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24 novembre 2024
XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) - CRISTO RE
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TESTO
don Tonino Bello, www.mosaicodipace.it
Carissima Rut, avrei voluto scriverti in ben altra circostanza.
Per approfondire ad esempio le ragioni di quell'universalismo della salvezza che hanno indotto Dio a includere anche te, unica straniera nell'albero della genealogia ebraica di Gesù.
Non ti nascondo infatti che quando nella messa viene proclamata la lista degli antenati di Cristo tramandataci da Matteo, mi sorprende e mi commuove sentir pronunciare il tuo nome di donna fugace come un fremito d'ala. Sembra un nome abbreviato per pudore. O intimidito di comparire in mezzo al ferrigno scrosciare dei nomi di tanti maschioni.
Ti scrivo, invece, perché voglio sfogare con qualcuno la tristezza che mi devasta l'anima in questi giorni, alla vista di tanti stranieri che hanno invaso l'Italia, e verso i quali la nostra civiltà, che a parole si proclama multirazziale, multiculturale, multietnica, multireligiosa e multinonsoché non riesce ancora a dare accoglienze che abbiano sapore di umanità.
So bene che il problema dell'immigrazione richiede molta avvedutezza e merita risposte meno ingenue di quelle fornite da un romantico altruismo. Capisco anche le «buone ragioni» dei miei concittadini che temono chi sa quali destabilizzazioni negli assetti consolidati del loro sistema di vita. Ma mi lascia sovrappensiero il fatto che si stenti a capire le «buone ragioni» dei poveri allo sbando e che in questo esodo biblico non si riesca ancora a scorgere l'inquietante malessere di un mondo oppresso dall'ingiustizia e dalla miseria.
Tu mi sembri, allora, l'interlocutrice più adatta delle mie confidenze, dal momento che, avendo coniugato il verbo accogliere non solo nella forma attiva ma anche nella forma passiva, hai sperimentato la durezza dell'emigrazione nella duplice fase: l'esilio in patria e la ghettizzazione in terra straniera.
Non tutti conoscono la tua storia. Perciò mi scuserai se, nel rievocarne alcuni particolari, sfiorerò la discrezione e farò violenza al tuo riserbo.
Vivevi spensierata sulle alture di Moab, al di là del mar Morto, cullando sogni e parlando d'amore con le tue compagne, quando un giorno arrivò nel tuo paese una famiglia di spiantati. Erano stranieri, provenienti dalla terra di Canaan, colpita in quegli anni da una terribile carestia.
Ti impressionò subito la carnagione bruna dei due figli. Uno dei quali si accorse di te.
Ma tu eri ancora ragazzina. Tanto ragazzina, che il cuore si mise a battere di paura quando egli, con i gesti più che con le parole, venne dai tuoi genitori a chiederti come sposa.
Non so se in casa quel giorno accaddero scenate. Ma c'è da supporre che ti rinfacciarono tutta la loro disapprovazione. Che eri il disonore della famiglia. Che non ti avrebbero più riconosciuta come figlia. E che era un infamia girar le spalle tutt'una volta alla propria tradizione, alla propria lingua, alle proprie divinità, per correr dietro a una maledetto sconosciuto. E che, comunque, non avrebbero tollerato mai e poi mai, dopo averti cresciuta come un fiore, di doverti consegnare a uno di quei morti di fame. Accidenti a lui e a tutti quelli della sua razza!
Furono giorni amarissimi, ma alla fine la spuntasti tu, pur pagando caramente il prezzo della tua caparbietà.
Ti vedesti così tagliare tutti i ponti, e alla fine rimanesti sola. Al punto che, quando dopo dieci anni di tribolazione tuo marito morì e morirono anche il fratello e il padre di lui, decidesti di seguire Noemi, la suocera addolorata, che, non avendo più nessuno anche lei in quella amarissima terra straniera, volle rimpatriare.
«Dove andrai tu andrò anch'io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu morirò anch'io e vi sarò sepolta».
Varcasti così la frontiera, e cominciò per te la seconda fase della tua esperienza di “diversità”.
Un vero e proprio mestiere non ce l'avevi. Insieme con la qualifica professionale, ti mancava anche il libretto di lavoro, e a Betlemme, dove andasti ad abitare con Noemi, non ti vollero iscrivere nelle liste di collocamento. Sicché, per camparti la vita, essendo il tempo in cui si cominciava a mietere l'orzo, andasti a spigolare furtivamente nelle campagne.
O Dio, non era proprio lavoro nero, ma era certo un lavoro umiliante, perché scartato da tutti ed esposto alle molestie del mietitori.
Meno male che trovasti grazia presso un ricco massaro, un certo signor Booz, il quale ti prese a ben volere e ordinò ai suoi dipendenti: «Lasciatela spigolare anche tra i covoni e non le fate affronto; anzi lasciate cadere apposta per lei spighe dai mannelli; abbandonatele, perché essa le raccolga, e non sgridatela».
Ti andò veramente bene. Anzi meglio di così la sorte non poteva arriderti, dal momento che il massaro cominciò ad avere del tenero per te e addirittura ti volle sposare, tra la meraviglia di tutte le donne di Betlemme che creparono d'invidia. E brava la Moabita!
Carissima Rut, qualcuno potrebbe dire che, a proposito di immigrati, la tua vicenda non fa testo, perché, essendosi conclusa con la fatidica frase «e vissero felici e contenti», sembra appartenere più al genere delle telenovele che ai resoconti del telegiornale o ai servizi di Samarcanda, laddove le storie degli extracomunitari si intridono spesso di lacrime e di morte.
Io, invece, penso che nelle pieghe della tua avventura possiamo leggere il giudizio di Dio su questa impressionante transumanza di gente alla deriva.
La tua storia, insomma, ci interpella non solo con la forza esemplare del paradigma, ma anche con la sollecitazione di risposte intelligenti di fronte al fenomeno della presenza degli stranieri nel nostro territorio.
Anzitutto, ci dice che la fusione di etnie diverse è possibile: anzi, appartiene a quel pacco di progetti che costituiscono la sfida più drammatica per la sopravvivenza della nostra civiltà. La comunicazione con le culture altre, insomma non è un'utopia, né uno sterile sospiro di sognatori.
Quando alle porte della città si celebrarono le tue nozze col massaro di Betlemme, gli anziani rivolsero a Booz tuo marito uno splendido augurio, che vale tutto un trattato sulla integrazione al razziale: «Il Signore renda la donna, che entra in casa tua, come Rachele e Lia, le due donne che fondarono la casa di Israele».
In secondo luogo, la tua storia ci provoca a vincere gli istinti xenofobi che ci dormono dentro. Che si ammantano di ragioni patriottiche. Che scatenano all'interno delle nostre raffinatissime città, inqualificabili atteggiamenti di rifiuto, di discriminazione, di violenza, di razzismo. E che implorano dalle istituzioni con martellante coralità, rigorosi provvedimenti di forza.
Siamo vittime di una insopportabile prudenza, e scorgiamo sempre angoscianti minacce dietro l'angolo.
Perché lo straniero mette in crisi sostanzialmente due cose: la nostra sicurezza e la nostra identità.
Da una parte, infatti, ci toglie il lavoro, ci contende la casa, ci riduce gli spazi, entra in competizione con noi, decostruisce l'articolazione dei nostri interessi economici. Dall'altra, sembra attentare ai nostri connotati, sfida la compattezza del nostro mondo spirituale, relativizza i nostri altari, sfibra il deposito delle nostre tradizioni.
Ebbene, la tua storia ci fa capire che la segregazione è la risposta più sbagliata al problema razziale, così come rappresenta una iattura simmetrica il tentativo di voler assorbire nelle stratificazioni della nostra cultura i tratti emergenti della «diversità» altrui, senza lasciarne neppure la traccia. Solo la progressiva intersezione di aree di valori sarà capace di creare il terreno, calcando il quale nessuno debba sentirsi in esilio.
Grazie, dolcissima Rut, per questo tuo incredibile messaggio di universalità che lasci cadere dai tuoi covoni.
Dietro i quali, alla ricerca dei tratti di un mondo più solidale, siamo venuti anche noi a spigolare.
Luglio 1991
stranierimigrantimigrazionidiversitàaccoglienzaintegrazionemulticulturalità
inviato da Qumran2, inserito il 29/12/2018
PREGHIERA
2. Preghiera per la comunicazione 1
Papa Francesco, Preghiera per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2018
Signore, fa' di noi strumenti della tua pace.
Facci riconoscere il male che si insinua
in una comunicazione che non crea comunione.
Rendici capaci di togliere il veleno dai nostri giudizi.
Aiutaci a parlare degli altri come di fratelli e sorelle.
Tu sei fedele e degno di fiducia;
fa' che le nostre parole siano semi di bene per il mondo:
dove c'è rumore, fa' che pratichiamo l'ascolto;
dove c'è confusione, fa' che ispiriamo armonia;
dove c'è ambiguità, fa' che portiamo chiarezza;
dove c'è esclusione, fa' che portiamo condivisione;
dove c'è sensazionalismo, fa' che usiamo sobrietà;
dove c'è superficialità, fa' che poniamo interrogativi veri;
dove c'è pregiudizio, fa' che suscitiamo fiducia;
dove c'è aggressività, fa' che portiamo rispetto;
dove c'è falsità, fa' che portiamo verità. Amen.
inviato da Qumran2, inserito il 31/05/2018
TESTO
3. Il decalogo del buon comunicatore
Papa Francesco, Messaggio Giornata Comunicazioni Sociali 2016
1. Comunicare con tutti senza esclusione
2. Creare ponti, favorire l'incontro
3. Non spezzare mai la relazione e la comunicazione
4. Attivare un nuovo modo di parlare e di dialogare
5. Orientare le persone verso processi di riconciliazione
6. Superare la logica che separa i peccatori dai giusti
7. Per comunicare bisogna ascoltare
8. Favorire le relazioni nelle reti sociali
9. Costruire una vera cittadinanza anche in rete
10. Generare una prossimità che si prende cura
Riassunto a cura di Alessandro Gisotti, vicecaporedattore della Radio Vaticana, delle indicazioni di Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali 2016.
inviato da Qumran2, inserito il 23/05/2016
RACCONTO
4. Ascolta l'eco della tua vita!
C'era una volta un ragazzo che viveva in un piccolo villaggio sulle montagne e ogni mattina conduceva al pascolo il suo gregge di capre.
Un mattino, mentre era su un sentiero nuovo in una valle stretta, gli sembrò di udire rumore di passi e belati di altri animali. Il ragazzo pensò che ci doveva essere nelle vicinanze un pastore come lui e ne fu felice: gli sarebbe tanto piaciuto avere un amico. Facendo imbuto con le mani davanti alla bocca, gridò: «Chi è là?». Udì una voce che gli rispondeva: «Chi è là? Chi è là? Chi è là?». Le grida venivano da più parti. C'erano tanti pastori sulla montagna? Allora gridò più forte: «Fatevi vedere!». Le voci risposero: «fatevi vedere! Fatevi vedere! Fatevi vedere!». Ma non apparve nessuno. Il ragazzo gridò ancora: «Perché non venite fuori?». Da tutte le direzioni le voci risposero «Venite fuori! Venite fuori!». Il giovane pastore pensò che volessero prenderlo in giro e si rattristò. Allora urlò in tono arrabbiato: «Chi fa così è proprio scemo!». Per tutta la montagna rimbombò: «Scemo! Scemo! Scemo!». Allora il povero pastore tornò in fretta al villaggio. Ora aveva paura a tornare sulla montagna: magari quei pastori avrebbe potuto tendergli un tranello e fargli del male!
Il giorno dopo la madre gli chiese: «Che cos'hai, figlio mio? Perché non vuoi portare le capre al pascolo?». Il ragazzo le raccontò tutto. La madre comprese che non c'era nessuno sulla montagna, soltanto l'eco rimandava al ragazzo le parole che lui stesso aveva gridato.
«Non ti preoccupare, figlio mio», gli disse «Quei pastori non ti vogliono fare alcun male. Hanno solo paura di te e vorrebbero amici. Domani, quando sarai tra le rocce, augura loro il buongiorno e aggiungi qualche frase amichevole! Sono sicura che te la ricambieranno».
Il giorno dopo, quando raggiunse la gola tra i monti, il ragazzo inspirò profondamente e gridò: «Buongiorno!». L'eco rispose: «Buongiorno! Buongiorno! Buongiorno!». Rassicurato, il giovane gridò ancora: «Vorrei essere vostro amico!». L'eco rimbalzo tra le rocce: «Amico! Amico! Amico!».
E' quasi una legge della vita.
Gli altri ti restituiscono sempre l'eco delle tue parole...
comunicazionecomportamentoparolepositivitànegativitàottimismopessimismorapporto con gli altrigentilezzavolgarità
inviato da Qumran2, inserito il 02/02/2016
TESTO
inviato da Qumran2, inserito il 14/04/2014
TESTO
George Orwell, La fattoria degli animali, 1945
Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario.
veritàmenzognaingannocomunicazionecomunicare
inviato da Qumran2, inserito il 20/09/2013
TESTO
Claudio M. Celli, Il silenzio è attivo, in Vita Pastorale n. 5/2012
Il silenzio non è mancanza di comunicazione; il silenzio fa parte del flusso di messaggi e informazioni che caratterizza la nuova cultura della comunicazione.
Il silenzio parla, il nostro silenzio può esprimere la vicinanza, la solidarietà e l'attenzione agli altri.
Il silenzio è un modo forte per esprimere il nostro rispetto e il nostro amore per gli altri. Nel silenzio ascoltiamo l'altro, diamo la priorità alla parola dell'altro. Il silenzio è un atteggiamento attivo. E' il nostro silenzio che permette e dà spazio all'altro per parlare.
Il silenzio rafforza il rapporto, il legame tra due persone. Nel silenzio riesco a capire chi è l'altro e proprio in questo trovo me stesso. Il silenzio mi permette di essere attento al contenuto della comunicazione. E' il silenzio che ci aiuta a vedere... In fondo è nel silenzio che riesco a dare il giusto significato alla comunicazione e non essere solamente sommerso dal volume della stessa comunicazione.
inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 13/03/2013
TESTO
Se basta una parola, non fare un discorso.
Se basta un gesto, non dire una parola.
Se basta uno sguardo, tralascia il gesto.
Se basta il silenzio, tralascia anche lo sguardo.
Fermati prima che ti si dica: Basta!
Blocca il discorso prima che ti si dica: Basta!
Lascia il posto prima che ti si dica: Basta!
Se basta il poco, non affogare nel troppo.
Questo è il canto dell'essenziale,
della sobrietà, dell'ascesi autentica.
Purtroppo è un metodo ignorato dal nostro parlare spesso eccessivo;
è una lezione inascoltata nella comunicazione odierna protesa all'eccesso;
è una proposta rigettata nell'agire quotidiano sempre sopra le righe.
Ti basti l'essenziale nel pensare e nel fare,
nel parlare e nel vedere.
essenzialitàsemplicitàumiltàtranquillitàsobrietàsilenzio
inviato da Maurizio Gasperi, inserito il 20/09/2012
TESTO
Dire parrocchia per noi non significa dire le sue attività pastorali: sogniamo una comunità radicata su un territorio e significativa per esso, in dialogo con tutti e non chiusa sulle proprie iniziative, dove il parroco si sentirà il parroco di tutte le persone e le famiglie che abitano nel quartiere o nel paese. Una parrocchia che ha la sua più alta visibilità nella sua liturgia; che sa andare verso tutti nei luoghi di tutti; che ha nei suoi laici una delle sue risorse più preziose in ordine alla comunicazione del Vangelo negli ambienti e nei luoghi della vita: dove tutti i laici che frequentano l'Eucaristia della domenica si sentono responsabili di testimoniare e annunciare il Vangelo e di far vivere la loro parrocchia con lo stesso affetto con cui si impegnano per la loro famiglia.
chiesacomunitàannunciotestimonianzaparrocchialaici
inviato da Anna Barbi, inserito il 05/08/2012
TESTO
Pino Pellegrino, Marino Gobbin, Omelie per un anno, Vol. 1 - Anno A, Elledici 2004
1. Prima di parlare controlla che il cervello sia inserito.
2. Non parlare di te: lascia che siano gli altri a scoprirlo.
3. Regala parole buone: la scienza sta ancora cercando una medicina più efficace delle parole buone.
4. Non dire tutto ciò che pensi, ma pensa a tutto ciò che dici.
5. Adopera ragioni forti con parole dolci.
6. Quando parli, pensa all'insalata: è buona se ha più olio che aceto.
7. Non basta parlare: bisogna comunicare. Chi parla difficile non comunica.
8. Ascolta! Ascoltare è la forma più raffinata di parlare.
9. Quando senti altrui mancamenti, serra la lingua tra i denti.
10. Parla per ultimo: sarai ricordato per primo.
parlarepredicaresaggezzacomunicarecomunicazioneascoltodolcezzabontàumiltà
inviato da Qumran2, inserito il 07/05/2012
PREGHIERA
11. Ho preso la parola, Signore
Michel Quoist, Preghiere, Marietti, Torino 1963, p. 72.74
Ho preso la parola, Signore, e sono stizzito,
Sono stizzito perché mi sono agitato, speso, con il gesto e con la voce.
Ce l'ho messa tutta nelle mie frasi, nelle mie parole,
E temo di non aver dato l'essenziale.
Perché l'essenziale non è in mio potere, Signore, e le parole sono troppo strette per contenerlo.
Ho preso la parola, Signore, e son inquieto,
Ho paura di parlare, perché è grave;
E' grave disturbare gli altri, farli uscire da loro, immobilizzarli sulla soglia di casa loro;
E' grave trattenerli lunghi minuti, a mani tese, cuore teso, alla ricerca di un lume o di un po' di coraggio per vivere e per agire.
Se io li rimandessi a mani vuote, Signore!
Eppure debbo parlare.
Mi hai donato la parola per alcuni anni, e debbo servirmene.
Son debitore della mia anima agli altri, e sulle mie labbra le parole attendono per trasportarla presso gli altri in lunghi convogli serrati.
Perché l'anima non saprebbe esprimersi se le fosse tolta la parola.
Non si sa nulla del bimbo racchiuso nella sua carne
E la famiglia tutta esulta quando, a sillabe, a parole, a frasi, la sua anima appare davanti alla nostra anima.
Ma la famiglia si raccoglie disperata al capezzale del morente, ascoltando religiosamente le ultime parole, che egli pronuncia.
Egli se ne va, chiudendosi nel silenzio, ed i parenti non conosceranno più la sua anima quando pietosamente ne avranno chiuso gli occhi e serrato le labbra.
La parola è una grazia, Signore, e non ho il diritto di tacere per orgoglio, viltà, negligenza o paura dello sforzo.
Gli altri hanno diritto alla mia parola, alla mia anima, perché ho un messaggio da trasmettere da parte Tua. E nessun altro che me, Signore, sarebbe in grado di dirlo loro.
Ho una frase da pronunciare, breve, forse, ma ripiena della mia vita.
Non mi posso sottrarre.
Ma le parole che lancio debbono essere parole vere.
Sarebbe abuso di fiducia captare l'attenzione altrui se sotto la scorza delle parole non dessi la verità dell'anima.
Le parole che spando debbono essere parole vive, ricche di quanto la mia anima unica ha colto del mistero del mondo e del mistero dell'uomo.
Le parole che dono debbono essere portatrici di Dio, perché le labbra, che mi hai donato, Signore, sono fatte per dire la mia anima, e la mia anima Ti conosce e ti tiene avvinto.
Perdonami, Signore, per aver parlato tanto male;
Perdonami per aver spesso parlato per non dir nulla;
Perdonami i giorni in cui ho prostituito le mie labbra
pronunciando parole vuote,
parole false,
parole vili,
parole in cui Tu non hai potuto infiltrarti.
Sorreggimi quando debbo prendere la parola in un'assemblea, intervenire in una discussione, conversare con un fratello.
Fa soprattutto, o Signore, che la mia parola sia un seme
E che quanti ricevono le mie parole possano sperare una bella messe.
parlareparolacomunicazionecomunicareannuncio
inviato da Maria Fassone, inserito il 20/02/2012
TESTO
12. Il linguaggio del cagnolino 1
Rincasavo frettolosamente nel tardo pomeriggio, desideroso solo di una buona doccia e il solito riposino sul divano. Ero stressato e un po' nervoso per dei problemi sorti al lavoro. Giornata di metà autunno, con una pioggerellina che entrava nelle ossa. Lungo la strada del ritorno, ho incontrato i soliti poveri, ai quali ho dato i soliti spiccioli, ricambiato dai soliti cenni di ringraziamento, ma con la solita insoddisfazione che mi rimaneva dentro dopo quel piccolo gesto di carità. Era facile, troppo facile, mettere le mani in tasca e sentirsi a posto in coscienza. Stavo attraversando la strada che porta a casa mia, quando mi sono accorto che dietro di me camminava un cagnolino tutto bagnato, col pelo arruffato. Mi fermavo e lui si fermava. Camminavo e lui camminava. Davanti al portone di casa ho tentato di accarezzarlo, ma lui si allontanava per poi ritornare vicino. L'acqua che scendeva la vinse sulla curiosità ed entrai in casa. Affacciandomi alla finestra vidi il cagnolino seduto con la testa che guardava in su verso la mia finestra. Allora decisi che aveva fame, scesi e offrii un po' di pane e un po' di latte in una scodella. Ma non dette neanche uno sguardo al cibo, fissava i miei occhi, facendo due passi indietro e ritornando vicino a me. Per tre o quattro volte si allontanava da me e poi ritornava. Non conoscendo affatto il linguaggio canino, intuii però che dovevo seguirlo. E così feci. Mi condusse ai margini di un prato, vicino ad un cespuglio robusto. Si sdraiò davanti ad una cagnolina che stava allattando quattro cuccioli. La bellezza di quella scena mi riempì il cuore di tenerezza e gli occhi di lacrime. Prima, non ha voluto né acqua né cibo, voleva solo che fossi presente. Non conosco il linguaggio degli animali, chissà quante volte non ho capito quello delle persone!
solidarietàamiciziapresenzacomunioneaccoglienzaempatiaaperturacomunicazione
inviato da Don Mauro Manzoni, inserito il 17/03/2011
TESTO
Carlo Carretto, Commento alla preghiera di C. de Foucauld "Padre Mio", ed. Città Nuova
Dio fa di me suo figlio
Altro è fare una stella
altro è fare un figlio.
Altro è fare un fiore
altro è fare un figlio.
Altro è fare una libellula
altro è fare un figlio.
Dio mi ha fatto prima come un frammento di stella e mi ha dato la vita,
poi mi ha disegnato come un fiore e mi ha dato la forma,
poi ancora mi ha infuso la coscienza e mi ha fatto amore.
Io credo all'evoluzione nella creatività di Dio e mi piace pensare che Dio prese materiale dalle rocce per fare il mio corpo e disegni dei fiori per mettere assieme le mie cellule nervose.
Ma quando pensò alla mia coscienza cercò il modello dentro di sé, nella sua vita trinitaria,
e mi fece a sua immagine e somiglianza: comunicazione, libertà, vita eterna.
Tutto ciò significa fare un figlio, perché il figlio è vita della stessa vita del Padre,
è libertà della stessa libertà del Padre,
è comunicazione della stessa comunicazione del Padre.
Ci sono molti disegni nel cosmo visibile e nel cielo invisibile, ma tutti sono espressione di un unico disegno da parte di Dio: fare di me un figlio.
Un figlio che abbia la stessa vita sua e sia eterno, la stessa libertà e sia felice,
la stessa comunicabilità e sia come lui Amore.
Naturalmente il piano non è finito e il lavoro non è compiuto perché non è un lavoro facile.
La storia dell'uomo sulla terra non è che la storia lunga e drammatica e impegnativa della sua trasformazione, che è un'autentica gestazione a figlio di Dio fino al giorno della vera nascita, quando pronuncerà con perfetta coscienza "Padre mio"... e...
entrare nella sua casa a titolo di figlio, non di un quadro che decora la parete;
a titolo di figlio, non di un vaso di fiori;
a titolo di figlio, non di un animale ignaro o assente perché incapace della conoscenza del Padre.
Dio si serve del cosmo e della storia per fare l'ambiente divino della mia nascita a suo figlio.
padrefigliocreazioneuomorapporto con Dio
inviato da Anna Piccirillo, inserito il 11/10/2009
TESTO
Voi dovete essere la radiosità di Gesù stesso. Il vostro sguardo deve essere il suo, le vostre parole le sue. La gente non cerca i vostri talenti, ma Dio in voi. Conducetela a Dio, mai verso voi stessi. Se non la conducete a Dio significa che cercate voi stessi e la gente vi amerà soltanto per voi, non perché le ricorderete Gesù. Il vostro desiderio deve essere di "offrire soltanto Gesù" nel vostro ministero, piuttosto che voi stessi. Ricordate che soltanto la vostra comunione con Gesù porta alla comunicazione di Gesù. Come Gesù era strettamente unito al Padre tanto da essere il suo splendore e la sua immagine, cosi, con la vostra unione con Gesù, voi diventate la sua radiosità, una trasparenza di Cristo, affinché quelli che vi hanno visto in certo qual modo avranno visto lui.
Per poter essere veramente sacerdoti secondo il Cuore di Gesù avete bisogno di pregare molto e di tanta penitenza. Un sacerdote ha bisogno di unire il proprio sacrificio al sacrificio di Cristo se vuole veramente essere una cosa sola con lui sull'altare.
sacerdotepretecelibatoeucaristiaanno sacerdotale
inviato da Luca Peyron, inserito il 26/06/2009
RACCONTO
15. Perché le persone gridano quando sono arrabbiate 3
Un giorno un pensatore indiano fece la seguente domanda ai suoi discepoli:
"Perché le persone gridano quando sono arrabbiate?".
"Gridano perché perdono la calma", rispose uno di loro.
"Ma perché gridare, se la persona è vicina?", disse nuovamente il pensatore.
"Bene, gridiamo perché desideriamo che l'altra persona ci ascolti", replicò un altro discepolo.
E il maestro tornò a domandare: "Allora non è possibile parlargli a voce bassa?".
Varie altre risposte furono date ma nessuna convinse il pensatore.
Allora egli esclamò: "Voi sapete perché si grida contro un'altra persona quando si è arrabbiati? Il fatto è che, quando due persone sono arrabbiate, i loro cuori si allontanano molto. Per coprire questa distanza bisogna gridare per potersi ascoltare. Quanto più arrabbiati sono, tanto più forte dovranno gridare per sentirsi l'uno con l'altro. D'altra parte, che succede quando due persone sono innamorate? Loro non gridano, parlano soavemente. E perché? Perché i loro cuori sono molto vicini. La distanza tra loro è piccola. A volte sono talmente vicini i loro cuori che neanche parlano, solamente sussurrano. E, quando l'amore è più intenso, non è necessario nemmeno sussurrare, basta guardarsi. I loro cuori si intendono. E' questo che accade quando due persone che si amano si avvicinano!".
Infine il pensatore concluse dicendo: "Quando voi discuterete, non lasciate che i vostri cuori si allontanino, non dite parole che li possano distanziare di più, perché arriverà un giorno in cui la distanza sarà tanta che non incontreranno mai più la strada per tornare".
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inviato da Massimo Fasanaro, inserito il 22/06/2009
PREGHIERA
16. Preghiera per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2009
O Trinità santa,
Padre, Figlio e Spirito santo,
che ti manifesti nel mondo
come Dio della comunicazione e della comunione,
noi ti adoriamo, ti benediciamo
e ti riconosciamo presente e operante
nell'oggi della nostra storia.
Innestati in te,
fonte di ogni creatività dell'ingegno umano,
aiutaci a mantenere vivo
il desiderio di connessione gli uni con gli altri,
a intessere con tutti
relazioni sempre più profonde e durature
per promuovere la pace e la giustizia
il rispetto della vita e il bene della creazione.
Partecipando in tempo reale,
a eventi che accadono lontano,
a situazioni che scuotono la nostra coscienza,
fa' che diveniamo più umani, misericordiosi e solidali,
senza dimenticarci quelli di casa,
le persone che incontriamo sul lavoro,
i compagni di scuola, gli amici del tempo libero.
Donaci il coraggio e la forza
di non ricercare e non condividere
parole, immagini, musica e video
che possono offendere
il valore e la dignità dell'essere umano,
e di cestinare, senza indugio, tutto ciò
che alimenta odio, violenza, intolleranza.
Fa' che non cadiamo nell'inganno
di quanti ci vorrebbero ingenui consumatori,
in un mercato di possibilità indifferenti,
dove la scelta in se stessa diviene il bene,
la novità si contrabbanda come bellezza ,
l'esperienza soggettiva soppianta la verità.
La nostra sete di rispetto, dialogo e amicizia,
o Padre,
sia fondata sulla ricerca sincera e reciproca
del vero, del bene e del bello,
dove ognuno possa ritrovare
pienezza di vita,
felicità e gioia duratura.
O Trinità santa,
sii tu la dimora di ogni cuore
che accede e fruisce dei mondi virtuali
affinché possiamo navigare nelle nuove reti digitali,
con cuore semplice e sguardo trasparente,
intelligenza aperta e coscienza illuminata
e realizzare il tuo sogno:
fare dell'intera umanità
un'unica famiglia.
A te la nostra lode
ora e sempre, nei secoli dei secoli.
Amen.
comunicazioneinternetmediafacebook
inviato da Qumran2, inserito il 28/04/2009
TESTO
Come installare il software Amore per rendere poi operativi anche tutti gli altri programmi.
Assistenza tecnica: Sì... come posso aiutarti?
Cliente: Ho deciso di installare Amore. Potete guidarmi nella procedura di caricamento?
Assistenza tecnica: Sì, posso aiutarti. Sei pronto a procedere?
Cliente: Beh, non sono molto esperto, ma credo di essere pronto. Qual è la prima cosa da fare?
Assistenza tecnica: Il primo passo è aprire il Cuore. Hai localizzato dove si trova Cuore?
Cliente: Sì, ma ci sono diversi altri programmi attualmente operativi. Va bene installare Amore con altri programmi aperti?
Assistenza tecnica: Quali sono i programmi aperti?
Cliente: Vediamo. Attualmente sono attivi sofferenze passate, scarsa autostima, risentimenti e rancori.
Assistenza tecnica: Non c'è problema. Amore cancellerà gradualmente sofferenze passate dal tuo sistema operativo attuale. Potrebbe rimanere nella memoria permanente ma non disturberà più gli altri programmi. Alla fine Amore renderà obsoleto scarsa autostima. Però devi chiudere completamente risentimenti e rancori: questi programmi impediscono la corretta installazione di Amore. Puoi chiuderli?
Cliente: Non so come fare a chiuderli. Può spiegarmi come si fa?
Assistenza tecnica: Con piacere. Vai al menu di partenza e clicca su perdono. Ripeti l'operazione finché risentimenti e rancori sono stati completamente cancellati.
Cliente: Bene, ho fatto! Amore ha cominciato a installarsi da solo. È normale?
Assistenza tecnica: Sì, ma ricorda che attualmente ha solo il programma di base. Devi cominciare a collegarti con altri Cuori per scaricare le estensioni.
Cliente: Oh oh. Vedo già un messaggio di errore. Dice, "Errore: il programma non è operativo su supporti esterni." Cosa devo fare?
Assistenza tecnica: Non ti preoccupare. Significa che il software Amore è programmato per operare su cuori interiori, ma non è ancora stato inizializzato sul tuo cuore. In termini non tecnici, vuol dire semplicemente che tu devi Amare te stesso prima di poter amare altri.
Cliente: Che cosa devo fare adesso?
Assistenza tecnica: Vai al menu accettazione di sé, poi apri i seguenti file: perdonarsi, rendersi conto del proprio valore, riconoscere i propri limiti.
Cliente: Bene, fatto.
Assistenza tecnica: Ok. Ora copia questi file nella cartella "Mio Cuore". Il sistema eliminerà automaticamente i file contrari e comincerà a riparare la programmazione difettosa. Devi anche cancellare autocritica soffocante da tutte le cartelle e svuotare il cestino per assicurarti che il file sia eliminato completamente e non torni mai più.
Cliente: Bene. Ehi! Il mio cuore si sta riempiendo di file nuovi. È comparso sorriso sul mio monitor, e pace e soddisfazione si stanno copiando in tutto il mio cuore. È normale?
Assistenza tecnica: Succede. Qualche volta ci vuole del tempo, ma alla fine tutto arriva al momento giusto. Bene, Amore è installato e operativo. Ancora una cosa prima di interrompere la comunicazione: Amore è un software gratuito. Se fai circolare Amore e le sue estensioni a tutti quelli che incontri, verrà condiviso con molti altri e riceverai in cambio dei sottoprogrammi utili.
Cliente: Grazie, Dio.
amoreinterioritàaccettazione di séaccettazioneperdonopaceserenità
inviato da Miriam Bolfissimo, inserito il 07/09/2008
TESTO
Tonino Bello, Nigrizia, novembre 1990, p. 53
Se i personaggi del vangelo avessero avuto una specie di contachilometri incorporato, penso che la classifica dei più infaticabili camminatori l'avrebbe vinta Maria. Gesù a parte, naturalmente. Ma si sa, egli si era identificato a tal punto con la strada, che un giorno ai discepoli invitati a mettersi alla sua sequela confidò addirittura: «Io sono la via». La via. Non un viandante!
Siccome allora Gesù è fuori concorso, a capeggiare la graduatoria delle peregrinazioni evangeliche è lei: Maria. La troviamo sempre in cammino, da un punto all'altro della Palestina, con uno sconfinamento anche all'estero. Viaggio di andata e ritorno da Nazaret verso i monti di Giuda, per trovare la cugina. Viaggio fino a Betlem. Di qui a Gerusalemme, per la presentazione al tempio.
Espatrio clandestino in Egitto. Ritorno guardingo in Giudea e poi di nuovo a Nazaret. Finalmente, sui sentieri del Calvario, ai piedi della Croce, dove la meraviglia espressa da Giovanni con la parola stabat, più che la pietrificazione del dolore per una corsa fallita, esprime l'immobilità statuaria di chi attende sul podio il premio della vittoria.
Icona del camminare, la troviamo seduta solo al banchetto del primo miracolo. Seduta, ma non ferma. Non sa rimanersene quieta. Non corre col corpo, ma precorre con l'anima. E se non va lei verso l'ora di Gesù, fa venire quell'ora verso di lei, spostandone indietro le lancette, finché la gioia pasquale non irrompe sulla mensa degli uomini.
Sempre in cammino. E per giunta in salita. Da quando si mise in viaggio verso la montagna, fino al giorno del Golgota, anzi fino al crepuscolo dell'Ascensione, quando salì anche lei con gli apostoli «al piano superiore» in attesa dello Spirito, i suoi passi sono sempre scanditi dall'affanno delle alture.
Avrà fatto anche discese, e Giovanni ne ricorda una quando dice che Gesù, dopo le nozze di Cana, discese a Cafarnao insieme con sua madre. Ma l'insistenza con cui il Vangelo accompagna con il verbo "salire" i suoi viaggi a Gerusalemme, più che alludere all'ansimare del petto o al gonfiore dei piedi, sta a dire che la peregrinazione terrena di Maria simbolizza tutta la fatica di un esigente itinerario spirituale.
Santa Maria, donna della strada, come vorremmo somigliarti nelle nostre corse trafelate, ma non abbiamo traguardi. Siamo pellegrini come te, ma senza santuari verso cui andare. Camminiamo sull'asfalto, e il bitume cancella le nostre orme. Forzati del camminare, ci manca nella bisaccia di viandanti la cartina stradale che dia senso alle nostre itinerante.
E con tutti i raccordi anulari che abbiamo a disposizione, la nostra vita non si raccorda con nessun svincolo costruttivo, le ruote girano a vuoto sugli anelli dell'assurdo, e ci ritroviamo inesorabilmente a contemplare gli stessi panorami.
Santa Maria, donna della strada, fa' che i nostri sentieri siano, come lo furono i tuoi, strumenti di comunicazione con la gente e non nastri isolanti entro cui assicuriamo la nostra aristocratica solitudine. Liberaci dall'ansia della metropoli e donaci l'impazienza di Dio. L'impazienza di Dio ci fa allungare il passo per raggiungere i compagni di strada. L'ansia della metropoli, invece, ci rende specialisti del sorpasso. Ci fa guadagnare tempo, ma ci fa perdere il fratello che cammina accanto a noi.
Santa Maria, donna della strada, segno di sicura speranza e di consolazione per il peregrinante popolo di Dio, facci capire come, più che sulle mappe della geografia, dobbiamo cercare sulle tavole della storia le carovaniere dei nostri pellegrinaggi.
È su questi itinerari che crescerà la nostra fede. Prendici per mano e facci scorgere la presenza sacramentale di Dio sotto il filo dei giorni, negli accadimenti del tempo, nel volgere delle stagioni umane, nei tramonti delle onnipotenze terrene, nei crepuscoli mattinali di popoli nuovi, nelle attese di solidarietà che si colgono nell'aria.
Verso questi santuari dirigi i nostri passi. Per scorgere sulle sabbie dell'effimero le orme dell'eterno. Restituisci sapori di ricerca interiore alla nostra inquietudine di turisti senza meta.
Se ci vedi allo sbando, sul ciglio della strada, fermati, Samaritana dolcissima, per versare sulle nostre ferite l'olio della consolazione e il vino della speranza. E poi rimettici in carreggiata. Dalle nebbie di questa valle di lacrime, in cui si consumano le nostre afflizioni, facci volgere gli occhi verso i monti da dove verrà l'aiuto. E allora sulle nostre strade fiorirà l'esultanza del magnificat.
Come avvenne in quella lontana primavera, sulle alture della Giudea, quando ci salisti tu.
stradacamminomariamadonnapellegrinaggio
inserito il 11/01/2008
TESTO
1) Scegli il prefisso giusto, non comporre un numero a caso.
2) Una conversazione telefonica con Dio non è un monologo. Non parlare sempre tu, ma ascolta anche lui che ti parla dall'altro capo.
3) Se la comunicazione si è interrotta, controlla se sei stato tu a far cadere la linea.
4) Non prendere l'abitudine di chiamare Dio nei casi urgenti.
5) Non telefonare a Dio solo nelle ore a tariffa ridotta cioè al termine della settimana. Dovresti riuscire a fare delle brevi chiamate ogni giorno.
6) Ricordati che le chiamate a Dio non costano nulla e sono a sue spese.
7) Controlla che Dio non ti abbia lasciati messaggi registrati nella segreteria telefonica.
Nota bene: se, pur avendo osservato queste regole la comunicazione risulta difficile o disturbata, rivolgiti confidenzialmente allo Spirito Santo. Egli ristabilirà la comunicazione. Se il tuo apparecchio non funziona più portalo a riparare in quell'Ufficio riparazioni che è il sacramento del perdono. Il tuo apparecchio è gratuito a vita e sarai rimesso a nuovo con un intervento gratuito.
rapporto con Diopreghieraconfessionetelefono
inviato da Cosimo Damiano, inserito il 03/05/2006
TESTO
Bruno Ferrero, Bollettino Salesiano, marzo 2005
1°. Il primo dovere di un padre verso i suoi figli è amare la madre. La famiglia è un sistema che si regge sull'amore. Non quello presupposto, ma quello reale, effettivo. Senza amore è impossibile sostenere a lungo le sollecitazioni della vita familiare. Non si può fare i genitori "per dovere". E l'educazione è sempre un "gioco di squadra". Nella coppia, come con i figli che crescono, un accordo profondo, un'intima unione danno piacere e promuovono la crescita, perché rappresentano una base sicura. Un papà può proteggere la mamma dandole in "cambio", il tempo di riprendersi, di riposare e ritrovare un po' di spazio per sé.
2°. Il padre deve soprattutto esserci. Una presenza che significa "voi siete il primo interesse della mia vita". Affermano le statistiche che, in media, un papà trascorre meno di cinque minuti al giorno in modo autenticamente educativo con i propri figli. Esistono ricerche che hanno riscontrato un nesso tra l'assenza del padre e lo scarso profitto scolastico, il basso quoziente di intelligenza, la delinquenza e l'aggressività. Non è questione di tempo, ma di effettiva comunicazione. Esserci, per un papà vuol dire parlare con i figli, discorrere del lavoro e dei problemi, farli partecipare il più possibile alla sua vita. E' anche imparare a notare tutti quei piccoli e grandi segnali che i ragazzi inviano continuamente.
3°. Un padre è un modello, che lo voglia o no. Oggi la figura del padre ha un enorme importanza come appoggio e guida del figlio. In primo luogo come esempio di comportamenti, come stimolo a scegliere determinate condotte in accordo con i principi di correttezza e civiltà. In breve, come modello di onestà, di lealtà e di benevolenza. Anche se non lo dimostrano, anche se persino lo negano, i ragazzi badano molto di più a ciò che il padre fa', alle ragioni per cui lo fa. La dimostrazione di ciò che chiamiamo "coscienza" ha un notevole peso quando venga fornita dalla figura paterna.
4°. Un padre dà sicurezza. Il papà è il custode. Tutti in famiglia si aspettano protezione dal papà. Un papà protegge anche imponendo delle regole e dei limiti di spazio e di tempo, dicendo ogni tanto "no", che è il modo migliore per comunicare: "ho cura di te".
5°. Un padre incoraggia e dà forza. Il papà dimostra il suo amore con la stima, il rispetto, l'ascolto, l'accettazione. Ha la vera tenerezza di chi dice: "Qualunque cosa capiti, sono qui per te!". Di qui nasce nei figli quell'atteggiamento vitale che è la fiducia in se stessi. Un papà è sempre pronto ad aiutare i figli, a compensare i punti deboli.
6°. Un padre ricorda e racconta. Paternità è essere l'isola accogliente per i "naufraghi della giornata". E' fare di qualche momento particolare, la cena per esempio, un punto d'incontro per la famiglia, dove si possa conversare in un clima sereno. Un buon papà sa creare la magia dei ricordi, attraverso i piccoli rituali dell'affetto. Nel passato il padre era il portatore dei "valori", e per trasmettere i valori ai figli basta imporli. Ora bisogna dimostrarli. E la vita moderna ci impedisce di farlo. Come si fa a dimostrare qualcosa ai figli, quando non si ha neppure il tempo di parlare con loro, di stare insieme tranquillamente, di scambiare idee, progetti, opinioni, di palesare speranze, gioie o delusioni?
7°. Un padre insegna a risolvere i problemi. Un papà è il miglior passaporto per il mondo " di fuori". Il punto sul quale influisce fortemente il padre è la capacità di dominio della realtà, l'attitudine ad affrontare e controllare il mondo in cui si vive. Elemento anche questo che contribuisce non poco alla strutturazione della personalità del figlio. Il papà è la persona che fornisce ai figli la mappa della vita.
8°. Un padre perdona. Il perdono del papà è la qualità più grande, più attesa, più sentita da un figlio. Un giovane rinchiuso in un carcere minorile confida: "Mio padre con me è sempre stato freddo di amore e di comprensione. Quand'ero piccolo mi voleva un gran bene; ci fu un giorno che commisi uno sbaglio; da allora non ebbe più il coraggio di avvicinarmi e di baciarmi come faceva prima. L'amore che nutriva per me scomparve: ero sui tredici anni... Mi ha tolto l'affetto proprio quando ne avevo estremamente bisogno. Non avevo uno a cui confidare le mie pene. La colpa è anche sua se sono finito così in basso. Se fossi stato al suo posto, mi sarei comportato diversamente. Non avrei abbandonato mio figlio nel momento più delicato della sua vita. Lo avrei incoraggiato a ritornare sulla retta via con la comprensione di un vero padre. A me è mancato tutto questo".
9°. Il padre è sempre il padre. Anche se vive lontano. Ogni figlio ha il diritto di avere il suo papà. Essere trascurati, trascurati o abbandonati dal proprio padre è una ferita che non si rimargina mai.
10°. Un padre è immagine di Dio. Essere padre è una vocazione, non solo una scelta personale. Tutte le ricerche psicologiche dicono che i bambini si fanno l'immagine di Dio sul modello del loro papà. La preghiera che Gesù ci ha insegnato è il Padre Nostro. Una mamma che prega con i propri figli è una cosa bella, ma quasi normale. Un papà che prega con i propri figli lascerà in loro un'impronta indelebile.
papàpadregenitorifamigliafiglieducazioneeducare
inviato da Gianni Andrea Granzotto, inserito il 29/09/2005
TESTO
21. Pasqua, festa dei macigni rotolati 1
Tonino Bello, Pietre di Scarto
Vorrei che potessimo liberarci dai macigni che ci opprimono, ogni giorno: Pasqua è la festa dei macigni rotolati. E' la festa del terremoto.
La mattina di Pasqua le donne, giunte nell'orto, videro il macigno rimosso dal sepolcro.
Ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme messa all'imboccatura dell'anima che non lascia filtrare l'ossigeno, che opprime in una morsa di gelo; che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l'altro.
E' il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell'odio, della disperazione del peccato.
Siamo tombe alienate. Ognuno con il suo sigillo di morte.
Pasqua allora, sia per tutti il rotolare del macigno, la fine degli incubi, l'inizio della luce, la primavera di rapporti nuovi e se ognuno di noi, uscito dal suo sepolcro, si adopererà per rimuovere il macigno del sepolcro accanto, si ripeterà finalmente il miracolo che contrassegnò la resurrezione di Cristo.
pasquaresurrezionerisurrezionerinascitavita nuovapeccatosperanza
inviato da Don Giovanni Benvenuto, inserito il 29/07/2004
TESTO
Nella preghiera eucaristica ricorre una frase che sembra mettere in crisi certi moduli di linguaggio entrati ormai nell'uso corrente, come ad esempio l'espressione "nuove povertà".
La frase è questa: "Signore, donaci occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli...". Essa ci suggerisce tre cose.
Anzitutto che, a fare problema, più che le "nuove povertà", sono gli "occhi nuovi" che ci mancano. Molte povertà sono "provocate" proprio da questa carestia di occhi nuovi che sappiano vedere. Gli occhi che abbiamo sono troppo antichi. Fuori uso. Sofferenti di cataratte. Appesantiti dalle diottrie. Resi strabici dall'egoismo. Fatti miopi dal tornaconto. Si sono ormai abituati a scorrere indifferenti sui problemi della gente. Sono avvezzi a catturare più che a donare. Sono troppo lusingati da ciò che "rende" in termini di produttività. Sono così vittime di quel male oscuro dell'accaparramento, che selezionano ogni cosa sulla base dell'interesse personale. A stringere, ci accorgiamo che la colpa di tante nuove povertà sono questi occhi vecchi che ci portiamo addosso. Di qui, la necessità di implorare "occhi nuovi". Se il Signore ci favorirà questo trapianto, il malinconico elenco delle povertà si decurterà all'improvviso, e ci accorgeremo che, a rimanere in lista d'attesa, saranno quasi solo le povertà di sempre.
Ed ecco la seconda cosa che ci viene suggerita dalla preghiera della Messa. Oltre alle miserie nuove "provocate" dagli occhi antichi, ce ne sono delle altre che dagli occhi sono "tollerate". Miserie, cioè, che è arduo sconfiggere alla radice, ma che sono egualmente imputabili al nostro egoismo, se non ci si adopera perché vengano almeno tamponate lungo il loro percorso degenerativo. Sono nuove anch'esse, nel senso che oggi i mezzi di comunicazione ce le sbattono in prima pagina con una immediatezza crudele che prima non si sospettava neppure. Basterà pensare alle vittime dei cataclismi della storia e della geografia. Ai popoli che abitano in zone colpite sistematicamente dalla siccità. Agli scampati da quelle bibliche maledizioni della terra che ogni tanto si rivolta contro l'uomo. Alle turbe dei bambini denutriti. Ai cortei di gente mutilata per mancanza di medicine e di assistenza. Anche per queste povertà ci vogliono occhi nuovi. Che non spingano, cioè, la mano a voltar pagina o a cambiare canale, quando lo spettacolo inquietante di certe situazioni viene a rovinare il sonno o a disturbare la digestione.
E infine ci sono le nuove povertà che dai nostri occhi, pur lucidi di pianto, per pigrizia o per paura vengono "rimosse". Ci provocano a nobili sentimenti di commossa solidarietà, ma nella allucinante ed iniqua matrice che le partorisce non sappiamo ancora penetrare. La preghiera della Messa sembra pertanto voler implorare: "Donaci, Signore, occhi nuovi per vedere le cause ultime delle sofferenze di tanti nostri fratelli, perché possiamo esser capaci di aggredirle". Si tratta di quelle nuove povertà che sono frutto di combinazioni incrociate tra le leggi perverse del mercato, gli impianti idolatrici di certe rivoluzioni tecnologiche, e l'olocausto dei valori ambientali, sull'altare sacrilego della produzione. Ecco allora la folla dei nuovi poveri, dagli accenti casalinghi e planetari.
Sono, da una parte, i terzomondiali estromessi dalla loro terra. I popoli della fame uccisi dai detentori dell'opulenza. Le tribù decimate dai calcoli economici delle superpotenze. Le genti angariate dal debito estero. Ma sono anche i fratelli destinati a rimanere per sempre privi dell'essenziale: la salute, la casa, il lavoro, la partecipazione. Sono i pensionati con redditi bassissimi. Sono i lavoratori che, pur ammazzandosi di fatica, sono condannati a vivere sott'acqua e a non emergere mai a livelli di dignità. Di fronte a questa gente non basta più commuoversi. Non basta medicare le ustioni a chi ha gli abiti in fiamme. I soli sentimenti assistenziali potrebbero perfino ritardare la soluzione del problema. Occorre chiedere "occhi nuovi".
"Donaci occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli". Occhi nuovi, Signore. Non cataloghi esaustivi di miserie, per così dire, alla moda. Perché, fino a quando aggiorneremo i prontuari allestiti dalle nostre superficiali esuberanze elemosiniere e non aggiorneremo gli occhi, si troveranno sempre pretestuosi motivi per dare assoluzioni sommarie alla nostra imperdonabile inerzia. Donaci occhi nuovi, Signore.
povertàricchezzagiustiziaingiustiziafame nel mondomondialitàcaritàamoresolidarietàattenzione agli altrisofferenza
inviato da Don Giosuè Lombardo, inserito il 12/08/2003
PREGHIERA
Signore, ho peccato,
ho fatto quello che è male
ai tuoi occhi,
ho mancato alla legge dell'amore.
Tu conosci la mia debolezza,
il bene mi attrae ma il male mi trascina.
Tu che conosci il mio presente
e il mio futuro,
aiutami a dire ogni giorno
il sì della verità,
ad evitare il no della facilità.
Sono qui davanti a te, o Signore,
povero e senza valore,
debole e sconvolto
nel corpo e nello spirito.
Il peccato mi ha reso triste,
l'amicizia con te si è indebolita,
la comunicazione con gli altri
si è resa difficile.
Sono qui davanti a te,
perché tu mi ami ancora;
nel peccato non mi abbandoni,
e mi dai il tuo perdono.
Ridonami, o Signore,
la gioia della speranza
e mostrami il cammino
sicuro che porta a te.
pentimentosperanzapeccatoperdono di Dio
inviato da Anna Lianza, inserito il 11/12/2002
PREGHIERA
Vorrei che ognuno di noi avesse quattro chiavi.
Una chiave per la porta che dà sul retro:
il Signore viene,
dove e come non lo sappiamo.
Viene in coloro
che non ardiscono accostarsi alla grande porta maestra.
Una chiave per la porta che dà verso l'interno:
il Signore ci è più intimo del più profondo dell'anima nostra.
Da lì egli entra nella casa della nostra vita.
Una chiave per la porta di comunicazione
che è stata murata, ricoperta con l'intonaco,
quella che dà su ciò che ci sta accanto:
in coloro che ci sono più prossimi,
che sono anche coloro che più ci sono estranei,
il Signore bussa alla nostra porta.
Una chiave per la porta principale, il portale:
su quella soglia Gesù, con Maria e Giuseppe
furono respinti.
Non esitiamo a lasciarlo decisamente
entrare nella nostra vita, nel nostro mondo!
Sapremo essere, oggi, la sua Betlemme?
inviato da Luca Mazzocco, inserito il 03/05/2002
PREGHIERA
Ho appena riagganciato;
Perché ha telefonato?
Ah! Sì, Signore... ci sono.
Fatto sta che ho parlato tanto e ascoltato ben poco.
Perdonami, Signore, ho fatto un monologo e non ho dialogato.
Ho imposto la mia idea e non ho scambiato.
Perché non ho ascoltato, non ho imparato nulla;
Perché non ho ascoltato, non ho portato nulla;
Perché non ho ascoltato, non ho comunicato.
Perdonami, Signore, perché ero in comunicazione,
Ed ora siamo tagliati.
ascoltopreghierarapporto con Dio
inviato da Luca Mazzocco, inserito il 02/05/2002
PREGHIERA
Spirito Santo, che il Padre concede a coloro che credono in Gesù e a lui si sottomettono, riempi di te la nostra vita.
Tu, vivente in noi, ci darai occhi per vedere, orecchie per ascoltare, cuore per convertirci,
bocca per lodare Dio e annunciare le sue meraviglie al mondo.
Spirito Santo, tu sei il dono promesso da Gesù risorto per esseri suoi testimoni.
Spirito Santo, tu sei l'atteso dagli apostoli da Maria e dalle donne che seguirono Gesù.
Spirito Santo, tu vieni a riempire i cuori della tua presenza.
Spirito Santo, tu trasformi i dubbi e i timori colmandoli di gioiosa speranza.
Spirito Santo, tu dai il potere di esprimerci e di essere compresi.
Spirito Santo, tu fai realizzare la vera comunione e comunicazione.
Spirito Santo, tu doni il coraggio di annunziare Gesù Cristo, morto e risorto.
Spirito Santo, tu sciogli la nostra lingua perché possiamo proclamare le meraviglie di Dio.
Spirito Santo, tu sei il dono del Padre a coloro che si sottomettono a Lui.
Spirito Santo, tu vivente in noi, attesti che siamo i figli amati dal Padre.
Spirito Santo, tu conduci i credenti nella via della missione.
Spirito Santo, tu elargisci la tua sapienza e ci fai servire in modo evangelico.
Spirito Santo, tu fai crescere la Chiesa e ne allarghi i confini.
Spirito Santo, tu fai camminare la Chiesa nel timore del Signore.
Spirito Santo, tu consoli la Chiesa, donandole pace.
Spirito Santo, la tua presenza dona la luce e noi vediamo il risorto.
Spirito Santo, in te il Padre consacrò Gesù, riempiendolo di potenza.
Spirito Santo, tu incoraggi i chiamati ad aprire nuove vie al Vangelo.
Spirito Santo, tu fai percorrere le strade del mondo senza timore.
Spirito Santo, tu riservi per te e invii in missione.
Spirito Santo, tu guidi i singoli passi del nostro cammino.
Spirito Santo, tu concedi l'intelligenza per riconoscere la verità e denunciare l'errore.
Spirito Santo, tu riempi di gioia coloro che annunciano la Parola con sincerità.
Spirito Santo, tu guidi la tua Chiesa a scelte sapienti, animate dalla carità.
Spirito Santo, tu crei i profeti e li doni alla Chiesa.
Spirito Santo, tu apri le vie al Vangelo e in esse dirigi gli apostoli.
Spirito Santo, tu fai vivere, con coraggio, le fatiche e le tribolazioni per Cristo.
Spirito Santo, tu costituisci in autorità per guidare a Cristo i fratelli.
Spirito Santo, tu hai parlato per mezzo dei profeti, ora parli per mezzo dei credenti in Gesù.
Spirito Santo, tu trasformi la debole parola umana in annuncio fedele e franco del Regno.
inviato da Filippa Castronovo, inserito il 02/05/2002
ESPERIENZA
27. Stupendo "Presepe vivente" non pubblicizzato a...
In questi giorni tutti i mezzi di comunicazione annunciano che le amministrazioni comunali, le parrocchie, le associazioni, hanno organizzato il: "Presepe vivente a..., nei giorni..., dalle ore... alle ore...; il 6 gennaio l'arrivo dei Magi con i doni...; comparse numero...; scenario suggestivo sul...; prenotarsi allo..., offerta libera" e noi annotiamo le date per poterli vedere tutti. Con questa mia lettera volevo fare anche io un po' di pubblicità ad un presepe reale...
La Società Consumista, Egoista, ha organizzato sulla Campi - Lecce, un presepe vivente, dal 1 gennaio al 31 dicembre (fin quando non ci diamo una mossa); dalle ore 00,00 alle ore 24,00; arrivano i doni (vestiti usati, pasta, olio, burro tutto aiuto CEE). I personaggi (non comparse) sono circa 300; le grotte sono fatte di roulotte bucate, senza finestre, freddissime d'inverno, bollenti in estate; le luminarie: poca luce di giorno (la notte salta sempre perché non avendo il bue e l'asino per riscaldarsi accendono tutti le stufe ed è normale che la piccola cabina elettrica non riesca a mantenere e quindi i vari bambinelli rimangono al freddo e al gelo, riscaldati dalla disperazione dei genitori che danno un po' di calore abbracciandoli, col rischio di soffocarli); gli animali: topi, scarafaggi; i servizi (se così si possono chiamare): una quindicina per 300 persone, acqua fredda; l'assistenza medica (solo le urgenze al pronto soccorso, se fanno in tempo; ma è meglio prevenire che curare). Il resto lo vedrete voi. Ah! Dimenticavo, non bisogna prenotarsi, né fare lunghe code, l'ingresso è gratuito, anzi uscendo da questo presepe vi accorgerete come loro vi avranno dato qualcosa: sì, capirete molte cose della vita. Uscendo non direte Che bello e poi tutto finisce lì. Non avrete parole, ma ve lo ricorderete per tutta la vita. Lo spazio Campo Sosta Panareo per realizzare questo presepe è stato messo a disposizione (e abbandonato) dal Comune di Lecce.
I personaggi di questo presepe mi fanno venire in mente i pastori al tempo di Gesù: non godevano di diritti civili ed erano considerati gli ultimi della società. Vivevano immersi nell'abiezione e dal punto di vista delle norme religiose nell'impurità totale, senza alcuna possibilità di riscatto. Venivano trattati alla stregua di bestie, con una differenza a favore delle bestie: si può tirare un animale caduto in un fosso, ma non un pastore. Proprio a costoro si rivolge l'angelo. Non parole di condanna, ma un annunzio di grande gioia, la nascita di colui che li libererà dall'emarginazione. Quelli che gli uomini avevano confinato nelle tenebre (in un campo sosta) sono i primi a rendersi conto della luce che risplende, mentre quanti vivono nello splendore (ricchezza) rimangono nelle tenebre. Quando Gesù si presenta nella storia, nessun sacerdote di Gerusalemme se ne accorge. I pastori sì, loro se ne andarono dalla grotta "glorificando e lodando Dio": questo era compito esclusivo degli angeli.
Correremo anche noi il rischio di non accorgerci della nascita di Gesù? Ci inginocchieremo davanti ad un bambino fatto di gesso che non soffre né il caldo né il gelo e ci dimenticheremo che nasce in carne ed ossa nel "Campo Sosta Panareo"?. E i musulmani del Campo quella notte ascolteranno gli angeli che canteranno "Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama", e il giorno di Natale, stando ai semafori delle nostre città o davanti alle porte delle nostre chiese, ci annunceranno la grande gioia che Gesù è nato anche per loro. Ci vogliamo impegnare quanto prima a cambiare un po' lo scenario di questo presepe vivente (ci vuole qualche novità per l'anno prossimo)? Andate a vedere e decidete quale modifica apportare. Magari un prefabbricato andrebbe bene.
Santo Natale a tutti.
Natalepovertàsolidarietàcaritàamore
inviato da Fra Angelo De Padova, inserito il 30/04/2002