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RACCONTO

1. A cosa serve leggere la Bibbia?   3

fonte

C'era un ragazzo che viveva con suo nonno in una fattoria. Ogni mattina il nonno, che era cristiano, si alzava presto e dedicava del tempo a leggere le Scritture.

Il nipote cercava di imitarlo in qualche modo, ma un giorno chiese: «Nonno, io cerco di leggere la Bibbia ma anche le poche volte che riesco a capirci qualcosa, la dimentico quasi subito. Allora a cosa serve? Tanto vale che non la legga più!».

Il nonno terminò tranquillamente di mettere nella stufa il carbone che stava in una cesta, poi disse al nipote: «Vai al fiume, e portami una cesta d'acqua». Il ragazzo andò, ma ovviamente quando tornò non era rimasta acqua nella cesta. Il nonno ridacchiò e disse: «Beh, devi essere un po' più rapido. Dai, muoviti, torna al fiume e prendi l'acqua». Anche questo secondo tentativo, naturalmente, fallì.

Il nipote, senza fiato, disse che era una cosa impossibile, e si mise a cercare un secchio. Ma il nonno insistette: «Non ti ho chiesto un secchio d'acqua, ma una cesta d'acqua. Torna al fiume». A quel punto il giovane sapeva che non ce l'avrebbe fatta, ma andò ugualmente per dimostrare al vecchio che era inutile, per quanto fosse svelto l'acqua filtrava dai buchi della cesta. Così tornò al fiume e portò la cesta vuota al nonno, dicendo: «Vedi? Non serve a niente!».

«Sei sicuro? - disse il nonno - Guarda un po' la cesta». Il ragazzo guardò: la cesta, che prima era tutta nera di carbone, adesso era perfettamente pulita!

«Figlio, questo è ciò che succede quando leggi la Bibbia. Non capirai tutto, né ricorderai sempre ciò che hai letto, ma quando la leggi ti cambierà dall'interno. Dio lavora così nella nostra vita, ci raffina interiormente e a poco a poco ci trasforma perché possiamo assomigliargli».

bibbiaparola di Diocambiamentoconversione

inviato da Qumran2, inserito il 06/07/2018

TESTO

2. Cosa aspetti a diventare un capolavoro?   3

Abramo era vecchio;
Giacobbe era uno sbruffone;
Lia era brutta;
Mosé era un balbuziente;
Gedeone era povero in canna;
Sansone era un donnaiolo credulone;
Raab era una prostituta;
Davide era un farabutto traditore;
Elia aveva tendenze suicide;
Geremia era depresso;
Giona era intollerante e razzista;
Rut era una povera vedova;
Giovanni Battista era stravagante;
Pietro era impulsivo e vigliacco;
Marta era apprensiva;
La Samaritana aveva fallito cinque matrimoni;
Zaccheo era avido e disonesto;
Tommaso non credeva a niente;
Paolo era un fondamentalista anticristiano;
Timoteo era timido e insicuro;
Tu sei... tu.

Ma Dio che si è servito di tutte persone "poco di buono" per il suo Regno,
farà anche di te un capolavoro, se la smetti di cercare scuse...

vitapotenzialitàfiduciafiducia in Dioautostimapovertàinterioritàforzaprogetto di Dio

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inviato da Qumran2, inserito il 31/05/2018

PREGHIERA

3. E ancora vieni in mezzo a noi

Francesco De Luca

E ancora vieni in mezzo a noi.
Ancora nasci in mezzo all'umanità.
Il tuo Natale è un farci capire
che non sei stanco
di questa gente,
di questi uomini,
di questo popolo.
Ancora nasci
in mezzo all'umanità.
Non sei stanco di noi, mentre noi
già siamo stanchi
di tutto.
Non ci abbandoni,
quando noi preferiamo lasciar tutto e fuggire.
Ti fermi a parlare
e fai parlare di Te,
quando noi preferiamo l'omertà del silenzio.
Sei presente, per supplire
le nostre assenze,
sei disponibile per annullare
le nostre scuse,
sei attivo per smascherare
le nostre giustificazioni.
E ancora nasci in questa umanità.
Non possiamo essere Te, piccolo bambino del presepe,
abbiamo paura della tua nudità, sentiamo freddo,
abbiamo paura del tuo coraggio di nascere sempre,
siamo vigliacchi.
Ma pur non potendo essere Te
vorremmo essere i pastori
che pieni di stupore e senza indugio vengono a trovarti,
o i magi che mai stanchi e indomiti ti cercano, nel buio e nella luce,
ma siamo noi...
stanchi di rinascere, paurosi di essere nudi,
pigri nel correre verso di Te, incapaci di cercare, superficiali ad ogni stupore,
e Tu nasci in questa umanità.
Donaci il coraggio di accoglierti: bambino, straniero, diverso;
infondici la forza di vedere oltre, dacci la possibilità di fare del bene.
Liberaci dalle catene dell'egoismo e dell'indifferenza, donaci il coraggio dell'essenziale, facci accogliere ogni uomo, come se accogliessimo Te.
Facci credere nell'incredibile, vedere l'invisibile, fare l'impossibile.

nataleincarnazionegiustiziaaccoglienzasperanza

inviato da Francesco De Luca, inserito il 19/02/2018

PREGHIERA

4. Esame di coscienza sui vizi capitali   1

Penitenziale per i giovani in preparazione alla XXII Giornata Mondiale della Gioventù in San Pietro alla presenza di Benedetto XVI, Libreria Editrice Vaticana, 2007

Perdona Signore i nostri peccati di superbia: le azioni che cercano solo la lode e l'approvazione della gente, l'ambizione, la ricerca di potere e di notorietà.
Perdonaci per quando parliamo, diamo consigli, studiamo, lavoriamo, facciamo il bene solo in funzione di ciò che ne penseranno gli altri e per catturare la stima altrui.
Perdonaci per quando esibiamo con vanità la bellezza fisica e le qualità dateci da Dio.
Perdonaci per l'arroganza che nasce dalla superbia, per il desiderio di non dipendere da nessuno, e nemmeno da Dio, per il vittimismo con cui sappiamo darci sempre una giustificazione.
Rendici umili. L'umiltà è la virtù che elimina tutte le passioni perché in essa noi ci rendiamo disponibili ad essere aiutati da Dio.

Perdona Signore i nostri peccati di invidia: l'ostilità, l'odio, l'idea che il male altrui possa essere bene per noi.
Perdona l'egocentrismo che ci impedisce di desiderare il bene per gli altri e ci rende incapaci di amare, il malcontento e i contrasti generati dall'invidia. Liberaci dal rancore, dal tormento interiore, dall'insoddisfazione.
Perdonaci quando vediamo tutto in funzione di noi stessi, quando non sappiamo mettere un freno ai desideri, quando chiamiamo l'invidia "sana competitività".
Perdona i cedimenti a una società che alimenta continuamente l'ambizione, l'avidità e la vuota curiosità.
Perdonaci quando desideriamo la roba d'altri e ci condanniamo all'infelicità.
Aiutaci a contrastare l'invidia con il dono quotidiano di noi stessi per i fratelli.

Perdona Signore i nostri peccati d'ira: i turbamenti del cuore, i sentimenti di avversione verso i fratelli quando sentiamo colpito il nostro io, l'animosità eccitata, l'aggressività del corpo, la sete di vendetta.
Perdonaci quando l'ira soffoca la libertà, ci rende schiavi di noi stessi, toglie la pace interiore ed esteriore.
Perdonaci la tentazione di "farla pagare" a chi ci ha umiliato, il piacere perverso del "far del male a qualcuno", i giudizi taglienti e la gratuita durezza verso gli altri, le mille giustificazioni dell'ira.
Aiutaci a seguire la via suggerita dai padri: “il silenzio delle labbra pur nel turbamento del cuore", dato che "La medicina perfetta... sarà quella di essere prima di tutto ben persuasi che non ci è consentito adirarci mai e in nessun modo".

Perdona Signore i nostri peccati di accidia: il torpore, la pigrizia, l'abbattimento, la tristezza, la dipendenza e le crisi di astinenza da stimoli e piaceri esteriori che ci lasciano sempre tristi e vuoti.
Perdonaci per la noia che a volte proviamo nel pregare e che ci spinge a cercare distrazioni, o ci lascia soli a parlare con noi stessi.
Perdonaci quando l'accidia genera disgusto e noia per ogni attività sana e spirituale, per quando la stessa vita quotidiana si tinge di tristezza, svogliatezza, vittimismo e lagnanza.
Perdonaci per la vita senza scopo, il tempo perso e la fuga dall'impegno quotidiano.
Donaci il desiderio di reagire. Facci trovare una guida spirituale e fa' che accettiamo la disciplina dell'obbedienza, unica via per non essere sballottati come un corpo inerte in balia delle passioni.

Perdonaci Signore per i peccati di avarizia: l'avidità, la brama di possedere, la fiducia smodata riposta nel denaro. Perdonaci se per avarizia lavoriamo di domenica, siamo disonesti, non diamo in elemosina, ci circondiamo di cose superflue.
Perdona le conseguenze terribili della fame di soldi: liti familiari, ansie e falsi timori, tradimenti, frodi, inganni, spergiuri, violenza e indurimento del cuore.
Perdonaci l'abitudine a essere insoddisfatti per ciò che abbiamo e bramosi di ciò che non ci è dato. Liberaci da lussi inutili, comodità e abitudini dispendiose.
Perdona le ingiustizie della società, le drammatiche disuguaglianze tra paesi ricchi e poveri, le guerre, i disumani sfruttamenti e l'inganno delle coscienze prodotto da un sistema di accumulo e consumo che fa di tutto per eccitare la brama di possesso.
Aiutaci a sottrarci all'influenza dei media e a fidarci di te, che rivesti i gigli del campo e non abbandoni gli uccelli del cielo.

Perdonaci Signore per i peccati di gola: il rapporto irrazionale con il cibo, i vizi del fumo, dell'alcool, delle droghe, la dipendenza che ci fa schiavi.
Perdonaci se scambiamo per la libera scelta ciò che è solo condizionamento dell'abitudine, delle mode, della pubblicità.
Perdonaci per la mente ottenebrata che si allontana anche dalla preghiera e dalle sane letture, per gli eccessi che ci rendono meno padroni di noi stessi e affievoliscono la capacità di autocontrollo.
Insegnaci la capacità dell'astinenza, che disintossica il corpo e la mente. Aiutaci a scoprire i piaceri sani della vita, per essere capaci di amare i fratelli con la libertà e la gioia con cui tu hai amato noi.

Perdonaci Signore per i peccati di lussuria, che ci fanno schiavi del sesso, e per il disordine morale che mette a rischio persone, famiglie e società.
Perdona il cedimento a immagini proposte ad arte, a voci allusive, alla pornografia in video e in rete. Perdonaci la debolezza di fronte a piaceri tanto intensi quanto effimeri.
Perdona la mentalità diffusa che si spaccia il disordine sessuale per conquista e fa credere che ogni istinto debba trovare immediata soddisfazione. Facci comprendere che non è libero chi non ha il controllo di se stesso, chi si riduce al doppio gioco e alla menzogna, chi perde l'integrità morale e la pace, chi si chiude in se stesso.
Perdona i danni gravi nella società: per il sesso si litiga, si minaccia, si uccide; la libidine alimenta uno stile di vita fatuo, degenera spesso nella prostituzione, nel ricatto, nella pedofilia...
Aiutaci a custodire la castità nel cuore e nella mente, e a non avere rapporti sessuali prima o fuori del matrimonio, a evitare deviazioni e stravaganze. Insegnaci modestia e dignità nel vestire, custodisci sguardi e fantasie.
Aiutaci a riscoprire la meraviglia della sessualità secondo Dio, nella cornice dell'amore coniugale, nell'atmosfera di famiglia e di tenerezza dove il sesso non è profanato e svenduto ma è sacra partecipazione al dono della vita.

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inviato da Qumran2, inserito il 02/12/2017

RACCONTO

5. Il quarto dono

Gulli Morini

Gesù è nato a Betlemme e dal lontano oriente tre sapienti si sono messi in viaggio per venire a conoscere il re dei re. Li guida una stella, ma in realtà non sanno cosa troveranno. Il linguaggio degli astri ha detto loro che è nato un re: porterà la pace nel mondo, inizierà un regno che non avrà mai fine e unirà il cielo con la terra, ma non ha detto loro dove accadrà tutto questo e, soprattutto, come. Ecco allora che, seguendo la stella, arrivano in Palestina.
Dove andreste a cercare il futuro re? Nella città più grande, nei palazzi dove abitano i ricchi e i potenti, ed è proprio quello che fanno i tre magi a Gerusalemme.

«Dov'è il re dei Giudei che è nato?», vanno chiedendo a tutti, ma nessuno sa rispondere loro.
«Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» affermano con sicurezza i tre forestieri, e all'udire queste parole tutti, ma proprio tutti, si stupiscono, perché a un re normalmente si fa omaggio, ma non adorazione; per questo tutti comprendono bene che i Magi cercano un grande re, non uno dei tanti che regnano sulla terra.
Il loro abbigliamento, le loro domande insistenti non passano inosservate e vengono riferite a chi ha il potere in quel paese, e cioè al re Erode, ma anche ai soldati romani che da anni hanno conquistato la Palestina e sono di fatto i veri padroni del territorio.
Il comandante del presidio di Gerusalemme invia loro un soldato con la scusa di proteggerli, ma in realtà per sapere cosa c'è di vero nelle loro affermazioni.
Erode raduna i suoi consiglieri più fidati, gli studiosi della bibbia di quel tempo per conoscere dove avrebbe dovuto nascere il più grande di tutti i re, cioè il Messia d'Israele. La risposta, come potete leggere nel Vangelo di S. Matteo, è Betlemme, allora il re fa' chiamare segretamente i Magi perché ha in mente un piano. Invia i magi a Betlemme e chiede loro di tornare quando l'avranno trovato, così potrà andare anche lui ad ad «adorarlo». Di fatto pensa solo ad individuare il suo rivale per eliminarlo.

Ecco allora che i tre Magi riprendono il cammino assieme al soldato romano che li scorta sul suo cavallo, armato di lancia e di spada. I tre personaggi parlano tra di loro, sono emozionati perché sperano di arrivare presto alla fine del loro viaggio. Il soldato, che si chiama Longino, ascolta tutto con grande attenzione, così impara quali sono le caratteristiche di questo re nato da poco che i tre sapienti stanno cercando con impazienza.
Sarà un re più grande di ogni altro re; il suo regno si estenderà su tutti i popoli (e questo preoccupa molto il romano se pensa che l'impero della sua Roma possa essere in pericolo), ma nonostante tutto questo sarà un regno di pace, un regno buono, come non ce ne sono stati altri.
Alla sera, quando si accendono le prime stelle, i tre saggi scrutano con visibile apprensione il cielo e d'improvviso scoppiano in esclamazioni di gioia: la stella, ecco di nuovo la stella!
«Quale stella?» chiede Longino ai sapienti che lo guardano con occhi pieni di felicità.
«Guarda, quella è la stella che ci ha guidati», dice Melchiorre indicando un punto luminoso nel cielo.
«E' la stella del più grande dei re, come dicono tutti i libri che insegnano il linguaggio delle stelle», continua Gasparre.
«L'abbiamo vista per la prima volta nei territori d'oriente, da dove veniamo, alcuni mesi fa», aggiunge Baldassarre.
«Per settimane ci ha guidato, poi è sparita, così abbiamo proseguito il cammino solo sulla fiducia», riprende Melchiorre.
«Ma ora i nostri occhi la vedono di nuovo e la nostra gioia è talmente grande che tu non puoi nemmeno immaginare», conclude Gasparre.
«Voi saggi stranieri non lo sapete - dice Longino - ma la stella è proprio nella direzione di Betlemme, che dista da qui meno di un'ora di cammino».
I tre Magi sono eccitati come bambini.
«Cosa aspettiamo? Presto, prepariamo i doni. Partiamo subito», si dicono l'un l'altro.
Longino vorrebbe trattenerli, ma i tre sapienti insistono tanto che alla fine il romano è costretto a far loro da guida.

Il viaggio diventa sempre più disagiato, perché ormai il buio è totale e si intravede solo la via al bagliore delle stelle. L'aspettativa dell'evento ha contagiato anche il soldato, cosicché la comitiva procede in silenzio. Ognuno pensa a ciò che tra poco troverà: un sapiente, un re, un inviato dal cielo, un pericoloso concorrente.
Dopo più di un'ora di viaggio difficoltoso i quattro finalmente giungono in vista delle luci di Betlemme. A quel tempo non c'erano le strade illuminate come adesso. Solo chi era sveglio aveva un lume acceso che filtrava appena dalle finestre già chiuse. Nel buio totale della campagna bastava una luce o due per segnalare la presenza di un villaggio.
Eccolo il paesino tanto a lungo cercato. Una decina di case costruite sulla roccia, qualche muro che circonda cortili e piccoli orti, una luce accesa fuori di una porta dalla quale esce luce e un brusìo continuo. I quattro entrano e si trovano in una locanda. Tre soldati romani ad un tavolo, qualche altro cliente agli altri tavoli, ben lontani dai soldati. Longino si avvicina ai commilitoni, scambia qualche parola in latino, poi va dall'oste, parla animatamente per qualche minuto, poi torna dai Magi che aspettano in piedi vicino alla porta.
«Nessuno sa nulla, nessun personaggio importante è passato di qui ultimamente. Tanti ebrei sono passati di qui in occasione dell'ultimo censimento, ma si trattava quasi esclusivamente di povera gente, se non proprio di straccioni. In qualche momento c'è stata tanta gente che qualcuno ha dovuto alloggiare nelle grotte dei pastori che si trovano intorno al villaggio.»
I quattro escono delusi dalla locanda e si ritrovano in una specie di piazza, nello spazio lasciato libero da alcune casette tutt'intorno. I magi guardano il cielo e interrogano muti la stella che li ha guidati fin qui. Tutte le stelle brillano con qualche tremore della luce, ma questa brilla in un modo strano anche se non fa più luce delle altre.
«E' qui vicino, guardate la stella, sembra che danzi», dice Gasparre come in trance.
«Sembra che stia cantando e che ci chiami», risponde Melchiorre come in estasi.
«Andiamo», dice Gasparre come in sogno.
Longino non capisce bene, ma anche lui è affascinato da questa strana atmosfera che si è creata e senza parlare segue i tre sapienti che si sono incamminati per un sentiero che esce dal paese, nella stessa direzione della stella.

A meno di cinque minuti di cammino c'è una grotta, dentro una piccola luce. I piedi camminano da soli, i quattro procedono come automi e si fermano sulla soglia della grotta. Quello che vedono è molto diverso da quel che si aspettavano. Un giovane uomo che gioca con un bimbo in braccio mentre la moglie, giovanissima, sta cucinando in un angolo della grotta. Di fianco a loro un bue ed un asinello legati vicino ad una greppia. Il giovane uomo si accorge della presenza dei nuovi arrivati e senza nessuna esitazione li invita ad entrare.
«La notte è umida, lì fuori: entrate e dividete con noi la nostra cena.» Poi, rivolto alla moglie: «Maria, il Signore benedice la nostra dimora con quattro ospiti.»
«Siate i benvenuti, riposatevi qualche istante mentre io impasterò e cuocerò per voi delle focacce», risponde lei.
I quattro entrano, si siedono su alcune logore stuoie per terra ed osservano questa piccola famiglia cercando con gli occhi conferme ai loro pensieri più profondi. Si aspettavano tutto tranne la straordinaria normalità di ciò che vedono: una semplice famiglia che vive l'ancor più semplice felicità di tutti i giorni che è stata loro concessa dalla nascita di un figlio. La sicurezza che accompagnava i tre saggi durante la loro ricerca è svanita. Più che delusi sono sorpresi. Qui niente ha l'apparenza dell'abitazione di un re, nemmeno le persone che stanno davanti a loro hanno un comportamento di chi aspira a comandare, le parole che sentono non son quelle di chi ha studiato tanto sui libri o di chi ha grandi sogni ed ambizioni. Eppure tutt'intorno a quel bambino c'è una tale atmosfera d'amore che i tre saggi, ma anche il soldato, ne sono conquistati. Non sono sicuri di essere davvero arrivati perché qui non corrisponde nulla alle loro aspettative, per questo debbono cambiare completamente prospettiva per poter vedere con altri occhi ciò che sta loro innanzi.
Più tardi, mentre mangiano tutti insieme, decidono di fidarsi della loro intuizione e raccontano del loro viaggio, del messaggio delle stelle, dei presagi sul futuro di quel bimbo che ora dorme nella mangiatoia degli animali. Maria e Giuseppe, suo sposo, ascoltano stupiti il racconto dei Magi. Capiscono che possono fidarsi di loro e raccontano dei pastori che, la notte della nascita di Gesù, loro figlio, erano accorsi raccontando di visioni di angeli nel cielo.
Longino ascolta anche queste notizie senza ben capire se deve considerarle verità o frutto d'immaginazione. L'unica cosa che percepisce chiaramente è un'atmosfera di serenità che lo circonda. Per i Magi invece questo racconto è la conferma che cancella tutti i loro dubbi. Sicuramente quel bimbo che dorme tranquillamente nella paglia profumata sarà il grande re annunciato dalle stelle, ma sarà anche molto diverso da tutti gli altri. Il loro cuore e non solo la mente finalmente si è aperto, è ora di aprire anche le bisacce e offrire i doni che hanno portato dal loro paese per il Re dei re. A turno depongono ai piedi del bambino Gesù l'oro, segno di ricchezza della regalità, l'incenso, profumo che sale al cielo segno di unione Dio, e mirra, profumo raro e prezioso, segno di nobiltà e di pulizia terrena, ma anche di profonda umanità, visto che viene usato anche nei riti di sepoltura.
Longino è confuso da questa atmosfera che si è creata: percepisce che quel bambino avrà un futuro misterioso e decide di donare anche lui qualcosa, ma non ha nulla. Allora prende la lancia e la depone ai piedi di Gesù: un re deve avere potere anche se sarà un re di pace: se non vorrà fare guerre almeno potrà difendersi, e la lancia è l'arma più adatta a tener lontani i nemici. Giuseppe e Maria osservano tutto con grande attenzione mista a sorpresa: anche questi doni sono davvero inaspettati. Poi Giuseppe prende la lancia e la restituisce al soldato.
«Amico soldato, non ti offendere se non accetto il tuo dono. Capisco la tua buona intenzione e te ne sono profondamente grato. Non so cosa diventerà da grande mio figlio, ma prego il Signore che non tocchi mai un'arma e che il suo potere sia solo di amore.»
Longino si guarda intorno ma non vede ombra di rimprovero o di commiserazione, ma solo sguardi di comprensione e di stima, allora riprende la lancia e torna a sedersi sulla sua stuoia silenzioso. C'è qualcosa che gli sfugge, che non riesce a capire, che non riesce ad accettare. È tardi, per tutti c'è bisogno di dormire. Il sonno dei Magi è ricco di emozioni, di presagi, di calcoli astronomici. Quello di Longino è un sonno pesante, un po' disilluso, ma anche affascinato dalla serenità di un incontro inaspettato.

È Gesù che sveglia tutti poco prima dell'alba perché ha fame. Maria lo allatta cantando sottovoce per non disturbare gli ospiti, ma questi sono già svegli. I tre saggi discutono tra si loro sommessamente, mentre Longino accompagna Giuseppe a prendere del latte dai pastori che stanno in una grotta poco lontano. Il cielo è ormai chiaro, è l'ora di salutarsi, ma prima che Gesù si riaddormenti i tre sapienti lo prendono a turno in braccio e lo cullano guardandolo con grande affetto. Sembra che se lo mangino con gli occhi, che vogliano fissare per sempre nella mente l'immagine di quel fanciullo che per loro è così importante. Prima di riconsegnarlo alla madre lo sollevano e tenendolo più alto delle loro teste chinano il capo in segno di omaggio, di sottomissione e di adorazione. Anche il romano saluta con gentilezza e accarezza delicatamente il piccino.
I quattro s'incamminano silenziosamente verso Betlemme, ma dopo poco Baldassarre chiede a Longino: «Cambiamo strada, non torniamo a Gerusalemme, andiamo direttamente ad oriente, torniamo a casa.»
«Ma Erode vi aspetta.»
«E lascia che aspetti: secondo me considera il bambino come un rivale che intralcia i suoi progetti», risponde Gasparre.
«E poi non potrà certamente capire quali possano essere i piani di questo fanciullo: non sono chiari nemmeno per noi!», conclude Melchiorre.
Dopo qualche giorno i Magi salutano il soldato romano e lo rimandano alla sua guarnigione.
«Vai, riferisci al tuo comandante ciò che hai visto: Roma non deve aver paura di un bimbo che parlerà di pace e non di guerra. Il cielo ti benedica buon Longino.»

Passano più di trent'anni, Gesù è stato crocifisso da pochi giorni e a Gerusalemme si è sparsa la voce che è risorto. Alcuni discepoli dicono perfino di averlo visto, di aver mangiato con lui. Nel Cenacolo sono riuniti i suoi apostoli, hanno paura perché c'è chi li ha già minacciati di morte. Il sommo sacerdote e i capi religiosi vogliono chiudere per sempre l'avventura di un maestro, di un profeta troppo scomodo che ha avuto l'ardire di chiamarsi Figlio di Dio: chiunque osa affermare che Gesù è risorto viene imprigionato. Alla porta del Cenacolo qualcuno bussa: è un soldato romano, e subito il terrore si dipinge sul volto degli apostoli. Ma è un volto noto, è il vecchio Longino, il più anziano tra i soldati della guarnigione, rispettato da tutti perché non ha mai abusato del proprio potere.
Appena entrato depone la spada e la lancia per terra e chiede di parlare con Pietro. È qui a titolo personale, spiga subito, non in veste ufficiale. Vuole sapere se è vero quel che dicono di Gesù. Pietro si fida di lui e racconta di averlo visto più volte e di aver assistito alla sua ascensione al cielo in Galilea. Allora Longino si mette a piangere, sommessamente, ma incapace di smettere. Tutti gli apostoli gli sono intorno stupiti cercando di fargli coraggio, poi, finalmente, il vecchio soldato riesce a trattenersi. Viene fatto sedere e comincia il suo racconto.
«Sono io che sul Golgota ho trafitto il costato di Gesù con quella lancia», dice con fatica.
«Ti ho visto, c'ero anch'io - conferma Giovanni - ma non sei stato tu ad ucciderlo, non devi avere rimorsi».
«Lo so, ma non avevo ancora capito nulla, ero deluso per la seconda volta.»
«Non capisco per cosa tu sia rimasto deluso, e soprattutto perché la seconda volta», dice Pietro.
«E' una storia lunga», esordisce il vecchio soldato, quindi racconta il primo incontro con Gesù nella grotta di Betlemme. «Cercavo un re, il più grande dei re, ma ho trovato un bambino, una famiglia meravigliosamente normale, troppo normale per far crescere un re speciale. Ho provato nonostante la mia delusione ad offrirgli tutto ciò che avevo, cioè la mia lancia, ma mi è stata rifiutata, allora ho pensato, a differenza dei tre sapienti, di aver fallito la mia ricerca. È passato tanto tempo da quel giorno. Sono tornato a Roma e dopo parecchi anni son tornato qui e ho sentito parlare di Gesù. L'ho cercato, una volta l'ho persino ascoltato e ne sono rimasto turbato. Forse, pensavo, nonostante tutto poteva essere lui quello che doveva venire, anche se era così diverso da come l'aspettavo. Ma la mia speranza è morta con lui sul Golgota. Non sono io che l'ho ucciso, ma la mia incredulità lo ha trafitto, proprio con quella lancia che più di trent'anni fa lui mi aveva rifiutato. Ma adesso è risorto. Tanti lo dicevano e io non volevo crederci. Eppure questa notizia sconvolgente si è aggrappata al mio cuore e non ha più voluto staccarsi: ho cercato inutilmente di cancellarla, di pensare che era impossibile, che era una solo una voce messa in giro per confondere i più deboli e creduloni. Alla fine mi son deciso a venire da voi, i suoi amici per avere una parola definitiva, ed ora voi mi testimoniate che è vero: è risorto. Solo adesso, finalmente, i miei occhi cominciano a vedere, il mio cuore crede quel che la mia mente ha sempre rifiutato. Comincio adesso a capire che nulla è successo per caso, che tutto, proprio tutto è servito perché il suo disegno si compisse. Quando a Betlemme ho voluto donargli la mia lancia, Gesù non l'ha rifiutata, l'ha accettata ma me l'ha lasciata in custodia fin quando non è servita, sul Golgota. Sì, ha preso anche la mia lancia non per conquistare o comandare, ma solo per donarci il suo sangue fino all'ultima goccia.»
Maria, presente in mezzo al gruppo degli apostoli, non ha perso una sola parola del romano: il suo stupore e la sua commozione sono evidenti. Non apre bocca, come pure nessuno dei dodici, come se volesse ben imprimersi nella memoria quella testimonianza.
Dopo qualche istante di silenzio, Pietro propone di pregare tutti assieme e di ringraziare Dio per il dono di Gesù. Longino si ritira in un angolo della stanza per rispetto delle usanze degli Ebrei. È una preghiera semplice «Benedetto sei tu, Signore, che ci hai donato Gesù, tuo figlio, il quale ha versato il suo sangue per la nostra salvezza ed è risorto dai morti per confermare la nostra fede.»
Nel silenzio che segue alla preghiera si sente un fragore come di un vento che scuote le porte, le finestre si spalancano con frastuono e una luce, come una palla di fuoco entra nel cenacolo e si divide in tante piccole fiamme che scendono sulla testa degli apostoli e sulla Madonna. Ancora una volta Longino è testimone di un evento straordinario ed assiste alla prima predicazione pubblica fatta dagli apostoli per bocca di Pietro dopo la discesa dello Spirito Santo. Nei giorni successivi frequenta assiduamente i dodici, poi dà le dimissioni da soldato e si fa battezzare.

Il soldato romano che trafigge Gesù con la lancia compare anche nei Vangeli Apocrifi: è da queste fonti che abbiamo il suo nome. La tradizione vuole anche che la sua conversione sia stata talmente esemplare da farlo diventare uno dei primi vescovi della Cappadocia, e poi santo martire.

ricerca di Diore magiepifaniacrocifissione

inviato da Guglielmo Morini, inserito il 26/09/2017

RACCONTO

6. Il paradiso   1

Piero Ferrucci, La forza della gentilezza, Oscar Mondadori 2005

Un uomo è stufo della sua vita con la moglie ed i figli. La moglie lo domina e lo vessa, i figli lo disprezzano, gli ridono dietro. Si sente una vittima e pensa che sia venuto per lui il momento di cercare la Gerusalemme celeste, il paradiso.

Dopo molte ricerche, trova un vecchio saggio che gli spiega la strada in dettaglio. Il paradiso c'è, eccome, ed è nel tal posto. Bisogna fare parecchia strada, ma con un bel po' di fatica ci si arriva.

L'uomo si mette in cammino. Di giorno marcia, e la notte, stanchissimo si ferma in una locanda per dormire. Siccome è un uomo molto preciso, decide, la sera prima di coricarsi, di disporre le sue scarpe già orientate verso il paradiso, per essere ben sicuro di non perdere la direzione giusta.

Durante la notte, però, mentre lui dorme, un diavoletto dispettoso entra in azione e gli gira le scarpe nella direzione opposta.

La mattina dopo l'uomo si sveglia, guarda le scarpe, che gli paiono orientate in maniera diversa rispetto alla sera prima, ma non ci fa troppo caso, e riprende il cammino, che ora è nella direzione contraria a quella del giorno precedente, verso il punto di partenza.

A mano a mano che procede, il paesaggio diventa sempre più familiare. Ad un certo punto arriva nel paese dove è sempre vissuto, che però crede sia il paradiso. Come assomiglia al suo paese il paradiso! Siccome è il paradiso, tuttavia, ci si trova bene e gli piace moltissimo.

Poi vede la sua vecchia casa, e pensa: «Come assomiglia alla mia vecchia casa!». Ma siccome è il paradiso gli piace moltissimo.

Lo accolgono sua moglie e i suoi figli, e anche loro assomigliano a sua moglie e ai suoi figli! E si stupisce che in paradiso tutto assomigli a quello che c'era prima. Però, siccome è il paradiso tutto è bellissimo. La moglie è una persona deliziosa, i figli sono straordinari; tutti sono pieni di qualità e aspetti che nel vivere quotidiano egli non avrebbe mai sospettato possedessero.

E così tra sé e sé riflette: «È strano come qui in paradiso tutto assomigli a ciò che c'era nella mia vita di prima in modo così preciso, ma come, allo stesso tempo, tutto sia completamente diverso!».

modo di vederesguardocambiamentoconversionepositività

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inviato da Qumran2, inserito il 21/08/2017

RACCONTO

7. La cesta di Moses

Gulli Morini

Moses è un ragazzo di 11 anni che vive a Cafarnao, piccolo paese della Galilea sulle rive del lago di Genezaret. È solo al mondo: ha perso i genitori in una delle tante guerre che periodicamente travolgono il suo paese. Non ha una casa sua e dorme dove gli capita, a volte in un fienile oppure in una stalla, ma più spesso sotto le stelle, specialmente nelle calde notti d'estate.
Moses, anche se povero, una cosa la possiede: una cesta; con quella gira per i mercati e si offre per trasportare le merci di chiunque ne abbia bisogno. Così guadagna quelle poche monete che gli permettono di vivere.
A Cafarnao tutti lo conoscono per nome, anche perché Moses è sempre molto buono e disponibile; tutti sanno che, all'occorrenza, possono contare sul suo aiuto.

Una mattina un vecchio signore lo chiama:
«Moses, Moses, dove ti sei cacciato?»
«Eccomi, sto arrivando.»
«Ho un lavoro per te. Eccoti due monete: con questa mi comprerai del pane, e con l'altra del pesce; mi raccomando che sia bello e fresco! Stasera aspetto un ospite importante: non farmi fare brutta figura! Se mi servirai bene potrai rimanere a mangiare con noi a cena.»
Il ragazzo è ben contento di aver trovato un lavoro, e la prospettiva di una vera cena gli mette le ali ai piedi. In quattro salti è sulla riva del lago dove alcuni pescatori stanno aggiustando le reti.
«Avete del buon pesce da vendermi?»
«Mi spiace, ragazzo, ma da due giorni il lago è avaro con noi.»
Moses è deluso: di solito c'è pesce in abbondanza, oggi gli toccherà andarne a cercare nel paese vicino. Pazienza, tanto sia il pane che i pesci servono per la sera, poi forse è meglio così, perché su quella strada c'è Aronne che fa il pane più buono di tutta la regione. Avrà per questo una ricompensa in più. Un'ora dopo, infatti, sei bellissimi pani profumati sono scambiati per una moneta e vanno a finire nella cesta di Moses.
Poco lontano incontra due pescatori.
«Avete del buon pesce?»
«Quel poco che avevamo è già stato venduto, prova a chiedere più avanti.»

Da quasi due ore il ragazzo cammina inutilmente sulla riva del lago alla ricerca di pesce: meglio riposarsi un poco all'ombra di un grande eucalipto. I pani profumati sono una tentazione irresistibile e così comincia a mangiarne uno.
Ma ansimanti arrivano quattro bambini che stanno giocando a rincorrersi. Si fermano davanti allo sconosciuto, gli occhi fissi sul pane e la fame dipinta sul volto. Non si può mangiare in pace quando ti sta osservando chi ha più fame di te, e allora Moses divide il pane in quattro e lo dà ai bimbi che corrono via felici. Così non è più un furto ma una buona azione, anche se la pancia rimane vuota.
Una voce dal lago lo distoglie da questi pensieri.
«Ragazzo, afferra la cima e aiutami a tirare in secco la barca.»
In un balzo Moses è in acqua per aiutare il pescatore. Sul fondo della barca solo tre pesci, grossi e bellissimi.
«Me li vendi per una moneta?»
«Prendili pure, sono tuoi.»
Felice di aver completato la sua laboriosa ricerca, Moses si incammina verso casa.

Un'ora dopo incontra sulla riva del lago una gran folla. Strano, due ore fa, all'andata, non c'era nessuno. Ma ancor più strano che tutta quella gente se ne stia ferma e silenziosa ad ascoltare un uomo che parla in piedi su una barca.
«È Gesù», gli sussurra all'orecchio qualcuno. Quel Gesù di cui tutti parlano, che è passato più volte in questi paraggi, ma che Moses non aveva mai fino ad ora incontrato.
Camminando silenziosamente sulla spiaggia arriva a sedersi proprio davanti alla barca. Ma quella è la barca di Simone, anche lui di Cafarnao, che ora se ne sta seduto ai piedi di Gesù. Il ragazzo ascolta quelle bellissime parole che hanno il potere di entrare nel profondo del cuore.

Passa il tempo senza che nessuno mostri di accorgersene, o per lo meno quasi nessuno, visto che proprio Simone è assai preoccupato. Infatti, appena può, consiglia al Maestro di congedare tutta quella gente perché possa andarsi a comperare qualcosa da mangiare nei paesi vicini.
Ma lui risponde: «Dategli voi da mangiare!»
Simone è confuso, si guarda intorno ed esclama: «Ma Signore noi non abbiamo nulla. L'unico cibo che vedo è nella cesta di quel ragazzo qui davanti, cinque pani e tre pesci.»
Gesù allora si fa portare la cesta, la benedice e con quel poco cibo che si moltiplica miracolosamente sfama una folla immensa.
Moses è visibilmente sbalordito. E' uno dei pochi che ha visto coi propri occhi da dove è uscito tutto quel pane e quel pesce. Anche lui ne ha mangiato e più tardi, quando Simone gli restituisce la cesta vuota ancora emozionato balbetta: «Grazie».
«Grazie a te Moses», gli risponde dolcemente l'apostolo.
Le parole si Simone scuotono il ragazzo: è tardi, anzi tardissimo. Bisogna tornare subito a Cafarnao, ma con cosa, se la cesta è rimasta vuota. La gente andandosene ha lasciato dei pezzi di pane: in breve la cesta si riempie di pezzetti, di briciole, tutta roba che va bene per i poveri, non per un ospite importante, ma è pur sempre meglio di niente.
I pensieri galoppano nella testa di Moses mentre torna quasi di corsa verso casa. Ha assistito ad un miracolo incredibile, ha udito parole che danno la pace al cuore, ma cosa dirà al signore che aspetta i pani e i pesci?

Cosi assorto arriva alla casa del suo committente, corre in cucina, vuota sul tavolo la cesta e scappa via per non dover dare spiegazioni. Corre fin sulla riva del lago e va a nascondersi in una barca che ha riconosciuto come quella di Simone. Anche questo è un fatto inaspettato: tutte le altre barche hanno preso il largo per gettare le reti sul far della sera, e questa, che solo qualche ora fa ospitava Gesù, è ferma sulla spiaggia.
Ma è proprio Gesù l'ospite atteso al quale erano destinati i pani e i pesci. Moses questo non lo sa; lo sa invece Simone che racconta al padrone di casa tutto quanto è successo quel giorno, e come da quella cesta sia uscito cibo per una folla immensa.

Il mattino seguente il ragazzo si sveglia, afferra la sua cesta e come il solito va in cerca di qualche lavoro.
«Moses, Moses, aspettami!»
E' la voce del vecchio signore di ieri che lo sta chiamando. Non è arrabbiato, ma addirittura affettuoso, e allora il ragazzo invece di scappare si volta.
«Moses, ti prego, ascoltami. Simone ieri sera mi ha raccontato tutto. Tu senza saperlo hai dato a Gesù tutto quello che io ti avevo mandato a comperare per lui. Sei stato molto più bravo di quanto ti avessi chiesto, ed ora ho un gran debito con te. Io sono vecchio e solo; anche tu sei solo, vuoi venire ad abitare da me? Ti vorrò bene come ad un figlio, e alla mia morte tutto ciò che possiedo sarà tuo.»

Moses ora abita da tempo col vecchio signore. Nel suo cuore ricorda sempre le parole di Gesù ascoltate quella mattina sul lago: «Date, date a tutti, e riceverete il centuplo sulla terra e la vita eterna in paradiso».
Agli amici racconta spesso come un giorno abbia donato tutto ciò che aveva dentro una cesta e per ricompensa abbia ottenuto un padre.

donocondivisionegenerositàmoltiplicazione dei pani e dei pesci

inviato da Guglielmo Morini, inserito il 21/08/2017

PREGHIERA

8. Invocazione dello Spirito   2

Remigio Menegatti

Vieni Spirito della fede
E insegnaci a credere fermamente nell'amore di Dio e nella possibilità di vivere come suoi figli.

Vieni Spirito della speranza
E insegnaci a guardare oltre gli ostacoli, e a vivere ogni sfida della vita guidati dalla certezza che sei in noi e ci doni la tua forza.

Vieni Spirito di carità
E insegnaci ad amare Dio con tutto il cuore, la mente e le forze e diventare prossimo di ogni persona che incontriamo, sullo stile di Gesù, servo per amore.

Vieni Spirito della gioia
E insegnaci a riconoscere i segni della presenza di Dio nella nostra vita, e a esultare come Maria che si sente coinvolta pienamente in questa storia di amore.

Vieni Spirito dell'umiltà
E insegnaci che ogni piccolo passo è necessario per arrivare alle grandi mete che ci realizzano come persone e come credenti.

Vieni Spirito della forza
E insegnaci a non prendere paura se i risultati che speriamo non arrivano subito e chiedono anche un po' di sacrificio e sofferenza.

Vieni Spirito della fedeltà
E insegnaci a non abbandonare il cammino che abbiamo iniziato, e a cercare in te, e nella comunità il sostegno nei momenti difficili.

Vieni Spirito della testimonianza
E insegnaci a dare testimonianza del tuo amore, della bellezza di Dio, della gioia che nasce dal Vangelo vissuto giorno per giorno.

Vieni Spirito dell'ascolto
E insegnaci a cercare nelle parole della Bibbia e nelle parole della cronaca il dialogo con Dio e con i fratelli per condividere con tutti la gioia del Vangelo.

Vieni Spirito della festa

E insegnaci a celebrare con gioia e costanza l'incontro con te nella comunità domenicale.

cresimaSpirito Santopentecoste

inviato da Don Remigio Menegatti, inserito il 30/06/2017

RACCONTO

9. Lasciarti trovare

Antico racconto sapienziale

Tre giovani avevano compiuto diligentemente i loro studi alla scuola di grandi maestri. Prima di lasciarsi fecero una promessa: avrebbero percorso il mondo e si sarebbero ritrovati, dopo un anno, portando la cosa più preziosa che fossero riusciti a trovare.

Il primo non ebbe dubbi: partì alla ricerca di una gemma splendida ed inestimabile. Attraversò mari e deserti, salì sulle montagne e visitò città fino a quando non l'ebbe trovata: era la più splendida gemma che avesse mai brillato sotto il sole. Tornò allora in patria in attesa degli amici.

Il secondo tornò poco dopo tenendo per mano una ragazza dal volto dolce ed attraente. "Ti assicuro che non c'è nulla di più prezioso di due persone che si amano" disse. Si misero ad aspettare il terzo amico. Molti anni passarono prima che questi arrivasse. Era infatti partito alla ricerca di Dio. Aveva consultato i più famosi maestri di spiritualità esistenti sulla terra, ma non aveva trovato Dio.

Aveva studiato e letto, ma senza trovare Dio. Aveva rinunciato a tutto, ma Dio non lo aveva trovato. Un giorno, stremato per il tanto girovagare, si abbandonò nell'erba sulla riva di un lago. Incuriosito seguì le affannate manovre di un'anatra che in mezzo ai canneti cercava i piccoli che s'erano allontanati da lei. I piccoli erano numerosi e vivaci, e sino al calar del sole l'anatra cercò, nuotando senza posa tra le canne, finché non ebbe ricondotto sotto la sua ala l'ultimo dei suoi nati.

Allora l'uomo sorrise e fece ritorno al paese. Quando gli amici lo rividero, uno gli mostrò la gemma e l'altro la ragazza che era diventata sua moglie, poi pieni di attesa, gli chiesero: "E tu, che cosa hai trovato di tanto prezioso? Qualcosa di magnifico, se hai impiegato tanti anni. Lo vediamo dal tuo sorriso...".

"Ho cercato Dio" rispose il giovane. "E lo hai trovato? E' per questo che hai impiegato così tanto tempo?" chiesero i due, sbalorditi. "Sì, l'ho trovato e se ho impiegato tanto tempo era perché commettevo l'errore di andare a cercare Dio, mentre in realtà, era Lui che stava cercando me..."

Non devi fare molto, tu. Solo lasciarti trovare da Dio. Lui ti sta cercando.
Clicca qui per un'immagine con questa frase.

ricercatesoropietra preziosaamorericerca di DioDio ci cerca

inviato da Qumran2, inserito il 08/05/2017

TESTO

10. Il tempo di cercare Dio

Beato Tommaso Maria Fusco, Dagli scritti di don Tommaso M. Fusco

Il tempo di cercare Dio è la vita,
il tempo di trovarlo è la morte,
il tempo di possederlo è l'eternità.

tempoeternitàrapporto con Dio

inviato da Antonietta Pignata, inserito il 15/04/2017

TESTO

11. Per trovare la felicità   2

Leone Tolstoi

Per trovare la felicità, bisogna cercare la felicità degli altri. Il migliore, l'unico modo di servire se stessi, è servire gli altri uomini.

felicitàservireservizio

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inviato da Qumran2, inserito il 20/02/2017

TESTO

12. Cerca il Signore

Jorge Mario Bergoglio, Omelia Messa di mezzanotte, Natale 2010

Cerca il Signore in un presepio,
cercalo dove nessuno lo cerca,
nel povero, nel semplice, nel piccolo,
non cercarlo tra le luci delle grandi città,
non cercarlo nell'apparenza.
Non cercarlo in tutto questo apparato pagano che ci si offre ogni momento.
Cercalo nelle cose insolite e che ti sorprendono.

cercare Gesùnatalepresepepoveriincarnazione

inviato da Qumran2, inserito il 28/12/2016

TESTO

13. Inizia un altro giorno

Madeleine Delbrel, Il piccolo monaco, Gribaudi editore, Torino, 1990

Gesù vuol vivere in me. Lui non si è isolato.
Ha camminato in mezzo agli uomini.
Con me cammina tra gli uomini d'oggi.
Incontrerà
ciascuno di quelli che entreranno nella mia casa,
ciascuno di quelli che incrocerò per la strada,
altri ricchi come quelli del suo tempo, altri poveri,
altri eruditi e altri ignoranti,
altri bimbi e altri vegliardi,
altri santi e altri peccatori,
altri sani e altri infermi.
Tutti saranno quelli che egli è venuto a cercare.
Ciascuno, colui che è venuto a salvare.
A coloro che mi parleranno, egli avrà qualche cosa da dire.
A coloro che verranno meno, egli avrà qualche cosa da dare.
Ciascuno esisterà per lui come se fosse il solo.
Nel rumore egli avrà il suo silenzio da vivere.
Nel tumulto, la sua pace da portare.
Gesù, in tutto, non ha cessato di essere il Figlio.
Vuole in me rimanere legato al Padre.
Dolcemente legato,
ogni secondo,
sospeso su ciascun secondo,
come un sughero sull'acqua.
Dolce come un agnello
di fronte a ogni volontà del Padre.
Tutto sarà permesso in questo giorno che viene,
tutto sarà permesso ed esigerà che io dica il mio sì.
Il mondo dove Lui mi lascia per esservi con me
non può impedirmi di essere con Dio;
come un bimbo portato sulle braccia della madre
non è meno con lei
per il fatto che lei cammina tra la folla.

Gesù, dappertutto, non ha cessato d'essere inviato.
Noi non possiamo esimerci d'essere,
in ogni istante,
gli inviati di Dio nel mondo.
Gesù in noi, non cessa di essere inviato,
durante questo giorno che inizia,
a tutta l'umanità, del nostro tempo, di ogni tempo,
della mia città e del mondo.

Attraverso i fratelli più vicini ch'egli ci farà
servire amare salvare,
le onde della sua carità giungeranno
sino in capo al mondo,
andranno sino alla fine dei tempi.

Benedetto questo nuovo giorno che è Natale per la terra,
poiché in me Gesù vuole viverlo ancora.

discepolisequelatestimonianzaamorecaritàGesù

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 28/12/2016

PREGHIERA

14. Quanto ho amato oggi?   1

Alberto Marvelli, La mia vita non sia che un atto d'amore, pp. 118-122

Dammi, o Signore, un cuore immenso, simile al tuo,
che travolga i limiti della mia persona
e senta palpitare in me il dolore del mondo.
Che sono le mie ansie interessate, i miei meschini interessi,
i miei piccoli peccati in confronto del dolore degli uomini?
Mi vergogno d'aver pregato tanto e richiesto solo per me,
dimentico di tutto e di tutti,
chiuso in un egoismo più abbietto dei vizi più bestiali del corpo!
Perdonami, o Signore!
Come ho potuto cercare la mia perfezione
lungo i sentieri della più gretta avarizia?
Come ho potuto ignorare che misura del crescere è il donare?
Butterò la mia vita, o Signore, per ritrovarla,
e mi prodigherò per voltarmi indietro,
secondo il tuo esempio incompreso e la legge eterna della vita.
Soltanto alla sera, concedi che, stanco, mi ripieghi un attimo a guardarmi;
non per esaurirmi con snervanti introspezioni,
non per tediarti con meschine richieste,
ma per domandarmi severo: "Quanto ho amato oggi?".
E mi accuserò al tuo cospetto, o Signore, d'ogni peccato contro la carità;
poiché il mondo ha bisogno solo d'amore per guarire dalle sue piaghe.

amorecaritàempatiasolidarietàegoismoaltruismo

inviato da Diego De Martino, inserito il 27/12/2016

RACCONTO

15. La lampada del minatore   2

Un uomo scendeva ogni giorno nelle viscere della terra a scavare sale. Portava con sé il piccone e una lampada. Una sera, mentre tornava verso la superficie, in una galleria tortuosa la lampada gli cadde di mano e si infranse al suolo. In un primo tempo il minatore ne fu quasi contento: «Finalmente! Non ne potevo più di questa lampada. Dovevo portarla sempre con me, fare attenzione dove la mettevo, pensare a lei anche durante il lavoro. Adesso ho un ingombro in meno. Mi sento più libero. E poi faccio questa strada da anni, non posso certo perdermi». Ma la strada ben presto lo tradì. Al buio era tutta un'altra cosa. Fece alcuni passi ma urtò contro una parete. Si meravigliò: non era quella la galleria giusta? Come aveva fatto a sbagliarsi così presto? Tentò di tornare indietro gettandosi a terra e camminando a carponi, si ferì le mani e le ginocchia. Gli vennero le lacrime occhi quando si accorse che in realtà era riuscito a fare solo alcuni metri e si ritrovava sempre al punto di partenza. E gli venne un'infinita nostalgia della lampada. Attese umiliato che qualcuno scendesse per venire a cercarlo e gli facesse strada con una lampada.

Alcune domande per capire il senso della storia:
Chi rappresenta il minatore? - Ogni uomo che deve attraversare la vita
Che cos'è la lampada? - La Parola di Dio
Che funzione svolge? - Aiuta i cristiani a trovare la strada giusta, ad illuminare la loro vita
Se la Parola non viene letta né ascoltata? - C'è il buio, l'uomo si accorge che da solo non riesce a vivere bene
L'uomo solo, senza Dio, di chi ha bisogno? - Di qualcuno che lo vada a cercare e gli illumini la vita con la Parola.

Altro finale:
Quando, trascinandosi così sulle ginocchia, mise le mani casualmente sulla sua lampada, provò un piacere immenso, come se avesse incontrato la persona più cara al mondo. La baciò come fosse una reliquia e poi l'accese, con cura. Da allora in avanti non sentì più la noia di portarsela dietro!

Parola di DioSacra Scritturalucestrada

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inviato da Qumran2, inserito il 27/12/2016

TESTO

16. Cercare   2

Marina Guarino, Vertigine, ed. Rupe Mutevole, 2010

Nelle pieghe dei giorni
anche quelli di un rigido inverno
sta una bellezza quotidiana.

Puoi scoprirla se posi gli oggetti da lavoro
se non consumi il tempo in tangenziale
a imprecare su chi non spinge l'acceleratore.

Uno sguardo è un contatto d'anime
un abbraccio che annulla le distanze
ogni volto è un pezzo di storia
una tavola apparecchiata di delizie.

Se lentamente si spegne lo sguardo
l'insidia del nulla agguanta il cuore
e il silenzio si fa arido, se l'occhio
non vede l'invisibile dentro le forme
e le figure a cercare una risposta.

interioritàesterioritàcalmafretta

inviato da Marina Guarino, inserito il 25/08/2016

PREGHIERA

17. O Croce di Cristo!   2

Papa Francesco, Via Crucis al Colosseo, Venerdì santo 25 marzo 2016

O Croce di Cristo, simbolo dell'amore divino e dell'ingiustizia umana, icona del sacrificio supremo per amore e dell'egoismo estremo per stoltezza, strumento di morte e via di risurrezione, segno dell'obbedienza ed emblema del tradimento, patibolo della persecuzione e vessillo della vittoria.

O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo eretta nelle nostre sorelle e nei nostri fratelli uccisi, bruciati vivi, sgozzati e decapitati con le spade barbariche e con il silenzio vigliacco.

O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo nei volti dei bambini, delle donne e delle persone, sfiniti e impauriti che fuggono dalle guerre e dalle violenze e spesso non trovano che la morte e tanti Pilati con le mani lavate.

O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo nei dottori della lettera e non dello spirito, della morte e non della vita, che invece di insegnare la misericordia e la vita, minacciano la punizione e la morte e condannano il giusto.

O Croce di Cristo, ancora oggi ti vediamo nei ministri infedeli che invece di spogliarsi delle proprie vane ambizioni spogliano perfino gli innocenti della propria dignità.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei cuori impietriti di coloro che giudicano comodamente gli altri, cuori pronti a condannarli perfino alla lapidazione, senza mai accorgersi dei propri peccati e colpe.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei fondamentalismi e nel terrorismo dei seguaci di qualche religione che profanano il nome di Dio e lo utilizzano per giustificare le loro inaudite violenze.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi in coloro che vogliono toglierti dai luoghi pubblici ed escluderti dalla vita pubblica, nel nome di qualche paganità laicista o addirittura in nome dell'uguaglianza che tu stesso ci hai insegnato.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei potenti e nei venditori di armi che alimentano la fornace delle guerre con il sangue innocente dei fratelli.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei traditori che per trenta denari consegnano alla morte chiunque.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei ladroni e nei corrotti che invece di salvaguardare il bene comune e l'etica si vendono nel misero mercato dell'immoralità.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi negli stolti che costruiscono depositi per conservare tesori che periscono, lasciando Lazzaro morire di fame alle loro porte.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei distruttori della nostra "casa comune" che con egoismo rovinano il futuro delle prossime generazioni.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi negli anziani abbandonati dai propri famigliari, nei disabili e nei bambini denutriti e scartati dalla nostra egoista e ipocrita società.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nel nostro Mediterraneo e nel mar Egeo divenuti un insaziabile cimitero, immagine della nostra coscienza insensibile e narcotizzata.

O Croce di Cristo, immagine dell'amore senza fine e via della Risurrezione, ti vediamo ancora oggi nelle persone buone e giuste che fanno il bene senza cercare gli applausi o l'ammirazione degli altri.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei ministri fedeli e umili che illuminano il buio della nostra vita come candele che si consumano gratuitamente per illuminare la vita degli ultimi.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei volti delle suore e dei consacrati - i buoni samaritani - che abbandonano tutto per bendare, nel silenzio evangelico, le ferite delle povertà e dell'ingiustizia.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei misericordiosi che trovano nella misericordia l'espressione massima della giustizia e della fede.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nelle persone semplici che vivono gioiosamente la loro fede nella quotidianità e nell'osservanza filiale dei comandamenti.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei pentiti che sanno, dalla profondità della miseria dei loro peccati, gridare: Signore ricordati di me nel Tuo regno!

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei beati e nei santi che sanno attraversare il buio della notte della fede senza perdere la fiducia in te e senza pretendere di capire il Tuo silenzio misterioso.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nelle famiglie che vivono con fedeltà e fecondità la loro vocazione matrimoniale.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei volontari che soccorrono generosamente i bisognosi e i percossi.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei perseguitati per la loro fede che nella sofferenza continuano a dare testimonianza autentica a Gesù e al Vangelo.

O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei sognatori che vivono con il cuore dei bambini e che lavorano ogni giorno per rendere il mondo un posto migliore, più umano e più giusto. In te Santa Croce vediamo Dio che ama fino alla fine, e vediamo l'odio che spadroneggia e acceca i cuori e le menti di coloro preferiscono le tenebre alla luce.

O Croce di Cristo, Arca di Noè che salvò l'umanità dal diluvio del peccato, salvaci dal male e dal maligno! O Trono di Davide e sigillo dell'Alleanza divina ed eterna, svegliaci dalle seduzioni della vanità! O grido di amore, suscita in noi il desiderio di Dio, del bene e della luce.

O Croce di Cristo, insegnaci che l'alba del sole è più forte dell'oscurità della notte. O Croce di Cristo, insegnaci che l'apparente vittoria del male si dissipa davanti alla tomba vuota e di fronte alla certezza della Risurrezione e dell'amore di Dio che nulla può sconfiggere od oscurare o indebolire. Amen!

crocesofferenzaperseguitatiingiustiziapasquamortevitarisurrezionecorruzionepeccatosalvezzaegoismosolidarietàsperanza

5.0/5 (5 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 26/03/2016

TESTO

18. I doni dello Spirito

P. Monier

La sapienza è l'amore che assapora,
gusta, sperimenta la soavità e la dolcezza divine.
L'intelletto è l'amore attento
a penetrare la bellezza delle verità della fede,
che fa trovare Dio stesso e ogni cosa in Dio.
La scienza è l'amore che ci mantiene vigili
per cercare Dio in tutte le creature
per risalire a lui dalla creazione.
Il consiglio è l'amore che ci rende solleciti
nella scelta dei mezzi più idonei a compiere la volontà divina.
La fortezza è l'amore che infonde
slancio e coraggio per eseguire i disegni divini.
La pietà è l'amore che immerge il cuore
nella cordialità, nella naturalezza
e nella tenerezza filiale verso il Padre.
Il timor di Dio è l'amore che si pone in ascolto
per agire con delicatezza e premura affettuose.
Dio, tu sei fuoco che brucia, che mi brucia,
la luce che illumina le mie tenebre,
la vita che mi anima.
Tu sei la presenza che riempie
La mia intelligenza e la mia volontà.

Spirito Santodoni dello Spirito

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inviato da Arianna Marzani, inserito il 07/02/2016

TESTO

19. Sulla strada per cercare, partire, arrivare e ancora ripartire   2

Giorgio Basadonna, Spiritualità della strada, Editrice Ancora Milano

Mettersi per strada per toccare con mano cosa significa cercare, cioè sapere e non ancora vedere, sentire la mancanza di qualcosa che preme e di cui si ha bisogno, avvertire un vuoto che non può restare ed esige di essere colmato. Il coraggio di uscire, di abbandonare ripari e difese troppo spesso limitanti, di rinunciare a quanto già si ha per ottenere ciò di cui si avverte il bisogno: questo è mettersi per strada.

C'è sempre qualche motivo per restare dove si è, per continuare come si è, per non partire. Ma è paura, perché vero invece è il nostro estremo bisogno di cambiare, di crescere, di conoscere, di rispondere agli interrogativi più urgenti che battono dentro di noi. Ci si mette per strada: un senso di sgomento e di ansia ci assale. Si avverte subito la propria piccolezza e tutto sembra così difficile. Ma poi, appena si comincia, appena la strada si snoda sotto i nostri passi, ci si accorge che, come le nebbie del mattino, la paura si dilegua e adagio adagio sorge il sole.

Caratteristica della strada è il suo continuare: ogni route comporta un susseguirsi di tappe. Arrivare e partire, piantare la tenda e disfarla il giorno dopo, fermarsi a dormire per riprendere la strada. Così si apprende il valore di un sacrificio, la nobiltà e l'importanza di spendersi per qualcosa, la liberazione che nasce da una decisione coraggiosa portata fino in fondo. Il piacere di arrivare, di porsi una meta e raggiungerla, il piacere di vedere crescere dentro di sé qualcosa che si è intravisto come necessario alla propria pienezza umana, è il piacere del vivere, il piacere dell'essere libero e del sentirsi realmente costruttori di se stessi.

Ma non si arriva se non per ripartire. Quando fa giorno si riparte. La tenda viene ripiegata, si cancella ogni traccia, e si va, portando nel cuore quella ricchezza di cose e di persone che si è vissuta. Poi, un'altra tappa, un altro incontro con altre persone e altre cose; ma le stelle saranno ancora quelle, ancora quelle le nuvole, l'acqua, il fuoco, ancora quella la gioia dell'arrivare. Non si sta fermi: siamo fatti per camminare, per crescere, per divenire. La verità del nostro essere liberi e intelligenti ci fa capire che là dove siamo ora non è che una tappa e che la strada è ancora lunga.

"C'è una lunga lunga traccia..." che si perde nel cielo, che scavalca il tempo e approda all'eterno: ma intanto si cammina. Se fin qui si è goduto nella ricerca, nell'incontro, nello stupore dei paesaggi e delle esperienze interiori, quanto ancora c'è da godere, continuando con un bagaglio che si fa sempre più ricco! Arrivare e partire. Il senso del nuovo che ogni giorno si apre ai nostri occhi e al nostro cuore. C'è sempre un "ancora", un "più", un "domani": "già" e "non ancora", per tutto quello che si è e per quello che domani saremo, per noi e per il mondo intero.

stradaspiritualitàtracciacuorearrivarepartireroutericercaricerca di senso

5.0/5 (1 voto)

inviato da Padre Franco Naldi Ofm, inserito il 06/02/2016

TESTO

20. Il vero viaggio   1

Marcel Proust

Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi.

viaggiostuporeconsapevolezza

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inviato da Qumran, inserito il 31/10/2015

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