Ritagli per la prossima festa:
24 novembre 2024
XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) - CRISTO RE
Quando hai bisogno, Qumran ti dà una mano, sempre.
Ora Qumran ha bisogno di te.
- Clicca qui per sapere il perché.
Hai cercato dono di sé
Hai trovato 158 ritagli
TESTO
Tu forse non attendi più un Messia e un Salvatore.
Dillo pure: mi bastano le assicurazioni, la carta di credito, il libretto di assegni, le multi-proprietà, gli investimenti che rendono, le giuste conoscenze, le amicizie influenti...
Mi sta bene il Natale come fiaba, ricordi, festa per i bambini, regali, vacanze, ritrovarci con parenti.
Fratello, sorella, forse pure andrai in chiesa per Natale, ma se a Gesù che non ha e non dà nessuna sicurezza, e se non hai spalancato la tua vita al futuro di Dio, non celebrerai il vero Natale.
Se a Natale sai dire solo: "Auguri", "Buon Natale", "Buone feste", "Buona fine e buon principio", il Natale non è stupore, né dono divino, né cuore e occhi nuovi, né presenza inquietante, né luce dall'alto, né invito a novità di vita e gioia piena.
inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 17/09/2022
PREGHIERA
Michel Quoist, Preghiere, Editrice Marietti
Bisogna saper dire grazie. Le nostre giornate sono ricche di doni che il Signore ci fa. Se sapessimo esaminarli e farne l'inventario, alla sera saremmo sorpresi e raggianti per tanti beni ricevuti. Saremmo allora riconoscenti dinanzi a Dio, fiduciosi perché ci dona tutto, gioiosi perché sappiamo che ogni giorno rinnova i suoi doni.
Tutto è dono di Dio, anche le più piccole cose, ed è l'insieme di questi doni che forma una vita, bella o cupa, secondo il modo in cui uno se ne serve.
Grazie, Signore. Grazie.
Grazie per tutti i regali che Tu mi hai offerti oggi,
Grazie per tutto quello che ho veduto, sentito, ricevuto.
Grazie per l'acqua che mi ha svegliato, per il sapone profumato e il dentifricio fresco.
Grazie per i vestiti che mi proteggono, per il loro colore ed il loro taglio.
Grazie per il giornale fedele all'appuntamento, per le sue storielle, sorriso del mattino,
per le riunioni serie che si succedono, la giustizia resa e la partita vinta.
Grazie per i servizi della nettezza urbana e per chi li svolge,
per le loro grida mattutine e per i rumori della strada che si sveglia.
Grazie per il mio lavoro, i miei strumenti, i miei sforzi.
Grazie per il metallo fra le mie mani, per il suo lungo lamento sotto l'acciaio che lo morde, per lo sguardo soddisfatto del caporeparto e per il carrello dei pezzi finiti.
Grazie per Giacomo che m'ha prestato la sua lima, Daniele che m'ha dato una sigaretta, Carlo che m'ha tenuto la porta.
Grazie per la strada accogliente che mi ha portato, per le vetrine dei negozi, per le vetture, per i passanti, per tutta la vita che scorreva rapida fra i muri delle case.
Grazie per il cibo che mi ha sostenuto,
per il bicchiere di birra che nel pomeriggio mi ha dissetato.
Grazie per la moto che docilmente m'ha condotto ove desideravo,
per la benzina che l'ha fatta correre, per il vento che mi ha accarezzato il viso
e per gli alberi che mi hanno salutato al passaggio.
Grazie per le ragazze che ho incontrato,
per il rossetto di Graziella dalla tinta delicata,
per la permanente di Michelina, che dà risalto al suo viso,
per la smorfia d'Anna Maria e la sua risata che distende.
Grazie per il bimbo che ho guardato giocare sul marciapiede di fronte,
Grazie per i suoi pattini a rotelle e per l'aria strana che aveva quand'è caduto.
Grazie per i saluti che mi hanno rivolto, per le strette di mano che ho dato,
per i sorrisi che mi hanno offerto.
Grazie per la mamma che mi accoglie a casa,
per il suo affetto discreto, per la sua silenziosa presenza.
Grazie per il tetto che mi ripara, per la luce che mi rischiara,
per la radio che canta.
Grazie per il giornale-radio e per tutti i programmi.
Grazie per il mazzo di fiori, piccolo capolavoro sul mio tavolo.
Grazie per la notte quieta.
Grazie per le stelle.
Grazie per il silenzio.
Grazie per il tempo che Tu mi hai dato.
Grazie per la vita.
Grazie per la grazia.
Grazie d'essere qui, o Signore.
Grazie di ascoltarmi, di prendermi sul serio,
di ricevere nelle Tue mani il fascio dei miei doni per offrirli al Padre Tuo.
Grazie, o Signore, Grazie.
ringraziamentopreghieravita quotidianagraziegratitudine
inviato da Paolo Capuzzo, inserito il 11/02/2022
TESTO
3. La preghiera bussa, il digiuno ottiene, la misericordia riceve
Pietro Crisologo, vescovo, Discorsi. 43; PL 52, 320 e 322
Tre sono le cose, tre, o fratelli, per cui sta salda la fede, perdura la devozione, resta la virtù: la preghiera, il digiuno, la misericordia. Ciò per cui la preghiera bussa, lo ottiene il digiuno, lo riceve la misericordia. Queste tre cose, preghiera, digiuno, misericordia, sono una cosa sola e ricevono vita l'una dall'altra.
Il digiuno è l'anima della preghiera e la misericordia la vita del digiuno. Nessuno le divida, perché non riescono a stare separate. Colui che ne ha solamente una o non le ha tutte e tre insieme, non ha niente. Perciò chi prega, digiuni. Chi digiuna abbia misericordia. Chi nel domandare desidera di essere esaudito, esaudisca chi gli rivolge domanda. Chi vuol trovare aperto verso di sé il cuore di Dio non chiuda il suo a chi lo supplica.
Chi digiuna comprenda bene cosa significhi per gli altri non aver da mangiare. Ascolti chi ha fame, se vuole che Dio gradisca il suo digiuno. Abbia compassione, chi spera compassione. Chi domanda pietà, la eserciti. Chi vuole che gli sia concesso un dono, apra la sua mano agli altri. È un cattivo richiedente colui che nega agli altri quello che domanda per sé.
O uomo, sii tu stesso per te la regola della misericordia. Il modo con cui vuoi che si usi misericordia a te, usalo tu con gli altri. La larghezza di misericordia che vuoi per te, abbila per gli altri. Offri agli altri quella stessa pronta misericordia, che desideri per te.
Perciò preghiera, digiuno, misericordia siano per noi un'unica forza mediatrice presso Dio, siano per noi un'unica difesa, un'unica preghiera sotto tre aspetti.
Quanto col disprezzo abbiamo perduto, conquistiamolo con il digiuno. Immoliamo le nostre anime col digiuno perché non c'è nulla di più gradito che possiamo offrire a Dio, come dimostra il profeta quando dice: «Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, tu, o Dio, non disprezzi» (Sal 50, 19).
O uomo, offri a Dio la tua anima ed offri l'oblazione del digiuno, perché sia pura l'ostia, santo il sacrificio, vivente la vittima, che a te rimanga e a Dio sia data. Chi non dà questo a Dio non sarà scusato, perché non può non avere se stesso da offrire. Ma perché tutto ciò sia accetto, sia accompagnato dalla misericordia. Il digiuno non germoglia se non è innaffiato dalla misericordia. Il digiuno inaridisce, se inaridisce la misericordia. Ciò che è la pioggia per la terra, è la misericordia per il digiuno. Quantunque ingentilisca il cuore, purifichi la carne, sràdichi i vizi, semini le virtù, il digiunatore non coglie frutti se non farà scorrere fiumi di misericordia.
O tu che digiuni, sappi che il tuo campo resterà digiuno se resterà digiuna la misericordia. Quello invece che tu avrai donato nella misericordia, ritornerà abbondantemente nel tuo granaio. Pertanto, o uomo, perché tu non abbia a perdere col voler tenere per te, elargisci agli altri e allora raccoglierai. Da' a te stesso, dando al povero, perché ciò che avrai lasciato in eredità ad un altro, tu non lo avrai.
preghieradigiunomisericordiaquaresima
inviato da Qumran2, inserito il 11/02/2022
PREGHIERA
José Tolentino Mendonça, Avvenire 15 novembre 2020
Donaci, Signore, dopo tutte le nostre fatiche, un vero tempo di pace.
Dacci, dopo tante parole, il dono del silenzio che purifica e ricrea.
Donaci, dopo tanti cammini frettolosamente cancellati dalla cortina di nebbia della distrazione, la possibilità di contemplare con disponibilità e pienezza ogni porzione di realtà, anche delle realtà che ci costano.
Donaci la gioia, dopo le insoddisfazioni che ci frenano, come una barca che si staglia sull'acqua.
Donaci, Signore, la possibilità di vivere senza fretta, estasiati dalla sorpresa che i giorni portano con sé per mano.
Donaci la capacità di vivere a occhi aperti, di vivere intensamente.
Donaci l'umile semplicità degli artigiani che, preferendo la sapienza dell'esperienza all'apparato delle teorie, riconoscono che stanno sempre ricominciando.
Permettici di ascoltare la lezione del vaso sulla ruota del vasaio; del ceppo lisciato dalle mani del falegname; dell'impasto che il fornaio pazientemente trasforma in pane.
Donaci di nuovo, Signore, la grazia del canto, del fischio che imita l'aerea felicità degli uccelli, delle immagini ritrovate, del ridere condiviso.
Donaci la forza di impedire che le dure necessità del vivere schiaccino il desiderio dentro di noi e che si dissipi la trasparenza dei nostri sogni.
Fa' di noi dei pellegrini, che nel visibile scorgono l'insinuarsi discreto dell'invisibile.
ricominciarefiduciacamminoripartenzafiducia
inviato da Lorena Valenziano, inserito il 23/12/2020
PREGHIERA
Matteo Zorzanello, Catechisti parrocchiali - sett/ott 2020
Signore,
aiutaci a imparare dall'acqua:
imparare a essere dono per tutti,
a dare il nostro contributo
perché chiunque trovi in ognuno di noi un aiuto
per dare il meglio di sé;
imparare la semplicità e la limpidezza
di chi non ha secondi fini,
ma lascia filtrare luce e gioia attorno a sé;
imparare a rendere bello e puro il mondo,
cancellando il male con il perdono e l'amore.
Aiutaci ad essere acqua che, insieme con Gesù,
dona vita, gioia, pace e solidarietà
a chiunque incontreremo
nel cammino di questo nuovo anno.
Aiutaci a rispettare l'acqua che è dono tuo, Signore,
e a vivere in questo mondo non da padroni, ma da custodi!
Amen.
inviato da Qumran2, inserito il 23/12/2020
TESTO
don Luigi Verdi, Fraternità di Romena, Omelia 21 luglio 2019
Noi abbiamo voluto fare i moderni, abbiamo distrutto tante cose con questa modernità; abbiamo ucciso anche tante parole che ci sembravano deboli, come la tenerezza, come la gentilezza e come la provvidenza.
Una delle parole che mi sta più a cuore dei nostri nonni, è la provvidenza, a cui non crediamo più. Perché pretendiamo senza accogliere.
La provvidenza non viene così, la provvidenza arriva se ti muovi, non se stai fermo ad aspettare che arrivino i miracoli.
La provvidenza degli angeli, e poi viene fuori questo miracolo del figlio inaspettato (in riferimento alla promessa fatta ad Abramo nella lettura). È perché Abramo apre la porta, Abramo accoglie, altrimenti non sarebbe successo nulla.
E allora vorrei fare l'ultima preghiera, proprio sulla provvidenza. Perché ognuno di noi la possa risentire viva dentro di sé:
Provvidenza parola detta con tanta naturalezza. Ma per i nostri nonni la provvidenza era come una luce che splende dall'altra riva, come la luna e le stelle che illuminano il cammino di una notte, era il loro appuntamento con un eco che parlava di futuro, era il lievito del pane quotidiano. Attendevano i nostri nonni la provvidenza, con schiene dritte e volentieri. Accoglievano Dio nella loro casa, perché lo sentivano camminare dentro i giorni, vedevano crescere il grano e contemporaneamente vedevano un angelo volargli accanto.
Quando mi sorreggo alla provvidenza, sento in me una pace calda e finiscono i miei lamenti, sento ogni giorno, con tanta semplicità, che il mio cuore batte più regolare.
Provvidenza, dono del cielo diretto ai mansueti, ai miti e a tutti i custodi della vita.
inviato da Marcello Rosa, inserito il 23/06/2020
7. Natale: un nuovo inizio è sempre possibile 1
Perché il Natale affascina tutti? Forse per la presenza di un bambino.
E forse perché quel Bambino ci dice che Dio ci è vicino, il che è già tanto.
A me il Natale piace perché mi fa pensare che è sempre possibile un nuovo inizio. Ne abbiamo così bisogno tutti quanti, di sapere che è possibile ricominciare.
Quando ci sembra che i nostri giorni siano tutti uguali. Quando ci manca quel qualcosa di speciale che ci fa alzare al mattino e ci fa battere il cuore, e ci dà lo stimolo per spegnere la sveglia e alzarci in piedi senza perdere inutilmente altro tempo.
O magari quando i giorni sono tutti diversi gli uni dagli altri, e allora ci pare che non ci sia nulla che li accomuni, perché la nostra vita non ha una direzione precisa. Perché senza una meta, anche il viaggio nei posti più diversi ci sembra senza significato.
In quei giorni il Natale ci ricorda che ogni giorno è un dono da accogliere e vivere.
Quando gli amici ci sembrano lontani e ci sentiamo piccoli, invisibili, e ci sentiamo come se non fossimo stati invitati a quella festa in cui tutti sembrano divertirsi ed essere al proprio posto.
Quando abbiamo sbagliato a dire quella cosa che ci pare abbia rovinato quel rapporto. Quando ci sentiamo soli, anche in mezzo ad una folla.
In quei giorni il Natale ci ricorda che ci basta il sorriso di un bambino per ritrovare il nostro posto nel mondo, e ricominciare.
Forse Gesù è nato per questo. Per dirmi che ogni giorno può essere un nuovo inizio, se Lui è con me.
Che ogni giorno può essere l'inizio di qualcosa di nuovo, dentro di me, se c'è Lui a lottare accanto a me.
Rinasci Gesù, dentro di me. Fa' rinascere anche me.
A Natale e ogni singolo giorno.
nataleattesainizioricominciaresperanzarinascita
inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 29/12/2018
TESTO
don Tonino Bello, Scrivo a voi... Lettere di un vescovo ai catechisti, EDB
Carissimi catechisti,
ogni volta che tornavo nel mio paese, andavo a trovarlo. Ultimamente si era incurvato e gli tremavano le mani. Ma per me è rimasto sempre il maestro di un tempo. Tornavo da lui per un dovere di gratitudine. Ma soprattutto condotto dalla speranza. Chi sa, mi dicevo, che non abbia, come nelle fiabe che ci raccontava in quarta elementare, una noce misteriosa da farmi schiacciare nei momenti difficili!
Di tutti gli insegnanti che ho avuto, lui era l'unico a provare soggezione di me. Me ne accorgevo dall'imbarazzo con cui, nel discorso con me, passava dal “lei” al “tu”. Mi hanno detto anche che era fiero di avermi avuto come discepolo. Forse però non ha mai saputo che se ancora tornavo da lui era perché avevo il presentimento che mi avrebbe aiutato a risolvere, come un tempo, qualche altro complicato problema, per il quale non mi bastavano più le quattro operazioni dell'aritmetica che lui mi aveva insegnato. Ogni volta che lo lasciavo, sentivo di avergli rubato spezzoni di mistero. Quegli spezzoni che a scuola ci sottraeva volutamente, senza che noi ce ne accorgessimo. Sì, perché lui aveva l'incredibile qualità di non spiegarci mai tutto e per ogni cosa ci lasciava un ampio margine d'arcano, non so se per stimolare la nostra ricerca o per alimentare il nostro stupore.
Perché l'arcobaleno dura così poco in cielo? E cosa fa Dio tutto il giorno? Perché le farfalle lasciano l'argento sulle dita? Perché Gesù ha fatto nascere così il povero Nico, che veniva a scuola sulla carrozzella spinta dalla nonna? Perché si muore anche a dieci anni, come la sua bambina, e noi scolari quel giorno andammo tutti in chiesa a pregare per lei?
Non aveva l'ansia di rivelarci tutto. Non era malato di onnipotenza culturale. E neppure ci imponeva le sue spiegazioni. Qualche volta sembrava fosse lui a chiederle a noi. Ma quando dopo gli acquazzoni di primavera spuntava l'arcobaleno, ci conduceva fuori per contemplarne la tenerezza dei colori. E, mostrandoci le rondini che garrivano in cielo, ci diceva che non dovevamo abbatterle con le nostre frecce di gomma perché Dio, la sera, le conta una ad una. E ci raccontava che le farfalle, l'argento, andavano a prenderlo tra le erbe profumate dei crepacci. E a Nico gli restituiva la gioia di esserci, perché gli scompigliava tutti i capelli, a lui solo, e, durante le passeggiate scolastiche, gli faceva tenere la sua borsa, con la merenda del maestro. E quando morì la sua bambina, lo vedemmo piangere di nascosto.
Forse la grandezza del mio maestro era tutta qui. In questa sua capacità di comunicare messaggi profondi più con il silenzio che con le parole, di lavorare su domande legittime, di non tirare mai conclusioni per tutti, di costruire occasioni di crescita reciproca, di accettare le differenze come un dono, di ritenere i suoi ragazzi titolari di una forte capacità progettuale, di dare più peso alla sfera relazionale che a quella dell'istruzione da trasmetterci, di interpretare la scuola come un gioco, anzi come una festa in cui il primo a divertirsi era lui.
Vorrei augurare a tutti voi che i vostri ragazzi provino per voi gli stessi sentimenti che ho provato io per il mio vecchio maestro delle elementari... statene certi: se restate saldi in Gesù e vi animerà una forte passione di trasmettere la sua Verità, essi, i vostri ragazzi di oggi, un giorno verranno a farvi visita. Sì, perché anche se saranno diventati professori dell'università gregoriana, torneranno da voi per recuperare quei frammenti di mistero, di cui non hanno ancora trovato spiegazione neppure sui libri di teologia.
Vi saluto, don Tonino Vescovo
3 marzo 1991
educareeducatoricatechistiinsegnaretestimoniaremaestridomandescuola
inviato da Anna Barbi, inserito il 29/12/2018
RACCONTO
Robin Sharma, Il monaco che vendette la sua Ferrari
C'era una volta Peter, un ragazzino molto vivace a cui tutti volevano bene: la sua famiglia, i suoi maestri e i suoi amici... Ma Peter aveva un piccolo, grande problema. Peter non riusciva a vivere il presente. Non aveva imparato a godere della vita. Quando era a scuola, sognava di essere fuori a giocare. Quando giocava, sognava di essere già in vacanza. Peter sognava sempre ad occhi aperti, non godendosi mai il presente che la vita gli offriva.
Un mattino, Peter stava camminando nel bosco vicino a casa. Siccome si sentiva stanco, decise di fermarsi in una radura e di fare un pisolino. Si addormentò come un sasso, ma dopo qualche minuto, si sentì chiamare per nome: «Peter, Peter!», ripeteva una voce stridula. Quando aprì gli occhi... sorpresa! Si ritrovò dinnanzi una donna vecchia di almeno cent'anni, con i capelli candidi che le ricadevano sulle spalle come matasse di lana arruffata. Nella mano rugosa aveva una pallina magica, con un foro nel centro da cui pendeva un lungo filo dorato. «Peter - disse la vecchia - questo è il filo della vita. Se lo tiri piano piano, in pochi secondi passerà un'ora; se tiri più forte, in pochi minuti passeranno giorni interi. Se tiri con tutta la tua forza, in pochi giorni passeranno dei mesi o addirittura degli anni». Peter era eccitato dalla scoperta. «Oh, mi piacerebbe tanto averlo!» esclamò smanioso. Allora la vecchietta si chinò e gli diede la pallina con il filo magico.
Il giorno dopo, Peter era seduto nel suo banco a scuola, e si sentiva annoiato e irrequieto. Improvvisamente si ricordò del suo nuovo giocattolo. Tirò il filo pian piano e si trovò subito a casa, a giocare nel suo giardino. Rendendosi conto dei poteri del filo magico, Peter presto si stancò di andare a scuola e desiderò essere un ragazzo più grande, alla scoperta della vita. Allora tirò il filo un po' più forte e si ritrovò adolescente, con una ragazza di nome Elise. Ma Peter non era ancora soddisfatto. Egli non era in grado di cogliere la bellezza di ogni istante e di esplorare le semplici meraviglie offerte dalle diverse fasi della vita. Sognava invece di essere già adulto, e così tirò di nuovo il filo, sicché gli anni passarono in un lampo. Si ritrovò allora trasformato in un uomo maturo. Elise era diventata sua moglie e Peter era circondato da tanti bambini. Ma notò un'altra cosa: i suoi capelli neri avevano iniziato a diventare grigi, e la sua dolce e adorata mamma era diventata vecchia e debole. Eppure, Peter ancora non riusciva a vivere il presente. Perciò, tirò un'altra volta il filo d'oro e attese la nuova trasformazione.
Adesso aveva novant'anni. Ormai i suoi folti capelli scuri erano diventati bianchi come la neve e la moglie, un tempo bellissima, era morta già da qualche anno. I suoi deliziosi bambini erano cresciuti ed erano usciti di casa per vivere la loro vita. Così, a un tratto, Peter si rese conto di non essersi mai fermato a godere di nulla. Non era mai andato a pescare con suo figlio, non aveva mai fatto una passeggiata al chiaro di luna con sua moglie, non aveva mai piantato un albero... e non aveva mai nemmeno trovato il tempo di leggere quei bellissimi libri che tanto piacevano a sua madre. Era sempre andato di corsa, senza fermarsi a guardare le bellezze che adornavano il suo cammino. Questa scoperta rattristò molto Peter. Allora, per riordinare le idee e rasserenarsi un po', decise di andare a fare un giro nel bosco dove era solito giocare da bambino. Entrò nel bosco, si accorse che gli alberelli della sua infanzia erano diventati querce gigantesche; era stupendo, sembrava di trovarsi in un Paradiso Terrestre. Allora si distese sull'erba di una radura e si addormentò profondamente.
Dopo qualche minuto, qualcuno lo chiamò: «Peter, Peter!» Aprì gli occhi e con suo grande stupore rivide la vecchia che gli aveva regalato la pallina molti anni prima. «Ti è piaciuto il mio regalo?» «All'inizio è stato divertente, ma ora lo odio a morte», disse Peter. «Tutta la vita mi è passata davanti agli occhi senza che potessi goderne un solo istante. Certo, ci saranno anche stati dei momenti molto belli e altri molto tristi, ma non ho avuto la possibilità di coglierli. Ora mi sento vuoto, mi manca il dono della vita». «Sei davvero un ingrato - disse la vecchietta. - Ma ti concederò di esprimere un ultimo desiderio». Peter ci pensò un istante e poi rispose fulmineamente: «Vorrei ridiventare bambino e riprovare a vivere daccapo». Poi si riaddormentò.
A un tratto sentì di nuovo che qualcuno lo chiamava, e si risvegliò. «Chi sarà questa volta?», si chiese. Quando aprì gli occhi, scoprì con gioia che era sua madre che lo stava chiamando, e che era tornata giovane, sana e forte. Allora Peter si rese conto che la vecchietta aveva mantenuto la promessa e che l'aveva riportato all'infanzia. «Su, Peter, dormiglione! Se non ti sbrighi ad alzarti farai tardi a scuola», lo ammoniva sua madre. Naturalmente Peter scattò su dal letto e da quel momento incominciò a vivere come aveva sperato: una vita piena, ricca di gioie, soddisfazioni e successi... Ma tutto ebbe inizio quando smise di sacrificare il presente per il futuro e si rese conto di dovere vivere nell'oggi.
tempopresentefuturovitavalore del tempopazienzaconsapevolezza
inviato da Qumran2, inserito il 22/03/2018
PREGHIERA
10. Esame di coscienza sui vizi capitali 1
Penitenziale per i giovani in preparazione alla XXII Giornata Mondiale della Gioventù in San Pietro alla presenza di Benedetto XVI, Libreria Editrice Vaticana, 2007
Perdona Signore i nostri peccati di superbia: le azioni che cercano solo la lode e l'approvazione della gente, l'ambizione, la ricerca di potere e di notorietà.
Perdonaci per quando parliamo, diamo consigli, studiamo, lavoriamo, facciamo il bene solo in funzione di ciò che ne penseranno gli altri e per catturare la stima altrui.
Perdonaci per quando esibiamo con vanità la bellezza fisica e le qualità dateci da Dio.
Perdonaci per l'arroganza che nasce dalla superbia, per il desiderio di non dipendere da nessuno, e nemmeno da Dio, per il vittimismo con cui sappiamo darci sempre una giustificazione.
Rendici umili. L'umiltà è la virtù che elimina tutte le passioni perché in essa noi ci rendiamo disponibili ad essere aiutati da Dio.
Perdona Signore i nostri peccati di invidia: l'ostilità, l'odio, l'idea che il male altrui possa essere bene per noi.
Perdona l'egocentrismo che ci impedisce di desiderare il bene per gli altri e ci rende incapaci di amare, il malcontento e i contrasti generati dall'invidia. Liberaci dal rancore, dal tormento interiore, dall'insoddisfazione.
Perdonaci quando vediamo tutto in funzione di noi stessi, quando non sappiamo mettere un freno ai desideri, quando chiamiamo l'invidia "sana competitività".
Perdona i cedimenti a una società che alimenta continuamente l'ambizione, l'avidità e la vuota curiosità.
Perdonaci quando desideriamo la roba d'altri e ci condanniamo all'infelicità.
Aiutaci a contrastare l'invidia con il dono quotidiano di noi stessi per i fratelli.
Perdona Signore i nostri peccati d'ira: i turbamenti del cuore, i sentimenti di avversione verso i fratelli quando sentiamo colpito il nostro io, l'animosità eccitata, l'aggressività del corpo, la sete di vendetta.
Perdonaci quando l'ira soffoca la libertà, ci rende schiavi di noi stessi, toglie la pace interiore ed esteriore.
Perdonaci la tentazione di "farla pagare" a chi ci ha umiliato, il piacere perverso del "far del male a qualcuno", i giudizi taglienti e la gratuita durezza verso gli altri, le mille giustificazioni dell'ira.
Aiutaci a seguire la via suggerita dai padri: “il silenzio delle labbra pur nel turbamento del cuore", dato che "La medicina perfetta... sarà quella di essere prima di tutto ben persuasi che non ci è consentito adirarci mai e in nessun modo".
Perdona Signore i nostri peccati di accidia: il torpore, la pigrizia, l'abbattimento, la tristezza, la dipendenza e le crisi di astinenza da stimoli e piaceri esteriori che ci lasciano sempre tristi e vuoti.
Perdonaci per la noia che a volte proviamo nel pregare e che ci spinge a cercare distrazioni, o ci lascia soli a parlare con noi stessi.
Perdonaci quando l'accidia genera disgusto e noia per ogni attività sana e spirituale, per quando la stessa vita quotidiana si tinge di tristezza, svogliatezza, vittimismo e lagnanza.
Perdonaci per la vita senza scopo, il tempo perso e la fuga dall'impegno quotidiano.
Donaci il desiderio di reagire. Facci trovare una guida spirituale e fa' che accettiamo la disciplina dell'obbedienza, unica via per non essere sballottati come un corpo inerte in balia delle passioni.
Perdonaci Signore per i peccati di avarizia: l'avidità, la brama di possedere, la fiducia smodata riposta nel denaro. Perdonaci se per avarizia lavoriamo di domenica, siamo disonesti, non diamo in elemosina, ci circondiamo di cose superflue.
Perdona le conseguenze terribili della fame di soldi: liti familiari, ansie e falsi timori, tradimenti, frodi, inganni, spergiuri, violenza e indurimento del cuore.
Perdonaci l'abitudine a essere insoddisfatti per ciò che abbiamo e bramosi di ciò che non ci è dato. Liberaci da lussi inutili, comodità e abitudini dispendiose.
Perdona le ingiustizie della società, le drammatiche disuguaglianze tra paesi ricchi e poveri, le guerre, i disumani sfruttamenti e l'inganno delle coscienze prodotto da un sistema di accumulo e consumo che fa di tutto per eccitare la brama di possesso.
Aiutaci a sottrarci all'influenza dei media e a fidarci di te, che rivesti i gigli del campo e non abbandoni gli uccelli del cielo.
Perdonaci Signore per i peccati di gola: il rapporto irrazionale con il cibo, i vizi del fumo, dell'alcool, delle droghe, la dipendenza che ci fa schiavi.
Perdonaci se scambiamo per la libera scelta ciò che è solo condizionamento dell'abitudine, delle mode, della pubblicità.
Perdonaci per la mente ottenebrata che si allontana anche dalla preghiera e dalle sane letture, per gli eccessi che ci rendono meno padroni di noi stessi e affievoliscono la capacità di autocontrollo.
Insegnaci la capacità dell'astinenza, che disintossica il corpo e la mente. Aiutaci a scoprire i piaceri sani della vita, per essere capaci di amare i fratelli con la libertà e la gioia con cui tu hai amato noi.
Perdonaci Signore per i peccati di lussuria, che ci fanno schiavi del sesso, e per il disordine morale che mette a rischio persone, famiglie e società.
Perdona il cedimento a immagini proposte ad arte, a voci allusive, alla pornografia in video e in rete. Perdonaci la debolezza di fronte a piaceri tanto intensi quanto effimeri.
Perdona la mentalità diffusa che si spaccia il disordine sessuale per conquista e fa credere che ogni istinto debba trovare immediata soddisfazione. Facci comprendere che non è libero chi non ha il controllo di se stesso, chi si riduce al doppio gioco e alla menzogna, chi perde l'integrità morale e la pace, chi si chiude in se stesso.
Perdona i danni gravi nella società: per il sesso si litiga, si minaccia, si uccide; la libidine alimenta uno stile di vita fatuo, degenera spesso nella prostituzione, nel ricatto, nella pedofilia...
Aiutaci a custodire la castità nel cuore e nella mente, e a non avere rapporti sessuali prima o fuori del matrimonio, a evitare deviazioni e stravaganze. Insegnaci modestia e dignità nel vestire, custodisci sguardi e fantasie.
Aiutaci a riscoprire la meraviglia della sessualità secondo Dio, nella cornice dell'amore coniugale, nell'atmosfera di famiglia e di tenerezza dove il sesso non è profanato e svenduto ma è sacra partecipazione al dono della vita.
esame di coscienzavizi capitalisuperbiainvidiairaaccidiaavariziagolalussuria
inviato da Qumran2, inserito il 02/12/2017
TESTO
Roberto Benigni, I Dieci Comandamenti, Rai 1, 15 dicembre 2014
Il problema fondamentale dell'umanità da 2000 anni è rimasto lo stesso... amarsi. Solo che ora è diventato più urgente, molto più urgente, e quando oggi sentiamo ancora ripetere che dobbiamo amarci l'un l'altro, sappiamo che ormai non ci rimane molto tempo. Ci dobbiamo affrettare, affrettiamoci ad amare, noi amiamo sempre troppo poco e troppo tardi, affrettiamoci ad amare, perché al tramonto della vita saremo giudicati sull'amore, perché non esiste amore sprecato e perché non esiste un'emozione più grande di sentire quando siamo innamorati che la nostra vita dipende totalmente da un'altra persona, che non bastiamo a noi stessi, e che tutte le cose, ma anche quelle inanimate come le montagne, i mari, le strade, il cielo, il vento, le stelle, le città, i fiumi, le pietre, i palazzi... tutte queste cose, che di per sé sono vuote, indifferenti, improvvisamente quando le guardiamo si caricano di significato umano e ci affascinano, ci commuovono, perché? Perché contengono un presentimento d'amore, anche le cose inanimate, perché il fasciame di tutta la creazione è amore e perché l'amore combacia con il significato di tutte le cose: la felicità. Si, la felicità... e a proposito di felicità, cercatela, tutti i giorni, continuamente e anzi, chiunque mi ascolti ora, si metta in cerca della felicità ora, in questo momento stesso perché è lì, ce l'avete, ce l'abbiamo perché l'hanno data a tutti noi, ce l'hanno data in dono quando eravamo piccoli, ce l'hanno data in regalo, in dote, ed era un regalo così bello che l'abbiamo nascosto, come fanno i cani con l'osso, quando lo nascondono; e molti di noi l'hanno nascosto così bene che non si ricordano più dove l'hanno messo, ma ce l'avete, ce l'abbiamo. Guardate in tutti i ripostigli, gli scaffali, gli scomparti della vostra anima, buttate tutto all'aria: i cassetti, i comodini che avete dentro... vedrete che esce fuori, c'è la felicità. Provate a voltarvi di scatto, magari la pigliate di sorpresa ma è lì, dobbiamo pensarci sempre alla felicità, e anche se lei qualche volta si dimentica di noi, noi non ci dobbiamo mai dimenticare di lei, fino all'ultimo giorno della nostra vita.
E non dobbiamo avere paura nemmeno della morte, guardate che è più rischioso nascere che morire eh! Non bisogna avere paura di morire, ma di non cominciare mai a vivere davvero. Saltate dentro l'esistenza ora, qui, perché se non trovate niente ora, non troverete niente mai più, è qui l'eternità, e allora dobbiamo dire "SI” alla vita, dobbiamo dire un SI talmente pieno alla vita che sia capace di arginare tutti i no, perché alla fine di queste due serate insieme, abbiamo capito che non sappiamo niente e che non ci si capisce niente, e si capisce solo che c'è un gran mistero che bisogna prenderlo come è e lasciarlo stare, e che la cosa che fa più impressione al mondo è la vita che va avanti e non si capisce come faccia; "Ma come fa? Come fa a resistere? Ma come fa a durare così?"... è un altro mistero, e nessuno lo ha mai capito, perché la vita e molto più di quello che possiamo capire noi, per questo devi resistere. Se la vita fosse solo quello che capiamo noi, sarebbe finita da tanto, tanto tempo, e noi lo sentiamo, lo sentiamo che da un momento all'altro ci potrebbe capitare qualcosa di infinito, e allora ad ognuno di noi non rimane che una cosa da fare: inchinarsi.
amarsiamorefelicitàcomandamentibenignimortevitasenso della vitaviveremistero
inviato da Qumran, inserito il 02/12/2017
RACCONTO
Gesù è nato a Betlemme e dal lontano oriente tre sapienti si sono messi in viaggio per venire a conoscere il re dei re. Li guida una stella, ma in realtà non sanno cosa troveranno. Il linguaggio degli astri ha detto loro che è nato un re: porterà la pace nel mondo, inizierà un regno che non avrà mai fine e unirà il cielo con la terra, ma non ha detto loro dove accadrà tutto questo e, soprattutto, come. Ecco allora che, seguendo la stella, arrivano in Palestina.
Dove andreste a cercare il futuro re? Nella città più grande, nei palazzi dove abitano i ricchi e i potenti, ed è proprio quello che fanno i tre magi a Gerusalemme.
«Dov'è il re dei Giudei che è nato?», vanno chiedendo a tutti, ma nessuno sa rispondere loro.
«Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» affermano con sicurezza i tre forestieri, e all'udire queste parole tutti, ma proprio tutti, si stupiscono, perché a un re normalmente si fa omaggio, ma non adorazione; per questo tutti comprendono bene che i Magi cercano un grande re, non uno dei tanti che regnano sulla terra.
Il loro abbigliamento, le loro domande insistenti non passano inosservate e vengono riferite a chi ha il potere in quel paese, e cioè al re Erode, ma anche ai soldati romani che da anni hanno conquistato la Palestina e sono di fatto i veri padroni del territorio.
Il comandante del presidio di Gerusalemme invia loro un soldato con la scusa di proteggerli, ma in realtà per sapere cosa c'è di vero nelle loro affermazioni.
Erode raduna i suoi consiglieri più fidati, gli studiosi della bibbia di quel tempo per conoscere dove avrebbe dovuto nascere il più grande di tutti i re, cioè il Messia d'Israele. La risposta, come potete leggere nel Vangelo di S. Matteo, è Betlemme, allora il re fa' chiamare segretamente i Magi perché ha in mente un piano. Invia i magi a Betlemme e chiede loro di tornare quando l'avranno trovato, così potrà andare anche lui ad ad «adorarlo». Di fatto pensa solo ad individuare il suo rivale per eliminarlo.
Ecco allora che i tre Magi riprendono il cammino assieme al soldato romano che li scorta sul suo cavallo, armato di lancia e di spada. I tre personaggi parlano tra di loro, sono emozionati perché sperano di arrivare presto alla fine del loro viaggio. Il soldato, che si chiama Longino, ascolta tutto con grande attenzione, così impara quali sono le caratteristiche di questo re nato da poco che i tre sapienti stanno cercando con impazienza.
Sarà un re più grande di ogni altro re; il suo regno si estenderà su tutti i popoli (e questo preoccupa molto il romano se pensa che l'impero della sua Roma possa essere in pericolo), ma nonostante tutto questo sarà un regno di pace, un regno buono, come non ce ne sono stati altri.
Alla sera, quando si accendono le prime stelle, i tre saggi scrutano con visibile apprensione il cielo e d'improvviso scoppiano in esclamazioni di gioia: la stella, ecco di nuovo la stella!
«Quale stella?» chiede Longino ai sapienti che lo guardano con occhi pieni di felicità.
«Guarda, quella è la stella che ci ha guidati», dice Melchiorre indicando un punto luminoso nel cielo.
«E' la stella del più grande dei re, come dicono tutti i libri che insegnano il linguaggio delle stelle», continua Gasparre.
«L'abbiamo vista per la prima volta nei territori d'oriente, da dove veniamo, alcuni mesi fa», aggiunge Baldassarre.
«Per settimane ci ha guidato, poi è sparita, così abbiamo proseguito il cammino solo sulla fiducia», riprende Melchiorre.
«Ma ora i nostri occhi la vedono di nuovo e la nostra gioia è talmente grande che tu non puoi nemmeno immaginare», conclude Gasparre.
«Voi saggi stranieri non lo sapete - dice Longino - ma la stella è proprio nella direzione di Betlemme, che dista da qui meno di un'ora di cammino».
I tre Magi sono eccitati come bambini.
«Cosa aspettiamo? Presto, prepariamo i doni. Partiamo subito», si dicono l'un l'altro.
Longino vorrebbe trattenerli, ma i tre sapienti insistono tanto che alla fine il romano è costretto a far loro da guida.
Il viaggio diventa sempre più disagiato, perché ormai il buio è totale e si intravede solo la via al bagliore delle stelle. L'aspettativa dell'evento ha contagiato anche il soldato, cosicché la comitiva procede in silenzio. Ognuno pensa a ciò che tra poco troverà: un sapiente, un re, un inviato dal cielo, un pericoloso concorrente.
Dopo più di un'ora di viaggio difficoltoso i quattro finalmente giungono in vista delle luci di Betlemme. A quel tempo non c'erano le strade illuminate come adesso. Solo chi era sveglio aveva un lume acceso che filtrava appena dalle finestre già chiuse. Nel buio totale della campagna bastava una luce o due per segnalare la presenza di un villaggio.
Eccolo il paesino tanto a lungo cercato. Una decina di case costruite sulla roccia, qualche muro che circonda cortili e piccoli orti, una luce accesa fuori di una porta dalla quale esce luce e un brusìo continuo. I quattro entrano e si trovano in una locanda. Tre soldati romani ad un tavolo, qualche altro cliente agli altri tavoli, ben lontani dai soldati. Longino si avvicina ai commilitoni, scambia qualche parola in latino, poi va dall'oste, parla animatamente per qualche minuto, poi torna dai Magi che aspettano in piedi vicino alla porta.
«Nessuno sa nulla, nessun personaggio importante è passato di qui ultimamente. Tanti ebrei sono passati di qui in occasione dell'ultimo censimento, ma si trattava quasi esclusivamente di povera gente, se non proprio di straccioni. In qualche momento c'è stata tanta gente che qualcuno ha dovuto alloggiare nelle grotte dei pastori che si trovano intorno al villaggio.»
I quattro escono delusi dalla locanda e si ritrovano in una specie di piazza, nello spazio lasciato libero da alcune casette tutt'intorno. I magi guardano il cielo e interrogano muti la stella che li ha guidati fin qui. Tutte le stelle brillano con qualche tremore della luce, ma questa brilla in un modo strano anche se non fa più luce delle altre.
«E' qui vicino, guardate la stella, sembra che danzi», dice Gasparre come in trance.
«Sembra che stia cantando e che ci chiami», risponde Melchiorre come in estasi.
«Andiamo», dice Gasparre come in sogno.
Longino non capisce bene, ma anche lui è affascinato da questa strana atmosfera che si è creata e senza parlare segue i tre sapienti che si sono incamminati per un sentiero che esce dal paese, nella stessa direzione della stella.
A meno di cinque minuti di cammino c'è una grotta, dentro una piccola luce. I piedi camminano da soli, i quattro procedono come automi e si fermano sulla soglia della grotta. Quello che vedono è molto diverso da quel che si aspettavano. Un giovane uomo che gioca con un bimbo in braccio mentre la moglie, giovanissima, sta cucinando in un angolo della grotta. Di fianco a loro un bue ed un asinello legati vicino ad una greppia. Il giovane uomo si accorge della presenza dei nuovi arrivati e senza nessuna esitazione li invita ad entrare.
«La notte è umida, lì fuori: entrate e dividete con noi la nostra cena.» Poi, rivolto alla moglie: «Maria, il Signore benedice la nostra dimora con quattro ospiti.»
«Siate i benvenuti, riposatevi qualche istante mentre io impasterò e cuocerò per voi delle focacce», risponde lei.
I quattro entrano, si siedono su alcune logore stuoie per terra ed osservano questa piccola famiglia cercando con gli occhi conferme ai loro pensieri più profondi. Si aspettavano tutto tranne la straordinaria normalità di ciò che vedono: una semplice famiglia che vive l'ancor più semplice felicità di tutti i giorni che è stata loro concessa dalla nascita di un figlio. La sicurezza che accompagnava i tre saggi durante la loro ricerca è svanita. Più che delusi sono sorpresi. Qui niente ha l'apparenza dell'abitazione di un re, nemmeno le persone che stanno davanti a loro hanno un comportamento di chi aspira a comandare, le parole che sentono non son quelle di chi ha studiato tanto sui libri o di chi ha grandi sogni ed ambizioni. Eppure tutt'intorno a quel bambino c'è una tale atmosfera d'amore che i tre saggi, ma anche il soldato, ne sono conquistati. Non sono sicuri di essere davvero arrivati perché qui non corrisponde nulla alle loro aspettative, per questo debbono cambiare completamente prospettiva per poter vedere con altri occhi ciò che sta loro innanzi.
Più tardi, mentre mangiano tutti insieme, decidono di fidarsi della loro intuizione e raccontano del loro viaggio, del messaggio delle stelle, dei presagi sul futuro di quel bimbo che ora dorme nella mangiatoia degli animali. Maria e Giuseppe, suo sposo, ascoltano stupiti il racconto dei Magi. Capiscono che possono fidarsi di loro e raccontano dei pastori che, la notte della nascita di Gesù, loro figlio, erano accorsi raccontando di visioni di angeli nel cielo.
Longino ascolta anche queste notizie senza ben capire se deve considerarle verità o frutto d'immaginazione. L'unica cosa che percepisce chiaramente è un'atmosfera di serenità che lo circonda. Per i Magi invece questo racconto è la conferma che cancella tutti i loro dubbi. Sicuramente quel bimbo che dorme tranquillamente nella paglia profumata sarà il grande re annunciato dalle stelle, ma sarà anche molto diverso da tutti gli altri. Il loro cuore e non solo la mente finalmente si è aperto, è ora di aprire anche le bisacce e offrire i doni che hanno portato dal loro paese per il Re dei re. A turno depongono ai piedi del bambino Gesù l'oro, segno di ricchezza della regalità, l'incenso, profumo che sale al cielo segno di unione Dio, e mirra, profumo raro e prezioso, segno di nobiltà e di pulizia terrena, ma anche di profonda umanità, visto che viene usato anche nei riti di sepoltura.
Longino è confuso da questa atmosfera che si è creata: percepisce che quel bambino avrà un futuro misterioso e decide di donare anche lui qualcosa, ma non ha nulla. Allora prende la lancia e la depone ai piedi di Gesù: un re deve avere potere anche se sarà un re di pace: se non vorrà fare guerre almeno potrà difendersi, e la lancia è l'arma più adatta a tener lontani i nemici. Giuseppe e Maria osservano tutto con grande attenzione mista a sorpresa: anche questi doni sono davvero inaspettati. Poi Giuseppe prende la lancia e la restituisce al soldato.
«Amico soldato, non ti offendere se non accetto il tuo dono. Capisco la tua buona intenzione e te ne sono profondamente grato. Non so cosa diventerà da grande mio figlio, ma prego il Signore che non tocchi mai un'arma e che il suo potere sia solo di amore.»
Longino si guarda intorno ma non vede ombra di rimprovero o di commiserazione, ma solo sguardi di comprensione e di stima, allora riprende la lancia e torna a sedersi sulla sua stuoia silenzioso. C'è qualcosa che gli sfugge, che non riesce a capire, che non riesce ad accettare. È tardi, per tutti c'è bisogno di dormire. Il sonno dei Magi è ricco di emozioni, di presagi, di calcoli astronomici. Quello di Longino è un sonno pesante, un po' disilluso, ma anche affascinato dalla serenità di un incontro inaspettato.
È Gesù che sveglia tutti poco prima dell'alba perché ha fame. Maria lo allatta cantando sottovoce per non disturbare gli ospiti, ma questi sono già svegli. I tre saggi discutono tra si loro sommessamente, mentre Longino accompagna Giuseppe a prendere del latte dai pastori che stanno in una grotta poco lontano. Il cielo è ormai chiaro, è l'ora di salutarsi, ma prima che Gesù si riaddormenti i tre sapienti lo prendono a turno in braccio e lo cullano guardandolo con grande affetto. Sembra che se lo mangino con gli occhi, che vogliano fissare per sempre nella mente l'immagine di quel fanciullo che per loro è così importante. Prima di riconsegnarlo alla madre lo sollevano e tenendolo più alto delle loro teste chinano il capo in segno di omaggio, di sottomissione e di adorazione. Anche il romano saluta con gentilezza e accarezza delicatamente il piccino.
I quattro s'incamminano silenziosamente verso Betlemme, ma dopo poco Baldassarre chiede a Longino: «Cambiamo strada, non torniamo a Gerusalemme, andiamo direttamente ad oriente, torniamo a casa.»
«Ma Erode vi aspetta.»
«E lascia che aspetti: secondo me considera il bambino come un rivale che intralcia i suoi progetti», risponde Gasparre.
«E poi non potrà certamente capire quali possano essere i piani di questo fanciullo: non sono chiari nemmeno per noi!», conclude Melchiorre.
Dopo qualche giorno i Magi salutano il soldato romano e lo rimandano alla sua guarnigione.
«Vai, riferisci al tuo comandante ciò che hai visto: Roma non deve aver paura di un bimbo che parlerà di pace e non di guerra. Il cielo ti benedica buon Longino.»
Passano più di trent'anni, Gesù è stato crocifisso da pochi giorni e a Gerusalemme si è sparsa la voce che è risorto. Alcuni discepoli dicono perfino di averlo visto, di aver mangiato con lui. Nel Cenacolo sono riuniti i suoi apostoli, hanno paura perché c'è chi li ha già minacciati di morte. Il sommo sacerdote e i capi religiosi vogliono chiudere per sempre l'avventura di un maestro, di un profeta troppo scomodo che ha avuto l'ardire di chiamarsi Figlio di Dio: chiunque osa affermare che Gesù è risorto viene imprigionato. Alla porta del Cenacolo qualcuno bussa: è un soldato romano, e subito il terrore si dipinge sul volto degli apostoli. Ma è un volto noto, è il vecchio Longino, il più anziano tra i soldati della guarnigione, rispettato da tutti perché non ha mai abusato del proprio potere.
Appena entrato depone la spada e la lancia per terra e chiede di parlare con Pietro. È qui a titolo personale, spiga subito, non in veste ufficiale. Vuole sapere se è vero quel che dicono di Gesù. Pietro si fida di lui e racconta di averlo visto più volte e di aver assistito alla sua ascensione al cielo in Galilea. Allora Longino si mette a piangere, sommessamente, ma incapace di smettere. Tutti gli apostoli gli sono intorno stupiti cercando di fargli coraggio, poi, finalmente, il vecchio soldato riesce a trattenersi. Viene fatto sedere e comincia il suo racconto.
«Sono io che sul Golgota ho trafitto il costato di Gesù con quella lancia», dice con fatica.
«Ti ho visto, c'ero anch'io - conferma Giovanni - ma non sei stato tu ad ucciderlo, non devi avere rimorsi».
«Lo so, ma non avevo ancora capito nulla, ero deluso per la seconda volta.»
«Non capisco per cosa tu sia rimasto deluso, e soprattutto perché la seconda volta», dice Pietro.
«E' una storia lunga», esordisce il vecchio soldato, quindi racconta il primo incontro con Gesù nella grotta di Betlemme. «Cercavo un re, il più grande dei re, ma ho trovato un bambino, una famiglia meravigliosamente normale, troppo normale per far crescere un re speciale. Ho provato nonostante la mia delusione ad offrirgli tutto ciò che avevo, cioè la mia lancia, ma mi è stata rifiutata, allora ho pensato, a differenza dei tre sapienti, di aver fallito la mia ricerca. È passato tanto tempo da quel giorno. Sono tornato a Roma e dopo parecchi anni son tornato qui e ho sentito parlare di Gesù. L'ho cercato, una volta l'ho persino ascoltato e ne sono rimasto turbato. Forse, pensavo, nonostante tutto poteva essere lui quello che doveva venire, anche se era così diverso da come l'aspettavo. Ma la mia speranza è morta con lui sul Golgota. Non sono io che l'ho ucciso, ma la mia incredulità lo ha trafitto, proprio con quella lancia che più di trent'anni fa lui mi aveva rifiutato. Ma adesso è risorto. Tanti lo dicevano e io non volevo crederci. Eppure questa notizia sconvolgente si è aggrappata al mio cuore e non ha più voluto staccarsi: ho cercato inutilmente di cancellarla, di pensare che era impossibile, che era una solo una voce messa in giro per confondere i più deboli e creduloni. Alla fine mi son deciso a venire da voi, i suoi amici per avere una parola definitiva, ed ora voi mi testimoniate che è vero: è risorto. Solo adesso, finalmente, i miei occhi cominciano a vedere, il mio cuore crede quel che la mia mente ha sempre rifiutato. Comincio adesso a capire che nulla è successo per caso, che tutto, proprio tutto è servito perché il suo disegno si compisse. Quando a Betlemme ho voluto donargli la mia lancia, Gesù non l'ha rifiutata, l'ha accettata ma me l'ha lasciata in custodia fin quando non è servita, sul Golgota. Sì, ha preso anche la mia lancia non per conquistare o comandare, ma solo per donarci il suo sangue fino all'ultima goccia.»
Maria, presente in mezzo al gruppo degli apostoli, non ha perso una sola parola del romano: il suo stupore e la sua commozione sono evidenti. Non apre bocca, come pure nessuno dei dodici, come se volesse ben imprimersi nella memoria quella testimonianza.
Dopo qualche istante di silenzio, Pietro propone di pregare tutti assieme e di ringraziare Dio per il dono di Gesù. Longino si ritira in un angolo della stanza per rispetto delle usanze degli Ebrei. È una preghiera semplice «Benedetto sei tu, Signore, che ci hai donato Gesù, tuo figlio, il quale ha versato il suo sangue per la nostra salvezza ed è risorto dai morti per confermare la nostra fede.»
Nel silenzio che segue alla preghiera si sente un fragore come di un vento che scuote le porte, le finestre si spalancano con frastuono e una luce, come una palla di fuoco entra nel cenacolo e si divide in tante piccole fiamme che scendono sulla testa degli apostoli e sulla Madonna. Ancora una volta Longino è testimone di un evento straordinario ed assiste alla prima predicazione pubblica fatta dagli apostoli per bocca di Pietro dopo la discesa dello Spirito Santo. Nei giorni successivi frequenta assiduamente i dodici, poi dà le dimissioni da soldato e si fa battezzare.
Il soldato romano che trafigge Gesù con la lancia compare anche nei Vangeli Apocrifi: è da queste fonti che abbiamo il suo nome. La tradizione vuole anche che la sua conversione sia stata talmente esemplare da farlo diventare uno dei primi vescovi della Cappadocia, e poi santo martire.
ricerca di Diore magiepifaniacrocifissione
inviato da Guglielmo Morini, inserito il 26/09/2017
RACCONTO
Moses è un ragazzo di 11 anni che vive a Cafarnao, piccolo paese della Galilea sulle rive del lago di Genezaret. È solo al mondo: ha perso i genitori in una delle tante guerre che periodicamente travolgono il suo paese. Non ha una casa sua e dorme dove gli capita, a volte in un fienile oppure in una stalla, ma più spesso sotto le stelle, specialmente nelle calde notti d'estate.
Moses, anche se povero, una cosa la possiede: una cesta; con quella gira per i mercati e si offre per trasportare le merci di chiunque ne abbia bisogno. Così guadagna quelle poche monete che gli permettono di vivere.
A Cafarnao tutti lo conoscono per nome, anche perché Moses è sempre molto buono e disponibile; tutti sanno che, all'occorrenza, possono contare sul suo aiuto.
Una mattina un vecchio signore lo chiama:
«Moses, Moses, dove ti sei cacciato?»
«Eccomi, sto arrivando.»
«Ho un lavoro per te. Eccoti due monete: con questa mi comprerai del pane, e con l'altra del pesce; mi raccomando che sia bello e fresco! Stasera aspetto un ospite importante: non farmi fare brutta figura! Se mi servirai bene potrai rimanere a mangiare con noi a cena.»
Il ragazzo è ben contento di aver trovato un lavoro, e la prospettiva di una vera cena gli mette le ali ai piedi. In quattro salti è sulla riva del lago dove alcuni pescatori stanno aggiustando le reti.
«Avete del buon pesce da vendermi?»
«Mi spiace, ragazzo, ma da due giorni il lago è avaro con noi.»
Moses è deluso: di solito c'è pesce in abbondanza, oggi gli toccherà andarne a cercare nel paese vicino. Pazienza, tanto sia il pane che i pesci servono per la sera, poi forse è meglio così, perché su quella strada c'è Aronne che fa il pane più buono di tutta la regione. Avrà per questo una ricompensa in più. Un'ora dopo, infatti, sei bellissimi pani profumati sono scambiati per una moneta e vanno a finire nella cesta di Moses.
Poco lontano incontra due pescatori.
«Avete del buon pesce?»
«Quel poco che avevamo è già stato venduto, prova a chiedere più avanti.»
Da quasi due ore il ragazzo cammina inutilmente sulla riva del lago alla ricerca di pesce: meglio riposarsi un poco all'ombra di un grande eucalipto. I pani profumati sono una tentazione irresistibile e così comincia a mangiarne uno.
Ma ansimanti arrivano quattro bambini che stanno giocando a rincorrersi. Si fermano davanti allo sconosciuto, gli occhi fissi sul pane e la fame dipinta sul volto. Non si può mangiare in pace quando ti sta osservando chi ha più fame di te, e allora Moses divide il pane in quattro e lo dà ai bimbi che corrono via felici. Così non è più un furto ma una buona azione, anche se la pancia rimane vuota.
Una voce dal lago lo distoglie da questi pensieri.
«Ragazzo, afferra la cima e aiutami a tirare in secco la barca.»
In un balzo Moses è in acqua per aiutare il pescatore. Sul fondo della barca solo tre pesci, grossi e bellissimi.
«Me li vendi per una moneta?»
«Prendili pure, sono tuoi.»
Felice di aver completato la sua laboriosa ricerca, Moses si incammina verso casa.
Un'ora dopo incontra sulla riva del lago una gran folla. Strano, due ore fa, all'andata, non c'era nessuno. Ma ancor più strano che tutta quella gente se ne stia ferma e silenziosa ad ascoltare un uomo che parla in piedi su una barca.
«È Gesù», gli sussurra all'orecchio qualcuno. Quel Gesù di cui tutti parlano, che è passato più volte in questi paraggi, ma che Moses non aveva mai fino ad ora incontrato.
Camminando silenziosamente sulla spiaggia arriva a sedersi proprio davanti alla barca. Ma quella è la barca di Simone, anche lui di Cafarnao, che ora se ne sta seduto ai piedi di Gesù. Il ragazzo ascolta quelle bellissime parole che hanno il potere di entrare nel profondo del cuore.
Passa il tempo senza che nessuno mostri di accorgersene, o per lo meno quasi nessuno, visto che proprio Simone è assai preoccupato. Infatti, appena può, consiglia al Maestro di congedare tutta quella gente perché possa andarsi a comperare qualcosa da mangiare nei paesi vicini.
Ma lui risponde: «Dategli voi da mangiare!»
Simone è confuso, si guarda intorno ed esclama: «Ma Signore noi non abbiamo nulla. L'unico cibo che vedo è nella cesta di quel ragazzo qui davanti, cinque pani e tre pesci.»
Gesù allora si fa portare la cesta, la benedice e con quel poco cibo che si moltiplica miracolosamente sfama una folla immensa.
Moses è visibilmente sbalordito. E' uno dei pochi che ha visto coi propri occhi da dove è uscito tutto quel pane e quel pesce. Anche lui ne ha mangiato e più tardi, quando Simone gli restituisce la cesta vuota ancora emozionato balbetta: «Grazie».
«Grazie a te Moses», gli risponde dolcemente l'apostolo.
Le parole si Simone scuotono il ragazzo: è tardi, anzi tardissimo. Bisogna tornare subito a Cafarnao, ma con cosa, se la cesta è rimasta vuota. La gente andandosene ha lasciato dei pezzi di pane: in breve la cesta si riempie di pezzetti, di briciole, tutta roba che va bene per i poveri, non per un ospite importante, ma è pur sempre meglio di niente.
I pensieri galoppano nella testa di Moses mentre torna quasi di corsa verso casa. Ha assistito ad un miracolo incredibile, ha udito parole che danno la pace al cuore, ma cosa dirà al signore che aspetta i pani e i pesci?
Cosi assorto arriva alla casa del suo committente, corre in cucina, vuota sul tavolo la cesta e scappa via per non dover dare spiegazioni. Corre fin sulla riva del lago e va a nascondersi in una barca che ha riconosciuto come quella di Simone. Anche questo è un fatto inaspettato: tutte le altre barche hanno preso il largo per gettare le reti sul far della sera, e questa, che solo qualche ora fa ospitava Gesù, è ferma sulla spiaggia.
Ma è proprio Gesù l'ospite atteso al quale erano destinati i pani e i pesci. Moses questo non lo sa; lo sa invece Simone che racconta al padrone di casa tutto quanto è successo quel giorno, e come da quella cesta sia uscito cibo per una folla immensa.
Il mattino seguente il ragazzo si sveglia, afferra la sua cesta e come il solito va in cerca di qualche lavoro.
«Moses, Moses, aspettami!»
E' la voce del vecchio signore di ieri che lo sta chiamando. Non è arrabbiato, ma addirittura affettuoso, e allora il ragazzo invece di scappare si volta.
«Moses, ti prego, ascoltami. Simone ieri sera mi ha raccontato tutto. Tu senza saperlo hai dato a Gesù tutto quello che io ti avevo mandato a comperare per lui. Sei stato molto più bravo di quanto ti avessi chiesto, ed ora ho un gran debito con te. Io sono vecchio e solo; anche tu sei solo, vuoi venire ad abitare da me? Ti vorrò bene come ad un figlio, e alla mia morte tutto ciò che possiedo sarà tuo.»
Moses ora abita da tempo col vecchio signore. Nel suo cuore ricorda sempre le parole di Gesù ascoltate quella mattina sul lago: «Date, date a tutti, e riceverete il centuplo sulla terra e la vita eterna in paradiso».
Agli amici racconta spesso come un giorno abbia donato tutto ciò che aveva dentro una cesta e per ricompensa abbia ottenuto un padre.
donocondivisionegenerositàmoltiplicazione dei pani e dei pesci
inviato da Guglielmo Morini, inserito il 21/08/2017
TESTO
14. Lettera a Carlotta per il giorno della sua Prima Comunione
Cara Carlotta, domani riceverai per la prima volta nella vita una minuscola particola fatta di grano ma che racchiude, per coloro che hanno fede, il Corpo, il Sangue, l'Anima e la Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo. Che mistero grande mia adorata Carlotta. Forse dopo il giorno della tua nascita e quello in cui ricevesti il Battesimo questo sarà il giorno, in assoluto, più importante della tua vita.
Non lasciarti distogliere dall'abito bianco, dalla ghirlanda che forse metterai tra i capelli, ai regali che ti aspetti di ricevere, dai parenti che verranno a vederti in chiesa...
La cosa più importante è Gesù, Gesù solo.
Lui, l'immenso incontenibile viene ad abitare nel piccolo muscolo di carne che è il tuo cuore, viene nella tua anima bianca e immacolata, viene nel tuo corpicino esile come un fiore.
Lui, il grande si umilia per amore e diventa piccolo piccolo, come un boccone di pane. Lo Spirito divino prende in prestito la materia del grano (di cui è fatta quella piccola ostia) per condividere con te la sua divinità, la sua grandezza.
Lo so, lo so, che sono parole troppo difficili da comprendere ora, ma ci avrà pensato la tua catechista a farti comprendere l'inspiegabile mistero. Le catechiste hanno dimestichezza a sminuzzare il pane del catechismo e nutrire le vostre angeliche intelligenze per facilitare l'approccio alla comprensione di tale misterioso avvenimento, a prepararvi a tale privilegiato incontro.
Quando riceverai Gesù, abbraccialo stretto stretto, chiudi gli occhi e digli parole d'amore. Digli che lo ami e lo ringrazi di tale visita, di tale dono.
Non guardarti intorno. Non voltarti a vedere se c'è la nonna, se c'è la zia... se la mamma ti sta fotografando... nessuno in quel Momento conta più di Gesù!
Quello è un momento imperdibile!
Non sprecarlo, non sciuparlo, non sminuirlo...In quel momento il tuo corpicino è diventato un tabernacolo vivente, gli angeli ti stanno svolazzando intorno perché dentro di te c'è il loro Signore!
E tu non distrarti, concedigli almeno dieci minuti per ringraziarlo e per pregarlo. Pregalo per la mamma, per il tuo papà, per la nonna, per il nonno che è in Paradiso... per tutti i bambini che non hanno pane, per quelli che non hanno casa, per quelli che attraversano il mare agitato sui gommoni, in cerca di una terra che li accolga. Prega per le tue amichette, prega per i tuoi insegnanti, prega per i tuoi parenti... prega anche per me. So che lo farai e di questo ti ringrazio e ti abbraccio con tutto il mio cuore.
Sai Carlotta, ricordo quel giorno che aspettavamo dietro una porta che ci comunicassero la tua nascita in questo mondo... quel giorno entrasti anche nella mia vita e lì resterai sempre, e non ne uscirai mai più. Ti voglio bene.
Tua zia Anna
prima comunioneeucaristiacatechismomessa
inviato da Anna Marinelli, inserito il 30/06/2017
TESTO
15. Per il mattino di Pasqua 1
David Maria Turoldo, O sensi miei…Poesie 1948-1988, Rizzoli, 1996 pagg 364-366
Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.
Andrò in giro per le strade
zufolando, così,
fino a che gli altri dicano: è pazzo!
E mi fermerò soprattutto coi bambini
a giocare in periferia,
e poi lascerò un fiore
ad ogni finestra dei poveri
e saluterò chiunque incontrerò per via
inchinandomi fino a terra.
E poi suonerò con le mie mani
le campane sulla torre
a più riprese
finché non sarò esausto.
E a chiunque venga
anche al ricco dirò:
siedi pure alla mia mensa,
(anche il ricco è un povero uomo).
E dirò a tutti:
avete visto il Signore?
Ma lo dirò in silenzio
e solo con un sorriso.
Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.
Tutto è suo dono
eccetto il nostro peccato.
Ecco, gli darò un'icona
dove lui bambino guarda
agli occhi di sua madre:
così dimenticherà ogni cosa.
Gli raccoglierò dal prato
una goccia di rugiada
è già primavera
ancora primavera
una cosa insperata
non meritata
una cosa che non ha parole;
e poi gli dirò d'indovinare
se sia una lacrima
o una perla di sole
o una goccia di rugiada.
E dirò alla gente:
avete visto il Signore?
Ma lo dirò in silenzio
e solo con un sorriso.
Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.
Non credo più neppure alle mie lacrime,
e queste gioie sono tutte povere:
metterò un garofano rosso sul balcone
canterò una canzone
tutta per lui solo.
Andrò nel bosco questa notte
e abbraccerò gli alberi
e starò in ascolto dell'usignolo,
quell'usignolo che canta sempre solo
da mezzanotte all'alba.
E poi andrò a lavarmi nel fiume
e all'alba passerò sulle porte
di tutti i miei fratelli
e dirò a ogni casa: pace!
e poi cospargerò la terra
d'acqua benedetta in direzione
dei quattro punti dell'universo,
poi non lascerò mai morire
la lampada dell'altare
e ogni domenica mi vestirò di bianco.
pasquarisortoresurrezionepaceannunciogioia
inviato da Sara Baroni, inserito il 08/05/2017
PREGHIERA
Signore Gesù, oggi mi fermo davanti a te,
ai piedi della tua croce
e penso che anch'io ti ho crocifisso con i miei peccati.
La tua disarmante bontà, che non si difende
e si lascia crocifiggere
è un qualcosa che non capisco,
che supera la mia mente
e scende al centro del mio cuore.
Signore, tu sei stato crocifisso per un complotto contro di te.
La forza dei sommi sacerdoti Anna e Caifa,
la forza di Pilato e di Erode
hanno creato il diritto di crocifiggerti.
La forza della mia cattiveria,
la forza del mio cuore duro,
la forza delle mie malignità,
la forza del mio egoismo,
la forza del mio fare il doppio gioco,
la forza delle mie menzogne
hanno creato Signore
il diritto di ucciderti, ancora oggi
nelle persone che io stesso ho crocifisso senza pietà
per salvare me stesso,
per tutelare le mie idee,
per agevolare le mie convinzioni,
per nascondere le mie paure,
per difendere il mio pezzo di potere,
per tenere in piedi un passato vecchio e ormai finito
e non concedere al presente di sbocciare in un nuovo futuro
E tu, Signore, sei giustiziato ancora oggi con la morte più atroce:
la crocifissione.
Signore, guardami,
sono qui davanti a te:
il peccatore da salvare sono io,
il "Giuda" che ti tradisce sono io,
i sommi sacerdoti Anna e Caifa' che complottano contro di te sono io
il governatore Ponzio Pilato che se ne lava le mani sono io,
il tuo discepolo fidato Pietro, che ti rinnega e ti lascia solo, sono io.
il centurione che ti pianta i chiodi nelle mani e nei piedi sono io,
il ladrone accanto a te sulla croce da salvare sono io,
Signore, sono qui, davanti alla tua croce.
Concedimi, ti prego, il dono delle lacrime,
perché io possa cambiare la mia vita,
perché io possa ritrovare la libertà
e la pace del mio cuore.
Ma soprattutto, Signore, concedimi il perdono di tutto il male che ho fatto.
Amen.
crocepentimentopeccatoingiustiziacondanna
inviato da Natalina, inserito il 20/03/2017
RACCONTO
Due palloni erano usciti dalla fabbrica lo stesso giorno, erano finiti nello stesso sacco e portati nello stesso grande magazzino. Uno era rosso e uno era blu. Avevano fatto amicizia e così furono felicissimi di essere comprati dalla stessa persona. Finirono in un oratorio, dove sembrava che un orda di ragazzi non stesse aspettando altro che prenderli a calci. Lo facevano tutto il giorno, con un entusiasmo incredibile.
I due palloni volavano, rimbalzavano, sbattevano, facevano gol, venivano parati, sbucciati, infilati nell'angolino alto e basso, crossati e colpiti di testa... Una vera battaglia quotidiana. Alla sera si ritrovavano nello stesso armadio, pesti e ammaccati; la loro bella vernice brillante, le inserzioni bianche e nere, la scritta rossa, si stavano rapidamente screpolando.
"Non ne posso più!" si lamentava il pallone blu: "Non è vita questa! Presi a calci dalla mattina alla sera...Basta!"
"Che vuoi farci? Siamo nati palloni" ribatteva il pallone rosso. "Siamo stati creati per portare gioia e divertimento".
"Bel divertimento! Io non mi diverto proprio... E ho già cominciato a vendicarmi: oggi sono finito appositamente sul naso di un ragazzo e l'ho fatto sanguinare. Domani farò un occhio blu a quel tipo che mi sbatte sempre contro il muro!", incalzava il pallone blu.
"Eppure siamo sempre al centro dell'interesse. Basta che compariamo noi e il cortile si anima come per incanto. Credimi: siamo un dono dall'alto alla gioia degli uomini", rispondeva ancora il pallone rosso.
Passarono i giorni, e i pallone brontolone era sempre più scontento. "Se continuo così, scoppio!" disse una sera. "Ho deciso: domani sparirò. Ho adocchiato un tetto malandato, sul quale nessuno potrà salire a cercarmi. Mi basta un calcione un po' deciso...". E il pallone blu così fece. Riuscì a finire tra i piedi di Adriano, detto Bombarda, per i suoi rinvii alla "Viva il parroco!", e un poderoso calcione lo scagliò sul tetto proibito del caseggiato prospiciente il cortile dell'oratorio. Mentre volava in cielo, il pallone blu rideva felice: ce l'aveva fatta!
I primi tempi sul tetto furono una vera pacchia. Il pallone blu si sistemò confortevolmente nella grondaia e si preparò a una interminabile vacanza. "Ho chiuso con i calci e le botte", pensava con profondo compiacimento, "nel mio futuro non ci saranno che aria buona e riposo. Aaaah, questa è vita!".
Ogni tanto, dal tetto, sbirciava in giù e guardava il suo compagno scalciato a più non posso dai ragazzi del cortile. "Poverino", bofonchiava, "lui prende calci e io me ne sto qui a prendere il sole, pancia all'aria dal mattino alla sera".
Un giorno, un calcio possente glielo mandò vicino. "Resta qui!", gli gridò il pallone blu. Ma il pallone rosso rimbalzò sull'orlo della grondaia e tornò nel cortile. "Preferisco i calci!", rispose.
Passò il tempo. Nella grondaia il pallone blu si accorse che sole e pioggia lo avevano rapidamente fatto screpolare e ora si stava gradatamente sgonfiando. Divenne sempre più debole, tanto che non riusciva più nemmeno a lamentarsi. Del resto, non gliene importava molto: sempre solo, lassù, era diventato triste e depresso. Così una sera esalò un ultimo soffio.
Proprio in quel momento, il pallone rosso veniva riportato nell'armadio da due piccole mani. Prima di finire nel cassetto buio, sentì una voce che gli diceva "Ciao, pallone ci vediamo domani". E due labbra sporche di Nutella gli stamparono un bacione sulla pelle ormai rugosa. Nel suo cuore leggero come l'aria, il pallone si sentì morire di felicità. E si addormentò sognando il paradiso dei palloni, dove gli angioletti hanno piedini leggeri come nuvole.
Il racconto contiene una riflessione sulla responsabilità della vita e, in fondo, sulla inevitabile «fatica» che accompagna sempre il cammino dell'uomo. Chi rifiuta la fatica di questo compito, rischia il fallimento e l'infelicità radicale. Non è affatto un invito a piegare la testa davanti a un ipotetico e ineluttabile destino di sofferenza, bensì un invito a scoprire le gioie profonde, nascoste nel «dovere» di vivere con responsabilità la missione umana.
Spunti per un dialogo con i ragazzi:
- Se un pallone non vuoi fare il pallone, che succede? Che cosa diventa?
- Può capitare che un uomo non voglia fare l'uomo? Che cosa diventa?
- Ci sono delle cose che vi costano, durante la vostra giornata? Cercate di sfuggirle o le affrontate?
responsabilitàmissionefelicitàobiettivisacrificio
inviato da Qumran2, inserito il 28/12/2016
TESTO
18. Testamento di Raoul Follereau
Giovani di tutto il mondo, o la guerra o la pace sono per voi. Scrivevo, venticinque anni fa: "O gli uomini impareranno ad amarsi o, infine, l'uomo vivrà per l'uomo, o gli uomini moriranno". Tutti e tutti insieme.
Il nostro mondo non ha che questa alternativa: amarsi o scomparire. Bisogna scegliere. Subito. E per sempre. Ieri, l'allarme. Domani, l'inferno.
I Grandi - questi giganti che hanno cessato di essere uomini - possiedono, nelle loro turpi collezioni di morte, 20.000 bombe all'idrogeno, di cui una sola è sufficiente a trasformare un'intera Metropoli in un immenso cimitero. Ed essi continuano la loro mostruosa industria producendo tre bombe ogni 24 ore. L'Apocalisse è all'angolo della strada.
Ragazzi, Ragazze di tutto il mondo, sarete voi a dire "no" al suicidio dell'umanità.
"Signore, vorrei tanto aiutare gli altri a vivere". Questa fu la mia preghiera di adolescente.
Credo di esserne rimasto, per tutta la mia vita, fedele...
Ed eccomi al crepuscolo di una esistenza che ho condotto il meglio possibile, ma che rimane incompiuta.
Il tesoro che vi lascio, è il bene che io non ho fatto, che avrei voluto fare e che voi farete dopo di me. Possa solo questa testimonianza aiutarvi ad amare. Questa è l'ultima ambizione della mia vita, e l'oggetto di questo "testamento".
Proclamo erede universale tutta la gioventù del mondo. Tutta la gioventù del mondo: di destra, di sinistra, di centro, estremista: che mi importa!
Tutta la gioventù: quella che ha ricevuto il dono della fede, quella che si comporta come se credesse, quella che pensa di non credere. C'è un solo cielo per tutto il mondo.
Più sento avvicinarsi la fine della mia vita, più sento la necessità di ripetervi: è amando che noi salveremo l'umanità.
E di ripetervi: la più grande disgrazia che vi possa capitare è quella di non essere utili a nessuno, e che la vostra vita non serva a niente.
Amarsi o scomparire.
Ma non è sufficiente inneggiare a: "la pace, la pace", perché la Pace cessi di disertare la terra.
Occorre agire. A forza di amore. A colpi di amore.
I pacifisti con il manganello sono dei falsi combattenti. Tentando di conquistare, disertano. Il Cristo ha ripudiato la violenza, accettando la Croce.
Allontanatevi dai mascalzoni dell'intelligenza, come dai venditori di fumo: vi condurranno su strade senza fiori e che terminano nel nulla.
Diffidate di queste "tecniche divinizzate" che già San Paolo denunciava.
Sappiate distinguere ciò che serve da ciò che sottomette.
Rinunciate alle parole che sono tanto più vuote quanto sonore.
Non guarirete il mondo con dei punti esclamativi.
Ciò che occorre è liberarlo da certi "progressi" e dalle loro malattie, dal denaro e dalla sua maledizione.
Allontanatevi da coloro per i quali tutto si risolve, si spiega e si apprezza in rapporto ai biglietti di banca.
Anche se sono intelligenti essi sono i più stupidi di tutti gli uomini.
Non si fa un trampolino con una cassaforte.
Bisognerà che dominiate il potere del denaro, altrimenti quasi nulla di umano è possibile, ma con il quale tutto marcisce.
Esso, Corruttore, diventi Servitore.
Siate ricchi della felicità degli altri.
Rimanete voi stessi. E non un altro. Non importa chi. Fuggite le facili vigliaccherie dell'anonimato.
Ogni essere umano ha un suo destino. Realizzate il vostro, con gli occhi aperti, esigenti e leali.
Niente diminuisce mai la dimensione dell'uomo. Se vi manca qualcosa nella vita è perché non avete guardato abbastanza in alto.
Tutti simili? No.
Ma tutti uguali e tutti insieme!
Allora sarete degli uomini. Degli uomini liberi.
Ma attenzione! La libertà non è una cameriera tuttofare che si può sfruttare impunemente. Né un paravento sbalorditivo dietro il quale si gonfiano fetide ambizioni.
La libertà è il patrimonio comune di tutta l'Umanità. Chi è incapace di trasmetterla agli altri è indegno di possederla.
Non trasformate il vostro cuore in un ripostiglio; diventerebbe presto una pattumiera.
Lavorate. Una delle disgrazie del nostro tempo è che si considera il lavoro come una maledizione. Mentre è redenzione.
Meritate la felicità di amare il vostro dovere.
E poi, credete nella bontà, nell'umile e sublime bontà.
Nel cuore di ogni uomo ci sono tesori d'amore.
Spetta a voi, scoprirli.
La sola verità è amarsi.
Amarsi gli uni con gli altri, amarsi tutti. Non a orari fissi, ma per tutta la vita.
Amare la povera gente, amare le persone infelici (che molto spesso sono dei poveri esseri), amare lo sconosciuto, amare il prossimo che è ai margini della società, amare lo straniero che vive vicino a voi.
Amare.
Voi pacificherete gli uomini solamente arricchendo il loro cuore.
Testimoni troppo spesso legati al deterioramento di questo secolo (che fu per poco tempo così bello), spaventati da questa gigantesca corsa verso la morte di coloro che confiscano i nostri destini, asfissiati da un "progresso" folgorante, divoratore ma paralizzante, con il cuore frantumato da questo grido "ho fame!" che si alza incessante dai due terzi del mondo, rimane solo questo supremo e sublime rimedio: Essere veramente fratelli.
Allora... domani?
Domani, siete voi.
testamentopaceguerradisarmogiovanilibertàamoregiustiziaingiustiziafame nel mondopovertàricchezza
inviato da Fra Roberto Brunelli, inserito il 28/12/2016
PREGHIERA
19. Preghiera per la terza età 2
Giacomo Perico S.I. (1911-2000), Resta con noi, Signore, pag.13-15, San Paolo 2001
Signore, insegnami a invecchiare!
Convincimi che la comunità
non compie alcun torto verso di me,
se mi va esonerando da responsabilità,
se non mi chiede più pareri,
se ha indicato altri a subentrare al mio posto.
Togli da me l'orgoglio dell'esperienza fatta
e il senso della mia indispensabilità.
Che la fermezza della mia fede
si irradi attorno a me umilmente e discretamente.
Che io colga,
in questo graduale distacco dalle cose
unicamente la legge del tempo,
e avverta, in questo avvicendamento di compiti,
una delle espressioni più interessanti
della vita che si rinnova
sotto la guida della tua Provvidenza.
Fa', o Signore,
che io riesca ancora utile al mondo
contribuendo con l'ottimismo e con la preghiera
alla gioia e al coraggio
di chi è di turno nelle responsabilità,
vivendo uno stile di contatto umile e sereno
con il mondo in trasformazione,
senza rimpianti sul passato,
facendo delle mie sofferenze umane
un dono di riparazione sociale.
Che la mia uscita dal campo d'azione sia semplice e naturale,
come un felice tramonto di sole.
Perdona se solo oggi, nella tranquillità,
riesco a capire quanto tu mi abbia amato e soccorso.
Che almeno ora io abbia viva e penetrante
la percezione del destino di gioia che mi hai preparato
e verso il quale mi hai incamminato
dal primo giorno di vita.
Signore, insegnami ad invecchiare così.
anzianiterza etàvecchiaiainvecchiare
inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 28/12/2016
TESTO
20. Doni 3
Come un tesoro scoperto va perduto, così qualsiasi dono sbandierato da chi se ne vanta, svanisce.
Come la cera si scioglie accanto al fuoco, così l'anima si svuota se cerca le lodi.
*Santa Sincletica, eremita del IV secolo.
doni di Diovirtùnascondimentointerioritàesterioritàumiltàorgoglio
inviato da Qumran2, inserito il 06/09/2016