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RACCONTO

81. E' arrivato un mostro!   1

Bruno Ferrero, Nuove storie

Il paese di Dolceacqua era il più sereno e pacifico della terra. Come scrivono nei loro libri gli scrittori, era un paesino davvero "ridente". Tutto procedeva bene finché una notte blu, per le vie deserte, si sentì uno strano "toc toc, toc toc, toc toc...", accompagnato da un ansimare cupo e raschiante. Solo qualche coraggioso si affacciò alla finestra.
Un bisbigliare concitato cominciò a rincorrersi dietro le persiane.
"E' un forestiero".
"Un gigante...".
"Mamma mia, quant'è brutto!".
"Ha l'aria feroce...".
"E' un mostro! Divorerà i bambini".

Lo sconosciuto camminava curvo sotto il peso di un grosso sacco. Aveva gli occhi gialli, la barba irsuta e verde, le unghie lunghe e curve. Ogni tanto era costretto a fermarsi per soffiarsi il naso: doveva avere un terribile raffreddore. Ecco perché ansimava e tossiva come un vecchio mantice sforacchiato.
C'era, al fondo del paese, a due passi dal bosco, una profonda caverna nera. Il mostro, non trovando niente di meglio, ci si installò.
Nell'osteria del paese si riunirono il giorno dopo tutti, anche le nonne, le mamme e i bambini.
"Io l'ho visto bene e da vicino: è terribile".
"L'ho guardato negli occhi: fanno paura".
"Sputa fiamme dalle narici!".
"Io ho sentito il suo ruggito: tremo ancora tutta" gorgheggiò Maria Rosa, la più bella ragazza del paese. Tutti i giovanotti sospirarono.
"E' il diavolo" disse una nonna.
"Ma che diavolo! E' un orco mangia-uomini... poveri noi!", singhiozzò una vecchietta.
"Bhé, se mangia gli uomini, tu non dovresti preoccuparti!" sghignazzò Battista, il buffone del villaggio.
"Io l'ho visto da vicino vicino" disse Simone, un ragazzetto di dodici anni.
"Anch'io, ero con lui" gli fece eco la sorellina Liliana.
"Ecco, anche i bambini" brontolò Sebastiano, il sindaco. "E dite, ditelo voi, come era quel mostro. Faceva paura, non è vero?".
"No" disse Simone.
"Non faceva paura" disse Liliana. E aggiunse: "Era solo diverso da noi".

Se ne andarono tutti a casa e, mentre camminavano in fretta per le strade silenziose, avevano una gran paura di incontrarsi faccia a faccia con il mostro. Sbirciavano in su, verso il bosco. Dove si intravedeva la gran bocca nera della caverna in cui era andato ad abitare il mostro.
Proprio in quel momento, ingigantito dall'eco della caverna, si udì un tremendo, roboante starnuto.
"E' il mostro! Aiuto!", e strillando a più non posso tutti si rifugiarono in casa e chiusero a tripla mandata tutte le serrature che trovarono.
Le mamme rimboccarono le coperte ai bambini.
"Non abbiate paura, qui siamo al sicuro". I papà chiusero le finestre e misero un robusto randello dietro alla porta.
"Se osa venire da queste parti, dovrà vedersela con noi".

Nei giorni seguenti, a Dolceacqua, la vita riprese normalmente. I papà e le mamme al lavoro, i bambini a scuola, Maria Rosa davanti allo specchio a mettere i bigodini ai suoi bei capelli color del grano. I giovanotti la sbirciavano e sospiravano.
Quasi tutti si erano dimenticati del mostro, che, a onor del vero, non dava fastidio a nessuno. Solo, ogni tanto, si udiva un rumore terribile.
La gente diceva; "Tò, il mostro starnuta, S'è di nuovo raffreddato", e tornavano alle loro occupazioni.
Un giorno un camion carico di mattoni passò troppo velocemente su una buca della strada e perse due mattoni. Tommaso, un ragazzino che passava di là, si fermo e ne raccolse uno. Samuele, un suo amico che usciva dalla scuola, dove si era fermato a finire i compiti, lo vide. "Ehi, Tom! Che cosa vuoi fare con quel mattone?".
"Ho voglia di andare a tirarlo sulla testa del mostro che abita la caverna nera. Non abbiamo bisogno di mostri in questo paese".
Samuele replicò ridendo: "Scommettiamo che non hai il coraggio?".
Ma Tommaso se ne andava tutto impettito con il suo mattone in mano.
Samuele raccolse l'altro mattone: "E' vero, non abbiamo bisogno di quel mostro, qui. Aspettami, Tom, vengo con te".
Tommaso disse: "D'accordo, ma l'idea è stata mia e sono io che tirerò il primo mattone!".
Un contadino appoggiato alla staccionata del suo prato li vide passare: "Dove andate?".
Tommaso spiegò: "Andiamo a buttare questi mattoni sulla testa del mostro che abita lassù, nella caverna nera".
Il contadino disse: "Per me non avrete il coraggio. E poi, come farete a far uscire il mostro dalla caverna? E' sempre rintanato dentro e lo si sente solo starnutire qualche volta".
"Griderò: 'Vieni fuori, mostro!'. Dovrà ben uscire", dichiarò Tommaso.
Il contadino borbottò: "Aspettate un attimo, ho un mattone che mi serve a tener aperta la porta; lo prendo e vengo con voi. Non abbiamo bisogno di mostri qui".
Tommaso, Samuele e il contadino se ne andarono insieme con un mattone sotto il braccio. Passarono accanto all'orto della signora Zucchini.
"Dove andate?" chiese la signora Zucchini quando li vide.
"Andiamo a gettare questi mattoni sulla testa del mostro che abita nella caverna nera" rispose Tommaso.
La signora Zucchini sogghignò: "Non ne avrete il coraggio. Dicono che sia orribile e peloso. E poi, dopotutto, non dà fastidio a nessuno".
Tommaso e Samuele protestarono: "Non importa, non abbiamo bisogno di un mostro qui".
"Scapperà come un coniglio e noi diventeremo gli eroi del paese" aggiunse il contadino.
"Vengo anch'io" decise la signora Zucchini. "Ho qualche mattone in un angolo; chiamerò anche i miei sette figli: voglio che anche loro siano degli eroi".
Quando i sette bambini arrivarono, il più grande domandò: "Non c'è nessuno che voglia abitare nella caverna nera: perché non la lasciamo al mostro?".
La madre gli rispose: "Perché è un mostro, tutto qui. Allora taci, prendi un mattone e seguici".

Piano piano si formò una lunga coda di gente con un mattone in mano. Chiudeva la fila il maestro con tutti i bambini della scuola. Il sindaco ordinò che tutti gli abitanti di Dolceacqua prendessero un mattone dal vicino cantiere e si mettessero in marcia per tirarlo sulla testa del mostro che abitava nella caverna nera.
"Lo faremo scappare nel paese vicino" gridò la signora Zucchini. "L'abbiamo tenuto abbastanza, noi! Che vada a disturbare gli altri, adesso!".
Tutti gridarono: "Urrà, bene! Non abbiamo bisogno di mostri in questo paese".
E si misero in marcia verso la caverna nera.

Proprio quel giorno, il mostro aveva deciso di pigrottare un po' di più a letto e di terminare il suo libro preferito, facendo colazione con succo d'arancia e due uova al tegamino.
Improvvisamente sentì un rumore di passi e il vociare di persone che si avvicinavano e pensò: "Finalmente una visita! E' tanto tempo che sono solo!".
Saltò giù dal letto, si mise una camicia pulita e la cravatta, si lavò ben bene anche dietro le orecchie e si pulì i denti con spazzolino e dentifricio. Poi aprì la porta e uscì, salutando tutti con un gran sorriso. Tutti gli abitanti di Dolceacqua si fermarono impietriti: Tommaso, Samuele, il contadino, la signora Zucchini e i suoi sette figli, i vicini, il sindaco, il maestro e i bambini della scuola. Sembravano delle belle statuine.
Il mostro sorrise ancora e li invitò: "Entrate, entrate. Ho appena fatto il caffè". Tutti i suoi denti brillavano, ne aveva tanti e molto appuntiti. Il mostro insisteva: "Entrate, per piacere, sono così contento di vedervi!".
Ma nessuno capiva la lingua del mostro. Sentivano solo dei terribili grugniti e dei suoni che facevano accapponare la pelle. Lasciarono cadere i mattoni e se la diedero a gambe, correndo a più non posso.

Nella confusione la piccola Liliana si prese una brutta storta alla caviglia, ma nessuno senti il suo "Ahia!". Erano tutti troppo occupati a fuggire.
Così il mostro si trovò, un po' imbarazzato, a contemplare un mucchio di mattoni e una bambina con i lacrimoni perché aveva male alla caviglia.
Il mostro corse in casa e prese la valigetta del pronto soccorso. In quattro e quattr'otto, spalmò sulla caviglia di Liliana la pomata "Baciodimamma" che fa guarire tutto, la fasciò con cura e asciugò le lacrime della bambina.
Intanto gli abitanti erano arrivati ansimanti nella piazza centrale. Non ebbero tempo di riprendere fiato. Una voce gridò: "Il mostro ha preso Liliana!".
"Se la mangerà" strillò la signora Zucchini.
"Corriamo a liberarla" disse un coraggioso. Ripresero tutti la strada della caverna nera. Ben decisi stavolta a liberare la piccola Liliana. Quando arrivarono trovarono il mostro e Liliana che giocavano a dama, ridendo, scherzando e bevendo una cioccolata calda dal profumo delizioso.
"Ooooh" dissero tutti insieme.
"Ah! Siete tornati, meno male", disse il mostro. "Non ero riuscito a ringraziarvi del vostro splendido regalo. La caverna è umida e malsana e perciò sono sempre raffreddato. Con i mattoni che mi avete portato mi costruirò una bella casetta. Grazie, davvero, di cuore".
Chissà come, questa volta la gente capì il discorso del mostro.
E lo aiutarono tutti a costruire una graziosa casetta in fondo al paese.
Il più felice era Tommaso, che alla fine disse: "Avete visto che ho fatto uscire il mostro dalla caverna nera?".

amiciziapregiudizidiversitàconvivenzarazzismodiscriminazionemulticulturalità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Simone Ferretti, inserito il 02/04/2003

TESTO

82. Un altro natale è possibile   2

Alex Zanotelli

Un altro Natale è possibile: ci può essere ancora un Buon Natale!

Con il Natale la vita vince nonostante tutto. Ogni bimbo che nasce è il segno che Dio non si è ancora stancato dell'umanità (Tagore).

Viola, la perla bianca di Chiara nata nel cuore della ricca Brianza ha davanti a sé ottanta anni di vita (se tutto va bene) e una dote iniziale di 25.000 euro.

Njeri, la perla nera di Rachele, nata nella baracca di Korogocho ha davanti a sé quaranta anni di vita (se tutto fila liscio) e una dote inziale di soli 250 euro.

Due mondi, due bimbe, divise da un invisibile muro di vetro. La prima, Viola, fa parte del 20% dell'umanità che si "pappa" l'83% delle risorse mondiali. La seconda, Njeri, fa parte dell'oltre un miliardo di "esuberi umani" che devono accontentarsi dell' 1,4% delle risorse, costretti a vivere con meno di 1 dollaro al giorno: sono gli innocenti di cui si rinnova la strage oggi: e Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata perché essi non ci sono più.

Milioni di bimbi muoiono di fame, malattie, aids: un bimbo muore di fame ogni due secondi, 11 milioni ne muoiono all'anno per malattie meno gravi di un raffreddore, centinaia di milioni non inizieranno neanche la prima elementare.

Due mondi, due Natali. Il nostro è il Natale dell'opulenza, delle luci, dei regali del consumismo degli affari. E' un business senza fine, è uno shopping anche di domenica. Questo sfavillio di luci natalizie sembra un meraviglioso "acquario" in cui guizzano costosissimi pesciolini esotici. A scrutarlo centinaia di milioni di bimbi dal volto scuro che guardano affascinati l'acquoso ed esotico luccichio. Fino a quando la parete di vetro proteggerà il banchetto degli esotici pesciolini?

Per assicurarci che la parete di vetro sia davvero infrangibile e ci protegga eternamente da quei visi sognanti di bimbi affascinati noi investiamo somme astronomiche in armi: Usa ed Europa nel 2003 programmano di spendere 750 miliardi di dollari.

Un altro Natale non solo è possibile ma è urgente e necessario! Boicottiamo il Natale dei pesciolini esotici: il Natale dei consumi, dei regali, degli affari, un Natale "pagano" che ha ben poco da spartire con quel Bimbo che nasce in una mangiatoia alla periferia dell'impero, fuori dell'acquario anche lui indistinguibile volto nero in mezzo agli altri volti scuri.

Diciamo no al consumismo vieppiù indotto e incentivato e diciamo sì alla festa natalizia della famiglia allargata a nonni, cugini, zii, nipoti ma anche alla famiglia dell'immigrato che lavora per noi o che ci è più vicino.

Diciamo no al decadente e ripetitivo tango di regali, e diciamo sì ad un consumo critico, al regalo fatto in casa con amore e con le proprie mani, o a quello equo e solidale di lavoro fatto "in dignità".

Diciamo no alla stupida pervasività televisiva e diciamo sì alle relazioni umane in famiglia, ritornando a raccontarci gioie e dolori e a riprendere confidenza con l'immaginario, la fiaba prendendo a cuore anche la bellezza del celebrare insieme il fascino del Natale.

Diciamo no alla violenza e alla guerra e diciamolo con fierezza, e diciamo sì alla pace e alla nonviolenza con evidenza mettendo bandiere arcobaleno ai nostri balconi e camminando con uno "straccetto bianco di pace". Solo così il Natale ritornerà ad essere la festa della vita che farà rifiorire la speranza di un altro mondo possibile.

Coraggio, dunque, ci può ancora essere un Buon Natale!

Natalesolidarietàgiustiziaingiustiziasfruttamentomondialitàricchezzapovertàpaceguerraarmi

inviato da Viola, inserito il 29/01/2003

TESTO

83. Hanno rubato Gesù bambino   1

Laura De Luca, Bingo Davvero, ed. Paoline

Gli altri ci sono tutti.
I pastori, le pecore.
L'acquaiola, il pescatore,
l'angelo sopra la grotta.
Ma hanno rubato Gesù bambino.
C'è la stalla, tutta in ordine,
ci sono l'asino e il bue,
c'è Maria e naturalmente Giuseppe.
Ci sono le case, le palme,
la fontanella e il cielo stellato.
Ma hanno rubato Gesù bambino.

Guardate meglio,
guardate dentro la grotta,
la mangiatoia è vuota,
dove sarà scivolato?
Se l'hanno rubato
forse gli avranno fatto male.
Maria sorride. Ma a chi,
se sulla paglia non c'è nessuno?
E Giuseppe è chinato.
Ma su cosa? lo sa soltanto lui.
Hanno rubato Gesù bambino.
A chi rivolgono l'asino e il bue
i loro fiati di gesso?
Non c'è nessuno lì dentro,
da riscaldare.
Magi, avete fatto un viaggio inutile,
tornatevene a casa,
perché Gesù Bambino lo hanno rubato.
La stella non ha nessuna strada da indicare,
la grotta nessun segreto da proteggere,
e l'angelo
nessuna buona notizia da annunciare.

Hanno rubato Gesù Bambino.
Forse lo ha preso un profugo
prima di lasciare casa sua,
prima di salire su una di quelle navi
cariche di tanti profughi come lui.
Forse è finito nella tasca del giubbotto
di un condannato a morte,
e ora dorme beato accanto a quel cuore
che tra poco non batterà più.
Dormi, bimbo rubato,
dormi nella sacca del povero monaco perseguitato.
È lui che ti ha portato via?
Oppure sei finito nella capanna di paglia
del povero missionario?
Cosa ci fai, così bianco e rosa
in un paese dove i bambini sono tutti neri?
Hanno rubato Gesù Bambino.
Forse l'ha preso il bimbo soldato
per farsi passare la paura,
quando imbraccia il fucile,
e t'ha confuso per giocattolo.
Gioca, Gesù bambino,
tu e il fucile, due giocattoli come altri,
nelle mani del bimbo soldato.

Hanno rubato Gesù Bambino.
nessuno sa dove è finito.
Forse sul comodino
di quel vecchio signore solo,
accanto alle medicine,
e alle foto dei figli,
che lo hanno abbandonato.
Forse lo stringe nel pugno un torturato,
per aggrapparsi a una cosa qualunque,
una cosa che lo leghi alla vita.

Hanno rubato Gesù Bambino.
Cercatelo attentamente:
nei ripostigli, nei cuori,
tra le carte degli uomini d'affari
che andavano quella mattina
dentro le Twin Towers,
nelle tasche dei vigili del fuoco,
tra le pieghe dei caffettani, dei beduini,
nelle sacche degli extracomunitari,
e fra le pagine dei libri di scuola...

Cercate,
cercate attentamente,
perché hanno rubato Gesù bambino
perché Gesù bambino
appartiene al mondo
perché il mondo è davvero
il suo presepe più grande.

Gesù bambinoCristoGesùpresepeNataleincarnazionesolidarietà

inviato da Anna Barbi, inserito il 29/01/2003

RACCONTO

84. Alla ricerca dell'amore perduto di mamma e papà

Mamma e papà di Paola non si amavano più. Paola buona e mite, capiva tutto. Papà e mamma erano pieni d'ira e si voltavano la schiena. Papà, una volta, aveva rotto un bicchiere dando un pugno sulla tavola e mamma aveva schiaffeggiato Paola, perché non osava ancora schiaffeggiare papà.

Paola andava dall'uno all'altra, e diceva delle parole piacevoli per farli ridere, raccontava tutte le cose buffe che le erano capitate e quello che era successo a scuola, tentava di riconciliarli.

Un giorno, che la cosa sembrava particolarmente grave, Paola aveva addirittura finto di essersi avvelenata con la benzina per smacchiare. Voleva che i genitori facessero la pace al suo capezzale.

Tre mesi dopo, tutto era ricominciato. Paola continuava il suo lavoro di formica. E non disperava. Di notte, nel suo lettino, stringeva forte forte al cuore il suo tigrotto di stoffa', che si chiama Titì, e che era spelacchiato e malconcio per i tanti abbracci, baci, Nutella e lacrime che in nove anni Paola gli aveva rovesciato addosso. Dalla camera di papà e mamma filtravano spesso strilli e imprecazioni soffocate, e il rumore degli attaccapanni sbattuti di malagrazia. Paola si premeva forte le mani sulle orecchie e pregava: «Signore, per piacere, falli smettere!».

Quando arrivava un estraneo e osservava gli occhi gonfi di mamma, e papà afono per aver troppo gridato, Paola preveniva le critiche e diceva: «Vedi, è colpa delle cipolle». Oppure: «Non conosce una medicina per papà? Ha il mal di gola e non può più parlare».

Una strana voce nella notte

Una notte, Paola fu svegliata dalla solita baruffa. Dormiva abbracciata a Titì e sentì chiaramente: «Basta! Non possiamo continuare così!», diceva mamma.
«Sei tu che vuoi sempre avere ragione!» ribatté papà.
«Che cosa suggerisci, sapientona?».

«Ci... dividiamo. Ognuno per conto suo e... non se ne parli più!».
La casa si riempì di silenzio.

Ma qualcuno con un buon udito avrebbe potuto sentire il piccolo cuore di Paola che batteva all'impazzata: «Tum... tum... tum...», mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime. «Non voglio! Non voglio!». Mormorava piano piano.
«E allora parti!», disse una voce.
Paola trattenne il fiato per la sorpresa.
«Chi ha parlato? Chi c'è qui?», domandò un tantino inquieta.
«Sono io. Titì», riprese fiera la vocina.

Paola accese la luce del comodino ed esaminò il tigrotto di stoffa.
«Tu, parli?».
Gli occhi di vetro di Titì brillarono come fossero veri.

«Quando ci vuole, ci vuole», bofonchiò. «Chi ama tanto, può far parlare anche le pietre, se è solo per questo. Ora ascoltami bene: posso parlare solo una volta nella vita, anche se la vita di un animale di stoffa è piuttosto lunga e non mi posso lamentare. E certo che la vita con te è piuttosto... umida».
«Scusami», sussurrò Paola.

«Non c'è di che. Quando avevi tre mesi mi inondavi con ben altro... Ecco quello che devi fare: vai a riprendere l'amore perduto di mamma e papà».
«Dove?».
«C'è un posto dove si trovano tutti gli amori perduti.

Non perdere tempo; bisogna riportarli finché sono ancora vivi, caldi e luminosi; altrimenti non c'è niente da fare... Puoi andare soltanto tu. Prenditi lo zainetto: l'amore di un papà e una mamma è pesante».

«Ma non conosco la strada». Protestò Paola mentre si vestiva e indossava il fedele zainetto scolastico.
«La troverai. Parti diritto avanti a te».
«Ma c'è il muro!».
«Fidati di me. Tira diritto!».

Paola chiuse gli occhi e... passò attraverso il muro.

La polvere luccicante

Si trovò in un giardino intersecato da molti sentieri. Ne imboccò uno. Dopo un po', scorse su una panchina qualcosa che brillava. Si avvicinò e vide che era un pezzettino dell'amore di mamma e papà. Naturalmente lo riconobbe subito, perché i figli sono fatti con l'amore di mamma e papà. Poco più in là, vicino a una grande quercia, vide un altro pezzettino, appena uno spolverio, dell'amore di mamma e papà. Si avvicinò e vide che, in un angolino del tronco rugoso, erano incise alcune parole: «Riccardo e Ornella, per sempre».

«Sono mamma e papà», mormorò Paola. Raccolse la polvere luccicante e la infilò nello zainetto con il pezzetto che aveva già trovato. «Di questo passo, ci metterò un sacco di tempo» si disse.

Proprio in quel momento alzò gli occhi e vide il cartello indicatore: «Deposito amori perduti. Di qua».

«Grazie», sussurrò e cominciò a camminare. Il paesaggio cominciò a cambiare e prese a soffiare un vento gelido e, tagliente. Paola si strinse rabbrividendo dentro il «pile». Solo la polvere d'amore che aveva trovato mandava un lieve tepore. La pista ghiaiosa finiva stroncata in una palude triste e minacciosa. Un cartello festonato di ragnatele polverose indicava: «Palude del Mio-mio».

«Sempre diritto!», fece Paola ad alta voce. Strinse i pugni e si incamminò nel fango.

Ogni passo le costò fatica e lacrime. Il fango della palude era vischioso e cercava di trattenerla. Ma Paola arrivò dall'altra parte. La strada riprendeva con una ripida salita e dopo alcuni tornanti si interrompeva bruscamente.

Paola era stanca e quando scorse che cosa l'attendeva, si accasciò avvilita.

«Oh, no!». Quello che aveva davanti era il peggiore dei precipizi che avesse mai visto. E per di più lei pativa le vertigini. Incastrato sull'orlo del dirupo faceva capolino il solito cartello scheggiato: «Salto della fiducia».

La parola «salto» non diceva niente di buono a Paola, ma la prospettiva di tornare ad affrontare la palude era altrettanto tremenda. Si affacciò sul ciglio del precipizio, chiuse gli occhi, strinse i pugni e saltò.

Il sentiero di rose

Atterrò sul soffice. Si trovò su uno strato di rose enormi, profumate, colorate, morbide come seta. Si rialzò e ricominciò a camminare con decisione. Troppa decisione. Le sue gambe affondarono e le spine, spine enormi come le rose, la ferirono.
«Ahi!», gridò Paola.

Un'ape che ronzava come un elicottero con il suo canestrino per raccogliere nettare, la rimbrottò severamente.

«Devi essere delicata, se vuoi camminare sulle rose. Non lo sai?».

«Grazie, signora ape. È che sto cercando l'amore perduto di mamma e papà».

«Sei quasi arrivata. Vai sempre diritto. E mi raccomando... Delicatezza e rispetto!».

Paola riprese a camminare, facendo molta attenzione a dove poggiava i piedi. Il sentiero di rose si fece sempre più solido e sicuro. Finalmente, dopo una collinetta color tramonto, Paola arrivò a una strana costruzione. Il cartello non lasciava dubbi: «Deposito degli amori perduti. Fare lo scontrino alla cassa».

La gioia di Paola si velò di preoccupazione. Aveva esattamente cinquecento e cinquanta lire in una tasca dello zainetto. Quanto poteva costare lo scontrino per ritirare un amore perduto?

C'erano altre persone che facevano la coda davanti a un burbero cassiere, che teneva in mano una bilancia a due piatti: su uno poneva l'amore perduto richiesto, sull'altro il prezzo che il richiedente era disposto a pagare.

A quanto pareva nessuno riusciva a pagare la somma richiesta. E il cassiere, inflessibile, li rimandava indietro.

Davanti a Paola c'era un uomo triste e grigio. Mise sul piatto della bilancia un miliardo. Mille milioni uno sull'altro. Ma il piatto della bilancia non si mosse neanche un po'. L'amore perduto pesava molto, molto di più. L'uomo se ne andò, più triste e più grigio di prima.

Paola era davvero preoccupata. Stringendo in pugno le sue due monete, guardò il cassiere e disse con la sua voce da passerotto: «Vorrei l'amore perduto di mamma e papà».

Il cassiere aprì un armadio e ne tirò fuori un grosso amore che sistemò sul piatto della bilancia.
«È ancora caldo e luminoso, meno male», pensò Paola.
«Come paghi?», chiese severo il cassiere.

Paola allungò esitante la mano con le monete, poi con un'improvvisa ispirazione, si sedette sull'altro piatto della bilancia. I due piatti scattarono e si fermarono in perfetta parità.
«O.K. Il prezzo è giusto!», disse il cassiere.

Paola lo abbracciò felice. Prese l'amore di mamma e papà e... si trovò a casa.

«Anche noi dobbiamo fare un viaggio»

Quando mamma e papà furono seduti a tavola per fare colazione, Paola arrivò in pigiama e senza parlare posò in mezzo al tavolo l'amore che aveva ritrovato. Un'ondata di calore e di felicità, di baci e di voglia di cantare, invase la casa. Mamma e papà guardarono la loro bambina con occhi che brillavano di una luce tenera. Paola aspettava.

Mamma e papà sorrisero. Per le sue misteriose vie, l'amore era tornato al suo posto.
«Grazie, Paoletta», disse mamma. «Abbiamo capito».

«E ora dobbiamo fare un viaggio. Anche noi...», continuò papà.

Paola li abbracciò tutti e due con un lungo e riconoscente sospiro di sollievo.

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inviato da Sergio B., inserito il 11/12/2002

TESTO

85. Guarire la memoria

Henri J. M. Nouwen

Perdonare non significa dimenticare
Quando perdoniamo una persona, la memoria di quella ferita può rimanere a lungo con noi, anche tutta la vita. Talvolta portiamo questa memoria nel nostro corpo come un segno visibile. Il perdono cambia però la maniera in cui ricordiamo; trasforma la maledizione in benedizione.
Quando perdono i miei genitori per il loro divorzio, i miei figli per la loro mancanza di attenzione, i miei amici per la loro infedeltà nelle crisi, i miei medici per i loro cattivi consigli, non devo più sentirmi la vittima di eventi che non ho potuto dominare.
Il perdono mi consente di fare appello alla mia stessa forza e di non lasciare che questi eventi mi distruggano; li fa diventare eventi che approfondiscono la saggezza del mio cuore.
Il perdono guarisce veramente il ricordo.

Perdonare nel nome di Dio
Siamo tutti persone ferite. Chi ci ferisce? Molto spesso coloro che amiamo e che ci amano. Quando ci sentiamo respinti, abbandonati, maltrattati, manipolati o violati, spesso questo viene soprattutto da persone che ci sono molto vicine: i genitori, gli amici, gli sposi, gli amanti, i figli, i vicini, gli insegnanti, i pastori.
Coloro che ci amano ci feriscono anche. È questa la tragedia della nostra vita, ed è questo che rende così difficile perdonare di cuore. È proprio il nostro cuore ad essere ferito.
Esso grida: «Proprio tu, che credevo mi saresti stato vicino, mi hai abbandonato. Come potrò mai perdonarti per questo?».
Il perdono sembra spesso impossibile, ma niente è impossibile a Dio. Il Dio che vive in noi ci darà la grazia di andare al di là del nostro io ferito per dire: «Nel nome di Dio sei perdonato». Preghiamo per ricevere questa grazia.

Tornare all'amore di Dio
Noi confondiamo spesso l'amore senza condizioni con un'approvazione senza condizioni. Dio ci ama senza condizioni, ma non approva ogni comportamento umano.
Dio non approva il tradimento, la violenza, l'odio, il sospetto e tutte le altre espressioni del male, perché esse contraddicono tutte l'amore che Dio vuole stillare nel cuore umano. Il male è l'assenza dell'amore di Dio. Il male non appartiene a Dio.
L'amore incondizionato di Dio significa che Dio continua ad amarci anche quando diciamo o pensiamo cose malvage.
Dio continua ad aspettarci come un padre amorevole aspetta il ritorno di un figlio smarrito. È importante per noi attenerci alla verità che Dio non rinuncia mai ad amarci, anche quando è rattristato da quel che facciamo.
Questa verità ci aiuterà a tornare all'onnipresente amore di Dio.

perdonomisericordia di Dioamore di Dio

inviato da Eleonora Polo, inserito il 28/11/2002

TESTO

86. San Paolo, non un pazzo qualsiasi

Scout d'Europa, Foggia 2

Vi sono solo due notizie di dominio pubblico su san Paolo.
Uno: è caduto da cavallo.

Due: le sue lettere (tre volte su quattro la seconda lettura domenicale) sono incomprensibili. Beh, almeno difficili.

Fino a poco tempo fa anch'io la pensavo così: Paolo di Tarso? Pessimo cavallerizzo e criptico scrittore. Ora ho qualche notizia in più su costui. Per esempio so che era pazzo.

Non una comune follia, ma una follia lucida, rigorosamente logica e metodica. Era un ebreo. Colto. Ricco. Rispettato. Discendeva dall'elite d'Israele, aveva cultura e autorità: tutte le carte in regola per fare carriera. In effetti, la stava facendo. Stava sterminando una setta giudaica per conto della gerarchia di Gerusalemme, e questo era un ottimo trampolino di lancio. Poi Paolo di Tarso impazzisce. Molla tutto e si mette con quelli che stava catturando. Matto. Completamente andato.

Eppure Paolo ci credeva a quello che faceva. Ci credeva più di tutti gli altri ebrei. Forse ci credeva troppo. Insomma, non è molto simpatico quando inizi a incatenare tutti quelli che la pensano un po' diversamente da te. Il fatto che Paolo sia passato proprio alla fazione opposta ci dice una cosa importante: e cioè che Paolo non era un fossile. Certo, aveva delle idee, e ci teneva parecchio. Ma si lasciava interrogare dai fatti. E, a costo di venire apostrofato "traditore" e "voltabandiera" sapeva cambiare. Anche se questo andava contro il sistema. Era un tipo dinamico, e quando qualcuno gli ha aperto gli occhi sulla realtà non ha avuto paura di dire: "Ok, ragazzi, si cambia registro. Ho fatto qualche errore, ma non rinnego il mio passato. Io sono io, ma adesso che so ho il dovere di agire di conseguenza". Detto fatto.

Paolo ha o non ha avuto una visione sulla strada di Damasco? E' caduto da cavallo? Ha davvero sentito la voce di Gesù che gli parlava? O è solo un genere letterario, una metafora per dire che Paolo ha fatto il salto di qualità?
A dire il vero, non è molto importante.
L'importante sono i fatti.

Quali sono i fatti? Il primo fatto è la pazzia di Paolo: abbia visto o meno il Signore, è fuori discussione che con lui aveva un rapporto intimissimo. I loro pensieri coincidevano, e poiché Dio la pensa un po' diversamente dall'uomo, Paolo parve un pazzo agli occhi di moltissimi.

Paolo si faceva dei grandi viaggi. Materialmente, intendo dire. Per portare quell'annuncio sconvolgente che gli aveva scardinato la vita girò tutto il mondo conosciuto allora. Dall'Oriente all'Occidente, mai stanco, sempre avanti, sempre, attraverso tutte le difficoltà. Viaggiare non era una cosa di piacere, allora. Significava muoversi per lo più a piedi, a cavallo, con carovane, navi. Itinerari lunghi, difficili, sotto un cielo straniero, ma sempre con un motore spirituale a farlo andare avanti. "Non sono ancora giunto abbastanza lontano. C'è ancora gente afflitta ed oppressa che attende una parola di liberazione". San Paolo non va in vacanza, non si prende periodi di riposi, perché se lo facesse... ah! Guai a lui! Sa qual è il compito della sua vita.

Predica in tutti i modi possibili. Non si accontenta di andare di persona nelle città, come gli altri apostoli, ma scrive. Scrive lettere per le comunità che ha cresciuto, aiutato. Sono lettere bellissime, piene di fuoco, di passione, di fervore. Paolo si tiene sempre informato di come stanno i suoi, li sorregge, li conforta. Chiarisce i loro dubbi, li guida con dolcezza. Ma se c'è qualcosa che non funziona, va giù dritto. Ha le idee chiare. Dice sempre quello che pensa, senza guardare in faccia nessuno. Non si lascia zittire dalle minacce. Oh, perché di minacce ne ha avute: dava fastidio a troppa gente in alto. Ma la sua testardaggine non si piegava alle bastonate, ed il suo ardore non si spegneva nemmeno nelle carceri. Non scendeva a compromessi neppure a costo della propria vita.
Paolo è pazzo.
E' pazzo perché è un innovatore.

E' pazzo perché sfida tutte le mentalità del tempo. Paolo ha una mentalità aperta, ha viaggiato, conosce gli uomini. In un mondo di discriminazioni razziali e tra i sessi annuncia che non c'è differenza tra uomo e donna, tra schiavo e padrone, tra ebrei e pagani, che tutti sono uguali, tutti figli di Dio, tutti amati. Paolo fa saltare tutte le caste ed i sistemi di catalogazione degli uomini. Porta un messaggio di tolleranza, anzi di più: un messaggio di amore per tutti gli uomini. "Se non ho l'Amore non sono nulla". Avanti, sempre. Farsi tutto a tutti. Tendere la mano. Proporre e non imporre.

San Paolo è pazzo. Vive di ideali grandi, che sembrano quasi utopie. Sono utopie? Chissà. Ma sempre meglio che razzolare nella mediocrità. Le persone con la vista corta non arrivano lontano. Sopravvivono, ma non Vivono veramente.
Paolo è pazzo.

Ma sono questi pazzi che costruiscono il mondo nuovo.

San Paoloconversionecoerenzamissioneevangelizzazioneapostoli

inviato da Eleonora Polo, inserito il 27/11/2002

TESTO

87. Dedicato alle mamme   1

Quando sei venuto al mondo, lei ti ha accolto tra le braccia,
tu l'hai ringraziata gridando.

Quando avevi 1 anno, lei ti ha dato da mangiare e ti ha pulito,
tu l'hai ringraziata piangendo per notti intere.

Quando avevi 2 anni, lei ti insegnò a camminare,
tu la ringraziasti scappando quando ti chiamava.

Quando avevi 3 anni, lei ti preparava da mangiare con amore,
tu la ringraziavi facendo cadere i piatti sul pavimento.

Quando avevi 4 anni, lei ti comprò alcuni pennarelli colorati,
tu la ringraziasti scrivendo sui muri della sala da pranzo.

Quando avevi 5 anni, lei ti vestiva bene per le occasioni speciali,
tu la ringraziavi camminando nelle pozzanghere della via.

Quando avevi 6 anni, lei ti accompagnava a scuola,
tu la ringraziavi gridandole: non voglio andare!

Quando avevi 7 anni, lei ti regalò un pallone,
tu la ringraziasti calciandolo nella finestra del vicino.

Quando avevi 8 anni, lei ti comprò un gelato,
tu la ringraziasti rovesciandolo sulla sua gonna.

Quando avevi 9 anni, lei ti pagò le lezioni di piano,
tu la ringraziasti non frequentandole.

Quando avevi 10 anni, lei ti scarrozzava in macchina
da tutte le parti: a scuola, alla partita di calcio,
alle feste di compleanno e ad ogni altra festa,
tu la ringraziavi scendendo sempre dalla macchina senza mai voltarti indietro.

Quando avevi 11 anni, lei accompagnava te e i tuoi amici al cinema,
tu la ringraziavi dicendole di sedersi in un'altra fila.

Quando avevi 12 anni, ti consigliò di non guardare alla tv certi programmi,
tu la ringraziasti sperando che lei se ne stesse a lungo fuori casa.

Quando avevi 13 anni, lei ti regalò un giaccone in pelle,
tu la ringraziasti dicendole che non aveva gusto.

Quando avevi 14 anni, ella ti pagò un mese di vacanze estive in campeggio,
tu la ringraziasti dimenticandoti di mandarle una cartolina.

Quando avevi 15 anni, tornava dal lavoro e avrebbe voluto abbracciarti,
tu la ringraziasti chiudendo a chiave la tua stanza.

Quando avevi 16 anni, ti insegnò a guidare la sua macchina,
tu la ringraziasti usandola ogni volta che potevi.

Quando avevi 17 anni, lei aspettava una telefonata importante,
tu la ringraziasti occupando il telefono tutta notte.

Quando avevi 18 anni, lei pianse alla festa del tuo diploma,
tu la ringraziasti restando alla festa fino all'alba.

Quando avevi 19 anni, lei ti pagò le tasse dell'università,
ti accompagnò al campus trasportando i tuoi bagagli,
tu la ringraziasti salutandola fuori della tua stanza,
per non vergognarti davanti ai tuoi amici.

Quando avevi 20 anni, ti domandò se stavi uscendo con una ragazza,
tu la ringraziasti dicendole: non ti interessa!

Quando avevi 21 anni, lei ti propose alcune strade per il futuro,
tu la ringraziasti dicendole: non voglio essere come te!

Quando avevi 22 anni, ti abbracciò alla festa di laurea,
tu la ringraziasti chiedendole una vacanza premio per l'Europa.

Quando avevi 23 anni, lei ti diede dei mobili per il tuo primo appartamento,
tu la ringraziasti dicendo ai tuoi amici che erano brutti.

Quando avevi 24 anni, conobbe la tua futura sposa,
e le domandò dei progetti per il futuro,
tu la ringraziasti gridandole ferocemente: taci!

Quando avevi 27 anni, ti aiutò a pagar le spese del matrimonio,
e piangendo ti diceva che ti amava moltissimo,
tu la ringraziasti trasferendoti in un altro paese.

Quando avevi 30 anni, lei ti diede alcuni consigli per tuo figlio appena nato,
tu la ringraziasti dicendo che le cose non erano più come una volta.

Quando avevi 40 anni, ti chiamò per ricordarti il compleanno di papà,
tu la ringraziasti dicendo che eri molto occupato.

Quando avevi 50 anni, lei si ammalò e necessitò di cure,
tu la ringraziasti discutendo sugli obblighi dei genitori verso i figli.

Improvvisamente, un giorno, lei morì.
Tutto ciò che non avevi fatto per lei, ti cadde addosso come fulmine e tempesta.

Prenditi un momento per pensare. Rendi onore e omaggio, dimostra quanto ami colei che chiami mamma.
Non c'è sostituto alcuno per lei. E anche se non sempre la si può considerare la migliore amica, anche se il suo modo di pensare non s'accorda con il tuo, lei è sempre la mamma.
Domandati: hai avuto tempo per star con lei, per ascoltare le sue lamentele, per alleviare le sue stanchezze?
Sii prudente e generoso. Portale il debito rispetto.
Quando lei avrà lasciato questo mondo, ti resteranno solo bei ricordi di colei che hai chiamato mamma.

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inviato da Rovaris Pinuccio, inserito il 16/09/2002

RACCONTO

88. La vecchia signora scorbutica   4

Bruno Ferrero, C'è qualcuno lassù

Sul tavolino da notte di una vecchia signora rico­verata in un ospizio per anziani, il giorno dopo la sua morte, fu ritrovata questa lettera. Era indirizzata al­la giovane infermiera del reparto.
«Cosa vedi, tu che mi curi? Chi vedi, quando mi guardi? Cosa pensi, quando mi lasci? E cosa dici quando parli di me?
Il più delle volte vedi una vecchia scorbutica, un po' pazza, lo sguardo smarrito, che non è più com­pletamente lucida, che sbava quando mangia e non risponde mai quando dovrebbe.
E non smette di perdere le scarpe e calze, che do­cile o no, ti lascia fare come vuoi, il bagno e i pasti per occupare la lunga giornata grigia.
È questo che vedi!
Allora apri gli occhi. Non sono io.
Ti dirò chi sono.
Sono l'ultima di dieci figli con un padre e una ma­dre. Fratelli e sorelle che si amavano.
Una giovane di 16 anni, con le ali ai piedi, so­gnante che presto avrebbe incontrato un fidanzato. Sposata già a vent'anni.
Il mio cuore salta di gioia al ricordo dei propositi fatti in quel giorno.
Ho 25 anni ora e un figlio mio, che ha bisogno di me per costruirsi una casa.
Una donna di 30 anni, mio figlio cresce in fretta, siamo legati l'uno all'altra da vincoli che dureranno. Quarant'anni, presto lui se ne andrà. Ma il mio uo­mo veglia al mio fianco.
Cinquant'anni, intorno a me giocano daccapo dei bimbi.
Rieccomi con dei bambini, io e il mio diletto.
Poi ecco i giorni bui, mio marito muore. Guardo al futuro fremendo di paura, giacché i miei figli sono completamente occupati ad allevare i loro.
E penso agli anni e all'amore che ho conosciuto. Ora sono vecchia. La natura è crudele, si diverte a far passare la vecchiaia per pazzia. Il mio corpo mi lascia, il fascino e la forza mi abbandonano. E con l'età avanzata laddove un tempo ebbi un cuore vi è ora una pietra.
Ma in questa vecchia carcassa rimane la ragazza il cui vecchio cuore si gonfia senza posa. Mi ricordo le gioie, mi ricordo i dolori, e sento daccapo la mia vita e amo.
Ripenso agli anni troppo brevi e troppo presto pas­sati. E accetto l'implacabile realtà "che niente può durare".
Allora apri gli occhi, tu che mi curi, e guarda non la vecchia scorbutica... Guarda meglio e mi vedrai».

Quanti volti, quanti occhi, quante mani incrocia­mo, ogni giorno. Che cosa guardiamo? Le rughe, le ostilità, i dubbi, le durezze. Se imparassimo invece a guardare i sogni, i palpiti, gli amori spesso così accuratamente nascosti?

anzianitàvecchiaianon giudicarevedere oltre le apparenzegiudizio

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inviato da Luca Mazzocco, inserito il 29/08/2002

TESTO

89. Buon Natale, tanti auguri... scomodi!

Tonino Bello

Non obbedirei al mio dovere di Vescovo, se vi dicessi "Buon Natale" senza darvi disturbo.
Io, invece, vi voglio infastidire.

Non posso, infatti, sopportare l'idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla "routine" di calendario. Mi lusinga, addirittura, l'ipotesi che qualcuno li possa respingere al mittente come indesiderati.
Tanti auguri scomodi, allora!

Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali. E vi conceda la forza di inventarvi un'esistenza carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio.

Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio.

Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la carriera diventa idolo della vostra vita; il sorpasso, progetto dei vostri giorni; la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate.

Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla ove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che lo sterco degli uomini o il bidone della spazzatura o l'inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa.

Giuseppe, che nell'affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro.

Gli angeli che annunziano la pace portino guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che, poco più lontano di una spanna con l'aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfrutta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano i popoli allo sterminio per fame.

I poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell'oscurità e la città dorme nell'indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere "una gran luce", dovete partire dagli ultimi. Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili. Che le pellicce comprate con le tredicesime di stipendi multipli fanno bella figura, ma non scaldano. Che i ritardi dell'edilizia popolare sono atti di sacrilegio, se provocati da speculazioni corporative.

I pastori che vegliano nella notte, "facendo la guardia al gregge" e scrutando l'aurora, vi diano il senso della storia, l'ebbrezza delle attese, il gaudio dell'abbandono in Dio. E poi vi ispirino un desiderio profondo di vivere poveri: che poi è l'unico modo per morire ricchi.

Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza.

Nataleincarnazioneconversione

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 12/06/2002

PREGHIERA

90. La vita è bella, Signore

Michel Quoist

La vita è bella Signore,
e voglio coglierla
come si colgono i fiori in un mattino di primavera.
Ma so, mio Signore,
che il fiore nasce
solo alla fine di un lungo inverno,
in cui la morte ha infierito.

Perdonami Signore, se a volte,
non credo abbastanza nella primavera della vita,
perché, troppo spesso,
mi sembra un lungo inverno
che non finisce mai di rimpiangere
le sue foglie morte
o i suoi fiori scomparsi.

Eppure con tutte le mie forze
credo in Te, Signore,
ma urto contro il tuo sepolcro e lo scorgo vuoto.

E quando gli apostoli d'oggi mi dicono
che ti hanno visto vivente
sono come San Tommaso,
ho bisogno di vedere e di toccare.
Dammi abbastanza fede,
ti supplico, Signore,
per aspettare la Primavera,
e nel momento più duro dell'inverno,
per credere alla Pasqua trionfante
oltre il Venerdì di passione. (...)

Signore tu sei risorto!
Dal sepolcro, grazie a Te,
la Vita è uscita trionfante.

La sorgente d'ora in poi non si prosciugherà mai,
Vita nuova, offerta a tutti,
per ricrearci per sempre
figli di un Dio che ci attende,
per le Pasque di ogni giorno
e di una gioia eterna.

Era Pasqua ieri, Signore,
ma è Pasqua anche oggi
ogni volta che accettando di morire in noi stessi,
con Te apriamo una breccia
nella tomba dei nostri cuori,
perché zampilli la Fonte
e scorra la Tua Vita.

E se tanti uomini,
nel loro sforzo umano
purtroppo, non sanno che sei già lì,
lo scopriranno più tardi
alla tua luce.

Era Pasqua ieri,
ma è Pasqua anche oggi,
quando un bambino divide le sue caramelle,
dopo avere in segreto lottato
per non tenersele tutte lui.

Quando marito e moglie si abbracciano di nuovo
dopo una discussione o una penosa rottura.
Quando i ricercatori scoprono
il rimedio che guarisce
e il medico riaccende la vita
che senza di lui si spegneva.

Quando la porte della prigione si aprono,
perché la pena è terminata,
e quando già nella sua cella
il carcerato divide le sigarette con i compagni.
Quando l'uomo dopo un lungo sforzo
trova lavoro
e porta a casa un po' di denaro guadagnato. (...)

Sì, Signore, la vita è bella,
poiché è tuo Padre che l'ha donata.
La vita è bella,
poiché sei Tu che ce l'hai ridata
quando l'avevamo perduta.
La vita è bella,
perché è la tua stessa Vita offerta per noi...
ma dobbiamo farla fiorire.
E per offrirtela ogni sera
devo raccoglierla
sulle strade degli uomini
come quel bimbo che passeggiando,
raccoglie i fiori dei campi
per farne un mazzo
da offrire ai suoi genitori.
Oh sì Signore,
fammi scoprire ogni giorno, sempre di più,
che la vita è bella!

vitapasquarisurrezionesperanzaaltruismodonare

inviato da Mariangela Molari, inserito il 11/06/2002

ESPERIENZA

91. La danza del bambino

Teresio Bosco, Madre Teresa di Calcutta, biografia

C'è un episodio, nella vita di madre Teresa, che sconvolge molte convinzioni e lascia pensosi, forse uno degli episodi-chiave per capire questa figura. Lo raccontò lei stessa.

«Durante una notte passata nella stazione di Howrah, a Calcutta, verso mezzanotte quando i treni sono tutti fermi per qualche ora, arrivò una poverissima famiglia che veniva di solito a dormire alla stazione. Erano una madre e quattro figli, dai cinque agli undici anni. La madre era una buffa', piccola cosa avvolta in un sari bianco di cotone, sottile per quella notte di novembre, con i capelli rasi a zero, stranamente per una donna. Aveva con sé dei recipienti di latta, qualche straccetto e dei pezzi di pane, tutto quanto possedeva per sé e per i suoi figli. Erano mendicanti. La stazione era la loro casa.

I bambini, tre ragazze e un bimbo che era il più piccolo, erano come la madre pieni di vivacità. A quell'ora, in piena notte, sedettero tutti su un marciapiede della stazione presso le rotaie, vicino ad altre innumerevoli famiglie e mendicanti solitari che già dormivano tutt'intorno, e fecero il loro pasto serale di pane secco, probabilmente quanto era avanzato a un rivenditore che verso sera lo aveva ceduto a un prezzo bassissimo. Ma non fu un pasto triste. Essi parlavano, ridevano e scherzavano. Sarebbe difficile trovare una riunione di famiglia più felice di quella.

Quando il breve pasto fu finito, andarono tutti a una pompa con grande allegria, si lavarono, bevettero e lavarono i loro recipienti di latta. Poi stesero con cura i loro stracci per dormire vicini, e un pezzo di lenzuolo per coprirsi tutti.

E fu allora che il ragazzino fece qualcosa di assolutamente meraviglioso: si mise a danzare.

Saltava e rideva fra i binari, rideva e cantava sommesso con incontenibile gioia.

Una simile danza, in una simile ora, in così assoluta miseria!».

Madre Teresa affermò tante volte che per noi occidentali, tristi nella nostra ricchezza, rintanati nelle nostre lussuose caverne, il povero è un «profeta». Pur nella miseria dove la nostra economia scaltra l'ha esiliato, egli ci insegna dei valori grandi che noi abbiamo dimenticato: l'amore per gli altri, la gioia che nasce dal gustare le piccole cose, l'amicizia, la capacità di entusiasmarsi per qualche cosa.

«Noi lo aiutiamo ad uscire dalla miseria. Ma lui ci regala qualcosa di più: ci insegna una maniera diversa di vivere: servirsi delle cose, ma non diventare prigionieri delle cose, credere che ci sono valori assai più importanti del denaro: l'amore, il calore della famiglia, il sorriso dei bambini, l'amicizia, la gioia...».

povertàricchezzaessenzialità

inviato da Marianna Sebastiani, inserito il 08/05/2002

PREGHIERA

92. Testamento di un martire   1

Christian de Chergé, monaco cistercense

Se mi capitasse un giorno di essere vittima del terrorismo mi piacerebbe che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese. Che pregassero per me. Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell'indifferenza dell'anonimato. La mia vita non ha un prezzo più alto di un'altra. Non vale di meno né di più. In ogni caso non ha l'innocenza dell'infanzia. Ho vissuto abbastanza per considerarmi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che mi può colpire alla cieca. Non posso auspicare una morte così; mi sembra importante dichiararlo. Infatti non vedo come potrei rallegrarmi del fatto che un popolo, che amo, sia indistintamente accusato dei mio assassinio. Sarebbe un prezzo troppo caro, per quella che forse chiameranno la grazia del martirio, doverla a un algerino qualsiasi, soprattutto se questi dice di agire nella fedeltà a ciò che crede essere l'islam. Conosco le caricature dell'islam che un certo Islamismo incoraggia. E' troppo facile mettersi la coscienza in pace, identificando questa religione con gli integrismi dei suoi estremisti. L'Algeria e l'Islam, per me, sono un'altra cosa, sono un corpo e un'anima. Evidentemente, la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno considerato con precipitazione un naïf o un idealista. Ma queste persone devono sapere che la mia più lancinante curiosità verrà finalmente soddisfatta. Ecco che potrò, a Dio piacendo, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell'Islam come Lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua Passione, investiti dal dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre stabilire la comunione, ristabilire la rassomiglianza, giocando sulle differenze. Questa vita perduta, totalmente mia, totalmente loro, rende grazie a Dio. E anche a te, amico dell'ultimo minuto, che non sapevi quel che facevi. Si, anche per te voglio prevedere questo "Grazie" e questo "Addio". E che sia dato a tutti di ritrovarci, ladroni beati, in Paradiso, se piacerà a Dio, nostro Padre comune. Amen! Insciallah.

martirioislamismo

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inviato da Rovaris Pinuccio, inserito il 08/05/2002

TESTO

93. Dio viene dal futuro   3

Tonino Bello

C'è nella storia, una continuità secondo ragione, che è il futurum. E' la continuità di ciò che si incastra armonicamente, secondo la logica del prima e del poi. Secondo le categorie di causa ed effetto. Secondo gli schemi dei bilanci, in cui, alle voci di uscita, si cercano i riscontri corrispondenti nelle voci di entrata: finche tutto non quadra.
E c'è una continuità secondo lo Spirito, che e l'adventus.

E' il totalmente nuovo, il futuro che viene come mutamento imprevedibile, il sopraggiungere gaudioso e repentino di ciò che non si aveva neppure il coraggio di attendere.

In un canto che viene eseguito nelle nostre chiese e che è tratto dai salmi si dice: "Grandi cose ha fatto il Signore per noi: ha fatto germogliare i fiori tra le rocce!". Ecco, adventus è questo germogliare dei fiori carichi di rugiada tra le rocce del deserto battute dal sole meridiano.

Promuovere l'avvento, allora, è optare per l'inedito, accogliere la diversità come gemma di un fiore nuovo. Cantare, accennandolo appena, il ritornello di una canzone che non è stata ancora scritta, ma che si sa rimarrà per sempre in testa all'hit-parade della storia.

Mettere al centro delle attenzioni pastorali il povero, è avvento. E' avvento, per una madre, amare il figlio handicappato più di ogni altro. E' avvento, per una coppia felice e con figli, mettere in forse la propria tranquillità, avventurandosi in operazioni di "affidamento", con tutte le incertezze che tale ulteriore fecondità si porta dietro, anzi, si porta avanti.

E' avvento, per un giovane, affidare il futuro alla non garanzia di un volontariato, alla non copertura di un impegno sociale in terre lontane, alla gratuità e "inutilità" della preghiera perché la sua testimonianza sia forte in questi tempi di confusione.

E' avvento, per una comunità, condividere l'esistenza del terzo mondiale e sfidare i benpensanti che si chiudono davanti al diverso, per non permettere infiltrazioni inquinanti al proprio patrimonio culturale e religioso.

E' avvento, per una congregazione religiosa o per un presbitero Diocesano, allentare le cautele della circospezione mondana per tutelarsi il sostentamento, facendo affidamento sulla "insostenibile leggerezza" della Provvidenza di Dio.

Per Antonella, mia amica, è avvento abbandonare le lusinghe della carriera sportiva e, dopo aver frequentato l'Isef, farsi suora di clausura. Per Karol Tarantelli è avvento perdonare l'assassino di suo marito. Per Madre Teresa di Calcutta avvento è abbandonare la clausura e "farsi prossimo" sulle strade del mondo.

"Ecco come è avvenuta la nascita di Gesù": per promuovere l'avvento, Dio è partito dal futuro.

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inviato da Emilio Centomo, inserito il 04/05/2002

TESTO

94. Decalogo del buon marito   2

Per essere un bravo papà... devi essere prima un buon marito: ecco il decalogo di un buon marito:

1. Esaminati seriamente: se tra queste qualità ce n'è una che ti appartiene (aggressivo, arrogante, autoritario, bugiardo, contestatore, egoista, impulsivo, prepotente, schiavizzante o violento) non saresti un buon marito; per esserlo dovresti subito riqualificarti.

2. Non essere prevenuto contro tua moglie; credile, stimala ed amala coma la creatura più amabile, non ti è stata donata dal caso, ma te la sei scelta coma la migliore compagna della tua vita.

3. Se tua moglie ti sembra non più quella di prima, esaminati bene con gran sincerità: forse tu sei cambiato.

4. Sei capofamiglia: ti deve interessare il benessere fisico, morale e spirituale di tua moglie, come fosse il tuo e dei tuoi figli; non permettere dunque che si sovraccarichi di lavoro e responsabilità. Condividi con lei tutti gli oneri della casa e quando te lo chiedesse anche quelli di sua specifica competenza.

5. Il legame matrimoniale è sacro per cui non puoi permettere che neppure l'ombra del sospetto venga a offuscare la tua fedeltà. Dinanzi a tuoi eventuali sbagli, comportati umilmente nel riconoscerli: il miglior modo per essere da lei perdonato è chiedergliene scusa.

6. Nell'educazione dei figli ambedue avete pari diritti e doveri; ma se capisci che in qualcosa lei ha più disposizioni di te, cedile umilmente la preferenza.

7. Nella gestione economica della casa ricorda che la donna è quasi sempre più capace dell'uomo. Ha bisogno però della tua fiducia.

8. Non cedere mai alla rabbia tentando di correggerla con violenza. La donna non va percossa neppure con un fiore. Nelle discussioni non rimettere in ballo il passato i cui errori vanno seppelliti nel dimenticatoio.

9. Non ti permettere di umiliare tua moglie in presenza di estranei o dei figli: guasteresti tutto e forse per sempre.

10. Non essere avaro di gesti di tenerezza anche in pubblico: una carezza o un piccolo dono è capace di farle dimenticare mille torti.

famigliacoppiafigligenitorimatrimoniopapàmarito

inviato da Rossella Di Cosmo, inserito il 03/05/2002

PREGHIERA

95. Spirito Santo

Filippa Castronovo

Spirito Santo, che il Padre concede a coloro che credono in Gesù e a lui si sottomettono, riempi di te la nostra vita.
Tu, vivente in noi, ci darai occhi per vedere, orecchie per ascoltare, cuore per convertirci,
bocca per lodare Dio e annunciare le sue meraviglie al mondo.

Spirito Santo, tu sei il dono promesso da Gesù risorto per esseri suoi testimoni.
Spirito Santo, tu sei l'atteso dagli apostoli da Maria e dalle donne che seguirono Gesù.
Spirito Santo, tu vieni a riempire i cuori della tua presenza.
Spirito Santo, tu trasformi i dubbi e i timori colmandoli di gioiosa speranza.
Spirito Santo, tu dai il potere di esprimerci e di essere compresi.

Spirito Santo, tu fai realizzare la vera comunione e comunicazione.
Spirito Santo, tu doni il coraggio di annunziare Gesù Cristo, morto e risorto.
Spirito Santo, tu sciogli la nostra lingua perché possiamo proclamare le meraviglie di Dio.
Spirito Santo, tu sei il dono del Padre a coloro che si sottomettono a Lui.
Spirito Santo, tu vivente in noi, attesti che siamo i figli amati dal Padre.

Spirito Santo, tu conduci i credenti nella via della missione.
Spirito Santo, tu elargisci la tua sapienza e ci fai servire in modo evangelico.
Spirito Santo, tu fai crescere la Chiesa e ne allarghi i confini.
Spirito Santo, tu fai camminare la Chiesa nel timore del Signore.
Spirito Santo, tu consoli la Chiesa, donandole pace.

Spirito Santo, la tua presenza dona la luce e noi vediamo il risorto.
Spirito Santo, in te il Padre consacrò Gesù, riempiendolo di potenza.
Spirito Santo, tu incoraggi i chiamati ad aprire nuove vie al Vangelo.
Spirito Santo, tu fai percorrere le strade del mondo senza timore.
Spirito Santo, tu riservi per te e invii in missione.

Spirito Santo, tu guidi i singoli passi del nostro cammino.
Spirito Santo, tu concedi l'intelligenza per riconoscere la verità e denunciare l'errore.
Spirito Santo, tu riempi di gioia coloro che annunciano la Parola con sincerità.
Spirito Santo, tu guidi la tua Chiesa a scelte sapienti, animate dalla carità.
Spirito Santo, tu crei i profeti e li doni alla Chiesa.

Spirito Santo, tu apri le vie al Vangelo e in esse dirigi gli apostoli.
Spirito Santo, tu fai vivere, con coraggio, le fatiche e le tribolazioni per Cristo.
Spirito Santo, tu costituisci in autorità per guidare a Cristo i fratelli.
Spirito Santo, tu hai parlato per mezzo dei profeti, ora parli per mezzo dei credenti in Gesù.
Spirito Santo, tu trasformi la debole parola umana in annuncio fedele e franco del Regno.

Spirito santo

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inviato da Filippa Castronovo, inserito il 02/05/2002

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