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TESTO

41. La lacrima di Dio

Mons. Antonio Riboldi

Deve essere stato per un'impazienza non più sopportabile che un giorno Dio Padre, fissando lo sguardo sugli uomini che si erano fatti curvi per la schiavitù, con dentro il cuore la siccità disperata del deserto, proprio come orfani destinati a non conoscere amore, disse dentro di Sé: "Basta!".

Con braccio potente raccolse tutte le stelle piccole e grandi che sono nel firmamento e con esse scrisse queste parole agli uomini: "VI AMO!" a lettere così grandi che occuparono tutto il cielo e tutti gli uomini le potessero leggere: tutti, proprio tutti...

Per la grande pietà o per il grande amore che gli riempivano il cuore, nello scrivere "Vi amo" cadde dagli occhi di Dio una lacrima che scivolò sulle stelle bagnandole tutte e facendole splendere di più e dalle stelle la lacrima andò a posarsi su una mangiatoia a Betlemme e si chiamò quel giorno Natale di Gesù, Figlio di Dio, nato da Maria Vergine.

Quella lacrima schizzò sugli occhi spenti degli uomini e questi finalmente guardarono in su e lessero: "VI AMO". Scoppiò una gran gioia e si cantò pace nel cuore di tanti. Ancora oggi gli uomini sono stanchi, soli ed aridi fino ad uno smarrimento ed un'angoscia che avvolge tutta di una coltre di tristezza che nasconde tanto il cielo da disperare che esista ancora.

Ma a Natale, ogni Natale, le stelle obbedienti si allineano per riscrivere: "VI AMO".

E torna a piovere sulla terra una lacrima di tenerezza del Padre: una lacrima che cerca ancora gli occhi spenti degli uomini per posarsi in loro come in "nuova mangiatoia di Gesù", perché il mondo sia un irrefrenabile scroscio di sorrisi.

Io a Natale apro gli occhi in su perché voglio riempirmi gli occhi di quella lacrima e piangendo di gioia come Maria.

Prego: «Guarda, Signore, me e tutti i miei amici che sono la più grande cesta, la stupenda immensa cesta, che porto sulle spalle: esaudisci, Signore, ridònati a noi perché ne abbiamo bene: senza di Te, stiamo male, ma tanto male.

Insegnaci a cercarti e tu mostrati quando ti cerchiamo.

Che ti cerchiamo, Signore, desiderandoti e ti desideriamo cercandoti. Che ti troviamo amandoti e ti amiamo trovandoti (S. Anselmo)».

nataleamore di Dio

inviato da Don Fabio Fioraso, inserito il 07/01/2005

TESTO

42. Fare spreco di generosità

Tonino Bello, Ti voglio bene, omelia pronunciata il 19 marzo 1993 durante il rito di Ammissione di due giovani seminaristi tra i candidati agli Ordini Sacri

... La cosa più importante che vi voglio dire è quello di fare veramente con il Signore spreco di generosità. Guardate, non impressionatevi per i problemi che ci sono nel mondo, per le difficoltà che dovete incontrare per arrivare alla meta del sacerdozio. È difficile che oggi dei giovani scelgano di seguire Gesù Cristo con totalità, con libertà, con amore, lusingati come sono da tante seduzioni: le seduzioni della strada, della piazza, del successo, non dico del denaro, perché forse, grazie a Dio, nonostante la promessa di povertà, di fame non morrete nella Chiesa. Però dovete rimanere poveri, nella condizione di dipendenza da Dio, sentirvi poveri davanti a lui.

Ci sono lusinghe, le lusinghe della ricchezza, che vi attraggono, che attraggono tanti giovani: voi resistete a queste lusinghe e andate avanti con gioia perché volete seguire il Signore. Ma è difficile, oggi.

Ci sono le lusinghe bellissime, dolcissime, nella cui trama di rugiada, carica di luce, che sa di cancelli che immettono nell'aldilà, nell'ulteriorità, è facile abbandonarsi: la lusinga dell'amore, dell'amore per una donna. Pure dentro di voi batte il cuore per queste cose sante, pure e nobili. Eppure voi con grazia, con garbo, accantonate e mettete da parte con la stessa delicatezza con cui accarezzate il volto di Gesù Cristo. Mettete da parte tutta questa potenziale esperienza che potete avere per dire: "Signore, io seguo Te più da vicino, in modo più stretto. Voglio vivere in un legame più forte per poter essere più pronto a darti una mano, più agile perché i miei piedi che annunciano la pace sui monti possano essere salutati con gioia da chi sta a valle".
"Beati i piedi di coloro che sui monti annunciano la pace".

Coraggio, non lasciatevi lusingare oppure tirar dietro: guardate avanti con grande fierezza, con grande gioia perché il Signore è vicino. Il Signore ha bisogno di voi.

Il tempo si è fatto breve. Tantissimi giovani hanno bisogno di Lui, hanno bisogno di sentir parlare di Lui. I figli chiedono il pane e non c'è chi lo spezza per loro - dice un salmo; voi fate questa prova di gettarvi a capofitto in questo abisso di luce che è Gesù Cristo. Egli poi vi dà la forza di andare avanti. Vi sostiene. Vi dà l'entusiasmo, il gusto di vivere in mezzo al popolo, non lontano, non astratti dal mondo.

Io vi auguro che non stiate mai in testa e neppure in coda, ma possiate stare in mezzo al popolo, come Gesù: "Gesù, allora si sedette in mezzo ai dottori, aprì la bocca e disse...". Si sedette in mezzo. Gesù che si siede in mezzo...

Anche voi, sedetevi in mezzo alla gente, sentite il sapore e il profumo del popolo, inebriatevi di questo grande ideale di annunciare Gesù Cristo.

È splendido: dà significato alla vostra vita. Parola di uomo. È così. Il Signore Gesù è in grado di renderci felici al punto tale che questa felicità sentite il bisogno di trasferirla agli altri, a tutti coloro che vi accostano.

...Chiedete ogni giorno a Dio che vi dia un cuore umano che batta secondo i suoi ritmi. Quanti saranno i battiti di Gesù Cristo?

Come vorrei che il mio cuore battesse come il suo, in sintonia col suo per poter trascinare tutti quanti in un vortice di amore, di tenerezza, di bontà!

Chiedete al Signore che vi dia un cuore umano perché possiate essere capaci di capire la povertà della gente, la tristezza della gente, il pianto della gente; nessuno legge più questi "audiovisivi". Sono degli audiovisivi il pianto, la sofferenza, il dolore.

Il Signore si prende gioco della morte. Cos'è la morte davanti a Lui? Cos'è la malattia davanti a Lui? Cos'è un tumore davanti a Lui? Cosa volete che sia! Come facciamo a non vivere nella gioia, nel gaudio, nella speranza del Signore? Della morte lui si prende gioco. Il Signore non ci abbandona mai.

Il Signore vi dà la mano stasera, e la tiene sempre inevitabilmente stretta. E a meno che non siate voi a dichiarare il divorzio, state tranquilli che Lui da voi non si allontanerà più. È l'augurio che vi faccio ed è anche l'offertorio che presentiamo al Signore.

generositàvocazionesacerdozioseminaristichiamata

inviato da Sandra Aral, inserito il 27/07/2004

TESTO

43. Una giornata del silenzio contro rumori e parole gridate

Vittorino Andreoli, Avvenire, 2 aprile 2002

Il silenzio nel tempo presente è morto, e nessuno sembra disperarsene, avvertirne la perdita. Il silenzio anzi spaventa e lo si cancella al solo pensiero che possa avvolgerci.

Si sente invece il fascino del rumore, di quella presenza continua che forma lo scenario, vero habitat dell'uomo del terzo millennio. La scelta allora non è tra rumore e silenzio, ma tra i mille rumori possibili. Svariate persone ricercano combinazioni multiple: i rumori impuri o la ridda di questi al cui confronto un terremoto apocalittico appare quasi un suono d'arpa.

Nelle discoteche non si ascolta musica, ma il baccano ed inutile è mettere in guardia dai decibel o dal rischio di lesione all'orecchio: il rumore piace. È uno stimolante come una pozione magica. Le spiagge dell'Adriatico gremite d'estate come un formicaio, non rappresentano una condizione del destino, ma una scelta piacevole: uno vicino all'altro, ciascuno dentro i rumori dell'altro: uno scambio di rumori che uniscono gli ombrelloni e fa sentire un'unica famiglia di urlanti.

La montagna era luogo di silenzio con gli spazi infiniti, con la roccia che si continua con il cielo e con l'eterno, ora è un folle concentrarsi di macchine e di corpi lungo le strade, vicino alle auto parcheggiate con le radio accese, le bocche che urlano. A pochi passi di distanza dalla strada non c'è nessuno e quel silenzio sembra sprecato. Si cerca il rumore. L'identità di questa civiltà è il rumore. La civiltà del rumore. Il televisore in casa è sempre acceso. Ci sono persone che non lo spengono nemmeno la notte. Hanno bisogno di quel sottofondo rassicurante e il video ha sostituito persino il sogno, che ormai è fuori di noi e parla degli altri.

Non è più specchio dei nostri segreti interiori, del mistero che bolle in noi. È stato svelato, sostituito meglio, da un rumore.

Gli studenti leggono Aristotele con il rock, per la matematica è preferibile la musica metal. La sinfonica è troppo dolce, occorrerebbe riscriverla sostituendo ai violini i fiati, i tromboni in particolare, e i timpani.

Nelle case ci sono tanti rumori, poche parole e - comunque - silenzio mai. E l'accenno vale per il silenzio fisico, dato dalla mancanza di suoni o rumori che si può rilevare con l'orecchio umano, ma obiettivamente pure con un fonografo. Eppure c'è anche un silenzio interiore, che coincide con il senso di svuotamento del mondo esterno che penetra dentro di noi, e che ci consente di cogliere meglio cosa c'è in noi.

Il silenzio della meditazione: è morto anch'esso. Basta vedere la funzione di un telefono portatile. Uno strumento della sopravvivenza, un oggetto della follia. In treno uno è obbligato a stare fermo, potrebbe pensare, percepirsi, ma non ce la fa e allora chiama qualcuno, non importa chi e perché, importa rompere il silenzio e fare un po' di rumore di cui tutti sono alla fine felici.

Insomma c'è un silenzio fuori di noi, quello del deserto, quando il vento è immobile, o di un canyon sperduto. E c'è un silenzio dentro di noi, che si lega alla pace interiore. L'uno è certamente condizionato dall'altro, ma non in maniera proporzionale: c'è chi sa astrarsi dal mondo, fuggirlo.

Dell'Africa ricordo il silenzio e il buio che non esistono più nella civiltà tecnologica. Anche il buio è parte dell'archeologia: ora c'è sempre una lampadina che illumina. E le stelle hanno perso il proprio fascino. I suoni che rompono il silenzio in Africa sembrano voci del mistero. E anche un coyote parla degli dei che così abitano dentro la testa dell'uomo. Ricordo certe notti nei villaggi d'Africa quando un uomo nella notte si riduceva a due occhi appesi al nulla.

Si è riempiti di rumore fino a non sentire che quel rumore e perdere se stessi, il proprio silenzio. Il mondo dentro di me può esser sopraffatto da quello attorno a me, e il mio silenzio espropriato e ciascun uomo è anche silenzio, forse è soprattutto silenzio.

Io me li ricordo gli esercizi spirituali d'un tempo e li ricordo come silenzio esteriore per sentire qualche voce bambina e qualche balbettio dentro di me. Ma ricordo, più tardi, anche il bisogno di silenzio per pensare, per seguire un percorso di idee, per entrare nel profondo di una meditazione concentrata. Ricordo le passeggiate in montagna, ricordo i monasteri che regalavano silenzio.

Ma c'è - attenzione - una grande differenza tra silenzio e mutismo. Chi è muto non parla all'altro, chi è silenzioso parla a se stesso. Senza silenzio l'uomo è un folle che gira per la strada senza sapere dove va e perché mai si muove. Ha perduto ogni direzione e segue le tracce dei rumori senza sapere da dove provengono, un rumore non ha nulla dentro, è solo rumore, segnale di qualche cosa, ma non di che cosa.

L'uomo del tempo presente è perso dentro i rumori che cerca di tradurre in parole che non hanno più senso. La parola nelle civiltà antiche e nelle culture animiste è forza vitale: dà la forza. È mistero. La parola nella magia agisce: "male dicere" provoca disgrazia, "bene dicere" dà coraggio e felicità. La parola non va mai sprecata. E l'uomo saggio parla poco e vive di silenzio.

Nel cristianesimo la Parola irrompe nella storia e diventa liturgia, quindi crea un contesto sacro. Mentre il mondo lancia raffiche di parole, senza senso, che feriscono o uccidono come obici d'artiglieria pesante.

Si crede che le parole abbiano significato, mentre sono flatus vocis senza una combinazione, che non è quella della sintassi, ma del senso dell'uomo, della esistenza.

La parola come senso, non come rumore. Una parola oggi non ha più storia, non si lega ad un prima, e non è l'incipit per un poi. Si usa la parola che nel momento appare più rumorosa, e può essere antitetica a quella appena usata: si può sempre dire di essere stati fraintesi, così la parola non ha senso o ha tutti i sensi possibili. La parola è rumore. La parola gridata è più efficace. L'oratore è colui che dice tante parole fino a comporre un suono senza senso, ammaliare senza trasmettere nulla.

Il senso dell'uomo e del mondo è nel silenzio che non è vuoto, ma la condizione per un lungo viaggio dentro il proprio esistere e la propria angoscia di esistere, avendo un senso e una coerenza. Il silenzio genera anche la parola che è però pensiero, è intuizione non spot, è colloquio con sé o con il mistero, non un quiz né un quizzone.

Ci sono le malattie del parlare. Da un lato il maniacale che parla continuamente e non sa che cosa dice. Parla a una velocità che è propria dell'articolazione della gola, ma non della mente. Parla a prescindere dalla testa, senza pensare. Dall'altra parte, il depresso, non fa parola perché teme che ogni espressione sia un errore.

Ma c'è anche il silenzio della normalità, di colui che sa quanto sia difficile pronunciare frasi sensate, e quanto sia facile offendere con parole che si penserebbero invece neutre, e allora medita e prende tempo prima di pronunciarsi.

"Non ha la parola pronta": è considerato un difetto mentre può essere il segno della prudenza che è una grandissima virtù.

"È di poche parole": e si crede che abbia bisogno di uno psicologo o di uno psichiatra, mentre si muove dentro i sensi del proprio io, dentro la propria "anima".

L'importante è parlare. Il politico deve parlare e magari non dire niente: fa l'ostruzionismo della parola. Il presentatore deve parlare sempre, per dire semplicemente buona sera e nessuno finisce per coglierlo. Ormai ad abbaiare è l'uomo.

I condomini sono permeabili ai rumori, a quelli del water ma anche alle parole. Le strade sono un massacro di auto e di parole. Le orecchie sono piene di auricolari che portano i rumori del mondo intero, non bastano più quelli della propria dimora o paese: la globalizzazione del rumore e la follia delle parole. Un manicomio assordante.

Arrivo a proporre una giornata del silenzio. Ma forse la specie si estinguerebbe. In una occasione in cui una grande città è stata senza corrente elettrica per due giorni, e quindi hanno perso la parola i televisori e le radio, la gente è impazzita, è entrata in una crisi di astinenza da parole e rumore che aveva espressioni e sintomi peggiori di quella da eroina.

Questa settimana ho preso in mano un settimanale femminile: di 623 pagine. Parole e parole. I giornali ordinano parole senza pensare al senso. Ore di televisione, parole su mille canali. Una follia vociante, parlante. Moriremmo di parole.

Una infinità di parole, senza un pensiero, senza nemmeno l'ombra di un'idea. Il comando è rumore come quei potenti che credono di essere forti se lanciano bombe o missili che distruggono. O come quei gaudenti che si riempiono il ventre di piacere e scoprono di essere vivi solo dalle flatulenze: flatus vocis. Anche le preghiere sono troppo rumorose e troppo vocianti: penso a san Francesco che, alla Porziuncola, dice: Signore non so dire nulla se non ba ba ba. Il mio silenzio - a questo punto lo ammetto - è ancora più confuso perché non ho ancora trovato il mio interlocutore nel cielo. Forse è tempo di cercarlo nel silenzio e forse nel silenzio si sentono parole di "vita eterna". Il dolore parla solo nel silenzio il resto è telenovela. La fatica non ha parole. Ho bisogno di silenzio per sentire quel vuoto che si può riempire di quiete.

Così terminano, almeno per un po', anche le mie parole su "Avvenire". Ho iniziato dicendo che scrivevo per cercare, ora ho voglia di silenzio, devo cercare ancora ma senza fare rumore. Voglio dare ai miei lettori un po' di silenzio che auguro sia silenzio di pace.

silenziointerioritàrumoredeserto

inviato da Giosuè Lombardo, inserito il 27/08/2003

TESTO

44. Nuovi schiavi del mondo

Desmond Tutu, traduzione Guiomar Parada

Oggi la maggior parte del Terzo Mondo è tenuta in ostaggio da una schiavitù altrettanto orribile, nelle sue conseguenze devastanti, di quella del passato. La maggior parte del Terzo Mondo è stremato sotto il peso del più invalidante e stremante debito internazionale. Le statistiche sono impressionanti: in Etiopia 100.000 bambini muoiono ogni anno di malattie facili da prevenire, mentre il governo spende per ripagare il debito quattro volte quello che spende per la spesa sanitaria.

Spesso ci è difficile capire le statistiche e gli giriamo le spalle. E' tutto così impersonale. Proviamo a personalizzarlo un poco. Immaginate il vostro piccolo, non vaccinato contro il morbillo o la difterite, che lentamente si spegne davanti ai vostri occhi senza che voi possiate fare alcunché, perché non ci sono medicinali a disposizione.

I paesi poveri sono costretti alla povertà, all'ignoranza, alla malattia, alla fame e alla morte. Le risorse che dovrebbero essere impegnate per costruire strade e dighe, per le scuole e per pagare i maestri, per comperare libri e per l'assistenza sanitaria, sono deviate, con conseguenze disastrose, per ripagare debiti che non diminuiscono, ma anzi aumentano per via dei crescenti tassi d'interesse e della svalutazione delle valute di questi paesi poveri. Anche se economicamente fosse una cosa logica, e non lo è, certamente non è logico dal punto di vista morale.

I paesi poveri non sono in grado di spezzare le catene che li hanno schiavizzati in maniera così rovinosa. Noi che seguiamo il Falegname di Nazareth sappiamo che quando si dà da mangiare agli affamati e da vestire ai poveri, lo si fa per Lui ed Egli ci ha esortato a perdonare i nostri debitori per essere perdonati dal nostro Padre in cielo. Ma più chiaramente siamo vincolati dalla lezione del Capitolo 25 del Levitico, che decreta che ogni 50 anni gli schiavi siano messi in libertà, che i debiti siano cancellati e che la proprietà ipotecata ritorni ai proprietari legittimi senza vincoli, per dare una opportunità alle persone di ricominciare da capo, di iniziare nuovamente, nello spirito della nostra fede che è la fede di sempre nuovi inizi quando si è perdonati. Le cancellazioni del debito si sono già verificate nel passato; nei confronti della Germania dopo la guerra, e gli Usa hanno cancellato 7 miliardi di dollari all'Egitto a seguito dell'operazione Desert Storm.

I paesi poveri, sollevati dal vincolo del debito, potrebbero sviluppare economie robuste che potrebbero diventare anche vigorosi mercati di consumo. Siamo fatti per essere uniti. In Africa diciamo che "una persona è una persona attraverso altre persone". Siamo legati da una delicata rete di interdipendenza. Crediamo nell'ubuntu, la mia umanità è dentro alla tua umanità. Ubuntu parla di generosità, di compassione, di ospitalità, di condivisione. Io sono perché voi siete. Se io vi disumanizzo, allora, che lo voglia o no, mi disumanizzo anch'io. Liberare il Terzo Mondo da questa nuova forma di schiavitù vi permetterà di rendere migliore la vostra propria umanità e camminerete a testa alta, anche voi liberati.

(l'autore è premio Nobel per la pace)

povertàricchezzagiustiziaingiustiziafame nel mondomondialitàcaritàamoredebitosfruttamentoschiavitùlibertà

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inviato da Giosuè Lombardo, inserito il 27/08/2003

TESTO

45. I colori della pace

Gianni Fanzolato

Dio ha creato l'acqua
la terra e il cielo,
e li ha adornati
con una creatura
che gli assomigliava.
La pace invece
l'ha affidata al Vento
e il Vento l'ha deposta fra gli alberi,
ed era un libro,
fatto di Parole,
ed era la Parola.
Passò una donna
e lo vide fra le margherite,
sospinta dal Vento
se lo strinse al seno
e abbracciò un bambino,
un libro di Parole,
un bimbo di colori.
E sfogliò quel libro
quella donna,
ogni pagina un colore.
La prima pagina è bianca,
come le nevi eterne delle cime,
perché la pace è in alto,
è pura e immacolata,
perché la pace è Dio.
Rossa è la seconda pagina
come la fiamma del roveto ardente,
perché la pace è fuoco,
brucia, riscalda e fonde,
perché la pace è Dio.
La terza pagina ha il color del prato,
verde come una gemma preziosa,
perché la pace è fatta di speranze,
è ornata da piccoli gesti d'amore,
è come un vasto campo d'erba,
ricamato dai fiori dai mille colori,
perché la pace è Dio.
Azzurra è la quarta pagina del libro,
chiara come l'acqua di sorgente,
serena come un cielo di maggio,
profonda come l'acqua dell'Oceano,
perché la pace sfonda gli abissi
e solca l'infinito,
perché la pace è Dio.
Gialla è la quinta pagina,
come un ricamo d'oro fino,
perché la pace è dono,
è preziosa e vale molto,
è uno scrigno di valori ,
perché la pace è Dio.
La pace è arancione,
un colore vivo,
perché la pace è vita,
acceso, perché la pace è forza,
solare, perché la pace è luce,
perché la pace è Dio.
Di color violetto è la settima pagina,
un colore tra il rosso ed il turchino
tra l'indaco e l'arancio,
perché la pace è festa di colori,
è gioco di luce, è comunione di valori,
perché la pace è Dio.
Chiude il libro la donna
e tra le dita si ritrova
un bimbo di colori,
fiorisce fra le sue mani
la pace vera,
perché è l'Emmanuele,
il Dio con noi.

paceNataleincarnazione

inviato da Padre Gianni Fanzolato, inserito il 15/04/2003

TESTO

46. Il fascino sinistro della guerra

L'Azione, Settimanale della Diocesi di Vittorio Veneto

Re, imperatori e principi hanno sempre preferito mostrarsi in pubblico in divisa militare con relative medaglie. La divisa militare ha sempre esercitato una grande attrattiva su chi ha in mano il potere. È sempre stata presentata come simbolo di coraggio, eroismo e grandezza. Un'ininterrotta tradizione ha esaltato la guerra come il luogo privilegiato dell'eroismo. La nostra psicologia, in primo luogo la psicologia maschile, è stata plasmata da una martellante retorica di esaltazione della guerra. Dobbiamo riconoscere: la guerra ci affascina. Ci fa paura, ma anche ci attrae.

Rimaniamo incollati sulle pagine di un libro o davanti ad uno schermo che narri imprese belliche o comunque azioni nelle quali si usino armi, ci sia violenza, sangue. Fin da bambini, il gioco preferito dai maschi è stata la guerra.

In realtà la guerra è l'azione più disumana che possa esistere, nonostante abbia accompagnato tutta la storia dell'umanità. Bisogna togliere lo splendore di gloria che la circonda. È vero, in guerra ci giochiamo la vita, che è tutto quello che abbiamo, ma la mettiamo in gioco contro un'altra vita uguale alla nostra. Allora il coraggio perde la sua aureola di virtù e diventa l'atto più brutto che una persona possa compiere. La virtù della fortezza è una delle virtù fondamentali (cardinali), ma è virtù solamente se è per la vita, per superare gli ostacoli che impediscono la vita, quando invece è usata per togliere la vita, non può più essere chiamata virtù.

Ma, si dice, la guerra non è solo violenza, può essere fatta per grandi ideali, come la difesa del suolo patrio, la conquista della libertà, la salvezza del proprio popolo, la salvaguardia dei diritti e via declamando.

Il guaio è che tutte le guerre sono sempre state dichiarate in nome di grandi ideali. Non c'è guerra che non sia stata dichiarata giusta, e doppiamente giusta: da una parte e dall'altra dei due schieramenti che si stanno sgozzando. Chi va ad uccidere o a morire in guerra, va convinto o è incitato a convincersi, che sta facendo la cosa più giusta e nobile del mondo. Anche i soldati di Hitler erano sicuri di battersi per una grande
causa.

Questa costante giustificazione di ogni guerra rende dubbio il fatto che ci siano guerre degne e nobili; è invece il segno che lo scatenamento di una guerra è sempre accompagnato da un'opera di mistificazione, di inganno più o meno consapevole. Perciò la cosa più sicura è opporsi ad essa con tutti i mezzi. E poi, qualunque sia la causa per cui ci si batte, la guerra resta sempre morte inflitta ad altre persone, sofferenza indicibile, sangue versato come quello che pulsa nelle mie vene.

E se guardiamo alle guerre moderne, quelle combattute con armi tecnologicamente perfette e di potere distruttivo immane, allora anche le più alte ragioni scompaiono del tutto. Questa guerra non è più l'uccisione del nemico che mi sta davanti e che tenta in tutti i modi di eliminarmi. Non c'è più l'alternativa: uccido per primo altrimenti lui uccide me. Le guerre combattute con queste armi comportano prevalentemente l'uccisione di civili, gente innocua, indifesa, in preda al terrore, mentre chi compie queste azioni corre di solito minimi pericoli. I bombardamenti a tappeto delle grandi città, compiuti nell'ambito della Seconda Guerra mondiale che più giusta di così non si poteva pensare, dove tutto veniva distrutto, sistematicamente, senza distinzione; peggio ancora, lo sganciamento della bomba atomica sopra città, che in un batter d'occhio, senza lasciar scampo, spazza via tutto, queste azioni mai sono giustificabili.

Anche la guerra incombente sull'Iraq sarà di questo tipo. Ci vengono mostrate armi bellissime, gioielli di tecnologia, perfette nel loro funzionamento, perfino intelligenti: non lasciamoci incantare, sono semplicemente strumenti di morte; servono per straziare corpi, provocare urla di dolore in persone come noi. Se scoppia la guerra, ci mostreranno le meraviglie di queste macchine in azione, parleranno di obiettivi raggiunti, missione compiute con successo. Non lasciamoci ammaliare dallo spettacolo esaltante. È tutt'altra cosa: è morte, dolore, sofferenza.

Quanto sarebbe salutare se ciascuno di noi facesse questo esercizio di purificazione psicologica strappando via i paludamenti gloriosi con cui siamo stati abituati a rivestire la guerra per guardarla nella sua orrenda realtà. Il mostro così privato dei suoi galloni, delle sue medaglie luccicanti, delle sue armature splendenti, dei suoi stendardi, si mostrerebbe in tutta la sua ripugnante bruttezza e ci riuscirebbe così più facile tenerlo lontano da noi.

guerrapaceviolenzaforzaconflittimorteeroismofortezzacoraggio

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 07/03/2003

TESTO

47. Un altro natale è possibile   2

Alex Zanotelli

Un altro Natale è possibile: ci può essere ancora un Buon Natale!

Con il Natale la vita vince nonostante tutto. Ogni bimbo che nasce è il segno che Dio non si è ancora stancato dell'umanità (Tagore).

Viola, la perla bianca di Chiara nata nel cuore della ricca Brianza ha davanti a sé ottanta anni di vita (se tutto va bene) e una dote iniziale di 25.000 euro.

Njeri, la perla nera di Rachele, nata nella baracca di Korogocho ha davanti a sé quaranta anni di vita (se tutto fila liscio) e una dote inziale di soli 250 euro.

Due mondi, due bimbe, divise da un invisibile muro di vetro. La prima, Viola, fa parte del 20% dell'umanità che si "pappa" l'83% delle risorse mondiali. La seconda, Njeri, fa parte dell'oltre un miliardo di "esuberi umani" che devono accontentarsi dell' 1,4% delle risorse, costretti a vivere con meno di 1 dollaro al giorno: sono gli innocenti di cui si rinnova la strage oggi: e Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata perché essi non ci sono più.

Milioni di bimbi muoiono di fame, malattie, aids: un bimbo muore di fame ogni due secondi, 11 milioni ne muoiono all'anno per malattie meno gravi di un raffreddore, centinaia di milioni non inizieranno neanche la prima elementare.

Due mondi, due Natali. Il nostro è il Natale dell'opulenza, delle luci, dei regali del consumismo degli affari. E' un business senza fine, è uno shopping anche di domenica. Questo sfavillio di luci natalizie sembra un meraviglioso "acquario" in cui guizzano costosissimi pesciolini esotici. A scrutarlo centinaia di milioni di bimbi dal volto scuro che guardano affascinati l'acquoso ed esotico luccichio. Fino a quando la parete di vetro proteggerà il banchetto degli esotici pesciolini?

Per assicurarci che la parete di vetro sia davvero infrangibile e ci protegga eternamente da quei visi sognanti di bimbi affascinati noi investiamo somme astronomiche in armi: Usa ed Europa nel 2003 programmano di spendere 750 miliardi di dollari.

Un altro Natale non solo è possibile ma è urgente e necessario! Boicottiamo il Natale dei pesciolini esotici: il Natale dei consumi, dei regali, degli affari, un Natale "pagano" che ha ben poco da spartire con quel Bimbo che nasce in una mangiatoia alla periferia dell'impero, fuori dell'acquario anche lui indistinguibile volto nero in mezzo agli altri volti scuri.

Diciamo no al consumismo vieppiù indotto e incentivato e diciamo sì alla festa natalizia della famiglia allargata a nonni, cugini, zii, nipoti ma anche alla famiglia dell'immigrato che lavora per noi o che ci è più vicino.

Diciamo no al decadente e ripetitivo tango di regali, e diciamo sì ad un consumo critico, al regalo fatto in casa con amore e con le proprie mani, o a quello equo e solidale di lavoro fatto "in dignità".

Diciamo no alla stupida pervasività televisiva e diciamo sì alle relazioni umane in famiglia, ritornando a raccontarci gioie e dolori e a riprendere confidenza con l'immaginario, la fiaba prendendo a cuore anche la bellezza del celebrare insieme il fascino del Natale.

Diciamo no alla violenza e alla guerra e diciamolo con fierezza, e diciamo sì alla pace e alla nonviolenza con evidenza mettendo bandiere arcobaleno ai nostri balconi e camminando con uno "straccetto bianco di pace". Solo così il Natale ritornerà ad essere la festa della vita che farà rifiorire la speranza di un altro mondo possibile.

Coraggio, dunque, ci può ancora essere un Buon Natale!

Natalesolidarietàgiustiziaingiustiziasfruttamentomondialitàricchezzapovertàpaceguerraarmi

inviato da Viola, inserito il 29/01/2003

TESTO

48. Decalogo di Assisi   2

Giovanni Paolo II, Lettera a tutti i Capi di Stato e di Governo del mondo e Decalogo di Assisi per la Pace (24 gennaio 2002)

1. Noi ci impegniamo a proclamare la nostra ferma convinzione che violenza e terrorismo s'oppongono al vero spirito religioso, condannando ogni ricorso alla guerra e alla violenza in nome di Dio o della religione; noi ci impegniamo a fare tutto il possibile per sradicare le cause del terrorismo.

2. Noi ci impegniamo ad educare le persone al rispetto e alla stima reciproca, affinché si possa giungere ad una coesistenza pacifica e solidale tra membri d'etnie, culture e religioni diverse.

3. Noi ci impegniamo a promuovere la cultura del dialogo, in modo da sviluppare la comprensione e la fiducia reciproche tra gli individui e tra i popoli, perché queste sono le condizioni di una pace autentica.

4. Noi ci impegniamo a difendere il diritto di ogni persona umana ad una esistenza degna, conforme alla sua identità culturale e a costituire liberamente una famiglia che le sia propria.

5. Noi ci impegniamo a dialogare con sincerità e pazienza, non considerando come un muro invalicabile ciò che ci separa ma, al contrario, riconoscendo che il confronto con la diversità degli altri può divenire occasione di una più grande comprensione reciproca.

6. Noi ci impegniamo a perdonarci reciprocamente gli errori e i pregiudizi passati e presenti e sostenerci nello sforzo comune per vincere l'egoismo e l'abuso, l'odio e la violenza, e per imparare dal passato che la pace senza giustizia non è una pace autentica.

7. Noi ci impegniamo ad essere dalla parte di coloro che soffrono la miseria e l'abbandono facendoci voce dei senza voce e lavorando concretamente per superare tali situazioni, convinti che nessuno può essere felice da solo.

8. Noi ci impegniamo a far nostro il grido di chi non si rassegna alla violenza e al male e desideriamo contribuire con tutte le nostre forze a dare all'umanità del nostro tempo una reale speranza di giustizia e di pace.

9. Noi ci impegniamo ad incoraggiare ogni iniziativa per l'amicizia tra i popoli, convinti che se manca una solida intesa tra i popoli, il progresso tecnologico espone il mondo a dei rischi crescenti di distruzione e di morte.

10. Noi ci impegniamo a chiedere ai responsabili delle nazioni di fare tutti gli sforzi possibili perché, a livello nazionale e internazionale, sia costruito e consolidato un mondo di solidarietà e di pace fondata sulla giustizia.

pacetolleranzadialogomulticulturalitàgiustiziaingiustiziacomunione tra i popoli

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Lorenzo Corradini, inserito il 11/12/2002

TESTO

49. Che dite che io sia? (Mt 16,15)

Madre Teresa di Calcutta

Chi è Gesù per me?
Gesù è il Verbo fatto uomo.
Gesù è il pane della vita.
Gesù è la vittima offerta
per i nostri peccati sulla croce.
Gesù è il sacrificio offerto per i miei
e per i peccati del mondo.
Gesù è la parola che va proclamata.
Gesù è la verità, che deve essere narrata.
Gesù è la vita, che deve essere percorsa.
Gesù è la luce, che deve essere fatta splendere.
Gesù è la vita, che deve essere vissuta.
Gesù è l'amore, che deve essere amato.

Gesù è la gioia, che deve essere condivisa.
Gesù è il sacrificio, che deve essere offerto.
Gesù è la pace, che deve essere data.
Gesù è il pane della vita, che deve essere mangiato.
Gesù è l'affamato, che deve essere nutrito.
Gesù è l'assetato, che deve essere dissetato.
Gesù è l'ignudo, che deve essere rivestito.
Gesù è il senza tetto, che deve essere ospitato.
Gesù è il malato, che deve essere sanato.
Gesù è l'uomo solo, che deve essere consolato.
Gesù è il non voluto, che deve essere voluto. Gesù è il lebbroso, che deve essere lavato nelle sue ferite.
Gesù è il mendicante, che deve essere gratificato di un sorriso.
Gesù è l'ubriaco, che bisogna ascoltare .
Gesù è il malato di mente che bisogna proteggere.
Gesù è il piccolo che bisogna abbracciare.
Gesù è il cieco, che bisogna guidare.
Gesù è il muto, cui bisogna parlare.
Gesù è lo zoppo, con cui bisogna camminare.
Gesù è il drogato, che bisogna aiutare.
Gesù è la prostituta, da sottrarre al pericolo e da sostenere.
Gesù è il prigioniero, che bisogna visitare.
Gesù è il vecchio, che deve essere servito.

Per me
Gesù è il mio Dio
Gesù è il mio sposo
Gesù è la mia vita
Gesù è il mio solo amore
Gesù è il mio tutto di tutto.
La mia pienezza.

Gesù,
ecco chi amo con tutto il cuore,
con tutto il mio essere.
Gli ho dato tutto,
persino i miei peccati.
E lui m'ha sposata a se stesso.
In tenerezza e amore.
Ora e per la vita.
Sono al sposa del mio sposo crocifisso.
Amen.

Gesù Cristocaritàamoresolidarietàtestimonianza

inviato da Rossella Di Cosmo, inserito il 07/12/2002

TESTO

50. Cari uomini... lettera da Gesù Bambino!

Cari uomini, beh! Non state a sgranare gli occhi. Sono io, e non è proprio il caso di fare tante storie.

Siete cosi abituati a tenermi imprigionato nei vostri schemi e, fra poco, nei vostri presepi, che non vi rendete conto che sono diverso dai vostri schemi, che non sono un bambino di gesso, innocuo, ma sono in carne ed ossa, capace di parlare, o addirittura, come in questo caso, di strillare. Ho deciso di invertire le parti.

Siete sempre voi a domandarmi qualcosa, e visto che si avvicina il Natale, sarete voi a scrivermi delle lettere. La lettera questa volta, se non vi dispiace, la scrivo io. E, a scanso di equivoci, vi anticipo che non sarà affatto una letterina gentile.

Ho ascoltato milioni e milioni di vostre richieste, ho letto milioni e milioni di vostre lettere. Per una volta, almeno, voglio essere io a dirvi qualcosa, a esprimere desideri, a formulare precise richieste.
E pretendo naturalmente la vostra attenzione.

Pochi di voi, a quanto mi risulta, e credo di essere ben informato, si sono preoccupati di sapere quali sono i miei progetti su di loro, se lo hanno fatto, lo hanno fatto un po' per retorica; pochi si sono preoccupati di sapere quale speranza ho nutrito e nutro, facendomi uomo, venendo ad abitare in mezzo a voi; pochi si sono preoccupati di sapere se il mio "sogno" realizzabile; sì confessatelo, piuttosto avete pensato che sono sogni, che sono "cose" campate in aria.

Vi devo dire che siete molto abili a "trasformare", ma con quella trasformazione che mi esclude. Volete un esempio?!

lo sono nato per portare la salvezza, sono nato per portare la speranza, sono nato in povertà. E voi la salvezza, la speranza, la povertà le avete "trasformate" in una faccenda dove io sono stato messo da parte, in feste dove io non c'entro e con me non entra la speranza, la salvezza, la povertà, il "sogno" che Dio mio Padre ha per voi uomini.

Non è attraverso l'uso del mio nome che si realizza il "sogno" di Dio per voi, non attraverso i bei canti, i "formalismi", i "bei discorsi" attraverso le cose sporadiche, che la speranza del Dio-con-noi si vive e si realizza.

E cosi, cari uomini, la storia si ripete. Ed è sempre la triste storia che mi fa trovare porte chiuse. Quando sono venuto in mezzo a voi per condividere la vostra situazione, per partecipare alle vostre vicende, per essere insomma uno di voi, per me non c'era posto nelle vostre abitazioni, perché erano già piene.

Allora come oggi, dopo duemila anni, devo constatare che non c'è posto per me nel vostro cuore: è già pieno di altri affetti, è occupato da molti idoli, è distratto dai molteplici impegni; e ciò che più mi dispiace è che non c'è posto nemmeno là dove si pronuncia con frequenza e disinvoltura il mio nome.

La mia presenza è gradita, a patto che venga circoscritta, limitata nel tempo e nello spazio, relegata ad alcuni istanti, soprattutto neutralizzata nei suoi elementi più impegnativi.

Non sono venuto sulla terra come occasione per la vostra vanità, superficialità, gusto del chiasso; o soprattutto, visto che si avvicina il Natale, perché vi poteste "abbuffare", oppure vi sentite, almeno una volta l'anno, buoni e generosi, non era proprio il caso che mi scomodessi per così poco, non vi pare?...

Sia ben chiaro: O mi accettate come Protagonista e quindi subordinate tutto il resto al mio "sogno", oppure vi diffido formalmente dall'usare ancora il mio nome. Sulla terra ci sono venuto e ci vengo, ci rimango volentieri. In mezzo a voi mi ci trovo benissimo, sono uno dei vostri ormai. Desidero camminare con voi, condividere pene e gioie, portare pesi, successi e fallimenti. L'unica cosa che non ammetto è di diventare pretesto per un gioco di vanità che finirebbe per lasciarvi ancora più soli, più poveri, più insoddisfatti, più disperati.

Quindi d'ora innanzi sapete a quali condizioni potete contare su di me. Vi ho parlato con chiarezza, forse vi ho ferito. Ma dopo, ne sono sicuro, le cose andranno molto meglio, con comune soddisfazione. E non si ripeteranno certi equivoci...

Comunque statene certi: per un "sogno" vero e autentico, per un "sogno" di porte e cuori spalancati, per un "sogno" di pace, per un "sogno" che frantumi le barriere, per un "sogno" di gioia, desiderato e costruito da tutti gli uomini di buona volontà, per un "sogno" di perdono per individui che si riconoscono peccatori, per un "sogno" di salvezza, per un "sogno" di speranza, è sempre disponibile il vostro

Gesù Bambino

Nataleincarnazioneprogetto di Dio

inviato da Eleonora Polo, inserito il 06/12/2002

TESTO

51. Cominciare da se stessi

Martin Buber, Il cammino dell'uomo

Bisogna che l'uomo si renda conto innanzitutto lui stesso che le situazioni conflittuali che l'oppongono agli altri sono solo conseguenze di situazioni conflittuali presenti nella sua anima, e che quindi deve sforzarsi di superare il proprio conflitto interiore per potersi così rivolgere ai suoi simili da uomo trasformato, pacificato, e allacciare con loro relazioni nuove, trasformate.

Indubbiamente, per sua natura, l'uomo cerca di eludere questa svolta decisiva che ferisce in profondità il suo rapporto abituale con il mondo: allora ribatte all'autore di questa ingiunzione - o alla propria anima, se è lei a intimargliela - che ogni conflitto implica due attori e che perciò, se si chiede a lui di risalire al proprio conflitto interiore, si deve pretendere altrettanto dal suo avversario. Ma proprio in questo modo di vedere - in base al quale l'essere umano si considera solo come un individuo di fronte al quale stanno altri individui, e non come una persona autentica la cui trasformazione contribuisce alla trasformazione del mondo - proprio qui risiede l'errore fondamentale [...].

Cominciare da se stessi: ecco l'unica cosa che conta. In questo preciso istante non mi devo occupare di altro al mondo che non sia questo inizio. Ogni altra presa di posizione mi distoglie da questo mio inizio, intacca la mia risolutezza nel metterlo in opera e finisce per far fallire completamente questa audace e vasta impresa. Il punto di Archimede a partire dal quale posso da parte mia sollevare il mondo è la trasformazione di me stesso. Se invece pongo due punti di appoggio, uno qui nella mia anima e l'altro là, nell'anima del mio simile in conflitto con me, quell'unico punto sul quale mi si era aperta una prospettiva, mi sfugge immediatamente.

[...] "Cerca la pace nel tuo luogo". Non si può cercare la pace in altro luogo che in se stessi finché qui non la si è trovata. E' detto nel salmo: "Non c'è pace nelle mie ossa a causa del mio peccato". Quando l'uomo ha trovato la pace in se stesso, può mettersi a cercarla nel mondo intero.

perdonopaceconflittiserenitàpace interioreamare i nemici

inviato da Luca Peyron, inserito il 03/12/2002

TESTO

52. Quattro buoni motivi per leggere il vangelo   1

Nazzareno Marconi, pagina web

Primo motivo: Il Vangelo è il libro più famoso del mondo.

Se una mattina trovaste annunciato da tutti i giornali e tutte le trasmissioni televisive che uno sceneggiato ha avuto il più alto indice di ascolto di tutti i tempi, non vi verrebbe una grande curiosità di dare almeno un'occhiata alla seconda puntata? Il vangelo è il libro più stampato del mondo ed anche il più letto, in tutte le lingue e culture conosciute. Ma qual è il segreto del suo successo? Un numero incredibile di persone hanno scoperto che questo testo ha un potere unico: aiuta a conoscersi meglio e a rinnovare la propria vita. Dà una mano per prendere decisioni importanti e scoprire che senso abbia ciò che facciamo, ciò che pensiamo, ciò che desideriamo. Nel corso della sua storia l'umanità vi ha scoperto una fonte misteriosa ed inesauribile di speranza, di incoraggiamento, un intenso senso di pace.

Secondo motivo: Il Vangelo è un libro molto prezioso.

Se ti capitasse tra le mani un libro che: è stato copiato e diffuso con fatica per duemila anni, che spesso è stato combattuto e proibito da grandi poteri politici e militari, eppure è stato sempre difeso e conservato a costo della vita. Non gli dedichereste almeno un po' della vostra attenzione? La storia dei cristiani è punteggiata di storie di persecuzioni e martiri. Fin dall'inizio i nemici di Gesù hanno tentato di cancellare il suo ricordo, impedendo che i suoi amici parlassero di Lui alla gente. Ma questi non hanno taciuto, hanno parlato e scritto a costo della vita, e molti altri nel corso delle storia hanno fatto lo stesso. Solo grazie a questa catena di testimoni questo piccolo libro è potuto giungere tra le tue mani. Non credi che tanto sacrificio meriti un po' della tua attenzione?

Terzo motivo: Il Vangelo ha un mittente molto importante.

Se una mattina trovaste tra la vostra posta una lettera che viene da una grandissima autorità politica o economica, non la leggereste per prima e con molta attenzione? Oltre un miliardo e mezzo di persone nel mondo sono convinte che questo piccolo libro sia come una lettera che viene da Dio. Attraverso di esso il Creatore ha voluto mandarci un messaggio molto importante, tanto importante che questa "lettera" ci è stata "recapitata" da Gesù: il Figlio di Dio. Un messaggio con una tele "mittente" ed un tale "portalettere" non merita forse una attenta lettura?

Quarto motivo: Il Vangelo ha un destinatario molto importante.

Se una mattina trovaste tra la vostra posta una lettera indirizzata a voi e con su scritto "strettamente personale", non l'aprireste per prima e con molta attenzione? La fede dei cristiani ritiene che il Vangelo non contenga un messaggio generale, che riguardi soltanto principi e valori molto vaghi. Crediamo invece che il Vangelo è un messaggio che Dio invia a Te. Tra le sue parole ogni giorno puoi trovare qualcosa che misteriosamente, ma efficacemente, parla al tuo cuore e guida la tua vita. I cristiani, quando aprono il vangelo, si chiedono: "cosa mi dice oggi il Signore?". Non vale la pena di provare?

VangeloParola di DioSacra ScritturaBibbia

inviato da Eleonora Polo, inserito il 16/11/2002

TESTO

53. Lettera alla Parrocchia

Centro di Orientamento Pastorale [COP], a conclusione della 52ma Settimana di aggiornamento pastorale a Bergamo; Settimana, luglio 2002

Cara parrocchia,

sappiamo che più o meno consapevolmente molti, anche tra i cristiani, non ti ritengono oggi un riferimento necessario per la loro vita e che in certe zone d'Italia non sei più il centro dell'esperienza di un popolo.

Sappiamo che, per molti, rischi di essere soltanto una stazione di servizio distributrice di sacramenti e di elemosine e che, per alcuni gruppi, sei poco più di una base logistica.

Sappiamo tuttavia che molte associazioni, gruppi e movimenti trovano in te non solo un luogo di accoglienza e di ospitalità, ma la casa e la scuola dove crescere nella fede, per essere missionari nella città degli uomini.

Sappiamo che la fatica del rinnovamento nella fedeltà al Vangelo può togliere anche a te un po' di respiro ed entusiasmo.

Sappiamo che vorresti essere una comunità di celebrazione, di carità e di annuncio, ma che, a volte, ti mancano persone, parole di incoraggiamento e gesti di sostegno.

Sappiamo, infine, che potresti essere una delle molte comunità che sono senza pastore, ma noi non ti molliamo, anzi scommettiamo sulla tua grande capacità di rigenerarti, come hai fatto tante volte nella storia.

Non siamo nostalgici, vogliamo - con te e per te - essere creativi.

Non possiamo fare a meno di te, perché è nel tuo essere Chiesa tra le case, porzione di quella grande comunità che è la Chiesa universale, che noi apprendiamo a fare comunione; è tra le tue mura, chiese, cappelle, tessuti di relazione che incontriamo la comunità, sacramento cui è affidata la Parola che genera per tutti salvezza.

Non possiamo fare a meno di te, se vogliamo compiere oggi il percorso necessario di Parola, rito e carità che ci unisce a Cristo.

Non possiamo fare a meno di te, perché è nella celebrazione eucaristica che troviamo il sostegno decisivo per la nostra fede, la sorgente per la nostra sete di senso, la forza per una convivenza nella giustizia e nella pace.

Non possiamo fare a meno di te, se vogliamo imparare, da laici, consacrati e da preti, come si fa a essere laici, consacrati e preti in mezzo alla gente.

Siamo convinti che ancora molte persone si accostano a te con domande semplici di umana comprensione, di pietà e di condivisione e tu hai ancora per ciascuno parole e gesti di speranza e di fiducia.

Siamo convinti che con te si viene ancora a misurare l'incredulità fragile di molti uomini e donne, la loro nostalgia di Dio, il loro stesso rancore per l'inganno e le trappole in cui sono caduti e tu hai sempre un percorso di fede da ricominciare.

Siamo convinti che il Vangelo che proponi (e come lo proponi) in fedeltà allo Spirito che guida la Chiesa è la risposta ultima alle grandi domande dell'uomo.

Ti vogliamo aiutare a farti cantiere di formazione nei tuoi gesti solenni e quotidiani, nella tua assemblea domenicale, nell'accompagnare con il sacramento la vita che nasce, muore, esplode nella gioia, si affatica nel lavoro, si misura nella malattia.

Ti vogliamo aiutare a farti scuola di comunione anche nelle varie forme associative (pensiamo ad esempio, all'Azione Cattolica) generate da quella fantasia cristiana che tanta ricchezza di crescita spirituale, di fede e di apostolato ha portato alla vita delle nostre comunità. Ti vogliamo aiutare a farti punto di speranza nella capacità di incontrarti con le domande anche più petulanti e disperate, perché le sappia far diventare percorsi di vita e di fede.

Ti vogliamo aiutare a farti segno di quel "totalmente altro" che chiede di mescolarci nella società e di essere presenti nelle istituzioni abitandole da cristiani capaci di mostrare il Volto di Cristo, crocifisso e risorto, figlio dell'uomo e figlio di Dio, che tu ci aiuti a contemplare.

Ti vogliamo aiutare a vivere pienamente, con responsabilità e con gioia la dimensione Diocesana, ad aprirti alla collaborazione con tutte le altre parrocchie, superando ogni autosufficienza.

Ti vogliamo aiutare a confrontarti con un territorio che cambia per l'arrivo di altre culture e altre religioni, a portare al tuo interno per offrirla sull'altare dell'Eucaristia la vita quotidiana dei tuoi fedeli vita di famiglia, vita di lavoro e di disoccupazione, vita di italiani e di stranieri, vita culturale, politica, apertura al mondo intero.

Ti vogliamo aiutare a osare nella verità il dialogo con ogni ricerca di Dio e per questo ti chiediamo di essere esigente con noi stessi perché l'accoglienza e l'ascolto siano il frutto di una fede pensata. Cara parrocchia chiedici di più, sapremo darti anche di più e soprattutto lascia sempre trasparire sul tuo volto l'immagine beatificante del Volto di Dio.

parrocchialaicicollaborazioneresponsabilitàcorresponsabilitànuova evangelizzazione

inviato da Anna Barbi, inserito il 24/09/2002

TESTO

54. Buon Natale, tanti auguri... scomodi!

Tonino Bello

Non obbedirei al mio dovere di Vescovo, se vi dicessi "Buon Natale" senza darvi disturbo.
Io, invece, vi voglio infastidire.

Non posso, infatti, sopportare l'idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla "routine" di calendario. Mi lusinga, addirittura, l'ipotesi che qualcuno li possa respingere al mittente come indesiderati.
Tanti auguri scomodi, allora!

Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali. E vi conceda la forza di inventarvi un'esistenza carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio.

Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio.

Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la carriera diventa idolo della vostra vita; il sorpasso, progetto dei vostri giorni; la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate.

Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla ove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che lo sterco degli uomini o il bidone della spazzatura o l'inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa.

Giuseppe, che nell'affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro.

Gli angeli che annunziano la pace portino guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che, poco più lontano di una spanna con l'aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfrutta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano i popoli allo sterminio per fame.

I poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell'oscurità e la città dorme nell'indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere "una gran luce", dovete partire dagli ultimi. Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili. Che le pellicce comprate con le tredicesime di stipendi multipli fanno bella figura, ma non scaldano. Che i ritardi dell'edilizia popolare sono atti di sacrilegio, se provocati da speculazioni corporative.

I pastori che vegliano nella notte, "facendo la guardia al gregge" e scrutando l'aurora, vi diano il senso della storia, l'ebbrezza delle attese, il gaudio dell'abbandono in Dio. E poi vi ispirino un desiderio profondo di vivere poveri: che poi è l'unico modo per morire ricchi.

Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza.

Nataleincarnazioneconversione

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 12/06/2002

TESTO

55. La pace come perdono

Tonino Bello

Solo chi perdona può parlare di pace e teorizzare sulla non violenza.

Non vorrei essere frainteso.

E' vero: la pace è conquista, cammino, impegno. Ma sarebbe un brutto guaio se qualcuno pensasse che essa sia semplicemente il frutto dei nostri sforzi umani o il risultato del nostro volontarismo titanico o una merce elaborata nelle nostre cancellerie diplomatiche o un prodotto costruito nei nostri cantieri popolari.

La pace è soprattutto dono che viene dall'alto. E' la strenna pasquale che Gesù ha fatto alla terra. È il regalo di nozze che ha preparato per la sua sposa. Con tanto di marchio di fabbrica: "Made in Cielo".

Qual è allora il ruolo degli operatori di pace? Quello di non respingere il dono al mittente. E' in particolare, quello di rendere attuale e fruibile per tutti questo regalo di Dio. Mi spiego con immagini. Gesù è sceso sulla terra tormentata dalla sete. Con la sua croce, piantata sul Calvario come una trivella, ha scavato un pozzo d'acqua freschissima. Una volta risorto, ha consegnato questo pozzo agli uomini dicendo: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace". Ora tocca a noi

attingere l'acqua della pace per dissetare la terra. A noi, il compito di farla venire in superficie, di canalizzarla, di proteggerla dagli inquinamenti, di farla giungere a tutti.

La pace, dunque, è dono. Anzi, è " per-dono". Un dono "per". Un dono moltiplicato. Un dono di Dio che, quando giunge al destinatario, deve portare anche il "con-dono" del fratello.

E qui il discorso si fa concreto. Come possiamo dire parole di pace, se non sappiamo perdonare? Con quale coraggio pretendiamo che siano credibili le nostre scelte di pace a livello di massimi sistemi, quando nel nostro entroterra personale prevale la legge del taglione? Come possiamo rifiutare la "deterrenza" e respingere la logica del missile per missile, se nella nostra vita pratichiamo gli schemi dell'"occhio per occhio e dente per dente"? Quali liberazioni pasquali vogliamo annunciare, se siamo protagonisti di stupide smanie di rivincita, di deprimenti vendette familiari, di squallide faide di Comune? Chi volete che ci ascolti quando facciamo comizi sulla pace, se nel nostro piccolo guscio domestico siamo schiavi dell'ideologia del nemico?

Solo chi perdona può parlare di pace. E a nessuno è lecito teorizzare sulla non violenza o ragionare di dialogo tra popoli o maledire sinceramente la guerra, se non è disposto a quel disarmo unilaterale e incondizionato che si chiama "perdono".

perdonoamare i nemicipaceconflitti

inviato da Mariangela Molari, inserito il 22/05/2002

TESTO

56. Credo in Te   1

Credo nell'amore perché in sé racchiude tutto il significato della nostra vita: nasciamo per amore, cresciamo nell'amore e siamo chiamati ad amare, in condivisione e comunione completa con i nostri fratelli, perché elevato fino a Dio l'amore può andare oltre i limiti dell'uomo.

Credo nell'altro perché è in chi mi sta accanto che ritrovo il tuo volto.

Credo nell'amicizia perché riconosco in essa un importante punto di riferimento che mi dà sicurezza, fiducia in me e negli altri, insegnandomi a crescere e a maturare.

Credo nella vita come grande dono che Dio ci ha concesso e con il quale possiamo realizzare quel progetto che lui ha posto in noi.

Credo nella preghiera perché ci permette di entrare in intimità con un amico sempre disponibile ad ascoltarci e confortarci; perché ci consente di elevarci fino a lui dimenticando tutto ciò che ci preoccupa ed affanna e perché in essa ritroviamo la forza per fare della nostra vita una grande esperienza d'amore.

Credo nell'intelligenza perché ci permette di affrontare con consapevolezza e responsabilità le scelte della vita.

Credo nella sincerità perché rende più puri e veri i nostri sentimenti.

Credo nella fiducia perché ci consente di non rimanere mai soli.

Credo nella felicità perché ci rende vivi e capaci di donare con spontaneità e senza pretese.

Credo nel rispetto poiché non siamo nati per giudicare o condannare, ma per imparare a crescere nella scoperta del grande valore che l'altro rappresenta per noi.

Credo nella vita eterna perché consente di superare il limite umano, la materialità, dando un senso ancora più profondo alla vita terrena.

Credo nella semplicità perché Dio ha scelto la semplicità del pane e del vino per essere sempre presente e vivo in mezzo a noi.

Credo nella conversione perché solo attraverso essa posso liberare la mia anima ed avvicinarmi a Dio privo di condizionamenti e nel totale appagamento.

Credo nel silenzio perché ci consente di superare la confusione delle parole, di riflettere, di capire, ascoltare e confortare meglio di quanto possa fare qualunque parola o qualunque orecchio.

Credo nella musica come modo di comunicare universale, diretto, spontaneo; la musica ci parla della nostra vita e ci dà l'opportunità di riflettere.

Credo nella volontà perché è grazie al desiderio e allo stimolo che Dio suscita nel cuore dell'uomo che egli riesce ad affrontare di tutto per poter, alla fine, raggiungere il suo scopo e trovare la piena felicità in esso.

Credo nella Verità poiché tutti noi abbiamo bisogno di sapere la verità; l'uomo ha sete di verità.

Credo nella gratuità perché nessuna ricompensa è più grande della gioia che sa donarci la felicità espressa dal sorriso di un volto amico.

Credo nella Provvidenza perché con essa in noi nulla ci può mancare anche quando non abbiamo niente.

Credo nel camposcuola come stimolo, spinta verso un cammino di crescita che ci fa forti nella fede e ci rende testimoni della Tua misteriosa e preziosa presenza.

Credo nella perfetta letizia, nel dono di Dio di perdonare e sentirsi perdonati. Un amore senza misura che riempie il cuore di gioia e dà il coraggio di affrontare la vita.

Credo nella libertà di essere se stessi perché ci rende unici, veri, autentici e liberi.

Credo nella pace perché è nella pace che si costruisce un mondo fatto d'amore, di felicità e di quella serenità che ci rende liberi pellegrini verso te, Signore.

Credo nel creato perché ovunque Lo sento: nelle montagne, nel cielo, nelle nuvole, nelle stelle, nel sole, nel vento... Tutto ci parla di Lui.
Credo in tutto questo perché credo in te.

regola di vitacredo

3.0/5 (2 voti)

inviato da Francesco G., inserito il 21/05/2002

TESTO

57. Dalla paura la guerra

Thomas Merton

Alla radice di ogni guerra sta la paura: non tanto la paura che gli uomini hanno gli uni degli altri, quanto la paura che essi hanno di tutto. Non è soltanto che non si fidino gli uni degli altri: non si fidano neppure di se stessi. Se dubitano che qualcuno possa voltarsi ed ucciderli, ancor più dubitano di poter essi stessi voltarsi ed uccidere. In nulla possono riporre la loro fiducia perché hanno cessato di credere in Dio.

Porrete fine alle guerre chiedendo agli uomini di fidarsi di uomini che evidentemente non meritano fiducia? No. Insegnate loro ad amare Dio e ad aver fiducia in Lui; allora essi saranno in grado di amare gli uomini in cui non possono avere fiducia ed oseranno far pace con loro, fidandosi non di loro ma di Dio.

Perché soltanto l'amore - che significa umiltà - può scacciare il timore che sta alla radice di ogni guerra.

Se gli uomini volessero davvero la pace, la chiederebbero a Dio ed Egli la darebbe loro. Ma perché Egli dovrebbe dare al mondo una pace che in realtà il mondo non desidera? Perché quella pace che il mondo sembra desiderare non è affatto pace.

Per alcuni, pace significa semplicemente libertà di sfruttare altri senza pericolo di rappresaglie o di interferenze. Per altri, pace significa la possibilità di derubarsi continuamente a vicenda. Per altri ancora significa facoltà di divorare i beni della terra senza essere costretti a interrompere i propri piaceri per nutrire coloro che vengono affamati dalla loro avidità. E per la grande maggioranza, pace significa semplicemente l'assenza di ogni violenza fisica che possa gettare una ombra su vite dedite alla soddisfazione dei propri appetiti animali di comodità e di piacere.

Molti uomini come questi hanno domandato a Dio ciò che essi credevano fosse la «pace» e si sono chiesti perché le loro preghiere non fossero state esaudite. Essi non potevano comprendere che in realtà erano esaudite. Dio ha lasciato loro ciò che desideravano, perché la loro idea di pace era soltanto un'altra forma di guerra.

Così, invece di amare ciò che tu credi sia la pace, ama gli altri uomini e ama soprattutto Dio. E invece di odiare coloro che credi fomentatori di guerra, odia gli appetiti e il disordine della tua anima, che sono le cause della guerra.

guerrapacepaura

inviato da Don Angelo, inserito il 09/05/2002

TESTO

58. Amore   2

Kahlil Gibran, Il profeta

Quando l'amore vi fa cenno, seguitelo,
benché le sue strade siano aspre e scoscese.
E quando le sue ali vi avvolgono,
abbandonatevi a lui,
benché la spada che nasconde tra le penne possa ferirvi.
E quando vi parla, credetegli,
anche se la sua voce può mandare in frantumi i vostri sogni
come il vento del nord lascia spoglio il giardino.
Perché come l'amore vi incorona, così vi crocifigge.
E come per voi è maturazione, così è anche potatura.
E come sale alla vostra cima e accarezza i rami più teneri che fremono al sole,
così discenderà alle vostre radici che scuoterà dove si aggrappano con più forza alla terra.
Come fastelli di grano vi raccoglierà.
Vi batterà per denudarvi.
Vi passerà al crivello per liberarvi dalla pula.
Vi macinerà fino a farvi farina.
Vi impasterà fino a rendervi plasmabili.
E poi vi assegnerà al fuoco sacro,
perché possiate diventare pane sacro nei sacri conviti di Dio.
Tutto questo farà in voi l'amore,
affinché conosciate i segreti del cuore,
e in quella conoscenza diventiate un frammento del cuore della vita.
Ma se avrete paura, e cercherete soltanto la pace dell'amore
ed il piacere dell'amore,
allora è meglio che copriate le vostre nudità,
e passiate lontano dall'aia dell'amore,
nel mondo senza stagioni dove potrete ridere,
ma non tutto il vostro riso,
e piangere, ma non tutto il vostro pianto.
L'amore non dà nulla all'infuori di sé,
né prende nulla se non da se stesso.
L'amore non possiede né vuol essere posseduto,
perché l'amore basta all'amore.
Quando amate non dovreste dire: "Dio è nel mio cuore".
Ma, semmai, "sono nel cuore di Dio".
E non crediate di guidare il corso dell'amore,
poiché l'amore, se vi trova degni,
guiderà lui il vostro corso.
L'amore non desidera che il proprio compimento.
Ma se amate e quindi avete desideri,
i vostri desideri siano questi:
sciogliersi e farsi simili a un ruscello
che scorra e canti nella notte la sua melodia;
conoscere il martirio della troppa tenerezza;
esser feriti dal vostro proprio intendere l'amore;
e sanguinare di buon grado, gioiosamente;
svegliarsi all'alba con un cuore alato
e dire grazie a un nuovo giorno d'amore;
Riposare al pomeriggio e meditare sull'estasi amorosa,
tornare a casa con gratitudine la sera,
e addormentarsi con una preghiera per chi amate nel cuore,
e un canto di lode sulle labbra.

amore

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inviato da Cristiano Ciferri, inserito il 16/04/2002

TESTO

59. Ti voglio per amico   2

Padre Zezhino

Ti voglio per amico
ed è importante per me che tu lo sappia.
Però, anche se tu non lo sapessi e non ti interessasse saperlo,
ti vorrei bene lo stesso!
Non ti voglio bene per me, ti voglio bene per te!
Non sei una persona che voglio possedere,
sei una persona che voglio vedere sbocciare ogni giorno di più.
Se avrai tempo per me, sarò felice di stare insieme a te.
Se sarai occupato e non mi vorrai accanto, cercherò di capire.
Se cercherai il mio tempo, farò in modo di sbrigarmi,
perché immagino che non mi cercheresti senza una ragione:
per me la tua ragione sarà sempre importante.
Se vuoi piangere, ti offro le mie spalle.
Se vuoi urlare contro il mondo ti offro la mia voce,
se vuoi sorridere, ci sarò anch'io a sorridere con te.
Se vuoi pace e silenzio, cercherò di parlare, ma non troppo.
Se per caso cercherai di vedere in me l'unico amico che hai,
cercherò di farti trovare altri amici,
perché non potrei mai darti tutto ciò di cui hai bisogno.
Non voglio essere il tuo unico amico,
sembra bello, però non ti fa bene.
Hai bisogno di altri, come io ne ho bisogno.
Se si spegnerà la tua luce, prendi la mia.
Se la tua pace se ne va, ci sarà ancora la mia, prendila pure.
Se la tua fede si farà confusa, credi con me: in due si crede meglio.
Se avrai paura, uniamo le nostre paure,
forse troveremo il coraggio di vivere.
Allora non ti prometto di non deluderti mai!
Sai che sono umano e perciò posso sbagliare.
Non ti prometto di amarti come vuoi essere amato!
Non ti prometto niente di più che cercare di essere vicino a te e camminare insieme.
Voglio essere il tuo compagno, il tuo amico, il tuo fratello,
senza la presunzione di essere la tua unica forza.
Guardami negli occhi e cerca di immaginarmi come un ponte:
non devi restare in me, devi passare attraverso di me,
perché io sono tuo amico, perché sono tua strada verso l'Infinito,
perché sono il ponte che ti porta all'al di là,
e se non riuscissi a portarti più vicino a Dio,
non sarei stato un vero amico.
Ti voglio per amico.
Pensa a me come a un ponte nel tempo,
dopo di me troverai il vero amico: Dio.
Mi vuoi?

amicizia

inviato da Antonella Muscatello, inserito il 11/04/2002

TESTO

60. Beati gli operatori di pace   1

Chiara Lubich

Sai chi sono gli operatori di pace di cui parla Gesù? Non sono quelli che chiamiamo pacifici, che amano la tranquillità, non sopportano le dispute e si manifestano per natura loro concilianti, ma spesso rivelano un recondito desiderio di non essere disturbati, di non volere noie.

Gli operatori di pace non sono nemmeno quelle brave persone che, fidandosi di Dio, non reagiscono quando sono provocate o offese.

Gli operatori di pace sono coloro che amano tanto la pace da non temere di intervenire nei conflitti per procurarla a coloro che sono in discordia.

Può essere portatore di pace chi la possiede in se stesso.

Occorre essere portatore di pace, anzitutto nel proprio comportamento di ogni istante, vivendo in accordo con Dio e facendo la sua volontà.

Gli operatori di pace si sforzano poi di creare legami, di stabilire rapporti fra le persone, appianando tensioni, smontando lo stato di guerra fredda che incontrano in tanti ambienti di famiglia, di lavoro, di scuola, di sport, fra le nazioni, ecc.

Anche in casa tua, forse, sei al corrente, magari da tutta la vita, che il papà non rivolge la parola allo zio, da quando una volta hanno litigato. Così sai che la tua nonna non parla con la signora del piano di sopra perché fa sempre rumore. Conosci rivalità sul lavoro fra qualche tuo amico. Sei forse tu stesso in lite con i compagni di scuola; e i rapporti con i coetanei, che frequentano gli stessi tuoi sport, non sono sempre esemplari; domina in te il desiderio sfrenato di essere il primo, di superare l'altro e non sempre per pura emulazione.

Se vivi in una comunità hai osservato certamente quanti piccoli e grandi dissapori nascono e si alimentano. La televisione, il giornale, la radio ti dicono ogni giorno come il mondo è un immenso ospedale e le nazioni sono spesso grandi malate che avrebbero estremo bisogno di operatori di pace per sanare rapporti spesso tesi e insostenibili che rappresentano minacce di guerra, quando essa non è già in atto.

La pace è un aspetto caratteristico dei rapporti tipicamente cristiani che il credente cerca di instaurare con le persone con le quali sta in contatto o che incontra occasionalmente: sono rapporti di sincero amore senza falsità né inganno, senza alcuna forma di implicita violenza o di rivalità o di concorrenza o di egocentrismo.

Lavorare e stabilire simili rapporti nel mondo è un fatto rivoluzionario. Le relazioni che esistono nelle società sono infatti generalmente di tutt'altro tenore e, purtroppo, rimangono spesso immutate.

Gesù sapeva che la convivenza umana era tale e per questo ha chiesto ai sui discepoli di far sempre il primo passo, senza aspettare l'iniziativa e la risposta dell'altro, senza pretendere la reciprocità: "Io vi dico: amate i vostri nemici... Se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario?".

paceperdononon violenza

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 10/04/2002

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