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PREGHIERA

601. Tu sei i miei giorni   1

don Luigi Serenthà

Signore Gesù,
Tu sei i miei giorni,
non ho altri che te
nella mia vita.

Quando troverò
un qualcosa
che mi aiuta,
te ne sarò immensamente grato;
però Signore,
quand'anche io fossi solo,
quand'anche non ci fosse nulla
che mi dà una mano,
non ci fosse neanche
un fratello di fede
che mi sostiene,
Tu, o Signore, mi basti,
con Te ricomincio da capo.

Tu mi basti, Signore:
il mio cuore,
il mio corpo, la mia vita,
nel suo normale modo di vestire,
di alimentarsi, di desiderare
è tutta orientata a Te.

Io vivo nella semplicità
e nella povertà di cuore;
non ho una famiglia mia,
perché Tu sei la mia casa,
la mia dimora, il mio vestito,
il mio cibo,
Tu sei il mio desiderio.

fiduciaabbandonoprovvidenzarapporto con Dio

inviato da Mariangela Molari, inserito il 11/05/2002

TESTO

602. La guerra più consistente   1

Atenagora di Costantinopoli

Bisogna fare la guerra più consistente
che è la guerra contro noi stessi.
È necessario giungere a disarmarci.
Io ho combattuto questa guerra per molti anni.
È stato terribile. Molto terribile.

Ma posso affermare che adesso sono disarmato.
Non ho paura di niente e di nessuno;
l'amore allontana la paura.
Sono disarmato
dal voler avere ragione,
dal giustificarmi
screditando gli altri.

Non mi chiudo nel mio castello
né m'inorgoglisco delle mie ricchezze.
Accolgo e condivido.
Non mi aggrappo assolutamente
alle mie idee e ai miei progetti.
Se mi si presentano
proposte migliori o almeno buone
Le accetto senza alcun impedimento.

Ho rinunciato a fare confronti.
Ciò che è buono, vero, reale, per me è sempre il meglio.
Per questo non ho paura.
Quando non si possiede nulla
non si ha paura di nulla.

Se uno si disarma,
se smette di possedere,
se si apre al Dio fatto uomo
che fa nuove tutte le cose,
allora Egli fa sparire
il passato negativo
e ci apre il panorama
di un tempo nuovo
in cui tutto è possibile.

guerradisarmoconflittipace

inviato da Filippa Castronovo, inserito il 10/05/2002

TESTO

603. Il principio della carità

Enzo Biagi, Quel che resta di Cristo di Edgarda Ferri

Gesù Cristo ha insegnato cose grandi, grandissime.

Fra tutte, secondo me, il principio della carità e della giustizia si mette al massimo grado dell'insegnamento della sua dottrina: "Non fare agli altri quello, che non vorresti fosse fatto a te". (...) Quello che manca, soprattutto oggi, è la carità. Noi non abbiamo più carità per nessuno. (...)

Gesù ha detto: "Amatevi come fratelli". Ha capovolto tutte le regole della società provocando la più grande trasformazione mai avvenuta da quando l'uomo è comparso sulla terra.

amorecarità

inviato da Gianmarco Marzocchini, inserito il 10/05/2002

TESTO

604. Dalla paura la guerra

Thomas Merton

Alla radice di ogni guerra sta la paura: non tanto la paura che gli uomini hanno gli uni degli altri, quanto la paura che essi hanno di tutto. Non è soltanto che non si fidino gli uni degli altri: non si fidano neppure di se stessi. Se dubitano che qualcuno possa voltarsi ed ucciderli, ancor più dubitano di poter essi stessi voltarsi ed uccidere. In nulla possono riporre la loro fiducia perché hanno cessato di credere in Dio.

Porrete fine alle guerre chiedendo agli uomini di fidarsi di uomini che evidentemente non meritano fiducia? No. Insegnate loro ad amare Dio e ad aver fiducia in Lui; allora essi saranno in grado di amare gli uomini in cui non possono avere fiducia ed oseranno far pace con loro, fidandosi non di loro ma di Dio.

Perché soltanto l'amore - che significa umiltà - può scacciare il timore che sta alla radice di ogni guerra.

Se gli uomini volessero davvero la pace, la chiederebbero a Dio ed Egli la darebbe loro. Ma perché Egli dovrebbe dare al mondo una pace che in realtà il mondo non desidera? Perché quella pace che il mondo sembra desiderare non è affatto pace.

Per alcuni, pace significa semplicemente libertà di sfruttare altri senza pericolo di rappresaglie o di interferenze. Per altri, pace significa la possibilità di derubarsi continuamente a vicenda. Per altri ancora significa facoltà di divorare i beni della terra senza essere costretti a interrompere i propri piaceri per nutrire coloro che vengono affamati dalla loro avidità. E per la grande maggioranza, pace significa semplicemente l'assenza di ogni violenza fisica che possa gettare una ombra su vite dedite alla soddisfazione dei propri appetiti animali di comodità e di piacere.

Molti uomini come questi hanno domandato a Dio ciò che essi credevano fosse la «pace» e si sono chiesti perché le loro preghiere non fossero state esaudite. Essi non potevano comprendere che in realtà erano esaudite. Dio ha lasciato loro ciò che desideravano, perché la loro idea di pace era soltanto un'altra forma di guerra.

Così, invece di amare ciò che tu credi sia la pace, ama gli altri uomini e ama soprattutto Dio. E invece di odiare coloro che credi fomentatori di guerra, odia gli appetiti e il disordine della tua anima, che sono le cause della guerra.

guerrapacepaura

inviato da Don Angelo, inserito il 09/05/2002

TESTO

605. Succede....   2

Alessandro Pronzato

La vita è così... Sono cose che capitano. Succede...
Sì.

Succede che io stia bene e quell'altro languisce in un sanatorio. Succede che io rischi l'indigestione e l'indiano muore di fame.

Succede che io tenga il mio bravo conto in banca e il vicino di casa vada a impegnare una coperta al Monte di Pietà.

Succede che io mi preoccupi per scegliere la villeggiatura e la famiglia di fronte si disperi per il pagamento dell'affitto (due camere in otto).

Succede che io vada in ufficio con l'utilitaria - è più maneggevole della coupé - e lo scaricatore si presenti alle 6 di mattino sulla banchina del porto a vedere se qualcuno ha bisogno delle sue braccia.
Succede che i miei figli ricevano per Natale dei doni favolosi e quella bambina sarda scriva: "Caro Gesù Bambino, vorrei una mela...".
Succede.

Succede che io sia un buon cristiano e quegli altri no.

Succede che io faccia l'elemosina e quegli altri la ricevano.

Succede che io abbia (o mi illuda di avere) Cristo senza la Croce, e quegli altri la croce senza il Cristo.
Succede.

Il gioco della vita è bizzarro. "A chi tocca tocca" (purché tocchi sempre agli altri).

Ma ho già i miei fastidi, io! Perché occuparmi di quelli degli altri?

Che c'entro io?

C'entri, eccome! Dal momento che c'entra anche Dio.

Ecco, ora mi sembra sia possibile rispondere a una semplicissima domanda del catechismo: "Dov'è Dio?".
"Dio è all'altro capo della croce".
La mia croce. Proprio questa. E anche quella dell'altro.

Dovunque ci sia una croce, non c'è che da afferrarla con le mie mani. Da un lato qualsiasi. Dall'altro c'è sempre Lui.
D'ora in poi so dove trovarlo.

crocesofferenzasolidarietàingiustiziapovertà

5.0/5 (1 voto)

inviato da Stefania Raspo, inserito il 09/05/2002

TESTO

606. Dalla parte degli ultimi

don Lorenzo Milani

Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri.

multiculturalitàpovertàingiustizia

inviato da Gianmarco Marzocchini, inserito il 09/05/2002

PREGHIERA

607. Mi hai fatto conoscere

Rabindranath Tagore, Gitanjali, 63

Mi hai fatto conoscere ad amici che non conoscevo. Mi hai fatto sedere in case che non erano la mia. Mi hai portato vicino il lontano, e reso l'estraneo un fratello. In fondo al cuore mi sento a disagio quando abbandono l'abituale rifugio; scordo che il vecchio abita nel nuovo, e là tu stesso hai dimora.

Attraverso la nascita e la morte, in questo oppure in altri mondi, ovunque mi conduci, sei tu, lo stesso, unico compagno della mia vita senza fine, che unisci con legami di gioia il mio cuore a ciò che non è familiare.

Se conosco te nessuno mi sarà estraneo, non vi sarà porta chiusa, né legami.

Oh esaudisci la mia preghiera: ch'io non perda mai la carezza dell'uno nel gioco dei molti.

mondialitàmissionefratellanza universale

inviato da Suor Cristina Giustozzi, inserito il 09/05/2002

PREGHIERA

608. Dinanzi alla colpa

Lucien Jerphagnon

Mio Dio, com'è duro aver torto!
E accettarlo così;
senza cercare scuse,
senza cercare di fuggire
questo peso dell'atto compiuto,
senza cercare di addossarlo ad altri,
o alla società, o al caso,
o alla cattiva sorte.
Senza cercare dieci ragioni valide,
dieci spiegazioni prolisse
per provare agli altri,
e soprattutto a se stessi,
che sono le cose che hanno torto,
e che il mondo è fatto male.
Com'è duro accettare di aver torto!
Senza adirarmi perché nella mia autodifesa
m'intrappolo sempre più,
portando argomenti che non reggono.
Senza voler ad ogni costo
essere infallibile, impeccabile;
e che ancora?
Signore, liberami
dalla paura dinanzi alla colpa
di cui debbo portare le conseguenze.

tortopentimentopenitenzapeccatocorreggersiconversionecambiamento

inviato da Luca Mazzocco, inserito il 08/05/2002

RACCONTO

609. Il giorno degli uomini verdi   1

Bruno Ferrero, Tutte storie

Un giorno Dio, stufo delle guerre e delle violenze che si compivano sulla Terra, riunì tutti gli angeli e tenne loro questo discorso: "Avevo detto agli uomini: amatevi gli uni gli altri, e in vece si detestano, perché non sopportano le loro differenze. Ho deciso di impartire loro una buona lezione. Ordinò che a partire dal 1 maggio 2000 tutti gli esseri umani abbiano la stessa pelle color verde-mela, e che diventino tutti perfettamente uguali."

Il 1 maggio 2000 il professor O'Neil, premio Nobel per la biologia, si svegliò di soprassalto. Scese dal letto di pessimo umore e, guardatosi allo specchio, quasi che gli venne un colpo. Non si riconosceva più! Penso di sognare, ma dopo una bella doccia fredda il risultato non era cambiato, anzi, la sua pelle era di un verde ancor più splendente. Velocemente si recò in cucina per bersi un caffè e trovò la moglie... irriconoscibile, anche lei verde! Si collegò in videoconferenza con il suo collega giapponese Mite Mangiu, ma vide dall'altra parte del monitor una persona altrettanto verde! Erano tutti e due disperati!
Scene simili si ripetevano in ogni angolo del mondo.

Clinton telefonò in fretta al presidente russo, ma quasi che non riconoscevano più le loro voci, anch'esse cambiate, uguali cioè alle voci di tutti gli altri uomini nel mondo.

Alcuni dirottatori del Kashmir minacciavano di uccidere tutti gli indiani sull'aereo, ma non li distinguevano più dagli altri passeggeri e sconsolati si misero a piangere.

Un centinaio di calciatori si spacciarono per Del Piero chiedendo un aumento di stipendio, ma furono tutti scacciati a calcioni, compresi il vero Del Piero, verde anche lui e non solo di bile!

I politici anche loro erano tutti verdi, compreso Bertinotti, mentre i veri "Verdi" diedero le dimissioni perché ormai si ritenevano inutili!

Insomma, era un vero manicomio. Gli occidentali erano tutti sconsolati, avevano perso tutto perché ovviamente banche, borse, industrie non potevano più funzionare, dato che non si distinguevano più direttori da impiegati, lavoratori da ladri opportunisti... In Africa e nel terzo Mondo invece erano contenti, perché adesso non c'era più il colore diverso della pelle come fattore discriminante...

Però la situazione era davvero grave... ovunque regnava il panico.

Ci fu un grande summit di biologi, ma alla fine il professor O'Neil disse che non sapeva proprio che fare.

Di fronte a questa ammissione di impotenza il buon Dio decise di intervenire e di riportare tutto alla normalità.

Con grande sorpresa e gioia indescrivibile il 15 maggio 2000 la gente si risvegliò normale, scoprendo la bellezza dell'essere diversi gli uni dagli altri. La gente corse fuori ad abbracciarsi, russi e ceceni, cattolici e protestanti, musulmani e ebrei, neri e bianchi... fu come una nuova nascita per tutti.

Certo, non tutti i problemi furono risolti, ma almeno nessuno più si sentiva superiore agli altri solo perché era nato in occidente anziché al sud del mondo.

Dio riunì nuovamente tutti i suoi angeli e concluse dicendo: "Chissà fino a quando durerà?".

uguaglianzadifferenzemulticulturalitàrazzismo

inviato da Stefania Raspo, inserito il 08/05/2002

RACCONTO

610. L'uomo con le mani legate   1

C'era un uomo come tutti gli altri. Normale. Aveva qualità positive e negative. Non era diverso da noi.

Una volta bussarono all'improvviso alla sua porta. Quando uscì, si incontrò con certi suoi amici. Erano in molti ed erano arrivati insieme. I suoi amici gli legarono le mani.

Dopo gli spiegarono che così era meglio, che con le mani legate non poteva combinare nulla di male (si dimenticarono però di dirgli che in tal modo non poteva fare neanche qualcosa di buono). E se ne andarono, lasciando una guardia alla porta perché nessuno potesse slegargli le mani.

All'inizio si disperò e cercò di rompere i lacci. Quando si rese conto dell'inutilità dei suoi sforzi, cercò di adattarsi alla nuova situazione. A poco a poco fece in modo di arrangiarsi per sopravvivere con le mani legate. Dapprima gli costava molto anche togliersi le scarpe. Impiegò un giorno ad arrotolarsi una sigaretta. E cominciò a dimenticarsi che prima aveva le mani libere... Passarono molti anni. Quell'uomo arrivò ad adattarsi alle mani legate.

Durante questo tempo, la guardia alla porta gli raccontava, giorno dopo giorno, delle cose cattive che facevano di fuori gli uomini con le mani libere (ma si dimenticava di dirgli delle cose buone che facevano). Continuavano a trascorrere gli anni.

L'uomo con le mani legate si adattò sempre più. E quando il guardiano gli ripeteva che, grazie a quella notte in cui i suoi amici erano venuti per legargli le mani, egli non aveva più avuto la possibilità di fare del male (ma non gli diceva che non aveva più avuto anche la possibilità di fare del bene), quell'uomo cominciò a credere che era meglio, molto meglio, vivere con le mani legate. Erano così belle quelle legature, così tranquillizzanti!

Passarono molti, moltissimi anni. Un giorno i suoi amici sorpresero il guardiano nel sonno, entrarono in casa sua, gli sciolsero i nodi delle corde che gli legavano le mani. "Adesso sei libero", gli dissero.

Ma l'avevano slegato troppo tardi. Le sue mani erano completamente paralizzate.

peccatolibertàlibertà interiore

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

TESTO

611. Regala ciò che non hai

Alessandro Manzoni

Occupati dei guai,
dei problemi del tuo prossimo.
Prenditi a cuore gli affanni,
le esigenze di chi ti sta vicino.
Regala agli altri la luce che non hai,
la forza che non possiedi,
la speranza che senti vacillare in te,
la fiducia di cui sei privo.
Illuminali dal tuo buio.
Arricchiscili con la tua povertà.
Regala un sorriso
quando hai voglia di piangere.
Produci serenità
dalla tempesta che hai dentro.
"Ecco, quello che non hai, te lo do".
Questo è il tuo paradosso.
Ti accorgerai che la gioia
a poco a poco entrerà in te,
invaderà il tuo essere,
diventerà veramente tua
nella misura in cui
l'avrai regalata agli altri.

solidarietàdonare

inviato da Luana Minto, inserito il 08/05/2002

ESPERIENZA

612. La danza del bambino

Teresio Bosco, Madre Teresa di Calcutta, biografia

C'è un episodio, nella vita di madre Teresa, che sconvolge molte convinzioni e lascia pensosi, forse uno degli episodi-chiave per capire questa figura. Lo raccontò lei stessa.

«Durante una notte passata nella stazione di Howrah, a Calcutta, verso mezzanotte quando i treni sono tutti fermi per qualche ora, arrivò una poverissima famiglia che veniva di solito a dormire alla stazione. Erano una madre e quattro figli, dai cinque agli undici anni. La madre era una buffa', piccola cosa avvolta in un sari bianco di cotone, sottile per quella notte di novembre, con i capelli rasi a zero, stranamente per una donna. Aveva con sé dei recipienti di latta, qualche straccetto e dei pezzi di pane, tutto quanto possedeva per sé e per i suoi figli. Erano mendicanti. La stazione era la loro casa.

I bambini, tre ragazze e un bimbo che era il più piccolo, erano come la madre pieni di vivacità. A quell'ora, in piena notte, sedettero tutti su un marciapiede della stazione presso le rotaie, vicino ad altre innumerevoli famiglie e mendicanti solitari che già dormivano tutt'intorno, e fecero il loro pasto serale di pane secco, probabilmente quanto era avanzato a un rivenditore che verso sera lo aveva ceduto a un prezzo bassissimo. Ma non fu un pasto triste. Essi parlavano, ridevano e scherzavano. Sarebbe difficile trovare una riunione di famiglia più felice di quella.

Quando il breve pasto fu finito, andarono tutti a una pompa con grande allegria, si lavarono, bevettero e lavarono i loro recipienti di latta. Poi stesero con cura i loro stracci per dormire vicini, e un pezzo di lenzuolo per coprirsi tutti.

E fu allora che il ragazzino fece qualcosa di assolutamente meraviglioso: si mise a danzare.

Saltava e rideva fra i binari, rideva e cantava sommesso con incontenibile gioia.

Una simile danza, in una simile ora, in così assoluta miseria!».

Madre Teresa affermò tante volte che per noi occidentali, tristi nella nostra ricchezza, rintanati nelle nostre lussuose caverne, il povero è un «profeta». Pur nella miseria dove la nostra economia scaltra l'ha esiliato, egli ci insegna dei valori grandi che noi abbiamo dimenticato: l'amore per gli altri, la gioia che nasce dal gustare le piccole cose, l'amicizia, la capacità di entusiasmarsi per qualche cosa.

«Noi lo aiutiamo ad uscire dalla miseria. Ma lui ci regala qualcosa di più: ci insegna una maniera diversa di vivere: servirsi delle cose, ma non diventare prigionieri delle cose, credere che ci sono valori assai più importanti del denaro: l'amore, il calore della famiglia, il sorriso dei bambini, l'amicizia, la gioia...».

povertàricchezzaessenzialità

inviato da Marianna Sebastiani, inserito il 08/05/2002

RACCONTO

613. Il segreto del paradiso   1

Bruno Ferrero, L'importante è la rosa

Una volta un samurai grosso e rude andò a visitare un piccolo monaco. "Monaco", gli disse "insegnami che cosa sono l'inferno e il paradiso!".

Il monaco alzò gli occhi per osservare il potente guerriero e rispose con estremo disprezzo: "Insegnarti che cosa sono l'inferno e il paradiso? Non potrei insegnarti proprio niente. Sei sporco e puzzi, la lama del tuo rasoio si è arrugginita. Sei un disonore, un flagello per la casta dei samurai. Levati dalla mia vista, non ti sopporto".

Il samurai era furioso. Cominciò a tremare, il volto rosso dalla rabbia, non riusciva a spiccicare parola. Sguainò la spada e la sollevò in alto, preparandosi a uccidere il monaco.
"Questo è l'inferno", mormorò il monaco.

Il samurai era sopraffatto. Quanta compassione quanta resa in questo ometto che aveva offerto la propria vita per dargli questo insegnamento, per dimostrargli l'inferno! Lentamente abbassò la spada, pieno di gratitudine e improvvisamente colmo di pace.

"E questo è il paradiso", mormorò il monaco.

Dopo una lunga ed eroica vita, un valoroso samurai giunse nell'aldilà e fu destinato al paradiso. Era un tipo pieno di curiosità e chiese di poter dare prima un'occhiata anche all'inferno. Un angelo lo accontentò e lo condusse all'inferno.

Si trovò in un vastissimo salone che aveva al centro una tavola imbandita con piatti colmi di pietanze succulente e di golosità inimmaginabili. Ma i commensali, che sedevano tutt'intorno, erano smunti, pallidi e scheletriti da far pietà.

"Com'è possibile?", chiese il samurai alla sua guida. "Con tutto quel ben di Dio davanti!".

"Vedi: quando arrivano qui, ricevono tutti due bastoncini, quelli che si usano come posate per mangiare, solo che sono lunghi più di un metro e devono essere rigorosamente impugnati all'estremità. Solo così possono portarsi il cibo alla bocca".

Il samurai rabbrividì. Era terribile la punizione di quei poveretti che, per quanti sforzi facessero, non riuscivano a mettersi neppur una briciola sotto i denti. Non volle vedere altro e chiese di andare subito in paradiso.

Qui lo attendeva una sorpresa. Il Paradiso era un salone assolutamente identico all'inferno. Dentro l'immenso salone c'era l'infinita tavolata di gente; un'identica sfilata di piatti deliziosi. Non solo: tutti i commensali erano muniti degli stessi bastoncini lunghi più di un metro, da impugnare all'estremità per portarsi il cibo alla bocca.

C'era una sola differenza: qui la gente intorno al tavolo era allegra, ben pasciuta, sprizzante di gioia. "Ma com'è possibile?", chiese il samurai.

L'angelo sorrise. "All'inferno ognuno si affanna ad afferrare il cibo e portarlo alla propria bocca, perché si sono sempre comportati così nella vita. Qui, al contrario, ciascuno prende il cibo con i bastoncini e poi si preoccupa di imboccare il proprio vicino".
Paradiso e inferno sono nelle tue mani. Oggi.

paradisoinfernoaltruismoamoreegoismoserviziogenerositàcaritàdonare agli altri

5.0/5 (1 voto)

inviato da Marianna Sebastiani, inserito il 08/05/2002

TESTO

614. Il sabato

Abraham Joshua Heschel, Il Sabato, ed Garzanti

Il sabato non deve essere mai l'isola intorno a cui si muovono le tempeste dei nostri sei giorni, le nostre sofferenze e le nostre amarezze. Non deve essere mai il settimo giorno quel mondo sospeso, che è completamente distinto dagli altri sei giorni e dalle ore malate, le ore quotidiane del lavoro, della stanchezza, della fatica. Esso invece deve essere come l'architettura che tu metti nell'interno dei sei giorni.

I sei giorni si afflosciano, scivolano dalle mani se il settimo giorno non entra come la struttura, lo scheletro; allora i 6 giorni diventano la settimana.

domenicafesta

inserito il 08/05/2002

RACCONTO

615. La formica n. 49.783.511

Un formicaio ai piedi di un vecchio abete. Milioni di formiche nere corrono senza sosta, perfettamente organizzate. Sezione trasporto aghi e foglie; sezione ricerca semi, insetti, larve; sezione allevamento e cura piccoli; comitato difesa dagli assalti...

Un giorno la formica n. 49.783.511 si fermò. Ansimando s'appoggiò al lungo ago che stava trascinando e alzò lo sguardo. Si sentiva svenire... abituata a scansare i fili d'erba, i sassolini, i bruchi, ora i suoi occhi si smarrivano nell'azzurro immenso del cielo, il cuore le scoppiava d'emozione guardando il grande tronco, i rami ordinati, il verde brillante.

"N. 49.783.511 - gridò il capo settore - gli altri sgobbano e tu poltrisci! T'assegno un quarto d'ora supplementare!".

La sera la formica n. 49.783.511 fece il recupero di lavoro. Poi mentre tutte s'infilavano nelle tane, restò fuori e scoprì le stelle. Un incanto!

Tutta la notte ebbe gli occhi pieni di luce. Da allora i turni supplementari aumentavano, ma lei non si preoccupava. Diceva a tutti: "Alzate gli occhi. c'è qualcosa di grande sopra di noi, non possiamo portare solo larve e semi. Non avete mai guardato nemmeno l'abete!".

La prendevano in giro: "Tu guardi e guardi, ma come riempiamo le riserve di cibo? Chi ripara la casa quando piove?".

La formica n. 49.783.511 lavorava, s'impegnava, rendeva bello il suo formicaio. Ma brontolavano lo stesso: "Se guardare il cielo fosse utile, dovresti essere più brava di noi, invece sei anche tu come noi. Le stelle non servono a niente".

Che volete, per capire che cos'è guardare il cielo bisogna provare, spiegare non si può.

Hai mai provato a spiegare la preghiera? C'è sempre un tizio pieno di "saggezza", che ti risponde: "uomo n. 789.451.331 smettila. Bisogna studiare, lavorare, produrre; fare sport per mantenersi sani; bisogna cambiare il mondo, avere mentalità scientifica; bisogna divertirsi, essere moderni...".

Il formicaio umano va avanti. Io credo d'essere importante perché porto aghi d'abete, o rivoluzionario perché faccio confusione.
E non ho il coraggio di guardare il cielo.

senso della vitaricerca di sensovitastuporeinteriorità

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

RACCONTO

616. Il paese dei cani

Gianni Rodari, Favole al telefono

C'era una volta uno strano piccolo paese. Era composto in tutto di novantanove casette, e ogni casetta aveva un giardinetto con un cancelletto, e dietro il cancelletto un cane che abbaiava.

Facciamo un esempio. Fido era il cane della casetta numero uno e ne proteggeva gelosamente gli abitanti, e per farlo a dovere abbaiava con impegno ogni volta che vedeva passare qualcuno degli abitanti delle altre novantotto casette, uomo, donna o bambino.

Lo stesso facevano gli altri novantotto cani, e avevano un gran da fare ad abbaiare di giorno e di notte, perché c'era sempre qualcuno per la strada.

Facciamo un altro esempio. Il signore che abitava la casetta numero 99, rientrando dal lavoro, doveva passare davanti a novantotto casette, dunque a novantotto cani che gli abbaiavano dietro mostrandogli fauci e facendogli capire che avrebbero volentieri affondato le zanne nel fondo dei suoi pantaloni. Lo stesso capitava agli abitanti delle altre casette, e per strada c'era sempre qualcuno spaventato.

Figurarsi se capitava un forestiero. Allora i novantanove cani abbaiavano tutti insieme, le novantanove massaie uscivano a vedere che succedeva, poi rientravano precipitosamente in casa, sprangavano la porta, passavano in fretta gli avvolgibili e stavano zitte zitte dietro le finestre a spiare fin che il forestiero non fosse passato.

A forza di sentir abbaiare i cani gli abitanti di quel paese erano diventati tutti un po' sordi, e tra loro parlavano pochissimo. Del resto non avevano mai avuto grandi cose da dire e da ascoltare.

Pian piano, a starsene sempre zitti e immusoniti, disimpararono anche a parlare. E alla fine capitò che i padroni di casa si misero ad abbaiare come i loro cani. Loro forse credevano di parlare, ma quando aprivano la bocca si udiva una specie di "bau bau" che faceva venire la pelle d'oca. E così, abbaiavano i cani, abbaiavano gli uomini e le donne, abbaiavano i bambini mentre giocavano, le novantanove villette sembravano diventate novantanove canili.

Però erano graziose, avevano tendine pulite dietro i vetri e perfino gerani e piantine grasse sui balconi.

Una volta capitò da quelle parti Giovannino Perdigiorno, durante uno dei suoi famosi viaggi. I novantanove cani lo accolsero con un concerto che avrebbe fatto diventare nervoso un paracarro. Domandò una informazione a una donna ed essa gli rispose abbaiando. Fece un complimento a un bambino e ne ricevette in cambio un ululato.
"Ho capito, - concluse Giovannino - E' un'epidemia".

Si fece ricevere dal sindaco e gli disse: "Io un rimedio sicuro ce l'avrei. Primo, fate abbattere tutti i cancelletti, tanto i giardini cresceranno benissimo anche senza inferriate. Secondo, mandate i cani a caccia, si divertiranno di più e diventeranno più gentili. Terzo, fate una bella festa da ballo e dopo il primo valzer imparerete a parlare di nuovo".
Il sindaco gli rispose: "Bau! Bau!".

"Ho capito, - disse Giovannino, - il peggior malato è quello che crede di essere sano".
E se ne andò per i fatti suoi.

Di notte, se sentite abbaiare molti cani insieme in lontananza, può darsi che siano dei cani cani, ma può anche darsi che siano gli abitanti di quello strano, piccolo paese.

comunitàlitigareconvivereconflittopacecomunione

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

RACCONTO

617. Dio nascosto nel cuore

Un giorno Dio si stancò degli uomini. Lo seccavano in continuazione, chiedendogli qualsiasi cosa. Allora decise di nascondersi per un po' di tempo. Radunò tutti suoi consiglieri e chiese loro: "Dove mi devo nascondere? Qual è il luogo migliore?". Alcuni risposero: "Sulla cima della montagna più alta della terra". Altri: "No, nasconditi nel fondo del mare, nessuno ti troverà". Altri: "Nasconditi sul lato oscuro della luna; questo è il posto migliore. Come riusciranno a trovarti là?". Allora Dio si rivolse al suo angelo più intelligente e lo interrogò: "Tu dove mi consigli di nascondermi?". L'angelo intelligente, sorridendo, rispose: "Nasconditi nel cuore dell'uomo! E' l'unico posto dove essi non vanno!".

Diorapporto con Dio

inviato da Emilio Centomo, inserito il 08/05/2002

TESTO

618. In principio uomini, infine santi

M. Raymond, L'uomo che si vendicò di Dio

Non ammiro Pietro che rinnega, spergiurando, il Cristo, né la sua fede vacillante quando cammina sulle acque. Ciò nonostante, il suo rinnegamento e la sua esitazione mi sono d'aiuto nel cammino della santità. Anch'io ho vacillato e sono caduto; e se non m'è dato di piangere come Pietro, posso almeno gridare con lui: "Salvami, o Signore, se non vuoi ch'io mi perda!".

Non posso ammirare Saulo che custodisce le vesti dei lapidatori di Stefano e cavalca da Gerusalemme a Damasco, spirante minacce e stragi contro tutti i cristiani. Sotto questo aspetto, Saulo, persecutore dei discepoli di Gesù è, a sua volta, un tipo detestabile. Tuttavia Saulo, divenuto Paolo mi incoraggia. Se lui poté cambiare l'odio in amore, la mia speranza vive ancora.

Analoghe riflessioni si possono fare con molti altri, anzi, con la maggior parte de santi. La debolezza dei loro inizi mi dà la forza, la loro santità finale ispirazione. Ringrazio Iddio per Agostino peccatore trasformato in santo; per Alfonso che, all'età di ottant'anni, dice a un tizio: "Se dobbiamo parlarci, collochiamo fra noi un tavolo: non si sa mai! C'è ancora del sangue nelle mie vene!".

Ringrazio Dio per tutti quelli che da principio non furono che uomini, ma in seguito, con la loro cooperazione, lo sforzo personale e il duro lavoro divennero virtuosi e spirituali.

santitàconversionepeccato

inviato da Mariangela Molari, inserito il 08/05/2002

PREGHIERA

619. Parlami d'Amore (versione 1)   2

Michel Quoist

L'Amore supera l'amore, mio caro.

L'amore è volo d'uccello nel cielo infinito.
Ma il volo dell'uccello
è più che il volteggiare in aria di un esserino di carne,
più che le sue ali innamorate, corteggiate dal vento,
è più che l'indicibile gioia quando muoiono i battiti delle ali
e il corpo in pace plana nella luce.

L'amore è canto di violino che canta il canto del mondo.
Ma il canto del violino
è più che il legno e l'archetto, inerti e solitari,
più che le note in abito da sera che danzano sulla partitura,
e più che le dita dell'artista che corrono sulle corde.

L'amore è luce, per le strade umane.
Ma la luce che si dà
è più che carezza mattutina che apre gli occhi notturni,
più che raggi di fuoco che riscaldano i corpi,
e più che mille pennelli d seta che colorano i volti.

L'amore è fiume d'argento che scorre verso il mare.
Ma il fiume vivo, che indugia o che si affretta,
è più che il suo letto accogliente, scrigno che non trattiene,
più che l'acqua che si arrossa allo sguardo del tramonto,
e più che l'uomo sulla riva che getta l'esca e ne estrae i frutti.

L'amore è veliero che sulle acque fende le onde.
Ma la corsa del veliero
è più che la prora sedotta che penetra il mare, che si offre o i dibatte,
più che le vele frementi sotto il tocco della brezza o gli schiaffi del vento,
è più che le mani del marinaio afferrate al timone,
mentre instancabile insegue la sua selvaggina.

...l'Amore supera l'amore.

L'Amore è soffio infinito, che viene da un altrove e vola verso l'altrove.

L'amore è mente d'uomo che conosce e riconosce il soffio,
è libertà d'uomo che tutto si volge verso di Lui.
L'amore è consenso dell'uomo al soffio che invita,
è cuore dell'uomo che si apre per accoglierlo e donarLo,
è corpo dell'uomo che si raccoglie, disponibile,
perché da Lui abitato, da Lui invaso
prenda il volo verso gli altri,
verso... l'altro,
e perché infine
ciò che era lontano si ricongiunga e si accordi
ciò che era separato diventi uno
e che dall'uno sgorghi una nuova vita.

Clicca qui per un altro testo di Michel Quoist sullo stesso tema.

amoreinnamoramentoamaredonarsigratuitàlibertàcrescerematurità

inviato da Mariangela Molari, inserito il 08/05/2002

PREGHIERA

620. Non andare via, Signore

Rabindranath Tagore

Quando trovi chiusa
la porta del mio cuore,
abbattila ed entra:
non andare via, Signore.

Quando le corde della mia chitarra
dimenticano il tuo nome,
ti prego, aspetta:
non andare via, Signore.

Quando il tuo richiamo
non rompe il mio torpore,
folgorami con il tuo dolore:
non andare via, Signore.

Quando faccio sedere altri
sul tuo trono,
o re della mia vita:
non andare via, Signore.

invocazionerapporto con Dio

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inviato da Luca Mazzocco, inserito il 07/05/2002

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