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PREGHIERA

1. Qualcosa non funziona nell'albero di Natale

Giuseppe Impastato S.I.

Ti abbiamo preparato un albergo,
e Tu vuoi una casa, la nostra casa,
per abitare la terra.
Ti abbiamo preparato un tempio
e Tu vuoi le strade,
le nostre strade,
per incontrare l'uomo.
Ti abbiamo preparato un altare
e Tu preferisci il cuore,
il nostro cuore
per essere intimo a noi.
Avevamo pensato ad un calice d'oro
e Tu cercavi un bicchiere,
quelli della nostra cucina,
per festeggiare l'incontro.
Oro, luci, regali, palchi, palazzi, chiese,
allegria, musica, champagne,
vestiti firmati, pellicce…
per festeggiare il tuo arrivo!
E tu eri a frugare nel cassonetto,
e tu eri riverso per strada…
Abbiamo mancato l'appuntamento con Te,
venuto ad incontrare noi.

natalepovertàaccoglienzacaritàattesaavvento

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 17/09/2022

TESTO

2. Natale: cosa attendi?

Giuseppe Impastato S.I.

Tu forse non attendi più un Messia e un Salvatore.

Dillo pure: mi bastano le assicurazioni, la carta di credito, il libretto di assegni, le multi-proprietà, gli investimenti che rendono, le giuste conoscenze, le amicizie influenti...

Mi sta bene il Natale come fiaba, ricordi, festa per i bambini, regali, vacanze, ritrovarci con parenti.

Fratello, sorella, forse pure andrai in chiesa per Natale, ma se a Gesù che non ha e non dà nessuna sicurezza, e se non hai spalancato la tua vita al futuro di Dio, non celebrerai il vero Natale.

Se a Natale sai dire solo: "Auguri", "Buon Natale", "Buone feste", "Buona fine e buon principio", il Natale non è stupore, né dono divino, né cuore e occhi nuovi, né presenza inquietante, né luce dall'alto, né invito a novità di vita e gioia piena.

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inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 17/09/2022

PREGHIERA

3. Preghiera per l'Avvento

Beato Charles de Foucauld, Aleteia

Ancora venti giorni! Il Tempo si avvicina...
Ma se questo atteso Giorno sarà Beato, quanto è già dolce il presente!
Eccoti, mio Dio, nascosto nel grembo di Maria,
Tu sei qui in questa piccola casa, adorato da Lei, da Giuseppe e dagli angeli.
Mettimi vicino a loro, mio Signore.
Mio Signore e mio Dio, quando sono nel tuo Santuario,
ai piedi del Tabernacolo, sei vicino a me
come lo sei con San Giuseppe durante l'Avvento?
Quando ti doni a me nella Santa Comunione,
non sei anche tu vicino a me e in me, come lo eri nella Beata Vergine?
Mio Dio, quanto sono felice, quanto sono felice.
Ma Signore, ti prego, convertimi,
Lasciami ai piedi del tabernacolo, fa' che riceva la Santa Comunione
senza indifferenza, senza addormentarmi davanti all'Altare,
che non riceva più con tiepidezza il tuo Corpo Divino!
Convertimi, convertimi, mio Signore, te lo chiedo nel tuo Nome!
Ricordati che hai promesso di concedere tutto ciò che ti viene chiesto
nel Tuo Nome, e di donare lo Spirito Santo a chiunque te lo chieda.
Mio Dio, dammi lo Spirito Santo, il tuo Spirito, e fammi passare questo Avvento
e tutti i giorni della mia vita glorificandoti il più possibile;
Per quanto è possibile per me, per quanto è la tua volontà su di me,
Mettimi vicino ai tuoi santi genitori con tutto l'amore e l'umiltà,
annegato e perso nell'ammirazione, nella contemplazione ai tuoi piedi
durante questo Avvento e per sempre.
E quello che ti chiedo per me,
lo chiedo per tutti gli uomini,
e soprattutto per coloro per i quali devo pregare in modo particolare,
in te, per te e con te.
Amen.

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inviato da Milly Parodi, inserito il 11/02/2022

TESTO

4. Chi sono io?   1

Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa, Lettere e scritti dal carcere, Edizioni Paoline

Chi sono io? Spesso mi dicono
che esco dalla mia cella
disteso, lieto e risoluto
come un signore dal suo castello.

Chi sono io? Spesso mi dicono
che parlo alle guardie
con libertà, affabilità e chiarezza
come spettasse a me di comandare.

Chi sono io? Anche mi dicono
che sopporto i giorni del dolore
imperturbabile, sorridente e fiero
come chi è avvezzo alla vittoria.

Sono io veramente ciò che gli altri dicono di me?
O sono soltanto quale io mi conosco?
Inquieto, pieno di nostalgia, malato come uccello in gabbia,
bramoso di aria come mi strangolassero alla gola,
affamato di colori, di fiori, di voci d'uccelli,
assetato di parole buone, di compagnia
tremante di collera davanti all'arbitrio e all'offesa più meschina,
agitato per l'attesa di grandi cose,
preoccupato e impotente per l'amico infinitamente lontano,
stanco e vuoto nel pregare, nel pensare, nel creare,
spossato e pronto a prendere congedo da ogni cosa?

Chi sono io?
Oggi sono uno, domani un altro?
Sono tutt'e due insieme? Davanti agli uomini un simulatore
e davanti a me uno spregevole vigliacco?
Chi sono io? Questo porre domande da soli è derisione.
Chiunque io sia, tu mi conosci, o Dio, io sono tuo!

identitàaccettazionelimitiimperfezioni

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 23/06/2020

TESTO

5. Vado in montagna lentamente (La visita)

Erri de Luca, Rivista Vita e Pensiero

Vado in montagna lentamente. Per buone ore i passi risalgono i pendii. I boschi intorno sono irrigiditi, sul ripido gli abeti stanno attaccati al suolo dalla neve.

Più in alto la vegetazione smette, resta la pietra, il ghiaccio e sopra l'aria senza confini. L'inverno è agli ultimi giorni, il vento ha meno forza di comprimere il fiato.

In salita assecondo il moto della terra che continua spingere in alto le montagne. La cresta del pianeta si solleva e sposta la sua frontiera con il cielo.
Sulla cima mi accorgo del pareggio tra la forza del corpo e quella di gravità. Ho portato il mio peso fino all'ultimo gradino e lo depongo lì.
Il respiro rallenta, dentro di me sento il silenzio di una sala di attesa.
Guardo il girotondo delle montagne intorno, i risaputi profili, i loro nomi. Sto nel centro inventato di una circonferenza, poi sollevo la testa a vista dello spazio e non sto più in un centro. Gli occhi rivolti in su sprofondano nel vuoto delle altezze, le sole che hanno diritto al titolo di altezze reali.

La luce, l'aria hanno splendore di vernice fresca.
Sto sul confine tra il pianeta e lo spazio che l'avvolge. Sono grato al corpo che mi permette di visitare il bordo del luogo e del tempo ricevuto in prestito.
Non sto vicino al cielo, sto su una terrazza della terra. Ci si può vedere il cimitero di chi è salito ai piani celesti, ma non ho questa Diottria, i miei sono sepolti interamente in basso e li raggiungerò in fondo a una discesa.

Aspetto che la pausa sulla cima arrivi fino al principio del freddo. Poi mi avvio in discesa, dove i muscoli opposti fanno avvertire il peso che dimentico in salita.
I passi reggono e ammortizzano il carico del corpo che discende. Completo così l'opera inutile e gratuita di un giorno in montagna.
Ho visitato un orlo del pianeta, mio atto di devozione terrestre.
Ho calcato i gradini della scala invisibile formata dall'appoggio dei passi. S'interrompono dove oltre possono proseguire solamente le ali.
Per una volta in più riconosco che una cima non è traguardo, ma vicolo cieco, in fondo al quale c'è da invertire la direzione e tornare indietro.

montagnasalitaascesacamminostradaroute

inviato da Qumran2, inserito il 23/06/2020

6. Natale: un nuovo inizio è sempre possibile   1

don Giovanni Benvenuto

Perché il Natale affascina tutti? Forse per la presenza di un bambino.
E forse perché quel Bambino ci dice che Dio ci è vicino, il che è già tanto.
A me il Natale piace perché mi fa pensare che è sempre possibile un nuovo inizio. Ne abbiamo così bisogno tutti quanti, di sapere che è possibile ricominciare.

Quando ci sembra che i nostri giorni siano tutti uguali. Quando ci manca quel qualcosa di speciale che ci fa alzare al mattino e ci fa battere il cuore, e ci dà lo stimolo per spegnere la sveglia e alzarci in piedi senza perdere inutilmente altro tempo.
O magari quando i giorni sono tutti diversi gli uni dagli altri, e allora ci pare che non ci sia nulla che li accomuni, perché la nostra vita non ha una direzione precisa. Perché senza una meta, anche il viaggio nei posti più diversi ci sembra senza significato.
In quei giorni il Natale ci ricorda che ogni giorno è un dono da accogliere e vivere.

Quando gli amici ci sembrano lontani e ci sentiamo piccoli, invisibili, e ci sentiamo come se non fossimo stati invitati a quella festa in cui tutti sembrano divertirsi ed essere al proprio posto.
Quando abbiamo sbagliato a dire quella cosa che ci pare abbia rovinato quel rapporto. Quando ci sentiamo soli, anche in mezzo ad una folla.
In quei giorni il Natale ci ricorda che ci basta il sorriso di un bambino per ritrovare il nostro posto nel mondo, e ricominciare.

Forse Gesù è nato per questo. Per dirmi che ogni giorno può essere un nuovo inizio, se Lui è con me.
Che ogni giorno può essere l'inizio di qualcosa di nuovo, dentro di me, se c'è Lui a lottare accanto a me.
Rinasci Gesù, dentro di me. Fa' rinascere anche me.
A Natale e ogni singolo giorno.



nataleattesainizioricominciaresperanzarinascita

5.0/5 (2 voti)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 29/12/2018

PREGHIERA

7. Vieni a colmare la nostra attesa

Luigi Pozzoli, E' bello per noi restare qui. Una comunità prega i Vangeli festivi

Signore Gesù,
tra non molti giorni
celebreremo il Natale.
Sapremo trovare le parole più toccanti
per dire a tutti la nostra gioia
nell'accogliere la tua presenza
che abbiamo atteso e invocato
con il senso della nostra mendicante povertà?
Abbiamo bisogno di parole molto semplici,
di parole umili
che però vengano dal cuore.
Abbiamo bisogno, come Giovanni,
di non vantare alcun merito,
ma di sentirci, semplicemente,
voce della tua Parola,
piccolo riflesso della tua grande luce,
lampada che arde e risplende,
sia pure in misura molto modesta,
per le persone che abbiamo accanto,
per i nostri familiari,
per i nostri amici
e per tanti fratelli e sorelle
che sono in cerca di una luce
per il loro cammino e il loro futuro.
La tua gioia sia il sapore della nostra fede,
la tua Parola sia l'orizzonte del nostro esistere,
la tua luce sia il conforto della nostra speranza.
Signore Gesù,
vieni a colmare la nostra attesa
con la certezza
che tu sei sempre accanto a noi,
anche quando i nostri occhi velati
non sanno scorgere le tracce
della tua meravigliosa, divina presenza.
Amen.

nataleattesapresenza

inviato da Cesarina Volontè, inserito il 29/12/2018

TESTO

8. Zaccheo sul sicomoro

Giuseppe Impastato S.I.

Ora tocca a lui, a Gesù.
Sento una indicibile nostalgia.
Stamattina mi ha preso un colpo
quando un amico mi disse:
"Sai, c'è Gesù, il Maestro, a Gerico.
E tra poco passerà da queste parti,
per andare a Gerusalemme".
Mi ha preso un colpo, e non so come,
mi è venuta una gran voglia di vederti!
Ma che? sto parlando come se fosse qui!

Mi sono messo a correre. Una spinta,
non so come sia successo.
Ti volevo vedere. E, come dicevo,
mi son messo a correre,
come quando ero bambino.
Che figuraccia, correre come i ragazzini!
Avresti dovuto vedere le facce
di clienti e conoscenti.
Ma io ho continuato, perché non m'interessa
quello che può dire la gente.

Ce l'ho fatta ad arrampicarmi.
Ho sete di te, e mi brucia questa sete
di vederti. Mi basterà vederti?
Non so.
Ho paura di ciò che potrà capitarmi.
Me ne starò qui, abbastanza nascosto,
per vederlo senza farmi vedere.
Ora tocca a te, Gesù.

Il cuore mi dice che oggi
sarà un giorno indimenticabile.
Perché sono stanco,
stanco di maneggiare denaro,
di rendere la gente più arrabbiata,
di vedermi l'odio di tutti in faccia.

Mi son fatto una posizione, sì.
Tutti mi rispettano, mi temono.
Ma io non ce la faccio più a rubare,
a esigere, a fare i conti, a controllare,
ad arricchirmi. Sono diventato anche io
spietato, come i romani. Gentaglia!

Certe volte mi sono vergognato
vedendo piangere i miei fratelli ebrei.
Già, fratelli. Sono stato un carnefice.
Ho fatto disperare. Io, sì, disperare.
Quanti mi hanno implorato,
quanti mi hanno maledetto.
Qualche volta avrei voluto restituire i soldi,
fare la spesa per le famiglie sfortunate.
Ma c'era sempre qualche sodato romano
accanto, a controllarmi.
Ma ora non ce la faccio più.

Eccolo!!! Arriva. E' proprio lui.
Che occhi attenti, che occhi buoni.
Non guarda come guardo io.
Guarda dentro, guarda con amore.
Ora capisco come la gente gli vada dietro.
Mi avevano detto che la gente ascolta,
lo segue, cambia vita. E' proprio vero.
Che faccio ora? Scendo dall'albero?
Mi piacerebbe invitarlo a casa mia.

"Zaccheo, scendi. Subito".
Dice a me? Conosce il mio nome!
Come se sappia tutto di me!
“Scendi subito! Oggi devo fermarmi da te”
Ma certo! Era quello che sognavo.
Ho fatto bene a venire qui.
"Gesù, sono onorato di averti a casa mia".

Ora sono contento. Finalmente.
Contento come quand'ero bambino.
Ora posso cambiare. Potrò guardare tutti negli occhi.
Mi guardano tutti, sorpresi.
"Subito! Devo... fermarmi... A casa tua!"
E' un sogno!
Zaccheo, corri.

incontrare Gesùzaccheoattesamisericordia

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 29/12/2018

TESTO

9. Attendere è declinazione del verbo amare

Ermes Ronchi, https://www.avvenire.it

Avvento: tempo per desiderare e attendere quel Dio che viene con una metafora spiazzante, come un ladro. Che viene nel tempo delle stelle, in silenzio, senza rumore e clamore, senza apparenza, che non ruba niente e dona tutto. Si accorgono di lui i desideranti, quelli che vegliano in punta di cuore, al lume delle stelle, quelli dagli occhi profondi e trasparenti che sanno vedere quanto dolore e quanto amore, quanto Dio c'è, incamminato nel mondo. Anche Dio, fra le stelle, come un desiderante, accende la sua lucerna e attende che io mi incammini verso casa.

avventoattesavigilanza

inviato da Francesco De Luca, inserito il 29/12/2018

TESTO

10. Avvento: attesa e vigilanza

John Powell

Il Signore ci chiede di essere vigilanti e pronti perché non possiamo conoscere in anticipo l'ora di Dio, l'ora in cui Dio viene a visitarci con un intervento speciale. Sono ormai abbastanza anziano e saggio da pensare che non posso forzare quest'ora di Dio.

Dio verrà da me e da te, a modo suo e quando vorrà. A volte siamo tentati di comportarci come coloro che addestrano gli animali con i cerchi. Chiediamo a Dio di venire e di saltare attraverso i nostri cerchi proprio come vogliamo noi! Ma, alla fine, scopriamo che Dio non è un animale ammaestrato. Dio sceglie i suoi momenti e suoi mezzi. La nostra parte è solo di essere pronti per questi momenti speciali. A volte, l'ora di Dio sembra giungere proprio nel momento in cui non ce la facciamo più. Ad ogni modo, la nostra fiducia in Dio ci dice che Dio verrà, al momento migliore e nel modo migliore. Io devo permettere a te di essere te stesso, e tu devi permettere a me di essere me stesso.

E noi dobbiamo permettere a Dio di essere Dio.

avventoattesavigilanzarapporto con Diopreghiera

inviato da Francesco De Luca, inserito il 29/12/2018

TESTO

11. Il cuore di Dio. Pasqua: questo giorno, ogni giorno

Alessandro D'Avenia, Avvenire, 5 aprile 2015, Pasqua

Riparare i viventi è il titolo di un bel romanzo scritto della bravissima Maylis de Kerengal che in questi giorni mi ha accompagnato.
Mi sembra il titolo perfetto per questa domenica.
La storia parla di un adolescente che, uscito con i suoi amici in una fredda notte in cerca dell'onda perfetta da cavalcare all'alba con i loro surf ruggenti, sulla strada del ritorno ha un incidente ed entra in coma irreversibile. I suoi genitori consentono l'espianto degli organi, anche se è il cuore il vero protagonista della storia. Il cuore che viene estratto dal petto del ragazzo va a riempire quello di una donna in attesa di un organo che la salvi grazie ad un trapianto. Ad un tratto la madre di Simon, il ragazzo morto, si chiede che accadrà al contenuto del cuore di suo figlio: «Che ne sarà dell'amore di Juliette una volta che il cuore di Simon ricomincerà a battere dentro un corpo sconosciuto, che ne sarà di tutto quel che riempiva quel cuore, dei suoi affetti lentamente stratificati dal primo giorno o trasmessi qua e là in uno slancio d'entusiasmo o in un accesso di collera, le sue amicizie e le sue avversioni, i suoi rancori, la sua veemenza, le sue passioni tristi e tenere? Che ne sarà delle scariche elettriche che gli sfondavano il cuore quando avanzava l'onda? Che ne sarà di quel cuore traboccante, pieno, troppo pieno?».

Che ne sarà del nostro cuore, con tutto quello che ha filtrato di amore e disamore in una vita? Ma non è forse questo il senso della grande promessa di Dio: «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne» (Ez. 36, 26-7)?
Anche noi eravamo a rischio di vita, anzi eravamo già morti, il nostro cuore aveva subito troppi infarti, non riusciva più ad amare senza rischiare il colpo di grazia. E proprio per un colpo di grazia riceviamo un cuore nuovo, che viene trapiantato gradualmente nella nostra vita nella misura in cui lo vogliamo.
L'uomo nuovo di cui parla Paolo nelle sue Lettere è un uomo dopo il trapianto. Rimane l'uomo vecchio, ma il trapianto irrora gradualmente ogni fibra trasformandola. In noi comincia ad abitare il battito di un Altro, che non muore.
La vita di Dio che non può essere distrutta entra e gradualmente trapianta (ci innesta nella sua vita come si fa in botanica), purifica, trasforma, nella misura di quanto vogliamo. C'è tanto del cuore di Dio nella nostra vita quanto noi vogliamo ne venga trapiantato ogni giorno.

Ad un certo punto della narrazione il medico che condurrà l'operazione di trapianto avverte la paziente perché si prepari: «Il cuore sarà qui fra trenta minuti, è splendido, è fatto per lei, vi intenderete alla perfezione. Claire sorride: ma aspetterà che sia qui prima di togliere il mio, vero?».
Il nostro rimarrà, proprio quello nostro, ma il centro di ogni pensiero, decisione, amore, caduta, tristezza, malinconia, il motore di ogni nostro amore e disamore, non verrà tolto, ma trasformato.

La natura umana è riparata perché il Perfetto Uomo ha attraversato tutto l'umano, ha conosciuto tutto ciò che passa per il cuore dell'uomo e lo ha sentito come fosse suo, anche il peccato, non come atto ma nelle sue conseguenze (dalla tentazione, al dolore, alla morte). E quel cuore che ha cessato di battere sulla croce, quel cuore che ha dato tutto, tanto che, quando il soldato lo trafisse con la lancia, sputò sangue e acqua, il siero che si riversa nella sacca del pericardio quando dopo un infarto la parte densa del sangue si separa da quella più leggera, proprio quel cuore diventa nostro.

Quel cuore in realtà non è vuoto, non è il cuore di un morto, inservibile per un trapianto. È il cuore di un vivo, è il cuore del Vivente, è il cuore della Vita; il cuore che ci consente di avere passione per la vita e di patire per la vita; il cuore che ci concede il trasporto erotico per il creato e le creature e la capacità di patire per il creato e le creature. Il cuore di Dio, spiritualmente trapiantato in noi grazie al Battesimo e riparato dagli altri Sacramenti, batte fortissimo nel petto dei cristiani, che per questo ogni giorno, se vogliono, risorgono.
E quando quel cuore verrà pesato (amor meus pondus meum, il mio amore è il mio peso, dice Agostino) alla fine della vita lo si troverà 'pieno' dell'amore di Dio stesso, perché era il Suo in noi.

Solo lui ripara i viventi e i morenti, perché il Suo cuore non ha conosciuto la corruzione della morte, conosce solo la vita e ciò che dà la vita.
Si dice che, dopo aver bruciato Giovanna D'Arco, i carnefici trovarono intatto il suo cuore in mezzo alla cenere. Quel cuore non poteva essere distrutto, perché la sua materia non apparteneva a questo mondo e il fuoco degli uomini non poteva consumarlo. Era il cuore di Giovanna o quello di Dio?

Se è amore che vogliamo per vivere, è un cuore nuovo che vogliamo. Oggi è il giorno del trapianto.

pasquacuore nuovoconversionerinascitaamoreamare

inviato da Marcello Rosa, inserito il 06/07/2018

PREGHIERA

12. Preghiera a Maria

Marina Guarino, poesie

Maria,
ricolmata di grazia dall'Onnipotente
tu che gioisti al saluto di Gabriele
mostrando una fede pura
come quella di Abramo

tu che accogliesti la Parola
lasciandoti fecondare
dal fuoco d'amore dello Spirito
sei diventata la porta
che ha fatto entrare Dio nel mondo.

Ti preghiamo Madre
“faccendiera del Paradiso”
sii per questa umanità
grembo che si fa culla
così come fosti arca di tuo Figlio.

Vedi Madre
le nostre idrie sono vuote del vino bello
è finito pure l'olio nella lampada
il nostro sguardo s'è fatto orbo

Disorientati
prendici per mano
e parlaci della Parola
di cui ti sei nutrita
sicché anche io possa generarla
in una parentesi di eternità.

mariamadreattesa

inviato da Marina Guarino, inserito il 15/01/2018

PREGHIERA

13. Vergine dell'attesa (versione lunga)

Tonino Bello, fonte

Santa Maria, vergine dell'attesa, donaci del tuo olio perché le nostre lampade si spengono. Vedi: le riserve si sono consumate. Non ci mandare ad altri venditori. Riaccendi nelle nostre anime gli antichi fervori che ci bruciavano dentro, quando bastava un nonnulla per farci trasalire di gioia: l'arrivo di un amico lontano, il rosso di sera dopo un temporale, il crepitare del ceppo che d'inverno sorvegliava i rientri in casa, le campane a stormo nei giorni di festa, il sopraggiungere delle rondini in primavera, l'acre odore che si sprigionava dalla stretta dei frantoi, le cantilene autunnali che giungevano dai palmenti, l'incurvarsi tenero e misterioso del grembo materno, il profumo di spigo che irrompeva quando si preparava una culla.

Se oggi non sappiamo attendere più è perché siamo a corto di speranza. Se ne sono disseccate le sorgenti. Soffriamo una profonda crisi di desiderio. E, ormai paghi dei mille surrogati che ci assediano, rischiamo di non aspettarci più nulla neppure da quelle promesse ultraterrene che sono state firmate col sangue dal Dio dell'alleanza.

Santa Maria, donna dell'attesa, conforta il dolore delle madri per i loro figli che, usciti un giorno di casa, non ci son tornati mai più, perché uccisi da un incidente stradale o perché sedotti dai richiami della giungla. Perché dispersi dalla furia della guerra o perché risucchiati dal turbine delle passioni. Perché travolti dalla tempesta del mare o perché travolti dalle tempeste della vita.

Riempi i silenzi di Antonella, che non sa che farsene dei suoi giovani anni, dopo che lui se n'è andato con un'altra. Colma di pace il vuoto interiore di Massimo, che nella vita le ha sbagliate tutte, e l'unica attesa che ora lo lusinga è quella della morte. Asciuga le lacrime di Patrizia, che ha coltivato tanti sogni a occhi aperti, e per la cattiveria della gente se li è visti così svanire a uno a uno, che ormai teme anche di sognare a occhi chiusi.

Santa Maria, vergine dell'attesa, donaci un'anima vigiliare. Giunti alle soglie del terzo millennio, ci sentiamo purtroppo più figli del crepuscolo che profeti dell'avvento. Sentinella del mattino, ridestaci nel cuore la passione di giovani annunci da portare al mondo, che si sente già vecchio. Portaci, finalmente, arpa e cetra, perché con te mattiniera possiamo svegliare l'aurora.

Di fronte ai cambi che scuotono la storia, donaci di sentire sulla pelle i brividi dei cominciamenti. Facci capire che non basta accogliere: bisogna attendere. Accogliere talvolta è segno di rassegnazione. Attendere è sempre segno di speranza. Rendici, perciò, ministri dell'attesa. E il Signore che viene, vergine dell'Avvento, ci sorprenda, anche per la tua materna complicità, con la lampada in mano.

Clicca qui per la versione breve.

attesaattendereavventomariasperanza

inviato da Qumran2, inserito il 15/01/2018

PREGHIERA

14. Vergine dell'attesa   1

Tonino Bello, Alla finestra la speranza, San Paolo

Santa Maria, vergine dell'attesa,
donaci del tuo olio perché le nostre lampade si spengono.
Le riserve si sono consumate, non ci mandare ad altri venditori.
Santa Maria, vergine dell'attesa,
donaci un'anima vigiliare,
facci capire che non basta accogliere: bisogna attendere.
Sentinella del mattino, ridestaci nel cuore
la passione di giovani annunci da portare al mondo.
Rendici ministri dell'attesa perché il Signore che viene,
ci sorprenda, anche per la tua materna complicità,
con la lampada in mano.

Clicca qui per la versione lunga.

attesaattendereavventomariasperanza

inviato da Qumran2, inserito il 15/01/2018

TESTO

15. Il vero significato dell'Avvento   1

Goffredo Boselli

Per John Henry Newman il nome del cristiano è “colui che attende il Signore”. Invece dobbiamo riconoscerlo: da secoli, in occidente, l'attesa della venuta del Signore è una dimensione perlopiù assente nella vita di fede dei cristiani. Era il rammarico di Ignazio Silone che scriveva: "Mi sono stancato di cristiani che aspettano la venuta del loro Signore con la stessa indifferenza con cui si aspetta l'arrivo dell'autobus".

Rivelatore di questa realtà è il modo abituale di comprendere e vivere l'Avvento. Io sono persuaso che l'Avvento è il tempo liturgico oggi meno compreso nel suo valore e nel suo significato. Lo si è ridotto a tempo di preparazione alla festa del Natale. Che tristezza! Non si comprende che l'Avvento è la chiave di tutto l'anno liturgico: l'escatologia è la verità dimenticata dell'intero anno liturgico.

L'Avvento è la chiave per comprendere la celebrazione delle feste della manifestazione del Signore nella carne: i fatti che hanno immediatamente preceduto la nascita di Gesù Cristo, la sua nascita a Betlemme, la manifestazione ai Magi, il battesimo nel Giordano fino alle nozze di Cana. Capiti nella loro intelligenza spirituale, i testi liturgici dell'Avvento esprimo non l'attesa di una nascita già avvenuta nella storia una volta per tutte, quanto piuttosto l'attesa della definitiva venuta di Cristo nella gloria.

Domandiamoci: ma com'è possibile che la liturgia cristiana, che è sempre memoriale della morte e risurrezione di Cristo finché egli venga, faccia di noi cristiani gente per la quale il Signore non è ancora nato e dobbiamo attendere la sua nascita? Se la liturgia dell'Avvento ci costringesse a immedesimarci in coloro che duemila anni fa attesero la nascita di Gesù, la liturgia sarebbe nient'altro che l'artefice di un complesso sociodramma, ossia di una rievocazione ritualizzata degli eventi fondatori del cristianesimo. La nascita non la si attende ma la si commemora (commemoratio nativitatis Domini nostri Jesu Christi), ciò che si attende è invece la parusia che è il compimento del mistero Pasquale.

Il modo di vivere l'Avvento è il simbolo della diffusa perdita della dimensione escatologica che è uno dei tratti distintivi del cristianesimo moderno e contemporaneo occidentale. La progressiva spiritualizzazione dell'escatologia ha portato l'esistenza cristiana a soffrire di un male grave: l'amnesia della parusia. Osservando come la malattia del nostro tempo sia la volontà di dimenticare l'avvento di Dio, J.B. Metz in una preziosa meditazione sull'Avvento pone una domanda:

"Domandiamoci una volta in questi giorni di Avvento e di Natale: non agiamo forse, segretamente, come se Dio fosse restato tutto alle nostre spalle, come se noi - frutti tardivi di questo ventesimo secolo post Christum natum - potessimo trovare Dio solamente in un facile e malinconico sguardo del nostro cuore, una debole luce riflessa alla grotta di Betlemme, al bambino che ci è stato dato?

Abbiamo noi qualche cosa di più della visione di questo bambino negli occhi, quando nelle nostre preghiere e nei nostri canti proclamiamo: è l'Avvento di Dio? Pendiamo qualche cosa di più del Dio dei nostri ricordi e dei nostri sogni? Cerchiamo realmente Dio anche nel nostro futuro? Siamo uomini dell'Avvento, che hanno nel cuore l'urgenza della venuta di Cristo, e con gli occhi che spiano, cercando negli orizzonti della propria vita il suo volto albeggiante?".

Oggi, dobbiamo riconoscerlo, vi è una patologia nel modo di vivere l'Avvento. In realtà l'Avvento è il solo specifico cristiano, perché un tempo di digiuno e penitenza come la Quaresima la condividiamo con l'islam, il tempo della Pasqua con l'ebraismo, ma l'attesa della venuta del Kyrios è solo cristiana. Solo noi cristiani attendiamo il ritorno di Cristo da lui stesso promesse: "Sì vengo presto! Amen" (Ap 22,20). Per questo, privare l'anno liturgico della sua costitutiva dimensione escatologica significa sottrarre alla fede cristiana la dimensione della speranza.

Così compreso e vissuto, l'Avvento sarebbe il tempo dell'anno liturgico più eloquente per i credenti di oggi. Uomini e donne che faticano a sperare perché privati di ogni speranza, a volte perfino incapaci di sperare. Per questo, occorre fare attenzione a liturgie troppo festanti al limite del superficiale, eccessive nei toni e negli accenti, quasi che si debba sempre e a ogni costo far festa.

Domandiamoci: si è altrettanto capaci di offrire ai credenti liturgie capaci di suscitare la speranza, di nutrirla. Liturgie capaci di dare ragioni per sperare a cuori stanchi e affaticati, capaci di risollevare quanti, come i discepoli di Emmaus, si fermano “con il volto triste”. Lo sappiamo, la fatica a credere ad avere fiducia negli altri, nella vita, nel futuro, è uno dei tratti che caratterizzano l'uomo e la donna occidentali dei nostri giorni e questo non può non segnare anche la fede del credente contemporaneo.

Comprendere l'anno liturgico come un ciclo, un anello chiuso su di sé ma come un movimento elicoidale che mette la vede in cammino significa, nel preciso contesto antropologico, culturale e sociale nel quale viviamo, comprendere che le nostre liturgie, e più in generale le celebrazioni dei sacramenti, sono oggi chiamate ad ospitare un modo di vivere la fede, anche tra i credenti più assidui, che non è più, come un tempo, la somma di certezze incrollabili ma è l'espressione di un desiderio di qualcosa e di qualcuno in cui poter sperare, così che credere significa aggrapparsi a una speranza.

Oggi la fede è, infatti, perlopiù esperimentata come l'apertura a una speranza. Nutrire la speranza, questo oggi è il compito primo dell'anno liturgico, dare ragioni per alimentare per esercitarsi a credere che si sono realtà non visibili, e queste realtà sono la nostra salvezza. Uscire dalla precarietà in cui ci si trova per entrare un giorno nella condizione di beatitudine in Dio. “Solo la speranza nella vita eterna ci fa propriamente cristiani”, ha scritto Agostino.

Oggi è molto difficile parlare di speranza, dare ragioni per speranza, eppure questo è il compito oggi dell'anno liturgico, perché la mancanza di speranza rende l'uomo estraneo al tempo, irrimediabilmente assente a questo tempo presente. La speranza è esattamente questo: volere infinitamente il finito, è vivere eternamente il tempo. Come ha scritto Emmanuel Mounier in un saggio dedicato a Péguy, la speranza “rifà ciò che l'abitudine disfa. È la sorgente di tutte le nascite spirituali, di ogni libertà, di ogni novità. Semina cominciamenti là dove l'abitudine immette morte”.

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inviato da Francesco De Luca, inserito il 15/01/2018

PREGHIERA

16. Preghiera nell'attesa del Signore

Giuseppe Cultrera, Nel silenzio della mia cella, Utopia Edizioni, 1998

Vivo nell'attesa del tuo prossimo incontro.
Accresci, Padre, ti prego, nel mio tramonto
la luce del tuo Spirito, taglia
quanto mi lega ancora alla terra.
Chiuda con la Cena del tuo Figlio
la mia ultima sera.

attesamorteparadiso

5.0/5 (1 voto)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 15/01/2018

PREGHIERA

17. Sono l'atteso

Don Serafino Falvo, AA.VV. - Una preghiera per ogni giorno - Ed. Paoline 1990, pag.404

Dio!
Traguardo della mia corsa,
premio delle mie fatiche,
termine del mio cammino.
Quando finalmente avrò concluso
il pellegrinaggio terreno,
mi vorrò immergere negli oceani
della tua luce infinita,
negli abissi sconfinati
del tuo amore eterno.

Mi riposerò in lui
come il fiume che sfocia nel mare
dove trova la sua pace.

Sarà l'abbraccio del Padre
col figlio che ritorna a casa
dopo anni di lungo cammino
e di pericolose avventure.

Sarà la festa preparata per me
- l'atteso -
una festa che durerà un'eternità,
un'unione che non subirà
più lacerazioni né divisioni,
una musica che suonerà in eterno
il trionfo dell'arrivo,
un premio che non mi verrà più tolto.

morteattesafestavita eternaparadisoeternità

5.0/5 (1 voto)

inviato da Giuseppe Impastato S.I., inserito il 15/01/2018

PREGHIERA

18. Mi manchi, Signore

Emily Schenker

Mi manchi. Mi manchi terribilmente. Da togliere il fiato.
Leggo e rileggo le tue parole, con innamorata ostinazione.
Mi piego su questa pagina, e mi fa male non sentire il ritmo del tuo respiro,
il suono amico della tua voce.
Mi manchi, Signore,
e la preghiera oggi è un rincorrere il vento;
è ascoltare una musica che nessuno strumento può produrre.
Mi manchi, Signore,
perché, di tanto in tanto, ho bisogno di toccare, di vedere, di sentire profumi.
E tu, ora, non sei a portata di mano,
non stai davanti ai miei occhi, non hai l'odore buono di chi ama.
Mi manchi, Signore,
e la fede ne soffre, come di una malattia mortale. Senza cura.
Mi manchi, Signore,
eppure, so, quando mi allontano su versanti ripidi e pendii pietrosi;
quando fuggo le tue strade per capriccio e per dispetto;
quando ti volto le spalle, in un impeto di altezzoso disprezzo,
so, che io manco a te, ancora di più.
Per questo, ad ogni ritorno, mi aspetto di averti qui come uomo fedele,
come Dio paziente.
È questa distanza che ci unisce.
La tua assenza mi alimenta.
La tua presenza mi disseta. Amen.

assenzapresenzadistanzaattesarapporto con Diopreghiera

inviato da Cesarina Volontè, inserito il 02/12/2017

RACCONTO

19. I baffi del leone   2

Antica favola etiope

Un uomo, rimasto vedovo, con un figlio ancora bambino, sposò una giovane donna. Nel giorno del matrimonio, la donna, commossa dal dolore così evidente sul viso del bambino, fece una promessa a se stessa: «Aiuterò questo bambino a guarire dal suo dolore e sarò per lui una buona madre».
Da quel momento ogni suo pensiero ed energia furono spesi per questo obiettivo, ma invano.
Il bambino opponeva un netto rifiuto a tutte le sue attenzioni e cure. I cibi preparati amorevolmente non erano buoni come quelli della mamma naturale, i vestiti lavati e rammendati venivano sporcati e strappati di proposito, i baci ricevuti venivano prontamente ripuliti col dorso della mano, gli abbracci allontanati, e così via. Per quanto la donna cercasse di consolare il dolore del bambino e si sforzasse di conquistare il suo affetto non incontrava altro che rifiuto e rabbia.

Un giorno, al colmo del dispiacere e del senso d'impotenza, decise, tra le lacrime, di chiedere consiglio allo stregone del villaggio.
«Ti supplico! Aiutami! Prepara una magia così ch'io possa conquistare l'amore di questo bambino! Ti pagherò quanto vorrai! Aiutami Stregone!».
«Va bene, ti aiuterò e preparerò questa magia, ma è essenziale che tu mi porti due baffi del leone più feroce della foresta».
«Ma Stregone! E' impossibile! Non c'è nessuna speranza allora! Se mi avvicinerò a quel leone mi sbranerà! Non conquisterò mai l'amore di questo bambino».
«Mi dispiace donna, ma questa è la condizione necessaria per la magia».

La donna, in lacrime, si avviò verso la sua capanna ancora più scoraggiata. Dopo una notte insonne, resasi conto che in nessun modo avrebbe rinunciato al suo proposito di conquistare l'affetto del bambino, la giovane sposa decise di procurarsi i baffi del leone ad ogni costo.
La mattina seguente si mise in cammino verso la foresta con una ciotola di carne sul capo. Giunta al limitare del territorio del leone depose la ciotola a terra e fece quindi ritorno verso la sua capanna.
Il giorno successivo, poco dopo l'alba, si avviò nuovamente con una nuova ciotola piena di carne verso la foresta, ma questa volta depositando il tutto qualche passo più avanti, nel territorio del re della foresta.
Il terzo giorno ancora una ciotola di carne e ancora qualche passo più avanti.
Il quarto giorno lo stesso.
Così il quinto, il sesto, il decimo, il ventesimo, il trentesimo, il centesimo... giorno.
Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, avanzando con coraggio e costanza. Fino a vedere la tana e l'animale, e poi, dopo giorni, ad incontrare il leone che ormai attendeva la sua ciotola di carne e osservava placido la donna, concedendole di avvicinarsi.

Sino al giorno in cui la ciotola viene deposta davanti al leone, e la donna, col cuore in tumulto nel petto, capisce che è giunto il momento di agire.
Mentre l'animale, ormai perfettamente a suo agio con lei, divora il suo pasto, ecco che lei può strappare i due baffi preziosi senza che il leone neppure se ne accorga.
Allora sorridendo tra le lacrime, con i due baffi stretti al petto, corre a perdifiato verso la capanna dello stregone: «Stregone!!! Stregone!!! Ho i baffi!!! Puoi fare la tua magia!!!»

«Mi dispiace donna, non posso fare ciò che mi chiedi. Non bastano due baffi di leone per conquistare l'amore di un bambino. Non ho questo potere».
«Mi hai ingannata!!! Mi hai tradita! Mi hai fatto rischiare la vita per nulla! Perché? Perché l'hai fatto?». Urlava tra le lacrime la donna al culmine della disperazione. «Avevi promesso! Come farò adesso?».
Lo stregone, in silenzio, attende che la donna esaurisca le sue lacrime e la sua rabbia e poi risponde: «Io non posso compiere alcuna magia, donna. La magia è nelle tue mani. Guarda cos'hai fatto col leone. Ebbene, la magia è questa: fai col tuo bambino ciò che hai fatto col leone!».

Il Tempo. Ogni cosa necessita del suo tempo, ma c'è un tempo che pare infinito.
E' il tempo della trasformazione, del cambiamento, della guarigione, dell'attesa.
Quel tempo che vorremmo poter cancellare come d'incanto, o che almeno vorremmo accelerare. Soprattutto noi, noi che viviamo in questo momento storico e culturale dove il tutto dev'essere subito, dove ogni cosa si consuma in un attimo, dove l'attesa genera insofferenza e aggiunge spesso sofferenza alla sofferenza.
Non è possibile accelerare.
Ci sono ritmi e tempi che non possiamo modificare, che appartengono alla natura dell'uomo e all'universo.
Quando si dice: il tempo aggiusta tutto...
In realtà siamo noi e sono gli avvenimenti che necessitiamo di tempo per «aggiustarci». Noi per adeguarci, per abituarci, per trasformarci. Gli avvenimenti per evolvere, maturare, manifestarsi.
Non esistono interruttori.
Click! No, nessun click.
Solo la costanza, la tenacia e la paziente attesa mentre «si lavora per».

Illustrazione di Roberta Tezza

gentilezzapazienzaperseveranza

4.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 21/08/2017

RACCONTO

20. Lasciarti trovare

Antico racconto sapienziale

Tre giovani avevano compiuto diligentemente i loro studi alla scuola di grandi maestri. Prima di lasciarsi fecero una promessa: avrebbero percorso il mondo e si sarebbero ritrovati, dopo un anno, portando la cosa più preziosa che fossero riusciti a trovare.

Il primo non ebbe dubbi: partì alla ricerca di una gemma splendida ed inestimabile. Attraversò mari e deserti, salì sulle montagne e visitò città fino a quando non l'ebbe trovata: era la più splendida gemma che avesse mai brillato sotto il sole. Tornò allora in patria in attesa degli amici.

Il secondo tornò poco dopo tenendo per mano una ragazza dal volto dolce ed attraente. "Ti assicuro che non c'è nulla di più prezioso di due persone che si amano" disse. Si misero ad aspettare il terzo amico. Molti anni passarono prima che questi arrivasse. Era infatti partito alla ricerca di Dio. Aveva consultato i più famosi maestri di spiritualità esistenti sulla terra, ma non aveva trovato Dio.

Aveva studiato e letto, ma senza trovare Dio. Aveva rinunciato a tutto, ma Dio non lo aveva trovato. Un giorno, stremato per il tanto girovagare, si abbandonò nell'erba sulla riva di un lago. Incuriosito seguì le affannate manovre di un'anatra che in mezzo ai canneti cercava i piccoli che s'erano allontanati da lei. I piccoli erano numerosi e vivaci, e sino al calar del sole l'anatra cercò, nuotando senza posa tra le canne, finché non ebbe ricondotto sotto la sua ala l'ultimo dei suoi nati.

Allora l'uomo sorrise e fece ritorno al paese. Quando gli amici lo rividero, uno gli mostrò la gemma e l'altro la ragazza che era diventata sua moglie, poi pieni di attesa, gli chiesero: "E tu, che cosa hai trovato di tanto prezioso? Qualcosa di magnifico, se hai impiegato tanti anni. Lo vediamo dal tuo sorriso...".

"Ho cercato Dio" rispose il giovane. "E lo hai trovato? E' per questo che hai impiegato così tanto tempo?" chiesero i due, sbalorditi. "Sì, l'ho trovato e se ho impiegato tanto tempo era perché commettevo l'errore di andare a cercare Dio, mentre in realtà, era Lui che stava cercando me..."

Non devi fare molto, tu. Solo lasciarti trovare da Dio. Lui ti sta cercando.
Clicca qui per un'immagine con questa frase.

ricercatesoropietra preziosaamorericerca di DioDio ci cerca

inviato da Qumran2, inserito il 08/05/2017

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