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PREGHIERA
21. Santa Maria, donna senza retorica
Santa Maria, donna senza retorica, prega per noi inguaribilmente malati di magniloquenza. Abili nell'usare la parola per nascondere i pensieri più che per rivelarli, abbiamo perso il gusto della semplicità.
Santa Maria, donna senza retorica, prega per noi peccatori, sulle cui labbra la parola si sfarina in un turbine senza costrutto. Si fa voce, ma senza farsi mai carne. Ci riempie la bocca, ma lascia vuoto il grembo.
Santa Maria, donna senza retorica, la cui sovraumana grandezza è sospesa al rapidissimo fremito di un "fiat", prega per noi peccatori, perennemente esposti, tra convalescenze e ricadute, all'intossicazione di parole.
Proteggi le nostre labbra da gonfiori inutili. Fa' che le nostre voci, ridotte all'essenziale, partano sempre dai recinti del mistero e rechino il profumo del silenzio. Rendici come te, sacramento di trasparenza, e aiutaci, finalmente, preché nella brevità di un "sì" detto a Dio, ci sia dolce naufragare: come in un mare sterminato.
silenzioMariaretoricadisponibilitàcoerenza
inviato da Luca Peyron, inserito il 27/05/2005
TESTO
Maria è assolutamente vuota: di superbia, di invidia, di gelosia, di asprezza, di malizia, di vendetta e di altre miserie del genere. Per questo può essere piena di Dio. Quando noi cerchiamo questo tipo di vuoto, pratichiamo la vera devozione a Maria.
"Ecco io sono la serva del Signore": umile, nascosta, totalmente vuota di sé. Così è piena di Gesù, così lo può portare agli altri. È stata la prima a ricevere Gesù, a donarlo e a servirlo.
Mariaumiltàrapporto con Diomissione
inviato da Luca Peyron, inserito il 08/12/2004
TESTO
Baldovino di Ford, arcivescovo di Canterbury, 1190
Quando si alza la voce del Verbo, si conficca nel cuore come frecce da combattimento che dilaniano, come chiodi profondamente piantati, e penetra più che una spada a due tagli; poiché non esiste potenza né forza che possa portare colpi così sensibili, e lo spirito umano non può concepire una punta così sottile e penetrante. Tutta la saggezza umana, tutta la delicatezza del sapere naturale sono ben lontani dal raggiungere la sua acutezza.
inviato da Luca Peyron, inserito il 08/12/2004
TESTO
Date un pensiero al rito dell'imposizione delle Ceneri. Meriterebbe una prefazione storica, che lo fa risalire all'antico Testamento (Cfr. ad es. Ier. 25, 34; Iud. 9, 1; Dan. 9, 3, etc.), e lo travasa nel nuovo (Cfr. Luc. 10, 13; Matth. 11, 21), e poi nella prassi dei primi secoli cristiani e nei seguenti. Ma guardatene il senso, il pessimismo cioè che grava sulla vita umana nel tempo; rileggete uno dei libri, sapienziali, e in certo senso, quasi sconcertante, della Bibbia, l'Ecclesiaste (ora indicato col termine ebraico Qohèlet), che comincia con le famose parole, adatte per un cimitero dell'umanità senza speranza: «vanità della vanità, tutto è vanità» (Eccl. 1, 1); e ripensate al pauroso verismo di certa letteratura e di certa filosofia contemporanea; e vi convincerete della sincerità della Chiesa nella sua pedagogia spirituale; ella non può passare sotto silenzio l'esperienza della morte e del dissolvimento, a cui la nostra temporale esistenza è condannata. Ma con questa immediata rettifica ad una concezione disperata del nostro vero destino: la vita, in Cristo, sarà vittoriosa. E cioè bisogna ricordare e scoprire l'aspetto positivo della quaresima, cioè della penitenza cristiana. Essa non è voluta e promossa per offendere e per rattristare l'uomo, insaziabilmente avido di vita, di pienezza, di felicità, ma per ammaestrarlo e per condurlo, mediante l'arduo cimento della penitenza, alla conquista, o meglio alla riconquista del «paradiso perduto». Periodo perciò di riflessione si apre davanti a noi. È la concezione, in fondo, della nostra vita che passa all'analisi della coscienza cristiana; è l'autocritica fondamentale, è la filosofia che sfocia nella sapienza, è lo sforzo di salvataggio, dall'inevitabile naufragio travolgente, che accetta la mano salvatrice di Cristo, che ci è offerta in questa palestra spirituale. Procuriamo di comprendere, cerchiamo di profittarne.
mercoledì delle ceneripenitenzaquaresimasalvezza
inviato da Luca Peyron, inserito il 08/12/2004
TESTO
Clive Staples Lewis, Il cristianesimo così com'è, Adelphi
Alcuni dicono che comportarsi bene, se non significa fare ciò che giova a un determinato individuo in un determinato momento, significa tuttavia fare ciò che giova all'insieme del genere umano; e che quindi in questo non c'è niente di misterioso. Gli esseri umani, in fin dei conti, non sono privi di senno, e capiscono che si può essere veramente sicuri o felici soltanto in una società nella quale ognuno agisca correttamente; per questo cercano di comportarsi bene. Ora, è verissimo che sicurezza e felicità possono derivare soltanto dall'onestà, equità e gentilezza reciproca degli individui, classi e nazioni. E' una delle verità più importanti del mondo. Ma come spiegazione del nostro modo di sentire riguardo al giusto e all'ingiusto, alla ragione e al torto, è fuor di proposito. Se io chiedo: "Perché dovrei essere altruista?" e voi rispondete: "Perché giova alla società", io posso ribattere: "Perché dovrei curarmi di ciò che giova alla società, quando non giova a me personalmente?"; e voi allora dovrete dire: "Perché bisogna essere altruisti", il che ci riporta al punto di partenza. Dite una cosa vera, ma non fate un passo avanti.
spiritonichilismomoraleeticavalorialtruismo
inviato da Luca Peyron, inserito il 22/09/2004
TESTO
Ciò che mi pare senza avvenire è la "cultura del niente", della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l'atteggiamento dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità.
senso della vitaricerca di sensovalorinichilismo
inviato da Luca Peyron, inserito il 28/07/2004
TESTO
Giovanni Paolo I, Udienza Generale 20 settembre 1978
Qualcuno dirà: ma se io sono un povero peccatore? Gli rispondo come risposi a una signora sconosciuta, che s'era confessata da me molti anni fa. Essa era scoraggiata, perché - diceva - aveva avuta una vita moralmente burrascosa.
«Posso chiederle - dissi - quanti anni ha?»
«Trentacinque.»
«Trentacinque! Ma lei può viverne altri quaranta o cinquanta e fare ancora un mucchio di bene. Allora, pentita com'è, invece che pensare al passato, si proietti verso l'avvenire e rinnovi, con l'aiuto di Dio, la sua vita.»
Citai in quell'occasione S. Francesco di Sales, che parla delle «nostre care imperfezioni». Spiegai: Dio detesta le mancanze, perché sono mancanze. D'altra parte, però, in un certo senso, ama le mancanze in quanto danno occasione a Lui di mostrare la sua misericordia e a noi di restare umili e di capire e compatire le mancanze del prossimo.
speranzapeccatofedeperdonodebolezzapentimentoconversioneperdono di Diomisericordia
inviato da Luca Peyron, inserito il 28/07/2004
TESTO
A. Hesche, Dio alla ricerca dell'uomo
Il timore è un modo di essere in rapporto con il mistero di tutta la realtà.
Il timore che percepiamo o dovremmo percepire quando ci troviamo alla presenza di un essere umano è un momento di intuizione della somiglianza di Dio che si cela nella sua essenza. Non soltanto l'uomo, ma anche gli oggetti inanimati hanno relazione con il Creatore. Segreto di ogni creatura è l'attenzione e la sollecitudine di cui sono investite da parte di Dio. Qualcosa di sacro è in gioco in ogni avvenimento.
Il timore è l'intuizione della dignità di creature comune a tutte le cose e del grande valore che esse hanno per Dio; è il riconoscere che le cose non sono soltanto quello che sono ma implicano anche, se pure alla lontana, qualcosa di assoluto. Il timore è percezione della trascendenza, percezione del fatto che tutto in ogni luogo si riferisce a colui che è al di là delle cose. Un'intuizione che si manifesta meglio negli atteggiamenti che nelle parole. Tanto più siamo desiderosi di esprimerlo, tanto meno vi riusciamo.
Il significato del timore è di rendersi conto che la vita si svolge sotto orizzonti vasti, che si estendono oltre il breve lasso di tempo di una vita individuale o perfino della vita di una nazione, di una generazione o di un'epoca.
Il timore ci permette di percepire nel mondo le allusioni al divino, di sentire nelle piccole cose il principio di un significato infinito, di sentire ciò che è essenziale nel comune e nel semplice; di avvertire nel fluire del transitorio il silenzio dell'eternità.
timore di Dioricercameravigliastuporericerca di senso
inviato da Luca Peyron, inserito il 28/07/2004
TESTO
29. La speranza è incrollabile 1
Anche se sono vissuto fra molte tenebre, sotto duri regimi totalitari, ho visto abbastanza per essere convinto in maniera incrollabile che nessuna difficoltà, nessuna paura è così grande da poter soffocare completamente la speranza che zampilla eterna nel cuore dei giovani. Non lasciate che quella speranza muoia! Scommettete la vostra vita su di essa! Noi non siamo la somma delle nostre debolezze e dei nostri fallimenti; al contrario, siamo la somma dell'amore del Padre per noi e della nostra reale capacità di divenire l'immagine del Figlio suo. Là, tra gli uomini, è la casa di Cristo, che chiede a voi di asciugare, in suo nome, ogni lacrima e di ricordare a chi si sente solo che nessuno è mai solo se ripone in Lui la propria speranza.
speranzagiovanivitafuturoottimismoimpegnoresponsabilità
inviato da Luca Peyron, inserito il 28/07/2004
TESTO
Se il cuore non è pervaso di questo amore superiore, ch'è la carità, come la nostra vita ne potrà dare testimonianza esteriore, concreta e sociale? E nel semplice tentativo di sperimentare se il nostro cuore sia abile e pronto ad «amare il prossimo», scopriremo quanto sia logico, quanto sia necessario che l'amore verso il prossimo trovi il suo fondamento, la sua sorgente, la sua suprema ragion d'essere nell'amore di Dio: di Dio a noi, e di noi a Dio. Chi priva l'amore sociale della sua motivazione religiosa, evangelica, espone l'amore sociale a facile stanchezza, a rinascente opportunismo ed egoismo, quando non sia a degenerazione violenta e passionale. È questo il nostro primo fondamento: la religione, che ci unisce a Dio, rende possibile, urgente, perseverante e fecondo l'amore verso gli uomini, che in molti, moltissimi casi sembrano immeritevoli di tale amore, se questo non è alimentato dall'amore di Dio.
caritàamoreprossimorapporto con Dio
inviato da Luca Peyron, inserito il 28/07/2004
TESTO
31. Non abbiamo spaventato Dio
Silenzio.
Attesa.
Sì: non abbiamo spaventato Dio.
Nonostante le nostre guerre, le nostre urla, i nostri schiamazzi inutili non abbiamo spaventato Dio.
Nonostante gli sprechi, gli scandali e la tecnocrazia non abbiamo spaventato Dio.
Nonostante la fame, l'ignoranza, l'inadeguatezza della nostra povera umanità non abbiamo spaventato Dio.
Silenzio.
Attesa.
Ma ne sei sicuro?
Sì: nonostante l'uomo si sia abituato a tutto, perfino a se stesso, non abbiamo spaventato Dio.
Ancora una volta si apre la notte del tempo, ancora una volta Lui non rinuncia a farsi piccolo, a spezzarsi per poterci accompagnare, di nuovo, su quei frantumati sentieri che abbiamo minato, su cui ci smarriamo, su quei sentieri che in salita, a fatica, percorriamo.
Silenzio.
Attesa.
Grazie, Signore, per essere quella unità che tanto ci manca, anche quest'anno.
Con tutto il cuore, che la carezza dell'eterno sorrida al tuo tempo.
Nataleincarnazioneumanitàpazienzaavventoattesa
inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 26/01/2004
TESTO
La vera carità consiste nel sopportare tutti i difetti del prossimo, nel non meravigliarci delle sue debolezze e nell'edificarsi dei minimi atti di virtù.
Ma soprattutto... la vera carità non deve starsene chiusa nel fondo del nostro cuore, perché "nessuno accende la lucerna per metterla sotto il moggio, ma per collocarla sul candelabro, affinché serva ad illuminare tutti coloro che sono nella casa". Questa lucerna mi sembra rappresentare la carità, la quale deve illuminare e rallegrare non solamente coloro che mi sono più cari, ma tutti coloro che si trovano nella casa.
Quando il Signore, nell'antica legge, comandava al suo popolo d'amare il prossimo suo come se stesso, non era sceso ancora su questa terra; e ben sapendo a che punto ciascuno ami se stesso, non poteva chiedere di più.
Ma quando egli lascia ai suoi apostoli un comandamento nuovo, il "Comandamento tutto suo", non esige più solamente che amiamo il prossimo nostro come noi stessi, ma come egli stesso lo ama, e come l'amerà fino alla consumazione dei secoli.
inviato da Luca Peyron, inserito il 27/11/2002
TESTO
L'acqua della sorgente dice all'uomo:
Io do le mie acque, per nulla, ai pellegrini che si fermano qui assetati e stanchi. Fa' tu lo stesso coi tuoi fratelli; fa' del bene a tutti, dona quello che hai al prossimo, con lieto cuore e senza condizioni; non chiedere agli uomini in cambio dei tuoi benefici né gratitudine né ricompensa, pago soltanto di vivere nella gioia della tua bontà.
inviato da Luca Peyron, inserito il 27/11/2002
TESTO
Bisogna amarsi in casa, spartire l'amore in casa per imparare a donare agli altri. E poi imparare a dare deve costare, deve farci male perché valga! L'amore che non ci fa soffrire non è vero. La rinuncia a qualcosa che vogliamo avere... questo è amore!
inviato da Luca Peyron, inserito il 27/11/2002
RACCONTO
35. Semplicità dell'amicizia 1
Due amici vivevano in due villaggi l'uno dall'altro lontani.
Una sera scoppiò un gran temporale, e la luna non c'era; ma uno dei due amici si svegliò ed ebbe voglia di andare a trovare l'altro. Si mise in cammino, benché avesse paura che un fulmine potesse colpirlo o il fantasma della notte mangiarlo.
Ma non si fermò fino a che non fu giunto alla capanna dell'amico. Era fradicio come fosse caduto in un fiume, ma portò nel capanno legna secca ed asciutta, accese il fuoco e fece cuocere il riso da offrire all'amico che frattanto si era svegliato.
«Perché sei venuto di notte, con questo tempaccio?», gli chiese l'amico.
«Perché mi era venuta voglia di stare vicino a te. Forse che il temporale ti ha chiesto il suo permesso per scoppiare?».
inviato da Luca Peyron, inserito il 13/06/2002
PREGHIERA
Basta un fiocco di neve per far nascere un fiume.
Basta una goccia d'acqua per forare una pietra.
Basta una stella per illuminare il cielo.
Basta un fiore per rallegrare il deserto.
Basta un sorriso per dar vita all'amicizia.
Basta un "sì" per consegnarsi alla persona amata.
Basta una lacrima per cancellare una montagna di peccati.
Basta uno spicciolo per far grande il tesoro.
Tu sei un Dio straordinario, Signore,
perché giudichi grande e meraviglioso
ciò che è piccolo e ordinario;
perché niente misuri con il metro e con la stadèra,
ma solo e sempre
in base al silenzioso e nascosto battito del cuore.
Aiutami, Signore, ogni giorno
a donarti sempre il meglio di me,
anche se è poco,
dal momento che non mi chiedi di fare cose straordinarie
ma soltanto che faccia le cose ordinarie
con un cuore straordinario.
buongiornosantitàpiccolezzaumiltàquotidianitàrapporto con Dio
inviato da Luca Peyron, inserito il 13/06/2002
TESTO
Se Cristo, domani, busserà alla vostra porta, lo riconoscerete?
Sarà, come una volta, un uomo povero,
certamente un uomo solo.
Sarà senza dubbio un operaio,
forse un disoccupato,
e anche, se lo sciopero è giusto, uno scioperante.
Salirà scale su scale, senza mai finire.
Ma la vostra porta è così difficile da aprire.
«Non mi interessa» comincerete
prima d'ascoltarlo.
E sbatterete la porta
in faccia al povero che è il Signore.
Sarà forse un profugo,
uno dei quindici milioni di profughi
con un passaporto dell'ONU,
uno di coloro che nessuno vuole,
e che vagano un questo deserto che è diventato il Mondo;
uno di coloro che devono morire
«perché dopo tutto non si sa da dove arrivino
persone di quella risma...».
O meglio ancora, in America, un uomo nero,
un negro come dicono loro,
stanco di mendicare un buco negli alloggi di New York,
come una volta a Betlemme
la Vergine Nostra Signora...
Se Cristo, domani, busserà alla vostra porta, Lo riconoscerete?
inviato da Luca Peyron, inserito il 12/06/2002
TESTO
38. Le persone che sanno amare... 1
Le persone che sanno amare
sono quelle che rendono bello il mondo;
le persone più importanti della terra
sono le persone profondamente buone.
Perché solo loro che sanno dare alla gente
quello di cui ha più bisogno: la bontà.
Chi porta bontà comunica pace, sicurezza, forza,
perché comunica Dio.
Abbiamo bisogno di tante cose:
di salute, di pane, di lavoro, di tranquillità e di pace...
...ma più di tutto di bontà.
Abbiamo bisogno di gente che insegni ad amare.
Amare è calarsi nei problemi degli altri,
è sacrificare il proprio tempo,
è aiutare le persone fino in fondo,
come sa fare Dio con ciascuno di noi.
Amare è comprendere.
Amare è perdonare, è cambiare il male con il bene.
Amare è dare affetto, attenzione e forza a chi non ce l'ha.
Amare è dare, senza attendere il ricambio.
Quando sei paziente mentre tutti perderebbero la pazienza;
quando ti controlli davanti a un pensiero cattivo;
quando fermi una parola di condanna
che sembrerebbe a tutti legittima,
stai diventando esperto in amore.
Amare è fermarsi accanto ad ogni persona senza passare oltre;
è trovare il tempo per uno che soffre
mentre manca il tempo per te e le tue cose.
Amare è rendere presente Dio in mezzo alla gente.
Signore, moltiplica sulla terra le persone capaci di amare,
perché gli uomini hanno bisogno di Te!
amoreamiciziaresponsabilitàdonarebontà
inviato da Luca Peyron, inserito il 12/06/2002
RACCONTO
Disse il giovane all'abate del monastero: "Vorrei tanto essere un monaco, ma non ho imparato niente di importante nella vita. Tutto ciò che mio padre mi ha insegnato è giocare a scacchi, cosa che non serve per l'illuminazione".
"Chi sa che questo monastero non abbia bisogno di svago", fu la risposta.
L'abate, allora, chiese una scacchiera, convocò un monaco e gli disse di giocare con il ragazzo. Ma, prima che la partita cominciasse, aggiunse: "Anche se abbiamo bisogno di svago, non possiamo permettere che stiano tutti a giocare a scacchi. Dunque, terremo qui solo il migliore dei giocatori. Se il nostro monaco perderà, andrà via dal monastero e lascerà un posto libero per te".
L'abate parlava seriamente. Il ragazzo sentì che era in gioco la sua vita e cominciò a sudare freddo. La scacchiera divenne il centro del mondo. Il monaco iniziò a perdere. Il ragazzo lo incalzò, ma poi notò lo sguardo di santità dell'altro: da quel momento cominciò a fare di proposito le mosse sbagliate. In fin dei conti, preferiva perdere, perché il monaco poteva essere più utile al mondo.
All'improvviso, l'abate rovesciò per terra la scacchiera. "Hai imparato molto di più di ciò che ti hanno insegnato - disse -. Ti sei concentrato abbastanza per vincere, sei stato capace di lottare per ciò che desideravi. Poi, hai avuto compassione, ed eri disposto a sacrificarti in nome di una causa nobile. Che tu sia il benvenuto nel monastero, perché sai equilibrare la disciplina con la misericordia".
maturitàmisericordiadonareagonismocompetitività
inviato da Luca Peyron, inserito il 20/05/2002
TESTO
40. Un Dio bambino che si fa coprire di baci 1
La Vergine è pallida e guarda il bambino. Bisognerebbe dipingere sul suo viso, quella meraviglia ansiosa che non è apparsa che una sola volta su un volto umano. Perché il Cristo è il suo figlio, la carne della sua carne e frutto del suo ventre. Lo ha portato nove mesi in se stessa e gli darà il seno e il suo latte diverrà il sangue di Dio. In alcuni momenti la tentazione è così forte che dimentica che è il figlio di Dio.
Lo stringe nelle sue braccia e gli sussurra "Piccolo mio". Ma in altri momenti rimane interdetta e pensa: Dio è là, e viene presa da uno sgomento religioso per questo Dio muto, per questo bambino che in un certo senso mette paura.
Tutte le madri sono un po' frastornate, per un attimo, davanti a questo frammento ribelle della loro carne che è il loro bambino, e si sentono esiliate davanti a questa nuova vita fatta della loro vita, abitata da pensieri estranei. Ma nessun bambino è stato strappato più crudelmente e rapidamente da sua madre, perché è Dio e supera in tutto, ciò che lei potrebbe immaginare. Ma penso che ci siano anche altri momenti, rapidi e sfuggenti, in cui lei sente che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che è Dio.
Lo guarda e pensa "Questo Dio è il mio bambino. Questa carne è la mia carne, è fatto di me, ha i miei occhi e la forma della sua bocca, è simile alla mia, mi assomiglia, è Dio e mi assomiglia".
Nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per sé sola, un Dio piccolissimo da stringere tra le braccia e coprire di baci, un Dio tutto caldo che sorride e che respira, un Dio che si può toccare e che ride.
Ed è in quei momenti che dipingerei Maria se fossi un pittore.
inviato da Luca Peyron, inserito il 19/05/2002