a vivere.

Ma cosa significa pregare? Forse, nessuno sarà mai capace di dare una risposta esauriente, perché è un problema che parte dal mistero dell'uomo e si perde nel mistero di Dio.

Forse, sarebbe più facile dire ciò che non è pregare.

Pregare non è recitare.
Il teatro non serve a Dio. Recitar formule ci fa dei robot e i robot non possono piacere a Dio, perché Dio ci ha fatti figli e ci considera figli.

Pregare non è dire parole.
Dio non ne ha bisogno e l'uomo può comunicare con lui con mezzi più semplici che le parole.

Pregare non è dialogare.
Si dialoga con un eguale, non quando c'è un abisso invalicabile e si manca di strumenti adeguati per comunicare con lui.

Pregare non è dilettarsi dei bei sentimenti e dei bei pensieri.
A Dio non si raccontano storie; davanti a Dio siamo quello che siamo e le belle parole, i bei pensieri non cambiano la situazione reale del nostro intimo.

Pregare non è nemmeno riflettere.
Anche se la riflessione è il potere più straordinario dell'uomo. Per Dio il nostro riflettere non conta di più di una pausa vegetativa.

È il nostro amore che Dio aspetta.
Pregare forse è solo questo: lasciarsi amare da Dio e rendersene conto, godere e sforzarsi di rispondere, perché non sappiamo mai come e quando comunichiamo con Dio. Ma sforzarsi è già andare a lui. E' già amare.

preghiera

inviato da Qumran2, inserito il 21/11/2006

RACCONTO

6. La storia di Mark

Mark Eklund era in terza elementare e io insegnavo al Saint Mary's School a Morris, Minnesota. Ero affezionata a tutti e 34 i miei studenti, ma Mark era uno su un milione. Molto ordinato e preciso in apparenza, ma aveva quell'atteggiamento di essere-felice-di-vivere (happy-to-be-alive attitude) che faceva perfino la sua occasionale birbanteria deliziosa.

Mark parlava incessantemente. Dovevo ricordargli sempre che parlare senza permesso non era accettabile. Ciò che mi impressionava tanto, però, era la sua sincera risposta ogni volta che io dovevo correggerlo per cattivo comportamento: "Grazie per avermi corretto, Sorella!". All'inizio non sapevo cosa fare, ma dopo poco mi abituai a sentirlo molte volte al giorno.

Una mattina la mia pazienza era diventata sottile quando Mark parlò una volta di troppo, ed io commisi un errore da insegnante principiante. Guardai Mark e dissi, "Se dici ancora una parola, ti chiuderò le labbra con il nastro"! Passarono dieci secondi quando Chuck rivelò: "Mark sta parlando ancora." Io non avevo chiesto a nessuno degli studenti di aiutarmi a guardare Mark, ma dovetti punirlo davanti alla classe.

Ricordo la scena come se fosse successa questa mattina. Camminai verso la mia scrivania, aprii intenzionalmente il mio cassetto e tirai fuori un rotolo di nastro adesivo. Senza dire una parola, mi avvicinai al banco di Mark, strappai due pezzi di nastro e feci con essi una grande X sulle sue labbra. Poi tornai all'inizio della stanza. Mentre lanciai un'occhiata per vedere cosa stava facendo, lui mi strizzò l'occhio. Ciò fece! Io iniziai a ridere. La classe si rallegrò e applaudì. Tornai al banco di Mark, tolsi il nastro, e feci spallucce. Le sue prime parole furono: "Grazie per avermi corretto, Sorella."

Alla fine dell'anno, fui richiesta per insegnare alla classe di matematica della scuola media. Gli anni volarono, e presto seppi che Mark era ancora nella mia classe. Era più carino che mai e cosi educato. Poiché lui doveva mettere in lista attentamente le mie istruzioni sulla "nuova matematica", non parlò cosi tanto come aveva fatto in terza. Un venerdì le cose non andavano molto bene. Avevamo lavorato duramente su un nuovo concetto tutta la settimana e avevo la sensazione che gli studenti fossero accigliati, frustrati con se stessi e nervosi gli uni con gli altri. Dovevo fermare questo prima che mi sfuggisse di mano.

Così chiesi a loro di fare una lista con i nomi degli altri studenti nella stanza su due fogli di carta, lasciando uno spazio tra ogni nome. Poi dissi loro di pensare alla cosa più simpatica che potessero dire riguardo ad ognuno dei loro compagni di classe e di scriverla. Per finire il compito, la classe prese il resto del tempo e quando gli studenti lasciarono la stanza, ognuno mi passò il foglio. Charlie sorrise. Mark disse: "Grazie per avermi insegnato, Sorella. Buon fine settimana". Quel sabato annotai il nome di ogni studente su un foglio di carta separato, e misi in lista ciò che ognuno aveva detto di quella persona. Il lunedì diedi ad ogni studente il suo o la sua lista.
Dopo poco, l'intera classe stava sorridendo.
"Davvero?", sentii bisbigliato.
"Non sapevo di significare qualcosa per qualcuno!".
"Non sapevo di piacere cosi tanto agli altri".
Nessuno menzionò mai quei fogli ancora in classe.
Non sapevo se loro li avessero discussi dopo la classe o con i loro genitori, ma ciò non importava.
L'esercizio aveva raggiunto il suo scopo. Gli studenti erano ancora felici con se stessi e gli uni con gli altri. Il gruppo di studenti si era rimesso in marcia.

Diversi anni più tardi, dopo che tornai dalle mie vacanze, i miei genitori mi vennero incontro all'aeroporto. Quando stavamo guidando verso casa, mia Madre mi chiese le solite domande sulla gita, sul tempo, le mie esperienze in generale. Ci fu una pausa nella conversazione. Mia madre diede a mio padre un'occhiata di lato e disse semplicemente: "Papà?". Mio padre si schiarì la gola come faceva di solito prima di qualcosa importante. "Gli Eklunds hanno chiamato la notte scorsa", iniziò. "Davvero?" dissi. "Non li avevo sentiti per anni. Mark come sta?". Mio Padre rispose in modo sommesso: "Mark è stato ucciso in Vietnam", disse. "I funerali sono domani, e i suoi genitori vorrebbero che tu fossi presente". Da quel giorno posso ancora indicare il punto esatto sulla I-494 dove mio Padre mi disse di Mark.

Non avevo mai visto prima un militare in una bara militare. Mark appariva così carino, così maturo. Tutto ciò che potevo pensare in quel momento era: "Mark, darei tutto il nastro adesivo del mondo se solo tu potessi parlarmi". La chiesa era affollata di amici di Mark. La sorella di Chuck canto "L'inno di Guerra della Repubblica". Perché doveva piovere nel giorno dei funerali? Era già difficile così! Il pastore disse le solite preghiere e il trombettiere suonò i colpi. Uno dopo l'altro quelli che amavano Mark si misero in cammino verso la bara e la bagnarono con l'acqua santa. Io fui l'ultima a benedire la bara.
Mentre stavo in piedi, uno dei soldati che avevano portato la bara salì verso di me.
"Era lei l'insegnante di matematica di Mark?" mi chiese.
Io feci cenno di sì con il capo mentre continuavo a fissare la bara.
"Mark ha parlato molto di lei", lui disse.
Dopo il funerale, quasi tutti i vecchi compagni di classe di Mark si diressero alla fattoria di Chuck per il pranzo. La madre e il padre di Mark erano lì; ovviamente mi aspettavano.
"Vogliamo mostrarle qualcosa", suo padre disse, estraendo un portafoglio dalla sua tasca. "Hanno trovato questo su Mark quando fu ucciso. Pensiamo che lei possa riconoscerlo".

Aprendo il portafoglio, con attenzione tolse due pezzi logori di carta di taccuini che erano stati evidentemente legati, piegati e ripiegati molte volte. Sapevo senza guardare che i fogli erano quelli sui quali avevo messo in lista tutte le cose buone che ogni compagno di classe di Mark aveva detto su di lui.

"Grazie tanto per aver fatto ciò", disse la madre di Mark. "Come può vedere, Mark lo ha apprezzato molto".

I compagni di classe di Mark iniziarono a radunarsi intorno a noi.
Charlie sorrise in modo piuttosto imbarazzato e disse: "Io ho ancora la mia lista. E' nel primo cassetto della mia scrivania a casa".
La moglie di Chuck disse: "Chuck mi ha chiesto di mettere la sua nell'album del matrimonio".
"Anch'io ho la mia", disse Marilyn. "E' nel mio diario."
Poi Vicki, un'altra compagna di classe, raggiunse la sua borsetta, prese il suo portafogli e mostrò la sua consumata e logora lista del gruppo. "Io porto questa con me sempre", disse Vicki senza battere ciglio.
"Penso che tutti noi abbiamo salvato la nostra lista".
Qui fu quando alla fine mi sedetti e piansi.
Piansi per Mark e per tutti i suoi amici che non lo avrebbero mai più visto.

La densità delle persone nella società è cosi spessa che dimentichiamo che la vita finirà un giorno. E non sappiamo quando quel giorno sarà. Così per favore, dì alle persone che ami e a cui vuoi bene che sono molto speciali ed importanti. Diglielo, prima che sia troppo tardi.

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La storia dà anche l'idea per un'attività molto carina che si può fare con ragazzi ed adolescenti: come ha fatto l'insegnante di Mark, fate scrivere ad ognuno qualcosa di simpatico o di bello su ognuno degli altri componenti del gruppo, e poi date ad ognuno i suoi foglietti, oppure fateli leggere tutti ad alta voce.

E' un'attività che può andare molto bene sopratutto con gli adolescenti (ma può andare anche con i ragazzi) in quanto spesso hanno "crisi d'identità", o comunque non hanno una sufficiente autostima: il sentirsi dire cose simpatiche o comunque belle sul proprio conto può essere una buona iniezione di fiducia ed autostima.

Inoltre, aiuta tutti a guardare ad ognuno degli altri componenti del gruppo in modo positivo, e questo è ottimo per due motivi: innanzitutto fa fare lo sforzo di pensare a tutti gli altri, quando invece spesso qualcuno è messo da parte e non lo si considera mai; in secondo luogo, fa pensare agli altri in modo positivo, e anche questa è una cosa molto buona.

amiciziaamoreimportanza del singolocomplimentibontàconoscenzapositivopositività

5.0/5 (2 voti)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 24/05/2002