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RACCONTO

1281. Un piccolo gesto   4

Un giorno, ero un ragazzino delle superiori, vidi un ragazzo della mia classe che stava tornando a casa da scuola. Il suo nome era Kyle e sembrava stesse portando tutti i suoi libri. Dissi tra me e me: "Perché mai uno dovrebbe portarsi a casa tutti i libri di venerdì? Deve essere un ragazzo strano".

Io avevo il mio week-end pianificato (feste e una partita di football con i miei amici), così ho scrollato le spalle e mi sono incamminato.

Mentre stavo camminando vidi un gruppo di ragazzini che correvano incontro a Kyle. Gli corsero addosso facendo cadere tutti i suoi libri e lo spinsero facendolo cadere nel fango. I suoi occhiali volarono via, e li vidi cadere nell'erba un paio di metri più in là. Lui guardò in su e vidi una terribile tristezza nei suoi occhi. Mi rapì il cuore! Così mi incamminai verso di lui mentre stava cercando i suoi occhiali e vidi una lacrima nei suoi occhi. Raccolsi gli occhiali e glieli diedi dicendogli: "Quei ragazzi sono proprio dei selvaggi, dovrebbero imparare a vivere". Kyle mi guardò e disse: "Grazie!". C'era un grosso sorriso sul suo viso, era uno di quei sorrisi che mostrano vera gratitudine.

Lo aiutai a raccogliere i libri e gli chiesi dove viveva. Scoprii che viveva vicino a me così gli chiesi come mai non lo avessi mai visto prima. Lui mi spiegò che prima andava in una scuola privata. Prima di allora non sarei mai andato in giro con un ragazzo che frequentava le scuole private. Parlammo per tutta la strada e io lo aiutai a portare alcuni libri.

Mi sembrò un ragazzo molto carino ed educato così gli chiesi se gli andava di giocare a football con i miei amici e lui disse di sì. Stemmo in giro tutto il week end e più lo conoscevo più Kyle mi piaceva così come piaceva ai miei amici.

Arrivò il lunedì mattina ed ecco Kyle con tutta la pila dei libri ancora. Lo fermai e gli dissi: "Ragazzo finirà che ti costruirai dei muscoli incredibili con questa pila di libri ogni giorno!". Egli rise e mi passo la metà dei libri.

Nei successivi quattro anni io e Kyle diventammo amici per la pelle.

Una volta adolescenti cominciammo a pensare al college, Kyle decise per Georgetown e io per Duke. Sapevo che saremmo sempre stati amici e che la distanza non sarebbe stata un problema per noi. Kyle sarebbe diventato un dottore mentre io mi sarei occupato di scuole di football.

Kyle era il primo della nostra classe e io l'ho sempre preso in giro per essere un secchione. Kyle doveva preparare un discorso per il diploma. Io fui molto felice di non essere al suo posto sul podio a parlare. Il giorno dei diplomi vidi Kyle, aveva un ottimo aspetto. Lui era uno di quei ragazzi che aveva veramente trovato se stesso durante le scuole superiori. Si era un po' riempito nell'aspetto e stava molto bene con gli occhiali. Aveva qualcosa in più e tutte le ragazze lo amavano. Ragazzi qualche volta ero un po' geloso!

Oggi era uno di quei giorni, potevo vedere che era un po' nervoso per il discorso che doveva fare, così gli diedi una pacca sulla spalla e gli dissi: "Ehi ragazzo, te la caverai alla grande!". Mi guardò con uno di quegli sguardi (quelli pieni di gratitudine) e sorrise mentre mi disse: "Grazie".

Iniziò il suo discorso schiarendosi la voce: "Nel giorno del diploma si usa ringraziare coloro che ci hanno aiutato a farcela in questi anni duri. I genitori, gli insegnanti, gli allenatori ma più di tutti i tuoi amici. Sono qui per dire a tutti voi che essere amico di qualcuno è il più bel regalo che voi potete fare. Voglio raccontarvene una".

Guardai il mio amico Kyle incredulo non appena cominciò a raccontare il giorno del nostro incontro. Lui aveva pianificato di suicidarsi durante il week-end. Egli raccontò di come aveva pulito il suo armadietto a scuola, così che la madre non avesse dovuto farlo dopo, e di come si stava portando a casa tutte le sue cose.

Kyle mi guardò intensamente e fece un piccolo sorriso. "Ringraziando il cielo fui salvato, il mio amico mi salvò dal fare quel terribile gesto".

Udii un brusio tra la gente a queste rivelazioni. Il ragazzo più popolare ci aveva appena raccontato il suo momento più debole.

Vidi sua madre e suo padre che mi guardavano e mi sorridevano, lo stesso sorriso pieno di gratitudine.

Non avevo mai realizzato la profondità di quel sorriso fino a quel momento.

Non sottovalutate mai il potere delle vostre azioni.

Con un piccolo gesto potete cambiare la vita di una persona, in meglio o in peggio. Dio fa incrociare le nostre vite perché ne possiamo beneficiare in qualche modo. Cercate il buono negli altri.

"Gli amici sono angeli che ci sollevano in piedi quando le nostre ali hanno problemi nel ricordare come si vola".

amiciziagentilezzaimportanza delle piccole cosesemplicitàbontà

5.0/5 (4 voti)

inviato da Lisa, inserito il 26/06/2010

TESTO

1282. Scalzarsi per entrare nell'altro   2

Una mattina, riflettendo su un annuncio, mi soffermai di fronte a una espressione che risuonò in un modo molto speciale nel mio cuore: "scalzarsi per entrare nell'altro". Chiesi al Signore che cosa volesse dire. Mi venivano in mente parole come rispetto, delicatezza, attenzione, prudenza.

Ricordai le parole dell' Esodo 3,5: "Non ti avvicinare di più, togliti i sandali perché sei in un luogo sacro". Erano le parole di Yahvé a Mosè davanti al roveto che ardeva senza consumarsi, e pensai: "Se Dio parla al cuore del mio fratello, il suo cuore è un luogo sacro".

Mi misi subito a pregare. Gesù mi presentava uno a uno tutti i miei amici e conoscenti e poi altri ancora e scoprii che come di solito entro nell'interno di ognuno senza togliermi i sandali, semplicemente entro senza badare al modo, entro.

Sentii un bisogno molto forte di chiedere perdono al Signore e ai miei fratelli. Sentii che il Signore mi invitava a scalzarmi e poi a camminare e notai una specie di resistenza: "non volevo sporcarmi".

Mi sentivo più sicuro camminando con i sandali quando mi avvicinavo agli altri: la comodità, la paura...

Superato questo primo momento cominciai a camminare e ad ogni passo il Signore mi faceva vedere qualcosa di nuovo.

Mi accorsi che scalzo potevo scoprire meglio i diversi tipi di terreno su cui camminavo, distinguere quello umido da quello secco, il prato dalla terra. Dovevo guardare ad ogni passo ciò che calpestavo, avere riguardo del luogo dove avrei posato il mio piede.

Mi resi conto che le tante cose di cui sono portatori i miei fratelli mi sfuggono, non le conosco, non ne tengo conto perché entro con i calzari. Ho sperimentato che, scalzo, camminavo più adagio; non usavo il mio ritmo abituale, ma cercavo di posare il piede con maggiore soavità! Ho pensato allora ai tanti segni che ho lasciato nel cuore dei miei fratelli lungo il cammino e ho sentito un forte desiderio di entrare negli altri senza lasciare una scritta che dica: "Qui sono passato io".

Infine, ho attraversato i diversi tipi di terreno, prima prati, poi terra, fino ad arrivare a una salita con pietre.

Avevo voglia di fermarmi e mettermi di nuovo i sandali; ma il Signore mi invitò a camminare scalzo un pochino ancora.

Mi accorsi che tutti i terreni non sono uguali e anche tutti miei fratelli non sono uguali. Perciò, non posso entrare in tutti allo stesso modo.

Questa salita richiedeva di essere fatta ancora più adagio e, più camminavo con passo leggero, più diminuiva il dolore dei miei piedi. Questo mi fece pensare che quanto più difficile è il terreno di mio fratello, tanto più devo entrare con delicatezza e con più attenzione. Dopo questo percorso con il Signore, ho capito che togliersi i calzari è entrare senza pregiudizi… solamente attento ai bisogni del fratello, senza attendersi una risposta determinata ed entrare senza interessi, dopo aver spogliato la mia anima.

Poiché credo, che il Signore, sia vivo e presente nel cuore dei miei fratelli, m'impegno a fermarmi e a togliermi i sandali. Conto per riuscirci sulla sua grazia!

camminovitadelicatezzaincontrorispettoattenzionepazienza

4.0/5 (2 voti)

inviato da Pina Oro, inserito il 26/06/2010

RACCONTO

1283. Il cielo e l'inferno   3

Paolo Coelho

Un uomo, il suo cavallo e il suo cane camminavano lungo una strada. Mentre passavano accanto a un albero gigantesco, si abbatté un fulmine e morirono tutti fulminati.
Ma l'uomo non si accorse di avere ormai lasciato questo mondo e continuò a camminare con i suoi due animali. A volte occorre del tempo perché i morti si rendano conto della loro nuova condizione.
Era una camminata molto lunga, su per la collina, il sole era forte e loro erano tutti sudati e assetati. Avevano disperatamente bisogno di acqua. A una curva della strada, avvistarono un magnifico portone, tutto di marmo, che conduceva a una piazza pavimentata con blocchi d'oro, al centro della quale c'era una fontana da cui sprizzava dell'acqua cristallina.
Il viandante si rivolse all'uomo che sorvegliava l'entrata.

- Buongiorno.
- Buongiorno - rispose l'uomo.
- Che posto è mai questo, così meraviglioso?
- Qui è il Cielo.
- Che bello essere arrivati nel cielo, abbiamo molta sete.
- Lei può entrare e bere a volontà.
E il guardiano indicò la fontana.
- Anche il mio cavallo e il mio cane hanno sete.
- Mi spiace molto, ma qui non è permessa l'entrata di animali.

L'uomo ne rimase assai deluso, perché aveva molta sete, ma non avrebbe mai bevuto da solo. Ringraziò e proseguì. Dopo aver camminato a lungo, ormai esausti, arrivarono in un luogo la cui entrata era segnata da una vecchia porta, che si apriva su di un sentiero sterrato, fiancheggiato da alberi.
All'ombra di uno degli alberi, c'era un uomo sdraiato, con il capo coperto da un cappello, che probabilmente stava dormendo.

- Buongiorno - disse il viandante.
L'uomo fece un cenno con il capo.
- Abbiamo molta sete, il mio cavallo, il mio cane e io.
- C'è una fonte tra quelle pietre - disse l'uomo indicando un posto. - Potete bere a volontà.
L'uomo, il cavallo e il cane si avvicinarono alla fonte e ammazzarono la sete. Poi, l'uomo tornò indietro per ringraziare.
- A proposito, come si chiama questo posto?
- Cielo.
- Cielo? Ma il guardiano del portone di marmo ha detto che il cielo era là!
- Quello non è il cielo, quello è l'inferno.
Il viandante rimase perplesso.
- Voi dovreste evitarlo! Una tale informazione falsa causerà grandi confusioni!
L'uomo sorrise:
- Assolutamente no. In realtà, ci fanno un grande favore. Perché laggiù rimangono tutti quelli che sono capaci di abbandonare i loro migliori amici.

amiciziaparadisoinfernoegoismoaltruismoapertura

4.3/5 (3 voti)

inviato da Lisa, inserito il 26/06/2010

RACCONTO

1284. Le croci quotidiane   2

Francesco Cipri

C'era un tempo in cui ognuno portava sempre sulle spalle la propria croce. Quando si andava a Messa, le croci venivano appoggiate all'ingresso e poi riprese all'uscita. Un'anziana signora arrivava sempre fra i primi e quindi lasciava la sua croce nei primi posti disponibili, poi usciva fra gli ultimi e così riprendeva la sua croce e andava via.

Un giorno, stanca del peso della sua croce, e pensando che quelle degli altri fossero più leggere, studiò una strategia per cambiare la sua croce con quella di qualcun altro.

"Arriverò per prima" - pensò, "ma questa volta uscirò anche per prima, così potrò scegliermi una croce più leggera. A qualcun altro toccherà la mia, così faremo un po' per uno. Non posso sempre essere io quella che porta il peso maggiore!". E così fece.

Ma quando uscì ebbe un'amara sorpresa: le altre croci erano tutte più pesanti della sua!

Mogia mogia aspettò che tutti uscissero, si prendessero ognuno la propria croce e, pregando e chiedendo in cuor suo perdono dei cattivi pensieri, riprese la sua croce, che questa volta le sembrò più leggera, e riprese la sua strada.

sofferenzainvidiacroceaccettazioneprogetto di Diofedefiduciaaffidamento

4.0/5 (1 voto)

inviato da Francesco Cipri, inserito il 26/06/2010

RACCONTO

1285. Il tesoro nascosto   3

Martin Buber, Il cammino dell'uomo, Qiqajon

Ai giovani che venivano da lui per la prima volta, Rabbi Bunam era solito raccontare la storia di Rabbi Eisik, figlio di Rabbi Jekel di Cracovia. Dopo anni e anni di dura miseria, che però non avevano scosso la sua fiducia in Dio, questi ricevette in sogno l'ordine di andare a Praga per cercare un tesoro sotto il ponte che conduce al palazzo reale. Quando il sogno si ripetè per la terza volta, Eisik si mise in cammino e raggiunse a piedi Praga. Ma il ponte era sorvegliato giorno e notte dalle sentinelle ed egli non ebbe il coraggio di scavare nel luogo indicato. Tuttavia tornava al ponte tutte le mattine, girandovi attorno fino a sera. Alla fine il capitano delle guardie, che aveva notato il suo andirivieni, gli si avvicinò e gli chiese amichevolmente se avesse perso qualcosa o se aspettasse qualcuno. Eisik gli raccontò il sogno che lo aveva spinto fin li dal suo lontano paese. Il capitano scoppiò a ridere: "E tu, poveraccio, per dar retta a un sogno sei venuto fin qui a piedi? Ah, ah, ah! Stai fresco a fidarti dei sogni! Allora anch'io avrei dovuto mettermi in cammino per obbedire a un sogno e andare fino a Cracovia, in casa di un ebreo, un certo Eisik, figlio di Jekel, per cercare un tesoro sotto la stufa! Eisik, figlio di Jekel, ma scherzi? Mi vedo proprio a entrare e mettere a soqquadro tutte le case in una città in cui metà degli ebrei si chiamano Eisik e l'altra metà Jekel!". E rise nuovamente. Eisik lo salutò, tornò a casa sua e dissotterrò il tesoro con il quale costruì la sinagoga intitolata "Scuola di Reb Eisik, figlio di Reb Jekel". "Ricordati bene di questa storia - aggiungeva allora Rabbi Bunam - e cogli il messaggio che ti rivolge: c'è qualcosa che tu non puoi trovare in alcuna parte del mondo, eppure esiste un luogo in cui la puoi trovare".

tesororicchezzaricercascopertainterioritàricerca di senso

5.0/5 (1 voto)

inviato da Luca, inserito il 26/06/2010

RACCONTO

1286. Il cuore

Martin Buber, Storie e leggende chassidiche, Mondadori

Rabbi Mendel soleva dire che tutti gli uomini che gli avevano chiesto di pregare Dio per loro gli passavano nella mente quando diceva la tacita preghiera delle Diciotto Benedizioni (preghiera che si recita tre volte al giorno stando in piedi).

Un giorno un tale si stupì che ciò fosse possibile, poiché il tempo non bastava certo. Rabbi Mendel rispose: "Una traccia della pena di ognuno rimane incisa nel mio cuore. Nell'ora delle preghiera io apro il mio cuore e dico: Signore del mondo, leggi ciò che è scritto qui!".

preghieraintercessionecomunione

1.0/5 (1 voto)

inviato da Elena Calvini, inserito il 26/06/2010

RACCONTO

1287. Il grande burrone   6

Bruno Ferrero, Cerchi nell'Acqua, ElleDiCi

Un uomo sempre scontento di sé e degli altri continuava a brontolare con Dio perché diceva: "Ma chi l'ha detto che ognuno deve portare la sua croce? Possibile che non esista un mezzo per evitarla? Sono veramente stufo dei miei pesi quotidiani!" Il Buon Dio gli rispose con un sogno. Vide che la vita degli uomini sulla Terra era una sterminata processione. Ognuno camminava con la sua croce sulle spalle. Lentamente, ma inesorabilmente, un passo dopo l'altro. Anche lui era nell'interminabile corteo e avanzava a fatica con la sua croce personale. Dopo un po' si accorse che la sua croce era troppo lunga: per questo faceva fatica ad avanzare. "Sarebbe sufficiente accorciarla un po' e tribolerei molto meno", si disse, e con un taglio deciso accorciò la sua croce d'un bel pezzo. Quando ripartì si accorse che ora poteva camminare molto più speditamente e senza tanta fatica giunse a quella che sembrava la meta della processione. Era un burrone: una larga ferita nel terreno, oltre la quale però cominciava la "terra della felicità eterna". Era una visione incantevole quella che si vedeva dall'altra parte del burrone. Ma non c'erano ponti, né passerelle per attraversare. Eppure gli uomini passavano con facilità. Ognuno si toglieva la croce dalle spalle, l'appoggiava sui bordi del burrone e poi ci passava sopra. Le croci sembravano fatte su misura: congiungevano esattamente i due margini del precipizio. Passavano tutti, ma non lui: aveva accorciato la sua croce e ora era troppo corta e non arrivava dall'altra parte del baratro. Si mise a piangere e a disperarsi: "Ah, se l'avessi saputo...".

La croce è l'unica via di salvezza per gli uomini, l'unico ponte che conduce alla vita eterna.

crocesalvezzaaccettazione

5.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran2, inserito il 26/06/2010

RACCONTO

1288. Il cavallo nel pozzo   4

Un giorno, il cavallo di un contadino cadde in un pozzo. Non riportò alcuna ferita, ma non poteva uscire da lì con le sue proprie forze. Per molte ore l'animale nitrì fortemente, disperato, mentre il contadino pensava a cosa avrebbe potuto fare.

Finalmente, il contadino prese una decisione crudele: pensò che il cavallo era già molto vecchio e non serviva più a niente, e anche il pozzo ormai era secco ed aveva bisogno di essere chiuso in qualche maniera. Così non valeva la pena sprecare energie per tirar fuori il cavallo dal pozzo. Allora chiamò i suoi vicini perché lo aiutassero a interrare vivo il cavallo.

Ciascuno di essi prese una pala e cominciò a gettare della terra dentro il pozzo. Il cavallo non tardò a rendersi conto di quello che stavano facendo, e pianse disperatamente. Tuttavia, con sorpresa di tutti, dopo che ebbero gettato molte palate di terra, il cavallo si calmò.

Il contadino guardò in fondo al pozzo e con sorpresa vide che ad ogni palata di terra che cadeva sopra la schiena, il cavallo la scuoteva, salendo sopra la stessa terra che cadeva ai suoi piedi. Così, in poco tempo, tutti videro come il cavallo riuscì ad arrivare alla bocca del pozzo, passare sopra il bordo e uscire da lì, trottando felice.

La vita ti getta addosso molta terra, tutti i tipi di terra. Soprattutto se tu sei già dentro un pozzo. Il segreto per uscire dal pozzo è scrollarsi la terra che portiamo sulle spalle e salire sopra di essa. Ciascuno dei nostri problemi è un gradino che ci conduce alla cima. Possiamo uscire dai buchi più profondi se non ci daremo per vinti. Adoperiamo la terra che ci tirano per fare un passo verso l'alto!

Ricordati di queste cinque regole per essere felice:
1. Libera il cuore dall'odio.
2. Libera la mente dalle eccessive preoccupazioni.
3. Semplifica la tua vita.
4. Dà in misura maggiore e coltiva meno aspettative.
5. Ama di più e... accetta la terra che ti tirano, poiché essa può essere la soluzione e non il problema.

vitasperanzadisperazionedifficoltàreagireaccettazioneserenitàforza interiore

4.8/5 (4 voti)

inviato da Padre Giorgio Bontempi, inserito il 26/06/2010

RACCONTO

1289. Un bicchiere di latte - Si raccoglie quello che si semina   2

Un giorno, un ragazzo povero che vendeva merci porta a porta per pagarsi gli studi all'università, si trovò in tasca soltanto una moneta da 10 centesimi, e aveva fame. Decise che avrebbe chiesto qualcosa da mangiare nella prossima casa, ma i suoi nervi lo tradirono quando gli aprì la porta una donna stupenda. Al posto di qualcosa da mangiare chiese un bicchiere d'acqua. Lei pensò che il giovane sembrava affamato, e dunque gli portò un bel bicchiere di latte. Lui lo bevve piano, e allora chiese: "Quanto devo?". "Non mi deve niente", rispose lei. "Mia madre ci ha insegnato che dobbiamo essere sempre caritatevoli con coloro che hanno bisogno di noi". E lui disse: "Allora la ringrazio di cuore!". Quando Howard Kelly andò via da quella casa, non soltanto si sentì più sollevato, ma anche la sua fede in Dio e negli uomini era diventata più forte. Era stato sul punto di arrendersi e di lasciare gli studi a causa della sua povertà.

Qualche anno dopo la donna si ammalò in modo grave. I medici del paese erano preoccupati. Alla fine la inviarono alla grande città. Chiamarono il Dott. Howard Kelly per un consulto. Quando lui sentì il nome del paese da dove proveniva la paziente, sentì negli occhi una luce particolare e una gradevole sensazione. Immediatamente il Dott. Kelly salì dalla hall dell'ospedale fino alla stanza di lei. Vestito con il suo grembiule da dottore entrò a vederla. Capricci del destino, era lei, la riconobbe subito. Ritornò alla stanza determinato a fare tutto il possibile per salvare la sua vita. Da quel giorno seguì quel caso con la maggiore attenzione, lei subì un'operazione a cuore aperto e si recuperò molto lentamente. Dopo una lunga lotta, lei vinse la battaglia! Era finalmente recuperata! Giacché la paziente era fuori pericolo, il Dott. Kelly chiese all'ufficio amministrativo dell'ospedale che gli inviassero la fattura con il totale delle spese, per approvarla. La ricontrollò e la firmò. Inoltre scrisse qualcosa sui margini della fattura e la inviò alla stanza della paziente.

La fattura arrivò alla stanza della paziente, ma lei aveva paura di aprirla, perché sapeva che avrebbe lavorato per il resto della sua vita per pagare il conto di un intervento così complicato. Finalmente la aprì, e qualcosa attirò la sua attenzione. Sui margini della fattura lesse queste parole: "Pagata completamente molti anni fa con un bicchiere di latte Firmato: Dott. Howard Kelly". I suoi occhi si riempirono di lacrime di gioia e il suo cuore fu felice e benedisse il dottore per averle ridato la vita.

speranzacaritàamoreseminarebenegratuitàgratitudine

4.5/5 (2 voti)

inviato da Marianna Mundo, inserito il 26/06/2010

RACCONTO

1290. Battista il tartarughino misterioso   2

Ero assopito nei miei pensieri quando incontrai, per la prima volta, un semplice e carino tartarughino. Mi colpì subito, era diverso dagli altri perché era misterioso. Facemmo subito amicizia e la prima cosa che feci lo battezzai Battista, e con tutte le mie capacità cercai di scoprire il mistero che ogni tanto lo faceva entrare nel suo guscio.

Non mi fermai alla sua apparente sicurezza perché capì che aveva tanto bisogno di tenerezza.

Mi armai di tanto buon senso e pazienza e cominciai a portarlo nel mondo della fantasia e dei sogni, nonostante la realtà fosse ben diversa. Lo portai nel mio mondo fatto di tenerezza e magia e cercai di fargli assaporare quella dolcezza che non si vede se non con gli occhi del cuore.

Tutto faceva sperare al meglio, anche perché iniziammo la terapia dello scioglimento che consiste a fare esercizi nel dire ciò che si prova senza vergogna e paura. Una cosa per lui molto difficile e molto più faticosa di un duro allenamento di sport.

Con il tempo siamo diventati molto complici, io e Battista, anche se a volte si chiude completamente e non mi lascia entrare nel suo guscio. Pensa che non potrà mai più migliorare e che non potrà dare più di tanto. Quindi i suoi "ti voglio bene" timidi non sa quanto gli giovano.

Battista non sa che grazie a lui ho scoperto me stesso: lui è il mio specchio e mi ha dato la possibilità di conoscermi.

Alla fine la terapia serve a tutti e due e anche se verranno momenti di pausa, credo in lui e so che un giorno mi mostrerà senza paura tutta la sua tenerezza e allora si potrà dire che il nostro è un rapporto magico e speciale.

amiciziainterioritàtimidezzaaperturaaprirsi agli altrichiusura

5.0/5 (1 voto)

inviato da Chianese Raffaella, inserito il 26/06/2010

RACCONTO

1291. Il Cieco di Gerusalemme   1

Nardo Masetti

È disperato. Ha perduto la vista all'improvviso e a nulla sono valse le cure dei medici. Ora non ha più denaro; tutti lo hanno abbandonato. È ormai deciso: prima o poi la farà finita con una vita tanto misera. Un giorno sente parlare di un certo Gesù che guarisce tutti, che a Gerico ha persino ridato la vista a un cieco nato, che non chiede nessun compenso per le sue prestazioni: anzi, assieme alla salute del corpo, ridona la gioia di vivere. Si trascina giorno dopo giorno, Dio solo sa come, fino a Gerusalemme, poiché gli hanno detto che lui è là. Ora si aggira per le viuzze della città santa, mentre il sole è al tramonto. In Gerusalemme regna un silenzio profondo, troppo profondo, perché si azzardi a gridare quel nome nel quale ha riposto ogni sua speranza. Si accovaccia per terra e attende il mattino.

Si sveglia mentre attorno lui c'è già il brusio, che caratterizza l'inizio di giornata in una grande città. Raccoglie le idee, si alza in piedi e, porgendo le mani ai passanti, come se volesse chiedere l'elemosina, cerca di fermare qualcuno. Una donna ascolta la sua domanda e gli risponde: "Gesù non lo potrai più incontrare, il Sinedrio lo ha condannato; lo hanno crocifisso una decina di giorni fa. Il cieco si sente perduto. Poi gli balena un'idea improvvisa e supplica la donna: "Ti prego portami al Tempio o da uno dei componenti il Sinedrio". Ella lo accompagna e lo presenta a uno dei sacerdoti che incontrano nell'atrio della casa del Signore. Questi conferma al povero uomo la notizia che già sapeva: Gesù è stato condannato e ucciso. Il cieco implora: "Guariscimi tu dalla mia cecità, o fammi guarire da uno dei membri del Sinedrio, o da Ponzio Pilato!". Il sacerdote, sbalordito, a fatica riesce a fargli comprendere come lui non ha il potere di fare miracoli e come non possa pretenderlo dal Sinedrio e tanto meno dal Procuratore romano... Si fa un silenzio assoluto da parte della folla, che nel frattempo si era radunata, e tutti volgono uno sguardo interrogativo al sacerdote che, triste e vergognoso, guadagna frettolosamente l'interno del sontuoso edificio di culto. Il cieco continua ad interrogare la folla: Era tanto buono, ma perché l'hanno ucciso?!

Il cieco è seduto sul muricciolo che delimita la spianata del Tempio, con lo sguardo vuoto puntato alla pianura che non vede, ma che intuisce sotto di sé. È venuto il momento di portare a compimento il suo progetto: basta una salto oltre la balconata e tutto è fatto. All'improvviso sente un tocco sulla spalla; non vi fa caso. Poi sente insistente una voce che gli suggerisse di guardare la valle meravigliosa, il colle di ulivi, il sole che splende alto e illumina tutto di colori sgargianti. Un grido gli rimane strozzato in gola: sì, vede tutte quelle cose come un tempo. Vede tutto fuorché "Colui" che lo ha toccato: è scomparso. Entra nel Tempio e si mette a riflettere: allora è vero quello che molti vanno dicendo, cioè che Gesù è risorto e sta apparendo qua e là ai suoi discepoli; ed è apparso pure a lui. Una gioia sovrumana invade il suo essere; una sola nube l'offusca: non è riuscito a ringraziare il Signore. Ma subito si rasserena. Quell'"Uomo" lo avrebbe rivisto a suo tempo, e per ringraziarlo dell'immenso dono avrebbe avuto a disposizione tutta l'eternità.

speranzadisperazionefedelucerisortorisurrezioneGesù

5.0/5 (1 voto)

inviato da Don Nardo Masetti, inserito il 26/06/2010

TESTO

1292. Affidarsi allo Spirito

Carlo Maria Martini

Affidarsi allo Spirito significa riconoscere che in tutti i settori arriva prima di noi, lavora più di noi e meglio di noi; a noi non tocca né seminarlo, né svegliarlo, ma anzitutto riconoscerlo, accoglierlo, assecondarlo, seguirlo.

Anche nel buio del nostro tempo, lo Spirito c'è e non si è mai perso d'animo: al contrario sorride, danza, penetra, investe, avvolge, arriva là dove mai avremmo immaginato.

Spirito Santo

5.0/5 (1 voto)

inviato da Qumran2, inserito il 29/05/2010

TESTO

1293. Guardate il cielo   1

N. Valentini - L. Žàk [a cura], Pavel A. Florenskij, Non dimenticatemi. Le lettere dal gulag del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, Milano 2000, p. 418

Osservate più spesso le stelle. Quando avrete un peso nell'animo, guardate le stelle o l'azzurro del cielo. Quando vi sentirete tristi, quando vi offenderanno, intrattenetevi col cielo. Allora la vostra anima troverà la quiete.

turbamentooffesepaceabbandono in Dio

3.0/5 (1 voto)

inviato da Anna Barbi, inserito il 19/05/2010

RACCONTO

1294. Gli animali dell'eremita   2

Si racconta di un vecchio anacoreta eremita: una di quelle persone che per amore a Dio si rifugiano nella solitudine del deserto, del bosco o delle montagne per dedicarsi solamente alla orazione e alla penitenza. Molte volte si lamentava di essere sempre occupatissimo.

La gente non capiva come fosse possibile che avesse tanto da fare nel suo ritiro. Ed egli spiegò:
«Devo domare due falconi, allenare due aquile, tenere quieti due conigli, vigilare su un serpente, caricare un asino e sottomettere un leone.»

«Non vediamo nessun animale vicino alla grotta dove vivi. Dove sono tutti questi animali?»

Allora l'eremita diede una spiegazione che tutti compresero.

«Questi animali li abbiamo dentro di noi.
I due falconi, si lanciano sopra tutto ciò che gli si presenta, buono e cattivo.
Devo allenarli perché si lancino solo sopra le buone prede...
Sono i miei occhi.

Le due aquile con i loro artigli feriscono e distruggono.
Devo allenarle perché si mettano solamente al servizio e aiutino senza ferire...
Sono le mie mani.

E i conigli vanno dovunque gli piaccia, tendono a fuggire gli altri e schivare le situazioni difficili.
Gli devo insegnare a stare quieti anche quando c'è una sofferenza, un problema o qualsiasi cosa che non mi piaccia...
Sono i miei piedi.

La cosa più difficile è sorvegliare il serpente anche se si trova rinchiuso in una gabbia con 32 sbarre.
E' sempre pronto a mordere e avvelenare quelli che gli stanno intorno appena si apre la gabbia, se non lo vigilo da vicino, fa danno...
E' la mia lingua.

L'asino è molto ostinato, non vuole fare il suo dovere.
Pretende di stare a riposare e non vuole portare il suo carico di ogni giorno...
E' il mio corpo.

Finalmente ho necessità di domare il leone, vuole essere il re, vuole essere sempre il primo,
È vanitoso e orgoglioso...
Questo è... il mio cuore.»

conversionedominio di sépenitenzalinguaorgogliolotta spiritualeimpegno

5.0/5 (2 voti)

inviato da Qumran, inserito il 03/05/2010

RACCONTO

1295. Cicatrici   1

In un caldo giorno d'estate nel sud della Florida, un bambino decise di andare a nuotare nella laguna dietro casa sua. Uscì dalla porta posteriore correndo e si gettò in acqua nuotando felice. Sua madre lo guardava dalla casa attraverso la finestra e vide con orrore quello che stava succedendo. Corse subito verso suo figlio gridando più forte che poteva. Sentendola il bambino si allarmò e nuotò verso sua madre ma era ormai troppo tardi.

La mamma afferrò il bambino per le braccia, proprio quando il caimano gli afferrava le gambe. La donna tirava determinata, con tutta la forza del suo cuore. Il coccodrillo era più forte, ma la mamma era molto più determinata e il suo amore non l'abbandonava. Un uomo sentì le grida, si precipitò sul posto con una pistola e uccise il coccodrillo. Il bimbo si salvò e, anche se le sue gambe erano ferite gravemente, poté di nuovo camminare.

Quando uscì dal trauma, un giornalista domandò al bambino se voleva mostrargli le cicatrici sulle sue gambe. Il bimbo sollevò la coperta e gliele fece vedere.

Poi, con grande orgoglio si rimboccò le maniche e disse: "Ma quelle che deve vedere sono queste". Erano i segni delle unghie di sua madre che l'avevano stretto con forza. "Le ho perché la mamma non mi ha lasciato e mi ha salvato la vita".

Anche noi abbiamo cicatrici di un passato doloroso. Alcune sono causate dai nostri peccati, ma alcune sono le impronte di Dio quando ci ha sostenuto con forza per non farci cadere fra gli artigli del male. Ricorda che se qualche volta la tua anima ha sofferto.... è perché Dio ti ha afferrato troppo forte affinché non cadessi!

sofferenzaamore di Diosalvezzaabbandono in Dio

4.3/5 (3 voti)

inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 15/04/2010

RACCONTO

1296. L'arcobaleno della nostra vita   3

Nella nostra vita non c'è niente di preconfezionato, ogni cosa ce la dobbiamo costruire con i vari colori che formano la realtà.

Il BIANCO è il colore principale che servirà come base. È la quotidianità, il voler costruire, giorno dopo giorno, pezzo dopo pezzo, la tua vita, che è unica e insostituibile.

Poi c'è il ROSSO che ci ricorda il sangue, la lotta, la passione, la sofferenza, i sacrifici... Sì, lo so, che quest'ultima parola non va di moda, ma è comunque essenziale.

Ecco l'AZZURRO che ricorda il cielo, la serenità, la gioia, la condivisione... l'allegria dello stare insieme agli altri.

Il GIALLO è il colore del successo, del benessere del pane abbondante che ci viene donato ogni giorno.

Il VIOLA è il colore della riflessione, del silenzio, della meditazione... del trovare noi stessi.

Poi c'è il VERDE il colore della natura, della speranza, dei passaggi, dell'attesa, della risurrezione... della vita.

L' ARANCIONE è la capacità di rinnovarsi, di affrontare le cose in modo nuovo, vincendo la noia e la ripetitività di ogni giorno.

Ecco, prendi tutti questi colori e con essi vedi di dipingere l'affresco della tua vita. Non pensare che sarà un lavoro semplice, e nemmeno che te la caverai facilmente. L'affresco finirà solo con la tua vita; ma è nelle sapiente combinazione di questi colori che troverai ciò che hai sempre desiderato.

Come in natura i colori si uniscono formando un unico arcobaleno, così il Dio della vita, fedele alle sue promesse di alleanza, ci invita a divenire UNO in lui armonizzando le nostre ricchezza doni, diversità e carismi. Questo è l'affresco che siamo chiamati a dipingere.

carismiunitàvitadoni di Dio

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inviato da Enrica, inserito il 25/03/2010

RACCONTO

1297. L'asinello che portò Gesù   3

Mariolina Puddu

In un campo pascolavano un'asina con il suo puledro. Era stato svezzato da poco e talvolta, quando si metteva nei guai, cercava ancora il conforto della sua mamma.

Il suo nome era Lollo e aveva grandi orecchie appuntite e occhioni scuri, intelligenti e furbi. Come tutti i cuccioli era birbaccione, chiassoso, prepotente. Appena poteva si allontanava verso i confini del campo cercando di sconfinare e, quando il padrone andava a riprenderlo, puntava le zampe sul terreno e non c'era modo di smuoverlo. Bisognava trascinarlo e quanto erano acuti i suoi ragli di protesta! Il padrone ancora non si decideva a metterlo al lavoro: era talmente giovane e testone!

Una bella mattina di primavera giungono nel campo degli uomini, parlottano un po' col padrone e poi cominciano a guardare verso Lollo. Erano venuti infatti a fare una richiesta curiosa che riguardava proprio lui. Questi uomini erano servi di un tale, un certo Nazareno e, mandati da questo, volevano in prestito proprio Lollo. Serviva al loro Maestro per entrare in Gerusalemme.

Il padrone era perplesso: "Macché Lollo! Per il vostro Maestro ci vuole un cavallo. Io non ce l'ho, ma il mio vicino è un soldato e certamente sarà contento di prestarvi il suo bel cavallo bianco".

Ma quelli insistevano, si erano proprio fissati! Volevano un asino che fosse giovane che non avesse mai lavorato. "E' il Maestro che lo chiede - dicevano - ma non temere te lo restituiremo".

Il padrone alzava gli occhi al cielo: "Ma allora proprio non capite, quest'asino non è adatto! E' prepotente, testone e farà fare a me e al vostro Maestro una brutta figura. E' capace di fermarsi in mezzo alla strada e di non voler più camminare, se gli gira, incomincia a ragliare così forte e non la finisce più, e poi, morde!".

E i servi a lui: "Così come è, lo vuole il Maestro, e Lui non sbaglia! Se ha chiesto quest'asino avrà i suoi buoni motivi!". Il padrone allora, avvilito, prende un pezzo di corda, lo butta intorno al collo di Lollo e lo consegna ai servi. Lollo è troppo interessato alla faccenda per pensare a fare i capricci, e docile si lascia legare e condurre fuori del campo.

Fatta poca strada arrivano a un bivio, poco fuori Gerusalemme. Ci sono uomini, donne e anche bambini che attorniano un giovane uomo. I servi dirigono proprio verso di Lui: "Ecco, Maestro, questo è l'asino che avevi chiesto". Il Maestro si volta, si avvicina a Lollo, allunga una mano, lo accarezza sulla testa e lo guarda. Anche Lollo alza gli occhi verso questo bizzarro Maestro che ha voluto a tutti i costi averlo come cavalcatura, e i suoi occhi si immergono nello sguardo del Maestro: "Mai nessuno mi aveva guardato così" - dirà poi Lollo - "neanche la mia mamma". E' come se con un solo sguardo il Maestro mi dicesse: "Non temere, va bene così. Sì sei un po' un brigante, ma ce la puoi fare. Io mi fido di te e ti voglio bene! Coraggio! Cominciamo questo viaggio, sarai tu a portarmi a Gerusalemme".

Lollo sente come un fuoco dentro il suo cuore, è contento e un po' ha voglia di piangere, senza motivo... Mansueto si lascia mettere un mantello rosso sulla groppa, si lascia montare dal Maestro e, lentamente, incominciano il loro viaggio verso Gerusalemme. Via via che si avvicinano alla città la gente diventa più numerosa. Stendono per terra dei mantelli rossi, hanno in mano dei rami di palma e di ulivo, li agitano e gridano: "Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nell'alto dei cieli!".

Lollo si sente davvero un asinello importante... Tutti fanno festa alla persona che lui sta portando in groppa, bardato con quel bel manto rosso! Anche i bambini fanno festa e alcune bambine portano dei fiori.

Ad un tratto una voce si leva dalla folla e chiede: "Chi è quest'uomo?".
Qualcuno risponde: "E' Gesù, da Nazareth di Galilea!".
"Che cosa ha fatto?".
"Io sono vedova, Gesù ha risuscitato il mio unico figlio. Eccolo!".
"Io ero muto per colpa di un demonio e Gesù mi ha liberato".
"Io avevo questa mano come morta e lui mi ha detto: Stendila! E la mia mano è tornata come nuova! Ha fatto bene ogni cosa!".

Lollo ascolta tutto quello che la gente dice sull'uomo che sta accompagnando a Gerusalemme. "Ora capisco perché alcuni chiamano Gesù il Signore!". La folla è al colmo della gioia e della festa. Gesù è pronto per entrare nel tempio. Prima di allontanarsi, con la mano sfiora lentamente il muso dell'asinello. Gesù e Lollo si guardano per un lungo istante.

Gesù capisce ciò che l'asinello gli vuol dire:
"Grazie Signore di avermi cercato.
Tu hai avuto bisogno di me e hai avuto fiducia in me!
D'ora in poi, anche se non credo che riuscirò ad essere sempre bravo, voglio provare ad essere come tu mi vedi.
Forse scalcerò ancora e certamente raglierò ogni tanto ma non potrò mai dimenticare che hai avuto fiducia in me.
Grazie Gesù, anche io ti voglio bene".

domenica delle palmefiduciasguardo di Dio

5.0/5 (1 voto)

inviato da Mariolina Puddu, inserito il 25/03/2010

PREGHIERA

1298. Preghiera a San Giuseppe

Giuseppe, uomo del silenzio
e della contemplazione,
insegnaci a leggere con fede la storia,
a scoprire come il Padre nascostamente
operi sempre negli eventi
senza alterarne il corso:
aiutaci perché ciascuno risponda
alle personali attese di Dio
come tu hai risposto.
Amen.

storiasan giuseppefede

5.0/5 (1 voto)

inviato da Cesarina Volontè, inserito il 21/03/2010

PREGHIERA

1299. A San Giuseppe

San Giuseppe, patrono della Chiesa,
tu che accanto al Verbo incarnato
lavorasti ogni giorno per guadagnare il pane,
traendo da lui la forza di vivere e di faticare;
tu che hai provato l'ansia del domani,
l'amarezza della povertà,
la precarietà del lavoro:
irradia ancor oggi l'esempio della tua figura,
umile davanti agli uomini
ma grandissima davanti a Dio:
guarda all'immensa famiglia che ti è affidata.
Benedici la Chiesa,
sospingendola sempre più sulla vita
della fedeltà evangelica;
proteggi i lavoratori
nella loro dura esistenza quotidiana,
difendendoli dallo scoraggiamento,
dalla rivolta negatrice,
come dalle tentazioni dell'edonismo.
Prega per i poveri,
che continuano in terra la povertà di Cristo,
suscitando per essi
le continue provvidenze dei loro fratelli più dotati.
Custodici la pace nel mondo,
quella pace che sola può garantire
lo sviluppo dei popoli
e il pieno compimento delle umane speranze:
per il bene dell'umanità,
per la missione della Chiesa,
per la gloria della Santissima Trinità.
Amen.

lavoroumiltàpovertàpacesan giuseppe

inviato da Cesarina Volontè, inserito il 21/03/2010

PREGHIERA

1300. La preghiera dei navigatori di Facebook   4

Patrizio Righero, Pastorale Giovanile Diocesi Pinerolo

In questo angolo del mondo digitale, Signore,
ci sono centinaia di nomi,
appiccicati alle pareti di una casa
che esiste solo sullo schermo e nella mia fantasia.

Li chiamo "amici",
ma molti di loro li conosco poco,
altri solo di vista,
altri ancora sono poco più che volti
(a volte nemmeno quelli!).

Qualcuno non l'ho incontrato,
qualcun altro vive dall'altra parte del mondo;
con qualcuno condivido molto,
con altri poco o nulla.
Alcuni li ho scelti.
Altri hanno scelto me.

E ora sono qui,
sulla mia home
come sorelle e fratelli,
posti sulla mia rotta virtuale.

Te li affido, Signore,
uno per uno.
Ti affido le loro speranze,
le loro paure,
i loro progetti di felicità.

Rendimi, per loro,
immagine - sia pur sbiadita!-
del tuo amore paziente e misericordioso.
Rendimi amico vero,
pronto ad ascoltare,
a condividere, a esserci.

Rendimi apostolo,
capace di annunciare,
anche sul Web
il tuo Vangelo di salvezza.

Ti ringrazio, Signore,
per questo spazio immenso,
per questa vita a colori,
per questi incontri che forse non sono così casuali.

Tuttavia, Signore,
di chiedo di non lasciarmi affogare
in questo mare di finta compagnia:
risveglia in me il desiderio
di uscire là fuori,
di ascoltare voci reali,
di abbracciare persone autentiche
e stringere amicizie vere.
Amen.

facebookinternetsocial network

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inviato da Qumran2, inserito il 04/03/2010

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