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RACCONTO

1. Il quarto Re Magio

Henry van Dyke, The Story of the Other Wise Man

I Magi, mentre scrutavano la volta celeste, scoprirono una nuova stella che brillò per una notte e poi sparì. Dopo qualche tempo, il cielo fu solcato da una scintilla blu che roteando emetteva splendore di porpora, finché divenne una sfera scarlatta con raggi lucenti e un vivissimo punto centrale bianco. Era il segnale della nascita del Re atteso da secoli. Lo videro i magi di Borsippa. Lo vide anche Artibano, che abitava a Ecbatana, distante dieci giorni di cammino.

Gaspare, Baldassare e Melchiorre decisero di partire per Gerusalemme. Anche Artibano, si preparò per il viaggio. Vendette tutti i suoi beni e acquistò uno zaffiro, un rubino e una perla da portare al Re e, montato in sella al velocissimo Vosda, galoppò verso Borsippa. Attraversò boschi, guadò fiumi, s'inerpicò per colline e montagne, quando a una svolta pericolosa trovò un moribondo abbandonato sulla strada.

Artibano saltò dal suo corsiero e, caricatosi l'infelice sulle spalle, lo adagiò sotto una palma, gli bagnò le labbra riarse, lo ristorò e il moribondo dopo qualche tempo aprì gli occhi. «Voglia il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe ricompensarti - disse - faccia prosperare il tuo viaggio fino a Betlemme, perché è lì che deve nascere il Messia, che tu vai cercando».

Artibano si rimise in cammino verso la mezzanotte... e alle prime luci dell'undicesimo giorno entrò in Borsippa, ma non trova i compagni. Essi avevano atteso 10 giorni, poi erano partiti lasciandogli un messaggio: «T'abbiamo aspettato sino alla mezzanotte..., seguici attraverso il deserto».

Arabano, allora, vende lo zaffiro, appalta una carovana e riprende il viaggio affrontando i pericoli e i disagi del deserto.

Giunse a Betlemme dopo tre giorni che i suoi compagni avevano deposto ai piedi del Re l'oro, l'incenso e la mirra... ed erano ripartiti per un'altra via.

Il villaggio pareva deserto: gli uomini erano nei campi e i ragazzi al pascolo delle greggi. Dalla parte di una casupola sulla strada udì una flebile nenia. Entrato vide una giovane madre. La donna ospitò il forestiero, ristorandolo e parlandogli di tre stranieri, vestiti come lui, giunti dall'Oriente poco prima, guidati da una stella al luogo dove abitava Giuseppe, la sua sposa e il Bambino. Essi l'avevano adorato lasciandogli in omaggio ricchi doni; ma poi erano spariti misteriosamente, come pure, in segreto, la notte successiva scomparve la Famiglia di Nazareth, dirigendosi forse in Egitto.

Artibano si diresse allora verso Ebron alla volta dell'Egitto. Egli sperava di raggiungere la Sacra Famiglia nelle oasi del deserto, sotto le palme o i sicomori, ma invano. Si spinse fino a Elaiopoli e a Menfi; percorse le rive fiorite dei Nilo, si aggirò tra le Piramidi dei Faraoni, all'ombra della sfinge; ma le sue ricerche non approdarono a nulla.

Scoraggiato e deluso tornò in Palestina nella speranza di poterli trovare. Dopo alcuni anni di peregrinazioni si rivolse ad un rabbino perché gli indicasse in quali paraggi avrebbe potuto incontrare il Messia. Il rabbino, preso un papiro, lesse: «Il Messia conviene cercarlo tra i poveri, tra gli umili, tra i sofferenti e gli oppressi».

A tali parole, Artibano vendette il rubino e si diede a nutrire gli affamati, a rivestire gli ignudi, a curare gli infermi, a visitare i carcerati. Passarono così trentatré anni da quando era partito in cerca della «Vera Luce». I suoi capelli, allora di un bel nero lucido, si erano fatti bianchi. Lacero ed esausto, ma tuttora in cerca del Re, era tornato per l'ultima volta a Gerusalemme nel periodo della Pasqua.

La città santa brulicava di gente, venuta dalle terre più lontane alla festa del Tempio. Era il venerdì della Parasceve... e nella folla si notava un'agitazione particolare. Egli, imbattutosi in un gruppo, domandò la causa del tumulto e dove andavano tutti. «Noi andiamo - risposero - al luogo dei Teschio fuori le mura, dove c'è la crocifissione di due malfattori e di un altro chiamato Gesù di Nazareth, il quale ha fatto molte opere prodigiose in mezzo al popolo ed ora è messo a morte perché si dice Figlio di Dio e Re dei Giudei».

Artibano pensò fra sé: «Non potrebbe essere quel Gesù, nato a Betlemme trentatré anni fa? Che abbia trovato finalmente il mio Re nelle mani dei suoi nemici? Arriverò in tempo almeno per offrire la mia perla per il suo riscatto, prima che Egli muoia?».

Così il buon vecchio seguì la moltitudine, quando, lungo la salita, una fanciulla di Ecbatana, riconosciutolo dal costume per suo connazionale, gli si avvicinò scongiurandolo in ginocchio: «Per amore del Dio della Purezza, abbi pietà di me; sono una misera schiava della tua stessa fede; salvami, ridandomi la libertà».

Il vecchio, non possedendo che un'unica perla, la consegnò alla sventurata concittadina per il suo riscatto.

Improvvisamente si udì un boato; la terra sussulta; il cielo si oscura; le mura delle case si spalancano e crollano; nuvole di polvere riempiono l'aria; soldati e popolo fuggono terrorizzati.

Artibano e la fanciulla si rifugiano sotto i loggiati del Pretorio. Una nuova scossa di terremoto, più violenta, fa cadere una pietra contro le tempie di Artibano, che traballa pallido, esanime.

La ragazza lo sostiene con le sue braccia, mentre il sangue scorre a rivoli dalla ferita. Non è morto, lo si sente pronunziare queste estreme parole: «Non così o mio Signore... quando mai ti vidi affamato e ti nutrii? Assetato e ti porsi da bere? Quando mai ti vidi forestiero e ti ospitai? In carcere e ti visitai? Nudo e ti rivestii? Per ben trentatré anni ti ho cercato ansiosamente, ma non ho mai avuto la soddisfazione di poter contemplare il tuo volto, né di renderti il minimo servizio, o mio dolce Re!».

Artibano cessò di parlare. Ma un'altra voce si fece udire a suo conforto: «In verità in verità ti dico, che ogni volta che tu hai fatto ciò ai tuoi simili, ai miei fratelli, tu l'hai fatto a me». Un grande respiro di sollievo gli uscì dalle labbra. Egli aveva finito il suo lungo viaggio. I suoi doni erano stati veramente graditi. Artibano, il quarto dei Magi aveva finalmente trovato il Re.

caritàamoreservizioparadisogiudizio universale

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inviato da Don Angelo, inserito il 24/11/2002

PREGHIERA

2. Ballata della speranza

David Maria Turoldo, Il sesto angelo, Mondadori, 1976

Tempo del primo avvento
tempo del secondo avvento
sempre tempo d'avvento:
esistenza, condizione
d'esilio e di rimpianto.

Anche il grano attende
anche l'albero attende
attendono anche le pietre
tutta la creazione attende.

Tempo del concepimento
di un Dio che ha sempre da nascere.

(Quando per la donna è giunta la sua ora
è in grande pressura
ma poi tutta la sua tristezza
si muterà in gaudio
perché è nato al mondo un uomo.)

Questo è il vero lungo inverno del mondo:
Avvento, tempo del desiderio
tempo di nostalgia e ricordi
(paradiso lontano e impossibile!)
Avvento, tempo di solitudine
e tenerezza e speranza.
Oh, se sperassimo tutti insieme
tutti la stessa speranza
e intensamente
ferocemente sperassimo
sperassimo con le pietre
e gli alberi e il grano sotto la neve
e gridessimo con la carne e il sangue
con gli occhi e le mani e il sangue;
sperassimo con tutte le viscere
con tutta la mente e il cuore
Lui solo sperassimo;
oh se sperassimo tutti insieme
con tutte le cose
sperassimo Lui solamente
desiderio dell'intera creazione;
e sperassimo con tutti i disperati
con tutti i carcerati
come i minatori quando escono
dalle viscere della terra,
sperassimo con la forza cieca
del morente che non vuol morire,
come l'innocente dopo il processo
in attesa della sentenza,
oppure con il condannato
avanti il plotone d'esecuzione
sicuro che i fucili non spareranno;
se sperassimo come l'amante
che ha l'amore lontano
e tutti insieme sperassimo,
a un punto solo
tutta la terra uomini
e ogni essere vivente
sperasse con noi
e foreste e fiumi e oceani,
la terra fosse un solo
oceano di speranza
e la speranza avesse una voce sola
un boato come quello del mare,
e tutti i fanciulli e quanti
non hanno favella
per prodigio
a un punto convenuto
tutti insieme
affamati malati disperati,
e quanti non hanno fede
ma ugualmente abbiano speranza
e con noi gridassero
astri e pietre,
purché di nuovo un silenzio altissimo
- il silenzio delle origini -
prima fasci la terra intera
e la notte sia al suo vertice;
quando ormai ogni motore riposi
e sia ucciso ogni rumore
ogni parola uccisa
- finito questo vaniloquio! -
e un silenzio mai prima udito
(anche il vento faccia silenzio
anche il mare abbia un attimo di silenzio,
un attimo che sarà la sospensione del mondo),
quando si farà questo
disperato silenzio
e stringerà il cuore della terra
e noi finalmente in quell'attimo dicessimo
quest'unica parola
perché delusi di ogni altra attesa
disperati di ogni altra speranza,
quando appunto così disperati
sperassimo e urlassimo
(ma tutti insieme
e a quel punto convenuti)
certi che non vale chiedere più nulla
ma solo quella cosa
allora appunto urlassimo
in nome di tutto il creato
(ma tutti insieme e a quel punto)
VIENI VIENI VIENI, Signore
vieni da qualunque parte del cielo
o degli abissi della terra
o dalle profondità di noi stessi
(ciò non importa) ma vieni,
urlassimo solo: VIENI!

Allora come il lam po guizza dall'oriente
fino all'occidente così sarà la sua venuta
e cavalcherà sulle nubi;
e il mare uscirà dai suoi confini
e il sole più non darà la sua luce
né la luna il suo chiarore
e le stelle cadranno fulminate
saranno scosse le potenze dei cieli.

E lo Spirito e la sposa dicano: Vieni!
e chi ascolta dica: vieni!
e chi ha sete venga
chi vuole attinga acqua di vita
per bagnarsi le labbra
e continuare a gridare: vieni!

Allora Egli non avrà neppure da dire
eccomi, vengo - perché già viene.

E così! Vieni Signore Gesù,
vieni nella nostra notte,
questa altissima notte
la lunga invincibile notte,
e questo silenzio del mondo
dove solo questa parola sia udita;
e neppure un fratello
conosce il volto del fratello
tanta è fitta la tenebra;
ma solo questa voce
quest'unica voce
questa sola voce si oda:

VIENI VIENI VIENI, Signore!
- Allora tutto si riaccenderà
alla sua luce
e il cielo di prima
e la terra di prima
son sono più
e non ci sarà più né lutto
né grido di dolore
perché le cose di prima passarono
e sarà tersa ogni lacrima dai nostri occhi
perché anche la morte non sarà più.
E una nuova città scenderà dal cielo
bella come una sposa
per la notte d'amore
(non più questi termitai
non più catene dolomitiche
di grattacieli
non più urli di sirene
non più guardie
a presiedere le porte
non più selve di ciminiere).

- Allora il nostro stesso desiderio
avrà bruciato tutte le cose di prima
e la terra arderà dentro un unico incendio
e anche i cieli bruceranno
in quest'unico incendio
e anche noi, gli uomini,
saremo in quest'unico incendio
e invece di incenerire usciremo
nuovi come zaffiri
e avremo occhi di topazio:

quando appunto Egli dirà
"ecco, già nuove sono fatte tutte le cose"

allora canteremo
allora ameremo
allora allora...

MARANATHA', VIENI SIGNORE GESU'!

avventoattesa

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002