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TESTO

1. Inizia un altro giorno

Madeleine Delbrel, Il piccolo monaco, Gribaudi editore, Torino, 1990

Gesù vuol vivere in me. Lui non si è isolato.
Ha camminato in mezzo agli uomini.
Con me cammina tra gli uomini d'oggi.
Incontrerà
ciascuno di quelli che entreranno nella mia casa,
ciascuno di quelli che incrocerò per la strada,
altri ricchi come quelli del suo tempo, altri poveri,
altri eruditi e altri ignoranti,
altri bimbi e altri vegliardi,
altri santi e altri peccatori,
altri sani e altri infermi.
Tutti saranno quelli che egli è venuto a cercare.
Ciascuno, colui che è venuto a salvare.
A coloro che mi parleranno, egli avrà qualche cosa da dire.
A coloro che verranno meno, egli avrà qualche cosa da dare.
Ciascuno esisterà per lui come se fosse il solo.
Nel rumore egli avrà il suo silenzio da vivere.
Nel tumulto, la sua pace da portare.
Gesù, in tutto, non ha cessato di essere il Figlio.
Vuole in me rimanere legato al Padre.
Dolcemente legato,
ogni secondo,
sospeso su ciascun secondo,
come un sughero sull'acqua.
Dolce come un agnello
di fronte a ogni volontà del Padre.
Tutto sarà permesso in questo giorno che viene,
tutto sarà permesso ed esigerà che io dica il mio sì.
Il mondo dove Lui mi lascia per esservi con me
non può impedirmi di essere con Dio;
come un bimbo portato sulle braccia della madre
non è meno con lei
per il fatto che lei cammina tra la folla.

Gesù, dappertutto, non ha cessato d'essere inviato.
Noi non possiamo esimerci d'essere,
in ogni istante,
gli inviati di Dio nel mondo.
Gesù in noi, non cessa di essere inviato,
durante questo giorno che inizia,
a tutta l'umanità, del nostro tempo, di ogni tempo,
della mia città e del mondo.

Attraverso i fratelli più vicini ch'egli ci farà
servire amare salvare,
le onde della sua carità giungeranno
sino in capo al mondo,
andranno sino alla fine dei tempi.

Benedetto questo nuovo giorno che è Natale per la terra,
poiché in me Gesù vuole viverlo ancora.

discepolisequelatestimonianzaamorecaritàGesù

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 28/12/2016

TESTO

2. Si lavò le mani

Amici della Zizzi, Commento al Vangelo

"Si lavò le mani".
Quante volte davanti alle ingiustizie ci siamo lavati le mani come ha fatto Ponzio Pilato?
Quante volte abbiamo visto un barbone per la strada dormire sotto i cartoni ed abbiamo detto: "Qualcuno ci penserà, non è affar mio".
Quante volte abbiamo saputo di un bambino in una brutta situazione ed abbiamo detto: "Lo prenda un'altra famiglia, non la mia".
Quante volte abbiamo visto qualcuno soffrire e non lo abbiamo aiutato dicendo che non è affar nostro?

Basterebbe che ognuno di noi si preoccupasse di una sola persona povera o abbandonata per cambiare la sua vita ed il mondo che ci circonda.
"Non è affar mio", ed allora chi si dovrebbe occupare dei bambini abbandonati, dei poveri, degli emarginati?
Lo stato? Ma chi è lo stato se non noi? Ok, allora che se ne occupino le istituzioni, ma con quali soldi se già a stento funzionano ospedali, scuole ed uffici pubblici? Disposti a raddoppiare le tasse per aiutare chi soffre? Ma non è una questione di soldi, è una questione di cuore, di amore. Un bambino che è stato picchiato dalla sua mamma, violentato dal suo papà, denutrito da quando è nato, un bambino che ha visto la sorella prostituirsi nel letto vicino al suo tutte le sere, che ha visto i drogati entrare in casa sua per comprare una dose... secondo voi ha bisogno dei vostri soldi o di quelli dello stato? Ha bisogno di una struttura che lo accolga, diventi un numero ed una volta raggiunta una certa età (spesso 13/14 anni) venga mandato via, che viva sempre con il pensiero che possa essere mandato via, che non abbia punti di riferimento perché gli educatori che nella struttura interagiscono con lui lo fanno per lavoro e come ogni mestiere hanno orari, ferie, licenziamenti, opportunità migliori per le quali andarsene?
Ma secondo voi come può crescere un bambino in tal modo?
Di cosa hanno bisogno i vostri figli? Li mandereste in una struttura del genere? Le comunità educative devono esserci perché ci sono ragazzi troppo difficili da poter essere inseriti in una famiglia, ma ci sono migliaia di bambini (un milione e trecentomila è la stima dei bambini che necessitano di aiuto nella nostra bella Italia) che hanno bisogno del cuore di una mamma e di un papà "puliti". Due genitori che amino quel bimbo come loro stessi. A noi è andata così. Noi ci hanno amato, ci hanno accudito, ci hanno educato. Ma se fossimo nati per la strada? Se fossimo nati in una famiglia disgraziata quale sarebbe stato il nostro desiderio più grande? Quale il nostro sogno? Avere una famiglia che ci amasse.
Ecco, questo è il loro sogno, il loro desiderio. Aprite il vostro cuore ad un bambino in affido, date loro quell'amore che vi è stato donato da piccoli, offritegli quel calore che vorreste fosse elargito ai vostri figli se per qualche motivo voi non poteste più dare.
E' Pasqua, un periodo in cui si dovrebbe pensare riflettere di più, un momento in cui ci si scambia gli auguri di pace.
Il mio augurio è che possiate sporcarvi le mani per aiutare qualcuno, ma non dandogli un euro per tacitare la vostra coscienza, ma dandogli il vostro amore, ascoltando le loro pene.
Prendere un bambino in affidamento, accogliere un fanciullo nella propria casa non è difficile.
Noi siamo a vostra disposizione e scommettiamo su di voi. Chi dice "non ho le capacità" è un bischero. Tutti noi abbiamo la capacità di fare qualsiasi cosa, basta volerlo, basta non aver paura della strada spesso in salita.
Chi si incamminerà verso l'aiuto per il prossimo, specie per un bambino, avrà l'appoggio del Signore e riceverà tanto di quell'amore da quel ragazzo che il cuore vi scoppierà dalla gioia e direte a voi stessi "...lo avessi fatto prima!".

Non lavatevi le mani anche voi come fanno in tanti.
Lasciatevi coinvolgere dall'amore e ne riceverete in cambio molto più di quello che mai avreste potuto sperare.

genitorifigliadozioneaffidodisponibilitàaffettocalore

5.0/5 (1 voto)

inviato da Riccardo Ripoli, inserito il 28/04/2012

TESTO

3. Ave Maria   3

Carlo Carretto, Beata te che hai creduto

Una sera tentai il discorso con Maria.
Mi era così facile!
Le volevo così bene!
Maria, dimmi come è andata? Raccontalo a me come l'hai raccontato a Luca l'evangelista.

Tu lo sai, mi disse, perché conosci il Vangelo.
È stato tutto molto bello!
lo vivevo a Nazaret in Galilea e la mia vita era la vita di tutte le ragazze del popolo: lavoro, preghiera, povertà, molta povertà, gioia di vivere e soprattutto speranza nelle sorti di Israele.
Abitavo con Anna, mia madre, in una casetta molto semplice che aveva un cortile davanti ed un gran muro di cinta fatto apposta perché noi donne ci sentissimo in libertà ed intimità.
Lì sostavo sovente per lavorare e pregare. In me l'una e l'altra cosa si mescolavano ed ero piena di pace e di gioia.
Quel giorno ero sola nel piccolo cortile e una gran luce mi avvolgeva.
Pregavo, seduta su uno sgabello. Tenevo gli occhi socchiusi e sentivo una gioia invadermi tutta.
La luce aumentava ed io incominciai a socchiudere le palpebre che avevo chiuso per non restare abbacinata.
Ero contenta di lasciarmi riempire di quella luce. Mi pareva il segno della presenza di Dio che mi avvolgeva come un manto. Ad un tratto quella luce prese l'aspetto di un angelo. Ho sempre pensato agli angeli così come lo vidi in quel momento.
Tu sai com'è la questione della fede. Non sai mai se la visione è dentro o fuori.
È certamente dentro perché se fosse solo fuori potresti dubitare come fosse un'illusione.
Ma dentro l'illusione non c'è, è così, sai che è così: ne è testimone Dio.
lo stavo molto ferma per paura che tutto scomparisse.
E invece l'Angelo parlò. Anche qui: non sai mai se la voce la senti nell'orecchio o più in profondo.
Certamente in profondo perché se fosse solo nell'orecchio potresti illuderti.
La voce la senti là dove lo stesso Dio è il testimone.
E che ti disse?
Mi disse: Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te.
E tu che provasti?
È evidente che ne fui turbata. Era come se fossi visitata da cose troppo grandi per me e per la mia dimensione così piccola.
Tu puoi pensare alle cose di Dio con immenso desiderio ma quando ti toccano non puoi non spaventarti.
Difatti mi disse subito.
«Non temere, Maria» (Luca 1,30).
Mi feci coraggio perché la stessa frase l'avevo sentita alla Sinagoga quando si leggeva la storia di Abramo.
«Non temere, Abramo. lo sono il tuo scudo» (Genesi 15, 1).
Poi l'Angelo mi diede l'annuncio della maternità con poche parole ma così chiare che avevo l'impressione mi stessero nascendo dentro. Non mi era mai capitato di sentire parole come fossero avvenimenti.
Dimmi, Maria, sei stata colta di sorpresa? Non avevi mai pensato prima che tu... proprio tu...
Oh sì! Ci avevo pensato. Noi ragazze ebree non pensavamo ad altro. Sentivamo che i tempi erano quelli e quando pregavamo nella Sinagoga, l'aria era satura di attesa del Messia.
Che hai capito quando l'angelo ti disse che eri tu la scelta e che il Messia sarebbe nato da te?
Capii esattamente cosa voleva dirmi, e rimasi soltanto stupita della straordinarietà della cosa. Com'era possibile se io ero vergine?
L'Angelo mi spiegò le cose e mi fu facile accettarle perché mi sentivo immersa in Dio come in quella luce vivissima del mezzogiorno.
Confusamente capii anche che pasticci ce ne sarebbero stati, che non sarei riuscita a spiegarmi con mia madre, specialmente col mio fidanzato Giuseppe, ma non avrei potuto fermarmi tanta era forte la presa di Dio su di me e tanta era la certezza che mi veniva dalle parole dell'Angelo.
«Nulla è impossibile a Dio
nulla è impossibile a Dio
nulla è impossibile a Dio» (Luca 1,37). Adagio, adagio la luce diminuì e non vidi più l'Angelo.
Vidi mia madre Anna attraversare il cortile e mi venne voglia di parlarle, ma non ne fui capace perché non trovai le parole adatte.
Capii subito che non c'erano parole con cui potevo spiegare le cose.
Così nei giorni che seguirono, anzi, più andavo avanti e più diventavo silenziosa.

Fu più difficile il discorso con Giuseppe, mio fidanzato.
Tu sai come avvenivano le cose nelle nostre tribù. La sposa veniva promessa molto presto. Era come un patto tra famiglie.
Ma essendo così giovane la futura sposa continuava a vivere in famiglia in attesa della maturità.
Allora con grande festa, di notte, si compiva lo sposalizio e lo sposo accompagnato dai suoi amici veniva con tante luci e canti e gioia a prendere la sua sposa ed a condurla a casa. Da quel momento si era veramente sposati.
Quando l'Angelo mi apparve per annunciarmi la maternità, io ero ancora in casa. Ero stata promessa a Giuseppe ma non ero ancora andata ad abitare con lui.
Bastarono pochi mesi perché tutto divenisse complicato agli occhi degli uomini. lo non potevo nascondere la mia maternità e il mio ventre mi denunciava.
Capii allora cos' era la fede oscura, dolorosa.
Come potevo spiegarmi con mia madre?
Come potevo discutere col mio fidanzato Giuseppe?
Vissi tempi veramente dolorosi e l'unico conforto mi veniva nel ripetere: «Tutto è possibile a Dio, tutto è possibile a Dio».
Toccava a Lui spiegarsi ed io avevo tanta confidenza. Ma ciò non toglieva la mia sofferenza che in certi momenti mi straziava l'anima.
Come potevo trovare le parole per dire che quel bimbo che portavo in seno era il figlio dell'Altissimo?
Intanto non osavo più uscire di casa ed una volta vidi una vicina guardarmi da sopra il muro del cortile con evidente attenzione puritana.
Ci furono dei momenti terribili ed io tremai al pensiero di essere denunziata come adultera.
Ci voleva così poco. Bastava che Giuseppe andasse alla Sinagoga a spiegare la cosa e non gli sarebbero mancati gli zelanti che l'avrebbero seguito con le pietre per lapidarmi. Non era la prima volta che a Nazaret veniva uccisa un'adultera.
Ma è vero: «Dio può tutto». E si spiegò lui.
Si spiegò con Giuseppe per primo che mi disse di avere avuto un sogno veramente straordinario e che non aveva perduto la confidenza in me e che mi avrebbe sposata lo stesso.
Che gioia quando me lo disse!
Ma che paura avevo provato! Che oscurità!
Sì, il fatto mi aveva spiegato che la fede è di quella natura e che dobbiamo abituarci a vivere nell'oscurità.

Ci fu anche un fatto straordinario che alleviò le mie pene in quei mesi.
Tu sai che l'Angelo mi aveva dato un segno per aiutare la mia debolezza. Mi aveva detto che mia cugina Elisabetta era al sesto mese di una maternità straordinaria perché tutti noi della famiglia sapevamo che era sterile.
Dovevo andare a trovarla in Giudea ad Ain-Karim dove abitava.
Non mi feci pregare a partire.
L'idea venne a mia madre perché era preoccupata che la gente del paese mi vedesse con quel ventre grosso e non voleva dicerie.
Partii di notte, ma così contenta di allontanarmi da Nazaret dove c'erano troppi occhi indiscreti e non potevo raccontare a tutti le mie faccende.
Trovai mia cugina già vicina al parto e così felice, poverina! Aveva aspettato tanto un figlio!
Il Signore si era spiegato anche perché quando giunsi fu come se sapesse
tutto!
tutto!
tutto!
Si mise a cantare per la gioia ed io cantavo con lei.
Sembravamo due pazze, ma pazze di amore.
E c'era un terzo che sembrava impazzito di gioia.
Era il piccolino, il futuro Giovanni che danzava nel ventre di Elisabetta come per fare festa a Gesù che era nel mio.
Furono giorni indimenticabili.
Ma Elisabetta, che se ne intendeva di fede e di fede oscura e che aveva tanto sofferto nella vita, mi disse una cosa che mi fece piacere e che fu come il premio a tutta la mia solitudine di quei mesi.
«Beata te che hai creduto» (Luca 1,44). E me lo ripeteva tutte le volte che mi incontrava e mi toccava il ventre, come per toccare Gesù, il nuovo Mosè che stava per venire al mondo.

Il fuoco con cui avevo cotto il pane si stava spegnendo. La notte era già alta e mi sentii solo.
La presenza di Maria ora era nel rosario che avevo in mano e che mi invitava a pregare.
Sentivo freddo e mi avvolsi nel «bournous» (Mantello arabo di lana di pecora) che avevo con me.
L'oscurità divenne totale ma non avevo nessuna voglia di addormentarmi.
Volevo gustare la meditazione che Maria mi aveva regalata.
Soprattutto volevo entrare con dolcezza e forza nel mistero della fede, la vera, quella dolorosa, oscura, arida.
Oh no! Non è facile credere, è più facile ragionare.
Non è facile accettare il mistero che ti supera sempre e che ti allarga sempre i limiti della tua povertà.
Povera Maria!
Dover credere che quel bimbo che portava in seno era figlio dell'Altissimo. Sì, è stato semplice concepirlo nella carne, estremamente più impegnativo concepirlo nella fede! Quale cammino!
Eppure non ne esiste un altro. Non c'è altra scelta.
Vuoi tu, Maria, spaventata dal credere, tornare indietro, pensare che non è vero, che è inutile tentare, che è una illusione quella di un Dio che si fa uomo, che non c'è Messia di salvezza, che tutto è un caos, che sul mondo domina l'irrazionale, che sarà la morte a vincere sul traguardo e non la vita?
No!
Se credere è difficile, non credere è morte certa.
Se sperare contro ogni speranza è eroico, il non sperare è angoscia mortale.
Se amare ti costa il sangue, non amare è inferno.
Credo, Signore!
Credo perché voglio vivere.
Credo perché voglio salvare qualcuno che affoga: il mio popolo.
Credo perché quella del credere è l'unica risposta degna di te che sei il Trascendente, l'Infinito, il Creatore, la Salvezza, la Vita, la Luce, l'Amore, il Tutto.
Che cosa strana per non dire meravigliosa: appena ho detto con tutte le viscere la parola «credo» ho visto la notte farsi chiara.
Ora chiudo gli occhi perché è proprio lei la notte che mi abbaglia con la sua luce al di là di ogni luce.
Sì, nulla è più chiaro di questa notte oscura, nulla è più visibile dell'invisibile Dio, nulla è più vicino di questo infinitamente lontano, nulla è più piccolo di questo infinito Iddio.
Difatti è riuscito a stare nel tuo piccolo seno di donna, Maria, e tu l'hai potuto scaldare col tuo corpicino bello.
Maria! Sorella mia!
Beata te che hai creduto, ti dico stasera con entusiasmo, come te lo disse tua cugina Elisabetta, in quel vespero caldo ad AinKarim.

crederefedenataleincarnazioneMaria

5.0/5 (3 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 09/12/2011

TESTO

4. Caro Gesù bambino, non ti chiedo...

Liana Paciaroni

Caro Gesù bambino,
il nostro sacerdote mi ha chiesto una preghiera speciale per questo giorno speciale...
Ma io non so dove cominciare perché sia davvero degna di te.
Caro Gesù bambino,
non ti chiedo che ogni bimbo possa avere un bacio dalla sua mamma,
ma che ogni mamma con un bacio possa trasmettere ad ogni bimbo il grande amore che nutre per lui.
Non ti chiedo che le coppie in rottura possano riappacificarsi,
ma che ognuno possa amare i difetti del compagno arrivando a fare della felicità dell'altro lo scopo di una vita insieme.
Non ti chiedo che i bambini non siano più vittime di pedofilia e le donne non più vittime di violenza,
ma che il sesso esista solo come massina espressione dell'amore fra due sposi.
Non ti chiedo che i giovani di oggi non siano più sballati dall'alcool e dalla polvere bianca,
ma che possano scoprire i valori essenziali della vita,
aiutandosi con amore fraterno nella scuola, nel lavoro e nel divertimento.
Non ti chiedo che i paesi più poveri possano avere cibo per sopravviere ,
ma che l'amore generoso dei popoli ricchi li aiutino a crescere in una vita accettabile e dignitosa.
Non ti chiedo che finiscano le guerre e le lotte fra gli stati,
ma che tutti i popoli imparino ad accettarsi nelle loro differenze politiche e sociali e ad amarsi proprio perché diversi, ma tutti speciali.
Non ti chiedo che gli anziani, guardandosi indietro, vedano una vita di capitali e di successo,
ma che scoprano di aver tanto amato il prossimo.
Non ti chiedo un mondo perfetto e bellissimo,
ma che ognuno di noi sappia renderlo tale
amando lo splendore della natura che ci hai donato, il bagliore del sole che hai creato, lo sguardo di chi ci hai messo nella tortuosa strada della nostra esistenza.
Non ti chiedo di non essere attaccati ai beni materiali,
tu stesso ti sei fatto materia per noi,
ma che ogni uomo possa comprendere e attendere
qualcosa di più importante e prezioso oltre il materiale
perché la nostra vita non sia nauseante e vuota
ma abbia mille motivi per essere pienamente vissuta.
Caro Gesù bambino,
non so se la mia preghiera ti piace
ma io riesco a chiederti solo amore.
Quell'amore perfetto e totale che proprio tu ci hai insegnato
ma che per noi è tanto difficile da capire.
Quel sentimento così importante da essere il perno di ogni esistenza,
da essere quel battito in più che muove ogni cuore.
L'amore per l'uomo, per la società, per la comunità della Chiesa, per la comunità degli uomini, l'amore per il Signore nostro Dio, il Creatore e il Redentore.
Caro Gesù bambino,
ti prego,
perché il mondo possa finalmente cambiare
insegnaci ad amare.
Ma di un amore che sia solo tanta gioia di donare,
incuranti di ricevere.

preghieraamore

inviato da Liana Paciaroni, inserito il 21/11/2009

TESTO

5. Cristo all'Onu   1

Spinto dalla folla stanca
Cristo arrivò al palazzo dell'Onu.
Aveva la faccia stanca del disoccupato,
il passo incerto del profugo,
le spalle curve del minatore,
l'occhio triste dell'emigrato,
le mani incerte dell'uomo del sud,
l'occhio assente del drogato,
il cuore assetato del giovane.
Non era raccomandato da nessuno,
solo il pianto degli umili lo spingeva,
la giustizia per i deboli era la sua forza.
Bussò...c'era il veto,
per lui gli uomini non erano liberi;
sulla soglia della civiltà trovò la barbarie.
Lesse i diritti degli uomini, ne ebbe compassione.
L'uomo ha diritto alla vita...
e un bimbo palestinese gli disse che non era vero.
L'uomo ha diritto all'istruzione...
e un campesino gli disse che non era vero.
L'uomo ha diritto alla pace...
e una vedova di guerra gli disse che non era vero.
L'uomo ha diritto alla famiglia...
e un ragazzo disadattato gli chiese
che cosa significassero quelle parole.
L'uomo ha diritto al vestito...
e un barbone moriva di freddo
fra porpore e tessuti firmati.
L'uomo ha diritto alla libertà...
un'afgano si mise a piangere.
L'uomo ha diritto alla verità...
e un sorriso ironico risuonò
all'interno del Palazzo, dei molti Palazzi.
Cristo scese dal Palazzo di vetro.
Quando la folla gli chiese il risultato della visita,
allargò le braccia:
era ancora crocifisso come il venerdì santo.
Poi la folla dileguò...pioveva...
...Cristo rimase là, sotto la pioggia, come tanti altri;
nessuno si fermò,
nessuno lo invitò a salire in macchina.
Oggi è ancora là.
Quando gli passeremo davanti ci fermerà
e cercherà di farci capire
che anche tu, anche io
siamo colpevoli di averlo crocifisso nel mondo di oggi,
fuori dal palazzo di vetro,
a New York, a Londra, a Roma, a Mosca...
forse anche a casa tua,
nel tuo cuore,
nella tua gente,
nella nostra gente.

stranieroaccoglienza

inviato da Vincenzo Pasqualucci, inserito il 02/06/2009

TESTO

6. La vita

La vita è come un soffio di vento, che soffia, ti attraversa e va via lontano... E mentre ti attraversa, ti leva le gioie, i dolori, le sensazioni e le situazioni che hai dentro e le porta via con se... Non illuderti di poter cambiare la vita, perché sarà lei a cambiare te... Ti plasmerà a suo piacimento, sarai come argilla nelle mani di uno scultore...

La vita è qualcosa che ti brucia dentro, che brucia senza sosta e ti consuma... Tu puoi viverla bene o male, ma l'importante è che non lasci mai spegnere quella fiamma... perché se l'avrai alimentata bene, continuerà a bruciare anche dopo la tua morte, per i secoli dei secoli, o forse anche di più...

La vita è quella cosa che non sai cos'è, ma sai che c'è; c'è nell'aria, c'è stasera... E se saprai usarla, se saprai tramandare quella tua voglia di vivere, quelle tue opere, anche se chi ti è nemico ti ucciderà, ucciderà quel tuo corpo, tu morirai con il sorriso sulle labbra, perché saprai che la tua vita non è stata sprecata...infatti la tua voce calda e accogliente, i tuoi meravigliosi occhi che ispirano allegria a chiunque li guardi, continueranno a rivivere, negli occhi e nella voce di chi come te ha fatto della sua vita uno strumento...E se il nemico che sicuramente incontrerai riuscirà per un attimo ad offuscare i tuoi bei pensieri beh allora pensa ad una giornata al mare, ad un gelato al cioccolato, alla faccia di quella figlia che non hai avuto, alla felicità, alla vita stessa...e vola lontano, sui campi di grano e non chiederti il perché... Vai dove la vita ti porta... Dove quella brezza leggera, calma ma continua, ti spinge... Lasciati andare...

Seconda stella a destra questo è il cammino e poi dritto fino al mattino; poi la strada la trovi da te, porta all'isola, l'isola che non c'è... No. Fai tutto ma non questo. Non illuderti che possa esistere un mondo dove c'è solo il bello ed il buono... Perché sul più bello ricadrai sulla dura realtà e ti farai male, molto più male di quanto tu possa pensare... Perché la vita è la vita, non la puoi cambiare, la puoi vivere, quello sì, ma non cambiare...

E quando tutto sembra abbandonarti, pensa a quelle persone che avrebbero voluto vivere anche solo un istante in più, per dire "andrà tutto bene", "ti amo" oppure solamente "arrivederci"; ma non hanno potuto... Pensa al male che c'è nel mondo, può sembrare strano ma ti sentirai meglio.

Poi penserai a quanto pesano le lacrime. Sì. Perché le lacrime di un bambino capriccioso pesano meno del vento, ma quelle di un bimbo affamato, più di tutta la terra... E se pensi a questo ti viene una gran voglia di vivere la vita... E scoprirai che è proprio questo lo scopo... Vivi la vita!!

vita

inviato da Giuseppe Nesi, inserito il 02/06/2009

TESTO

7. Inizia un altro giorno

Madeleine Delbrêl, Il piccolo monaco, Gribaudi ed, Torino, 1990

Gesù vuol viverlo in me. Lui non si è isolato.
Ha camminato in mezzo agli uomini.
Con me cammina tra gli uomini d'oggi.

Incontrerà
ciascuno di quelli che entreranno nella mia casa,
ciascuno di quelli che incrocerò per la strada,
altri ricchi come quelli del suo tempo, altri poveri,
altri eruditi e altri ignoranti,
altri bimbi e altri vegliardi,
altri santi e altri peccatori,
altri sani e altri infermi.
Tutti saranno quelli che egli è venuto a cercare.
Ciascuno, colui che è venuto a salvare.
A coloro che mi parleranno, egli avrà qualche cosa da dire.
A coloro che verranno meno, egli avrà qualche cosa da dare.
Ciascuno esisterà per lui come se fosse il solo.
Nel rumore egli avrà il suo silenzio da vivere.
Nel tumulto, la sua pace da portare.
Gesù, in tutto, non ha cessato di essere il Figlio.
Vuole in me rimanere legato al Padre.
Dolcemente legato,
ogni secondo,
sospeso su ciascun secondo,
come un sughero sull'acqua.
Dolce come un agnello
di fronte a ogni volontà del Padre.
Tutto sarà permesso in questo giorno che viene,
tutto sarà permesso ed esigerà che io dica il mio sì.
Il mondo dove Lui mi lascia per esservi con me
non può impedirmi di essere con Dio;
come un bimbo portato sulle braccia della madre
non è meno con lei
per il fatto che lei cammina tra la folla.

Gesù, dappertutto, non ha cessato d'essere inviato.
Noi non possiamo esimerci d'essere,
in ogni istante,
gl'inviati di Dio nel mondo.
Gesù in noi, non cessa di essere inviato,
durante questo giorno che inizia,
a tutta l'umanità, del nostro tempo, di ogni tempo,
della mia città e del mondo.

Attraverso i fratelli più vicini ch'egli ci farà
servire amare salvare,
le onde della sua carità giungeranno
sino in capo al mondo,
andranno sino alla fine dei tempi.

Benedetto questo nuovo giorno che è Natale per la terra,
poiché in me Gesù vuole viverlo ancora.

missioneresponsabilitàtestimonianzaevangelizzazione

4.5/5 (2 voti)

inviato da Anna Barbi, inserito il 25/08/2006

TESTO

8. A te che soffri   2

A te che in questo momento stai soffrendo: ti chiedo di essere forte, di scoprire la luce che brilla nella tua anima. Sentiti avvolto dalla mia grazia che mai ti abbandona, il mio sguardo è su di te e ti amo infinitamente. Dalla croce pesante del tuo dolore grida il tuo amore verso di me, non perderti d'animo, colora la tua esistenza con i pastelli più incisivi, sappi scoprire la bellezza di essere un vero prodigio e non temere mai nulla, Io ti sono sempre vicino, ti sostengo e guido i tuoi passi dovunque tu andrai... a volte comprendo che ti senti solo e perso tra le mura di un ospedale o della tua casa, ma sappi che io sono seduto accanto a te, ti sussurro all'orecchio dolci parole, ti parlo come ad un amico, a un fratello, a un bimbo... sei una persona splendida per me e mai ti dimenticherò... sei nel mio cuore, ricco di amore e di tenerezza, a volte pensi che sia io a farti soffrire ma come potrei? ti ho fatto di poco inferiore agli angeli, di gloria e di onore ti ho coronato, come potrei farti tutto questo e come mi potrei dimenticare di te?

Figlio mio carissimo, da tempo ho fissato i miei occhi su di te, sei amabile e ricco di tenerezza, soffro con te e per te, vivo con te il dolore che ti consuma e ti stringe dentro l'anima, ma tu sii forte, sii tenace nella tua impresa e a tutti devi saper donare un sorriso, anche quando ti costa... vedo anche come vivi la terapia, il disagio per le tante prestazioni che devi subire, ma abbandonati a me e non temere mai nulla, come un bimbo stretto tra le braccia della sua tenerissima madre, tale sei tu, stretto nell'abbraccio del mio amore e mai ti abbandonerò, perché so che tu mi sai ascoltare, mi sai amare...figlio mio tenerissimo, ho un amore speciale per te, credimi, come la pupilla dei miei occhi, così voglio proteggerti e stringerti a me...

Consegnami il tuo cuore, la tua anima, la tua persona e lasciati abitare dalla mia grazia, solo così potrai essere la mia dimora, abiterò in te e farò di te un raggio della mia presenza..

Grazie di quanto ogni giorno mi regali, grazie di ogni sorriso nella sofferenza e grazie perché nonostante tanto dolore, sai guardare a me con grande amore e speranza...

Tuo Padre Dio

sofferenzaabbandono in Diodolorecroce

inviato da Don Gianni Mattia, inserito il 08/12/2005

TESTO

9. Dolcezza senza spine

Ai tiepidi raggi del sole pomeridiano trionfavano per tutto il bosco i colori dell'autunno e Mirella, una giovanissima castagna ancora ben chiusa nel suo riccio, se li godeva compiaciuta, dondolandosi con sicurezza in cima al ramo più alto del Castagno Valerio.

«Che vista fantastica!», pensava tra sé, contemplando le pendici del monte e l'intera vallata baciata dal sole autunnale; «Un panorama meraviglioso, davvero meraviglioso...», sussurrava estasiata.

- Mai quanto te! - mormorò una voce suadente che proveniva dal basso; Mirella si chinò per vedere chi avesse parlato e scorse la Vespa Rachele, che con il suo inconfondibile ronzio le fu rapidamente accanto.

- Guarda che spine, che magnifiche spine! Mai visto un riccio come il tuo! Spine aguzze come punte di lancia, affilate come spade, fitte come un esercito schierato a battaglia! Altro che il mio pungiglione! La tua sì che è una bella difesa, una vera corazza! Abbine sempre cura e tientela cara: sia questo il tuo tesoro e il tuo vanto! - e con la stessa fulminea rapidità con cui era comparsa, sfrecciò via ronzando.

Mirella rimase un po' perplessa: da quando era nata non aveva fatto altro che guardarsi attorno, ammirando una dopo l'altra le infinite meraviglie di cui di giorno in giorno si scopriva circondata. Non aveva mai badato al suo riccio, né si preoccupava di come fossero le sue spine. Ora però, lusingata dai complimenti di Rachele, cominciò a farci caso e nel giro di breve tempo si convinse di essere effettivamente una gran bella castagna, anzi, forse proprio la più bella tra tutte quelle che Valerio poteva contare sui suoi rami.

«Non a caso abito sui ramo più alto e ricevo per prima il bacio del sole!» - ripeteva tra sé - «Perfino le foglie, per farmi spazio; si stanno ritirando una alla volta, volando via silenziose... certo per permettere a tutti di ammirare meglio me!», concludeva convinta.

- Attenta, figlia mia! - la riprese un giorno babbo Valerio - Bada bene di non montare in superbia! Non sei nata per essere ammirata, ma per...

- Ci mancavano solo le prediche del vecchio padre! - lo interruppe brontolando Mirella - Sei proprio incontentabile, papà! Anziché andare orgoglioso di una figlia così bella, ti metti a fare critiche e osservazioni!

Babbo Valerio rimase in silenzio; «Capirà a sue spese quello che non vuole ascoltare da me», pensò addolorato, e con un profondo sospiro rivolse lo sguardo al cielo: fosche nubi si stavano addensando e già oscuravano le cime dei monti vicini. Raffiche di vento gelido si abbatterono ben presto sul bosco, che per tutta la notte fu flagellato da un violento temporale.

Il mattino seguente, Mirella si svegliò contusa e indolenzita. «Dove sono?», si chiese stupefatta guardandosi attorno: si trovava infatti malamente adagiata tra vecchie foglie fradice di pioggia, in mezzo ad una vasta pozzanghera che lambiva le radici del Castagno Valerio.

- Benvenuta tra noi, Mirella! - le disse amichevolmente il Fungo Tebaldo, un porcino grassoccio dall'aria assai cordiale, circondato da una nidiata di figlioletti di varia statura. - Dopo aver sperimentato l'ebbrezza dei rami più alti, era conoscerai anche gli amici della terra!

Mirella si guardò intorno con aria schifiltosa: non era per niente contenta di trovarsi tutta inzaccherata in mezzo al fango e soprattutto temeva per la salute e la bellezza del suo riccio. Senza curarsi di rispondere al fungo Tebaldo si specchiò preoccupata nell'acqua melmosa della pozzanghera. «Ahimè!» - esclamò rabbrividendo - «Cosa mi è successo?». Una profonda ferita aveva spaccato la buccia verdastra del suo amato riccio, lasciando intravedere il guscio d'un bel marrone lucido.

- Niente di grave, piccola! - cercò di rassicurarla il Lombrico Gustavo - È assolutamente normale che una castagna prima o poi esca dal riccio! Non vorrai per caso startene rinchiusa lì dentro per sempre?

- Viscido e molle come sei, ti conviene startene alla larga senza ironizzare sulle mie sventure - ribatté con asprezza Mirella - Altrimenti assaggerai le mie spine e ti passerà la voglia di fare lo spiritoso!

- Via, via. Gustavo non intendeva offenderti - soggiunse la Lumaca Giannina - ma solo tranquillizzarti. E poi, permettimi di dirti con tutta franchezza che saresti molto più bella senza quell'enorme casco spinoso.

- Vuoi dire che quaggiù non vanno di moda le spine? - chiese con interesse Mirella.

- Assolutamente no! Apprezziamo molto di più tutto ciò che è morbido e tenero - intervenne gentilmente Luciana, la moglie del Fungo Tebaldo - e se vuoi un consiglio schiettamente femminile il colore del tuo guscio è così lucido e bello che ci guadagneresti soltanto a metterlo in mostra anziché tenerlo nascosto!

Mirella si lasciò persuadere e pian piano uscì spontaneamente dal riccio, abbandonandolo per sempre. Nel giro di pochi giorni fece amicizia con tutti gli abitanti del Sottobosco ed era certa che la simpatia che le dimostravano fosse dovuta in massima parte alla splendente lucentezza del suo guscio, di cui era assai fiera. Un mattino, però, quando il sole era da poco spuntato e i suoi raggi cominciavano a filtrare tra i rami degli alberi, il silenzio del bosco fu rotto da un insolito calpestio e dal vociare confuso di un gruppo di ragazzi. Erano degli scout e portavano in spalla pesanti zaini, tra le mani invece sporte e cestini. Avanzavano allegramente, cantando e fischiettando e in breve furono nei pressi del Castagno Valerio.

- Alt! Fermi tutti! - gridò il capo scout, poi si curvò ed esclamò compiaciuto: - Che meraviglia, ragazzi! Venite a vedere!

Mirella pensò subito che si trattasse di lei, dell'eccezionale splendore del suo guscio castano, e cominciò a gongolare, immaginandosi già di essere portata a valle ed esposta nella vetrina di qualche prestigiosa boutique di città. «Speriamo che si tratti di una gioielleria...», fantasticava tra sé, ma i suoi sogni di gloria furono drasticamente interrotti quando si accorse che tutti gli scout non si stavano minimamente curando né di lei né del suo guscio, ma unicamente del Fungo Tebaldo.

- È un porcino! - dichiarò con sicurezza il capo e dopo averlo colto delicatamente lo mostrò a tutti i ragazzi, che si affollarono intorno a lui per guardarlo da vicino.

- Avanti, ora! Continuiamo la raccolta! - E subito gli scout si sparpagliarono tra gli alberi facendo a gara a chi raccoglieva più castagne: fu così che anche Mirella finì senza tanti complimenti dentro un canestro di vimini insieme a numerose compagne.

Quella sera, mentre il falò rischiarava coi suoi bagliori la radura dove si erano accampati gli scout, Mirella domandò preoccupata: - Che ne sarà di noi, amiche mie?

- Saremo finalmente liberate! - rispose con gioia Donatella, l'anziana del gruppo.

- Liberate? E da che? Vuoi forse dire che ci lasceranno andare?

- Ma no! Ciascuna di noi sarà finalmente liberata da questo odioso guscio che ci tiene prigioniere impedendoci di essere veramente noi stesse!

- Ma io non mi sento affatto prigioniera! - esclamò inorridita Mirella - E poi non ho nessuna intenzione di perdere il mio guscio: è così bello! Non sono affatto disposta a lasciarlo!

Mentre ancora stava parlando, una ruvida mano raccolse dal canestro una manciata di castagne, tra cui anche lei, e dopo aver aperto un coltellino a serramanico cominciò ad inciderle ad una ad una.

- Ahi! - strillò disperata la povera Mirella, mentre una profonda ferita solcava irrimediabilmente il suo amato guscio. «Sono perduta...» pensava tristemente - «E il peggio è che le mie compagne non mi capiscono! Ci fosse almeno papà Valerio o il Fungo Tebaldo a consolarmi... e invece mi sento così sola».

In quel momento, però, a piangere di malinconia sulla propria solitudine non era solo Mirella: anche Martino, un lupetto di otto anni alle prese con la sua prima uscita di branco, non aveva nessuna voglia di cantare con i compagni seduti attorno al falò e pensava con tanta nostalgia alla sua mamma. Guardava fisso a terra e non alzò gli occhi nemmeno quando si levò un coro di applausi e di gioiose esclamazioni: una padella forata era stata posta sul fuoco con la prima razione di castagne, e tra queste c'era anche Mirella. Alla vista del fuoco e delle scintille, la poveretta rabbrividì di terrore, dicendo per sempre addio al suo caro guscio che nel giro di breve tempo rimase secco e mezzo carbonizzato.

- Coraggio, Martino! - disse amorevolmente Silvana, una dei capi, vedendo la tristezza del suo lupetto e prendendolo in braccio.
- Voglio la mia mamma... singhiozzò lui imbronciato.

- La mamma è contentissima che tu sia qui, Martino! E domani sera, quando la rivedrai, avrai molte cose belle da raccontarle. Per esempio, adesso c'è una sorpresa che ti aspetta.
- Che cos'è? chiese incuriosito Martino.

- Si chiamano caldarroste e sono proprio le castagne che abbiamo raccolto insieme stamattina. Prova ad assaggiarne una!

Il bimbo stese la mano e la prima che gli capitò fu proprio Mirella, che aveva sentito tutto ed era piena di compassione per il povero lupetto. «Come vorrei consolarlo! So benissimo anch'io cosa vuol dire sentirsi soli e tristi!». Così pensando non si accorse nemmeno che Silvana le aveva completamente spaccato e tolto il guscio: non rimaneva altro che la polpa, calda, dorata e fragrante.

- Assaggia, Martino! Sentirai com'è dolce e tenera! Ti piacerà molto più delle palatine e dei pop-corn che ti dà la mamma quando guardi i cartoni animati alla televisione!

Martino non si fece pregare: era la prima castagna che assaporava e gli parve così dolce e gustosa che dimenticò in un baleno tutte le sue malinconie.

- Che buona! - esclamò sorridendo, asciugandosi una lacrima con il dorso della mano. Poi, con gli occhi che scintillavano di gioia al riverbero del falò, si mise a cantare all'unisono con gli altri ragazzi.

E Mirella? Si era ormai completamente dissolta, ma aveva l'impressione che le si fosse sciolto anche quel carico di tristezza che la opprimeva. «Avevi ragione, papà Valerio!» - pensò. - «Non sono nata per essere ammirata, ma... per lasciarmi mangiare!».

E per la prima volta nella sua vita si sentì felice. Veramente felice.

Imparate da me che sono mite e umile di cuore (Mt 11, 29)

consegnarsidono di séamoresacrificio

inviato da Don Silvano Zanella, inserito il 05/10/2004

TESTO

10. Fervore natalizio   1

Melinda Tamàs-Tarr, Osservatorio Letterario, Ferrara e l'Altrove

Le melodie delle voci angeliche
risuonan ancora nel mio cuore
come un dolce accordo finale
a mezzanotte della masse di Natale.
Nel mio povero animo festoso
nasce un inspiegabile sentimento
come se fosse un sussurro del Cielo
per gridar fortemente al Mondo intero:
«È nato il piccolo Bambino Santo
il Salvatore nostro: Gesù Cristo...»

Come da piccola, anche adesso
L'aspetto con gran raccoglimento
calcolando le ore ed ogni minuto
che mi separano dal grande evento.
In tutti gli anni nel periodo d'Avvento
i miei genitori raccontavan col mistero
la storia della nascita di Gesù Bambino
che venne al nostro mondo cattivo
a liberarci e portarci un giorno
dal Buon Padre Eterno nel Suo Impero...
Alla notte della Vigilia in ogni anno
festeggiamo il Suo compleanno
con lo stesso spirito dei Re Magi
ed anche noi riceviamo alcuni doni.
Quando si sente il melodico tintinnio
s'entra nella stanza in cui splende l'albero
ch'è pieno di luci e tante decorazioni,
sotto c'è il Presepe con i nostri regali.

Che magia si sente nel nostro animo
davanti a questo splendido albero
ed i nostri occhi si fermano sul viso
dell'unico festeggiato: Bambin Divino...
Tutto questo è un bel mondo fatato:
s'ha paura anche a prender un respiro
per non rompere quest'incantesimo
che ha assediato il nostro spirito,
si ha l'impressione del Gran Paradiso
d'esser circondati d'un coro angelico...

È arrivato il momento della preghiera
poi recitare una sacra canzoncina
in cui lodiamo il piccolo Bimbo Santo...
«È arrivata finalmente l'aspettata notte,
ed in alto splendono le luci delle stelle,
l'albero del nostro Gesù bambino
l'hanno portato gli Angeli del Cielo.
Ti ringraziamo Bambino di Betlemme
per il grand'amore del Tuo Cuore
e con il coro d'Angeli del Cielo
il Tuo Santo Nome oggi lodiamo.
Anche se passerà questo natale
Resta sempre con noi, per favore,
Ti ringraziamo d'amare ancora
questa nostra piccola famiglia!...»

II^ classificata al Concorso «Natale a Vada 1995» dell'Accademia Italiana «Gli Etruschi», 1995. Dalla p. 233 dell'Antologia «La gatta sul divano», Edizione Lisi, 1996. e dall'Osservatorio Letterario - Ferrara e l'Altrove.

natale

4.0/5 (1 voto)

inviato da Melinda TamàS-Tarr, inserito il 27/07/2004

TESTO

11. I colori della pace

Gianni Fanzolato

Dio ha creato l'acqua
la terra e il cielo,
e li ha adornati
con una creatura
che gli assomigliava.
La pace invece
l'ha affidata al Vento
e il Vento l'ha deposta fra gli alberi,
ed era un libro,
fatto di Parole,
ed era la Parola.
Passò una donna
e lo vide fra le margherite,
sospinta dal Vento
se lo strinse al seno
e abbracciò un bambino,
un libro di Parole,
un bimbo di colori.
E sfogliò quel libro
quella donna,
ogni pagina un colore.
La prima pagina è bianca,
come le nevi eterne delle cime,
perché la pace è in alto,
è pura e immacolata,
perché la pace è Dio.
Rossa è la seconda pagina
come la fiamma del roveto ardente,
perché la pace è fuoco,
brucia, riscalda e fonde,
perché la pace è Dio.
La terza pagina ha il color del prato,
verde come una gemma preziosa,
perché la pace è fatta di speranze,
è ornata da piccoli gesti d'amore,
è come un vasto campo d'erba,
ricamato dai fiori dai mille colori,
perché la pace è Dio.
Azzurra è la quarta pagina del libro,
chiara come l'acqua di sorgente,
serena come un cielo di maggio,
profonda come l'acqua dell'Oceano,
perché la pace sfonda gli abissi
e solca l'infinito,
perché la pace è Dio.
Gialla è la quinta pagina,
come un ricamo d'oro fino,
perché la pace è dono,
è preziosa e vale molto,
è uno scrigno di valori ,
perché la pace è Dio.
La pace è arancione,
un colore vivo,
perché la pace è vita,
acceso, perché la pace è forza,
solare, perché la pace è luce,
perché la pace è Dio.
Di color violetto è la settima pagina,
un colore tra il rosso ed il turchino
tra l'indaco e l'arancio,
perché la pace è festa di colori,
è gioco di luce, è comunione di valori,
perché la pace è Dio.
Chiude il libro la donna
e tra le dita si ritrova
un bimbo di colori,
fiorisce fra le sue mani
la pace vera,
perché è l'Emmanuele,
il Dio con noi.

paceNataleincarnazione

inviato da Padre Gianni Fanzolato, inserito il 15/04/2003

TESTO

12. Un altro natale è possibile   2

Alex Zanotelli

Un altro Natale è possibile: ci può essere ancora un Buon Natale!

Con il Natale la vita vince nonostante tutto. Ogni bimbo che nasce è il segno che Dio non si è ancora stancato dell'umanità (Tagore).

Viola, la perla bianca di Chiara nata nel cuore della ricca Brianza ha davanti a sé ottanta anni di vita (se tutto va bene) e una dote iniziale di 25.000 euro.

Njeri, la perla nera di Rachele, nata nella baracca di Korogocho ha davanti a sé quaranta anni di vita (se tutto fila liscio) e una dote inziale di soli 250 euro.

Due mondi, due bimbe, divise da un invisibile muro di vetro. La prima, Viola, fa parte del 20% dell'umanità che si "pappa" l'83% delle risorse mondiali. La seconda, Njeri, fa parte dell'oltre un miliardo di "esuberi umani" che devono accontentarsi dell' 1,4% delle risorse, costretti a vivere con meno di 1 dollaro al giorno: sono gli innocenti di cui si rinnova la strage oggi: e Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata perché essi non ci sono più.

Milioni di bimbi muoiono di fame, malattie, aids: un bimbo muore di fame ogni due secondi, 11 milioni ne muoiono all'anno per malattie meno gravi di un raffreddore, centinaia di milioni non inizieranno neanche la prima elementare.

Due mondi, due Natali. Il nostro è il Natale dell'opulenza, delle luci, dei regali del consumismo degli affari. E' un business senza fine, è uno shopping anche di domenica. Questo sfavillio di luci natalizie sembra un meraviglioso "acquario" in cui guizzano costosissimi pesciolini esotici. A scrutarlo centinaia di milioni di bimbi dal volto scuro che guardano affascinati l'acquoso ed esotico luccichio. Fino a quando la parete di vetro proteggerà il banchetto degli esotici pesciolini?

Per assicurarci che la parete di vetro sia davvero infrangibile e ci protegga eternamente da quei visi sognanti di bimbi affascinati noi investiamo somme astronomiche in armi: Usa ed Europa nel 2003 programmano di spendere 750 miliardi di dollari.

Un altro Natale non solo è possibile ma è urgente e necessario! Boicottiamo il Natale dei pesciolini esotici: il Natale dei consumi, dei regali, degli affari, un Natale "pagano" che ha ben poco da spartire con quel Bimbo che nasce in una mangiatoia alla periferia dell'impero, fuori dell'acquario anche lui indistinguibile volto nero in mezzo agli altri volti scuri.

Diciamo no al consumismo vieppiù indotto e incentivato e diciamo sì alla festa natalizia della famiglia allargata a nonni, cugini, zii, nipoti ma anche alla famiglia dell'immigrato che lavora per noi o che ci è più vicino.

Diciamo no al decadente e ripetitivo tango di regali, e diciamo sì ad un consumo critico, al regalo fatto in casa con amore e con le proprie mani, o a quello equo e solidale di lavoro fatto "in dignità".

Diciamo no alla stupida pervasività televisiva e diciamo sì alle relazioni umane in famiglia, ritornando a raccontarci gioie e dolori e a riprendere confidenza con l'immaginario, la fiaba prendendo a cuore anche la bellezza del celebrare insieme il fascino del Natale.

Diciamo no alla violenza e alla guerra e diciamolo con fierezza, e diciamo sì alla pace e alla nonviolenza con evidenza mettendo bandiere arcobaleno ai nostri balconi e camminando con uno "straccetto bianco di pace". Solo così il Natale ritornerà ad essere la festa della vita che farà rifiorire la speranza di un altro mondo possibile.

Coraggio, dunque, ci può ancora essere un Buon Natale!

Natalesolidarietàgiustiziaingiustiziasfruttamentomondialitàricchezzapovertàpaceguerraarmi

inviato da Viola, inserito il 29/01/2003

TESTO

13. Hanno rubato Gesù bambino   1

Laura De Luca, Bingo Davvero, ed. Paoline

Gli altri ci sono tutti.
I pastori, le pecore.
L'acquaiola, il pescatore,
l'angelo sopra la grotta.
Ma hanno rubato Gesù bambino.
C'è la stalla, tutta in ordine,
ci sono l'asino e il bue,
c'è Maria e naturalmente Giuseppe.
Ci sono le case, le palme,
la fontanella e il cielo stellato.
Ma hanno rubato Gesù bambino.

Guardate meglio,
guardate dentro la grotta,
la mangiatoia è vuota,
dove sarà scivolato?
Se l'hanno rubato
forse gli avranno fatto male.
Maria sorride. Ma a chi,
se sulla paglia non c'è nessuno?
E Giuseppe è chinato.
Ma su cosa? lo sa soltanto lui.
Hanno rubato Gesù bambino.
A chi rivolgono l'asino e il bue
i loro fiati di gesso?
Non c'è nessuno lì dentro,
da riscaldare.
Magi, avete fatto un viaggio inutile,
tornatevene a casa,
perché Gesù Bambino lo hanno rubato.
La stella non ha nessuna strada da indicare,
la grotta nessun segreto da proteggere,
e l'angelo
nessuna buona notizia da annunciare.

Hanno rubato Gesù Bambino.
Forse lo ha preso un profugo
prima di lasciare casa sua,
prima di salire su una di quelle navi
cariche di tanti profughi come lui.
Forse è finito nella tasca del giubbotto
di un condannato a morte,
e ora dorme beato accanto a quel cuore
che tra poco non batterà più.
Dormi, bimbo rubato,
dormi nella sacca del povero monaco perseguitato.
È lui che ti ha portato via?
Oppure sei finito nella capanna di paglia
del povero missionario?
Cosa ci fai, così bianco e rosa
in un paese dove i bambini sono tutti neri?
Hanno rubato Gesù Bambino.
Forse l'ha preso il bimbo soldato
per farsi passare la paura,
quando imbraccia il fucile,
e t'ha confuso per giocattolo.
Gioca, Gesù bambino,
tu e il fucile, due giocattoli come altri,
nelle mani del bimbo soldato.

Hanno rubato Gesù Bambino.
nessuno sa dove è finito.
Forse sul comodino
di quel vecchio signore solo,
accanto alle medicine,
e alle foto dei figli,
che lo hanno abbandonato.
Forse lo stringe nel pugno un torturato,
per aggrapparsi a una cosa qualunque,
una cosa che lo leghi alla vita.

Hanno rubato Gesù Bambino.
Cercatelo attentamente:
nei ripostigli, nei cuori,
tra le carte degli uomini d'affari
che andavano quella mattina
dentro le Twin Towers,
nelle tasche dei vigili del fuoco,
tra le pieghe dei caffettani, dei beduini,
nelle sacche degli extracomunitari,
e fra le pagine dei libri di scuola...

Cercate,
cercate attentamente,
perché hanno rubato Gesù bambino
perché Gesù bambino
appartiene al mondo
perché il mondo è davvero
il suo presepe più grande.

Gesù bambinoCristoGesùpresepeNataleincarnazionesolidarietà

inviato da Anna Barbi, inserito il 29/01/2003