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RACCONTO

1. La pietra di Pietro   3

Una volta Gesù e gli apostoli, nei loro continui viaggi, si trovarono a dover superare le asperità di un monte.
Gesù disse: «Ciascuno prenda una pietra sulle spalle e la porti su». Volle provare il loro spirito di sacrificio.
S. Pietro osò chiedere: «Di quale grandezza?».

Rispose Gesù: «La grandezza non interessa». Mentre tutti si caricarono di grosse pietre, Pietro prese con sé un sasso, tanto piccolo da stare, diremmo noi, in una tasca.
La salita e il carico facevano sudare e ansimare gli apostoli; Pietro invece camminava spedito e rideva, sotto, sotto, dell'ingenuità degli amici.

Arrivati su, si fermarono presso una fontana per riposarsi e mangiare un boccone. Mancava il pane. Gesù allora con una benedizione cambiò le pietre in pane. Qui la sorpresa, l'umiliazione, la vergogna di Pietro, costretto a domandare, per favore, agli altri apostoli, che presero a guardarlo con un sorriso di compassione.
Gli apostoli ne ebbero d'avanzo: Pietro ebbe, sì e no, il necessario.

Questa leggenda può insegnare tante cose ai cristiani del nostro tempo!
Vogliamo raggiungere il paradiso con il minimo sforzo, il minimo sacrificio, la minima rinuncia... E poi?
In paradiso vivremo di rendita. Più vistoso è il capitale, più sostanzioso l'interesse... per tutta l'eternità.
Ricorda che il sacrificio, la rinuncia, lo sforzo, che oggi non affronti, mancheranno per sempre al tuo capitale. Per sempre!

sacrificiofatica

5.0/5 (3 voti)

inviato da Don Giuseppe Ghirelli, inserito il 08/07/2011

TESTO

2. C'ero anch'io...   3

Mariangela Forabosco

C'ero anch'io, Signore Gesù, quella notte, nel giardino del Getsemani!
Ero lì, con i tuoi Apostoli ancora sconvolti per tutto quello che ti avevano sentito dire, quella sera; per quei piedi lavati proprio da te, il Maestro; per quel incomprensibile, straziante annuncio della tua imminente morte!

Ero lì, e ti ho visto piangere lacrime e sudare sangue, ti ho sentito implorare il Padre tuo di allontanare l'amaro calice della passione che sentivi vicino...io non capivo!

Avrei voluto inginocchiarmi accanto a te, sulle pietre aguzze, asciugare il tuo sudore di sangue, accarezzare il tuo volto sconvolto, implorarti di fuggire lontano, di metterti in salvo dalla crudeltà degli uomini, ma ti ho sentito dire:" Non sia fatta la mia, ma la tua volontà, Padre"!
Il peso di queste parole è stato troppo grande, per me: ti ho lasciato solo, mi sono allontanata e ho dormito, insieme ai tuoi apostoli.
Ti ho lasciato solo!

C'ero anch'io, Signore Gesù, quel mattino, nel pretorio di Pilato!
Ero lì, e sentivo la folla rumoreggiare, fuori; erano come impazziti, tanto da scegliere, urlando, la liberazione di Barabba e la tua condanna.

Ero lì, quando i soldati ti legavano alla colonna; ero lì, quando i flagelli incidevano la tua carne, quando la tua schiena si inarcava per il dolore atroce. Avrei voluto strappare di mano ai soldati quelle fruste che si accanivano sulla tua carne innocente, avrei voluto liberare quelle tue mani che avevano portato sollievo a tante persone, avrei voluto gridare la mia rabbia per tanto strazio, ma non ho saputo fare altro che rintanarmi in un cantuccio nascosto: ho avuto paura di svelare apertamente il mio amore per te, avevo paura di essere riconosciuta come tua sorella, tua amica e mi sono nascosta.
Ti ho lasciato solo!

C'ero anch'io, Signore Gesù, quel mattino, nel cortile del pretorio, quando Pilato ti consegnò ai soldati per la crocifissione!

Ero lì, quando l'intera coorte iniziò a torturare il tuo corpo martoriato dalla flagellazione. Ti rivestirono di porpora e, intrecciata una corona con pungentissime spine, te la conficcarono nel capo, profondamente; si inginocchiavano davanti a te, uomo dei dolori, dicendoti:"Salve, re dei Giudei!", e ti sputavano addosso e continuavano a percuotere il tuo corpo straziato.

Avrei voluto strappare spina per spina dal tuo capo, avrei voluto liberare il tuo santo corpo da tanta crudeltà, avrei voluto gridare a tutti che si ricordassero quante parole sananti avevi pronunciato, quanti peccati avevi perdonato, con quelle labbra ora tumefatte e sanguinanti. Invece, ancora una volta mi sono nascosta dietro le mie paure, la mia voglia di quieto vivere, la tentazione di non impicciarmi, di non rischiare, e sono fuggita.
Ti ho lasciato solo!

C'ero anch'io, Signore Gesù, quando, carico della croce, percorrevi la via che portava al luogo del supplizio. Tanta gente urlava, ai lati, e ti scherniva: erano gli stessi che la domenica delle Palme stendevano i loro mantelli sotto i tuoi passi e ti chiamavano "Figlio di Davide".

Ero lì, quando cadevi sotto il peso di quel legno! Avrei voluto togliertelo di dosso, asciugarti il volto come ha fatto la Veronica, offrirti dell'acqua, gridarti il mio dolore e la rabbia che provavo nel vederti sopportare così passivamente tanta crudeltà. Invece, non ho trovato il coraggio di farmi riconoscere; ho preferito assistere al tuo martirio senza compromettermi troppo.
Ti ho lasciato solo!

C'ero anch'io, Signore Gesù, quando i colpi del martello risuonavano nell'universo e il Figlio di Dio veniva inchiodato ad una croce, tra due malfattori. Ero lì, quando, ormai allo stremo, trovavi la forza di perdonare i tuoi carnefici "perché non sanno quello che fanno": così hai detto!

Ero lì, quando hai consegnato tua Madre a Giovanni e Giovanni a tua Madre; c'ero anch'io, in quella consegna; c'ero anch'io, in quel perdono; c'era anche la mia salvezza, in quel "tutto è compiuto"! Avrei voluto abbracciare quella croce, che tratteneva il tuo corpo ormai senza vita; avrei voluto strappare di mano la spada che ti ha trafitto il costato; avrei voluto dare la mia vita per la tua, ma, ormai, era troppo tardi, tutto era irrimediabilmente finito!

C'ero anch'io, Signore Gesù, davanti al sepolcro vuoto, quel mattino del primo giorno della settimana! Ero lì, con le altre donne, con Pietro, con Giovanni, con la Maddalena, a guardare stupita la pietra rimossa, le bende piegate, a chiedermi dove fosse il mio Signore.

Ero lì, e non capivo, perché la mia fede era provata duramente dalla tua morte, ma anche perché sapevo di averti lasciato solo, e il mio cuore mi suggeriva rimorso e rimpianto.

Ero lì, e piangevo e avrei voluto ancora una volta fuggire lontano, nascondermi al mio stesso dolore, consapevole che avevo cercato tanto il mio Signore, ma che la mia paura me l'aveva fatto perdere per sempre! Ed ecco che, improvvisamente, quando stavo per andarmene, sconsolata, ho sentito una voce dolcissima chiamarmi per nome: era la tua voce, Signore Gesù!

Eri tornato, eri vivo, eri lì, davanti a me; eri venuto a cercarmi e mi avevi trovata. I miei abbandoni, i miei tradimenti li hai presto dimenticati; hai voluto dirmi che tu sei il vivente, che non mi lascerai mai, che la morte è vinta per sempre ed io sto partecipando, insieme a tutta la creazione, alla tua risurrezione.

Cristo è risorto, alleluia!

crocepassionerisurrezionepasquaresurrezionepauratradimentogetsemanitestimonianzavergogna

5.0/5 (2 voti)

inviato da Mariangela Forabosco, inserito il 21/03/2008

TESTO

3. C'era una volta l'Amore...

Poesia brasiliana

C'era una volta l'Amore... L'Amore abitava in una casa pavimentata di stelle e adornata di sole. Un giorno l'Amore pensò a una casa più bella. Che strana idea quella dell'Amore! E fece la terra, e sulla terra, ecco fece la carne e nella carne ispirò la vita e, nella vita, impresse l'immagine della sua somiglianza.

E la chiamò uomo! E dentro l'uomo, nel suo cuore, l'Amore costruì la sua casa: piccola ma palpitante, inquieta, insoddisfatta come l'Amore. E l'Amore andò ad abitare nel cuore dell'uomoe ci entrò tutto là dentro, perché il cuore dell'uomo è fatto di infinito.

Ma un giorno... l'uomo ebbe invidia dell'Amore. Voleva impossessarsi della casa dell'Amore, la voleva soltanto e tutta per sé, voleva per sé la felicità dell'Amore come se l'Amore potesse vivere da solo. E l'Amore fu scacciato dal cuore dell'uomo. L'uomo allora cominciò a riempire il suo cuore, lo riempì di tutte le ricchezze della terra, ma era ancora vuoto. L'uomo, triste, si procurò il cibo col sudore della fronte, ma era sempre affamato e restava con il cuore terribilmente vuoto. Un giorno l'uomo... decise di condividere il cuore con tutte le creature della terra. L'Amore venne a saperlo... Si rivestì di carne e venne anche lui a ricevere il cuore dell'uomo. Ma l'uomo riconobbe l'Amore e lo inchiodò sulla croce. E continuò a sudare per procurarsi il cibo. L'Amore allora ebbe un'idea: si rivestì di cibo, si travestì di pane e attese silenzioso. Quando l'uomo affamato lo mangiò, l'Amore ritornò nella sua casa... nel cuore dell'uomo. E il cuore dell'uomo fu riempito di vita, perché la vita è Amore.

incarnazioneamore di Dio

inviato da Anna Lollo, inserito il 19/06/2005

RACCONTO

4. La partita a scacchi   1

Paulo Coelho

Disse il giovane all'abate del monastero: "Vorrei tanto essere un monaco, ma non ho imparato niente di importante nella vita. Tutto ciò che mio padre mi ha insegnato è giocare a scacchi, cosa che non serve per l'illuminazione".

"Chi sa che questo monastero non abbia bisogno di svago", fu la risposta.

L'abate, allora, chiese una scacchiera, convocò un monaco e gli disse di giocare con il ragazzo. Ma, prima che la partita cominciasse, aggiunse: "Anche se abbiamo bisogno di svago, non possiamo permettere che stiano tutti a giocare a scacchi. Dunque, terremo qui solo il migliore dei giocatori. Se il nostro monaco perderà, andrà via dal monastero e lascerà un posto libero per te".

L'abate parlava seriamente. Il ragazzo sentì che era in gioco la sua vita e cominciò a sudare freddo. La scacchiera divenne il centro del mondo. Il monaco iniziò a perdere. Il ragazzo lo incalzò, ma poi notò lo sguardo di santità dell'altro: da quel momento cominciò a fare di proposito le mosse sbagliate. In fin dei conti, preferiva perdere, perché il monaco poteva essere più utile al mondo.

All'improvviso, l'abate rovesciò per terra la scacchiera. "Hai imparato molto di più di ciò che ti hanno insegnato - disse -. Ti sei concentrato abbastanza per vincere, sei stato capace di lottare per ciò che desideravi. Poi, hai avuto compassione, ed eri disposto a sacrificarti in nome di una causa nobile. Che tu sia il benvenuto nel monastero, perché sai equilibrare la disciplina con la misericordia".

maturitàmisericordiadonareagonismocompetitività

inviato da Luca Peyron, inserito il 20/05/2002