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RACCONTO
Antico racconto sapienziale
Tre giovani avevano compiuto diligentemente i loro studi alla scuola di grandi maestri. Prima di lasciarsi fecero una promessa: avrebbero percorso il mondo e si sarebbero ritrovati, dopo un anno, portando la cosa più preziosa che fossero riusciti a trovare.
Il primo non ebbe dubbi: partì alla ricerca di una gemma splendida ed inestimabile. Attraversò mari e deserti, salì sulle montagne e visitò città fino a quando non l'ebbe trovata: era la più splendida gemma che avesse mai brillato sotto il sole. Tornò allora in patria in attesa degli amici.
Il secondo tornò poco dopo tenendo per mano una ragazza dal volto dolce ed attraente. "Ti assicuro che non c'è nulla di più prezioso di due persone che si amano" disse. Si misero ad aspettare il terzo amico. Molti anni passarono prima che questi arrivasse. Era infatti partito alla ricerca di Dio. Aveva consultato i più famosi maestri di spiritualità esistenti sulla terra, ma non aveva trovato Dio.
Aveva studiato e letto, ma senza trovare Dio. Aveva rinunciato a tutto, ma Dio non lo aveva trovato. Un giorno, stremato per il tanto girovagare, si abbandonò nell'erba sulla riva di un lago. Incuriosito seguì le affannate manovre di un'anatra che in mezzo ai canneti cercava i piccoli che s'erano allontanati da lei. I piccoli erano numerosi e vivaci, e sino al calar del sole l'anatra cercò, nuotando senza posa tra le canne, finché non ebbe ricondotto sotto la sua ala l'ultimo dei suoi nati.
Allora l'uomo sorrise e fece ritorno al paese. Quando gli amici lo rividero, uno gli mostrò la gemma e l'altro la ragazza che era diventata sua moglie, poi pieni di attesa, gli chiesero: "E tu, che cosa hai trovato di tanto prezioso? Qualcosa di magnifico, se hai impiegato tanti anni. Lo vediamo dal tuo sorriso...".
"Ho cercato Dio" rispose il giovane. "E lo hai trovato? E' per questo che hai impiegato così tanto tempo?" chiesero i due, sbalorditi. "Sì, l'ho trovato e se ho impiegato tanto tempo era perché commettevo l'errore di andare a cercare Dio, mentre in realtà, era Lui che stava cercando me..."
Non devi fare molto, tu. Solo lasciarti trovare da Dio. Lui ti sta cercando.
Clicca qui per un'immagine con questa frase.
ricercatesoropietra preziosaamorericerca di DioDio ci cerca
inviato da Qumran2, inserito il 08/05/2017
PREGHIERA
22. Preghiera dei malati, con Gesù e Maria
Signore, sono il paralitico:
mi hanno calato dal tetto!
Guardami e parla!
Dì anche a me:
àlzati, torna a casa da solo!
Gesù, siamo ciechi!
Non sappiamo dove andare.
Donaci la luce degli occhi
dentro l'anima!
Vieni a dirci: lo voglio,
riacquista la vista.
Gesù, siamo lebbrosi:
non sentiamo più dolore,
e ci consumiamo a poco a poco!
Dì anche a noi:
io ti guarisco!
Gesù, siamo senza speranza!
Stendi la tua mano
dalla tua santa Croce;
ridònaci il palpito dell'anima
col tuo Pane ecucaristico.
Gesù, siamo soli!
Nel nostro dolore
e nel nostro pianto.
Ridònaci la tua Presenza,
per unirci al tuo sacrificio
redentore,
per sentirci una cosa sola con te.
Santissima Vergine,
Madre della Vita,
vogliamo stare con te,
vogliamo guarire,
inviato da Don Vittorio Varca, inserito il 20/03/2017
TESTO
Da ogni parte si afferma che tutti siamo missionari, che la Chiesa per sua natura è missionaria, che esistiamo per evangelizzare.
Mettiti in discussione con il seguente test e poi verifica il tuo punteggio.
Ho orecchie:
- aperte a chi mi parla di lieto annuncio di Gesù
- tese all'inaudito di Dio
- pulite per non essere di freno all'urto dirompente
- fini per lasciar passare i sussurri misteriosi
- libere dal tampone del preconcetto
- liberate da virus velenosi e dal pensiero dominante di oggi.
Ho labbra:
- dolci grazie all'abitudinaria frequenza del buon sapore della Parola
- vere, pronte alla fermezza della verità
- sciolte, non tacciono il nome di Gesù, fonte del mio agire
- attraenti, invitano ad un sincero dialogo evangelico-caritativo.
Ho ginocchia:
- robuste, allenate alla frequenza del tabernacolo, per smuovere il cuore di Dio
- elastiche per abbassarsi davanti al fratello bisognoso
- agili per lanciare più in alto la gioia e la speranza
- umili per rimanere in terreni scomodi.
Ho piedi:
- sensibili e capaci di tornare indietro, come i discepoli di Emmaus
- veloci e capaci di andare rapidamente da chi ha bisogno, come Maria da Elisabetta
- allenàti per andare su ogni tipo di terreno vicino o lontano
- pronti a partire ad ogni invio parrocchiale o extra.
Se hai ritenuto questo test interessante, puoi verificare il risultato del punteggio ottenuto, chiedendo un dialogo personale con il direttore dell'ufficio missionario della tua Diocesi. Sarà ben lieto di incontrare chi è interessato alla collaborazione e all'impegno missionario.
missionarivocazionechiamatamissionarietàdiscernimentoaperturadisponibilitàevangelizzazione
inviato da Silvia Arieti, inserito il 31/01/2017
RACCONTO
Papa Francesco, Udienza Generale del 26 ottobre 2016
Alcuni giorni fa, è successa una storia piccolina, di città. C'era un rifugiato che cercava una strada e una signora gli si avvicinò e gli disse: "Ma, lei cerca qualcosa?". Era senza scarpe, quel rifugiato. E lui ha detto: "Io vorrei andare a San Pietro per entrare nella Porta Santa". E la signora pensò: "Ma, non ha le scarpe, come farà a camminare?". E chiama un taxi. Ma quel migrante, quel rifugiato puzzava e l'autista del taxi quasi non voleva che salisse, ma alla fine l'ha lasciato salire sul taxi. E la signora, accanto a lui, gli domandò un po' della sua storia di rifugiato e di migrante, nel percorso del viaggio: dieci minuti per arrivare fino a qui. Quest'uomo raccontò la sua storia di dolore, di guerra, di fame e perché era fuggito dalla sua Patria per migrare qui. Quando sono arrivati, la signora apre la borsa per pagare il tassista e il tassista, che all'inizio non voleva che questo migrante salisse perché puzzava, ha detto alla signora: "No, signora, sono io che devo pagare lei perché lei mi ha fatto sentire una storia che mi ha cambiato il cuore". Questa signora sapeva cosa era il dolore di un migrante, perché aveva il sangue armeno e conosceva la sofferenza del suo popolo. Quando noi facciamo una cosa del genere, all'inizio ci rifiutiamo perché ci dà un po' di incomodità, "ma... puzza...". Ma alla fine, la storia ci profuma l'anima e ci fa cambiare. Pensate a questa storia e pensiamo che cosa possiamo fare per i rifugiati.
papa francescomigrantirifugiatimisericordiaaccoglienzacaritàsolidarietà
inviato da Qumran2, inserito il 27/10/2016
RACCONTO
25. Egli guarda me e io guardo Lui 4
Bruno Ferrero, Il canto del grillo
Il Santo Curato d'Ars incontrava spesso in chiesa un semplice contadino della sua Parrocchia.
Inginocchiato davanti al Tabernacolo, il brav'uomo rimaneva per ore immobile, senza muovere le labbra.
Un giorno, il Parroco gli chiese:
«Cosa fai qui così a lungo?»
«Semplicissimo. Egli guarda me ed io guardo Lui.»
Puoi andare al tabernacolo così come sei. Con il tuo carico di paure, incertezze, distrazioni, confusione, speranze e tradimenti. Avrai una risposta straordinaria:
«Io sono qui!».
«Che ne sarà di me, dal momento che tutto è così incerto?»
«Io sono qui!»
«Non so cosa rispondere, come reagire, come decidermi nella situazione difficile che mi attende.»
«Io sono qui!»
«La strada è così lunga, io sono così piccolo e stanco e solo...»
«Io sono qui!»
eucaristiaadorazionetabernacolorapporto con Dio
inviato da Qumran2, inserito il 05/09/2016
RACCONTO
Nessuno conosce il mio nome. Quel tale che mi ha fatto entrare nel suo racconto ha detto che sono un samaritano. Mi sta bene così, perché quello che ho fatto è una cosa normale per me. Non ho bisogno di pubblicità. Ma, se volete, ve la racconto, a modo mio.
Era un giorno d'estate e faceva molto caldo. Avevo preparato delle cose da andare a vendere a Gerico. Ormai quella strada la conoscevo bene. L'avevo percorsa tante volte. Dopo la sosta in un alberghetto a Gerusalemme, stavo per ripartire, quando un amico mi ha detto di stare attento, perché in questo periodo la strada era pericolosa. Invocai l'aiuto del Signore e cominciai la discesa verso Gerico. Andavo piano, accompagnando il mio asino che faceva fatica. Era sovraccarico. Dovevo fare attenzione che non finisse in un burrone. Quando, ad una curva della strada, sento qualcuno che si lamenta. Affretto il passo e vedo a terra un pover'uomo, pieno di sangue, più morto che vivo. Faccio fermare l'asino contro una roccia e prendo qualcosa per curarlo. Mi faceva compassione. Lui riesce a dirmi qualche parola. Certo, era stato assalito dai banditi che gli avevano portato via tutto e lo avevano picchiato per bene. Mentre lo medicavo, riesce a dirmi che era passato qualcuno prima di me. Mi pare gente che lavorava al tempio (un sacerdote e un levita), ma non si erano fermati. Si vede che avevano fretta. Ma a me interessava lui. Non lo conoscevo, ma lo sentivo come uno della mia famiglia. L'ho pulito per bene e l'ho fasciato. Poi l'ho messo sull'asino e piano piano siamo arrivati a Gerico. Alla prima locanda, lo affido al proprietario, gli do dei soldi e gli dico di accoglierlo come se accogliesse me. E al ritorno, concludo, aggiungerò il resto. Me ne vado a vendere tutte le merci e chissà perché, faccio dei buoni affari. Finalmente, dopo essermi riposato, ritorno alla locanda e trovo l'amico, sano, in piedi. La storia non lo dice, ma ve lo dico io. Ci abbracciamo felici. Lui riprende la sua strada, io la mia. Forse non ci incontreremo più, ma io so che ho incontrato Dio e quell'uomo è diventato mio fratello. Non mi è costato molto fare questo. Mi hanno insegnato a tenere gli occhi aperti e anche il cuore. Così è stato tutto più facile.
buon samaritanomisericordiaopere di misericordiacaritàcompassioneempatia
inviato da P. Oliviero Ferro, inserito il 25/08/2016
PREGHIERA
Vergine Santa, che hai percorso territori sconfinati, dalla Palestina all'Egitto, e seguendo le orme del Tuo Figlio non ti sei risparmiata nessun cammino, proteggi coloro che, per terra, cielo e mare sono in viaggio per qualsiasi motivo che li spinge a lasciare i loro luoghi d'origine e camminare senza mete e senza confini.
Tu che hai affrontato il primo viaggio della carità, da Nazareth a Ain-Karin, per andare incontro alla tua anziana cugina, insegnaci ad andare incontro, con generosità, alla vita nascente, agli anziani, agli ammalati e a tutti i sofferenti della Terra.
Tu che sei andata da Nazareth a Betlemme, per dare alla luce il Tuo Figlio Gesù, conforta le madri che soffrono per motivi attinenti la loro vita di nutrici e genitrici.
Tu che sei stata costretta a lasciare, per la violenza e il terrore di Erode, con Gesù e Giuseppe, la tua Nazareth, guarda con amore e proteggi coloro che sono immigrati storici o di questi giorni, che sono senza patria e senza un popolo, e che sono fuggiti via per motivi di fame, lavoro, guerre e violenze di ogni genere.
Tu che sei rientrata in Patria con la tua famiglia naturale, fa' che tutti coloro che desiderano ritornare alla loro casa, vicina o lontana, possono farlo senza alcuna difficoltà.
Tu che hai camminato insieme a Gesù, per celebrare la Pasqua nella Gerusalemme terrena, fa' che anche noi possiamo festeggiare la Pasqua eterna, senza perderci nel lungo o breve viaggio nel tempo e che, con il tuo santo aiuto, passiamo raggiungere per sempre Gesù.
Tu che hai seguito Cristo, nel suo peregrinare per portare la dolce parola del Vangelo alla gente del suo tempo, guidaci nel cammino della nuova evangelizzazione, ora e sempre.
Tu, Stella che conduci la Chiesa nel suo impegno apostolico e missionario in tutto il mondo, illumina gli annunciatori della parola del Signore ad essere veri testimoni di Gesù.
Tu che hai accompagnato il tuo Figlio Gesù lungo la via del Calvario, e ti sei incontrata con Lui, nel mezzo del cammino del suo patire, sii vicino alle tante sofferenze di questa umanità, che va in cerca della vera libertà.
Tu, infine, che hai partecipato alla Risurrezione del Tuo Figlio e sei stata la prima ed unica creatura ad essere elevata al cielo in anima e corpo, donaci la possibilità di sperimentare ogni giorno la gioia e la serenità di chi cammina con il cuore e la mente rivolti al Signore, che è Dio Amore e Padre di misericordia.
Tu Vergine e Donna del cammino, Tu Madre Immacolata e Purissima del Redentore, spingi i nostri cuori incontro al Signore della vita e della storia, perché nessuno dei tuoi figli vada perduto nel carcere eterno dell'inferno.
Amen.
mariamadonnacamminoimmigratimigranti
inviato da Padre Antonio Rungi, inserito il 24/05/2016
TESTO
28. Ogni stagione della vita ha un suo paradiso 1
Enzo Bianchi, Il Fatto Quotidiano, 18 maggio 2015
Ogni cristiano che recita il "Credo", la professione di fede, dice: "Credo la resurrezione della carne, la vita eterna. Amen", e questo credere non è periferico, ma fondamentale nella fede cristiana. Il cristiano, dunque, crede che ci sia un dopo la morte, una vita piena per sempre, nella quale non vi saranno più pianto, né dolore, né malattia, né morte, ma la gioia eterna della comunione, attraverso Gesù Cristo, con Dio e con gli uomini e le donne da lui salvati. Anch'io, in quanto cristiano e monaco, aderisco a questa speranza, ma confesso che il mio immaginario è molto personale ed è mutato nelle diverse stagioni della mia vita. La domanda che mi viene posta: "Come immagini il paradiso?", mi spinge dunque a dare diverse risposte.
Innanzitutto, il paradiso è un'immagine che ci viene trasmessa quando siamo piccoli, e così è stato anche per me. Quando morì mia mamma avevo solo otto anni. Chiedevo dov'era andata, perché non riuscivo ancora a comprendere la morte, e mi veniva risposto: è in paradiso, in un bel giardino, e là passeggia tra gli asfodeli, fiori molto profumati. Così immaginavo dunque il paradiso e speravo di andarci presto, per ritrovare mia mamma e vedere questi fiori profumati che nessuno sapeva descrivermi, perché nel Monferrato nessuno li aveva mai visti.
Con la giovinezza e gli studi biblici, elaborai altre immagini, sovente in contrapposizione al possibile esito opposto: gli inferi, luogo di perdizione, lontano da Dio e da tutti gli altri. Il paradiso assumeva le immagini della Bibbia che leggevo e studiavo: un luogo pieno di luce, in cui non era mai notte; un luogo di pace, senza litigi, dispute, violenze, guerre; un banchetto con abbondanza di cibi squisiti e di vini raffinati; tanta musica e la possibilità di stare insieme, in una festa continua... Belle immagini, ma che svanivano velocemente, perché la ragionevole fede mi spingeva a comprendere che il paradiso non era un luogo, bensì una condizione di comunione con il Signore. Mi piaceva però l'immagine del pranzo con piatti sempre nuovi e dal gusto straordinario, dell'ascolto di musiche che rendevano l'eternità sopportabile...
Poi le immagini del paradiso sono cambiate ancora, tra dubbi, rinnovamenti della speranza, a volte anche stanchezza delle immagini stesse e desiderio di rinnovarle. Ora che sono vecchio, il paradiso o l'esito contrario dell'inferno sono sempre più prossimi: non nascondo una certa paura che mi abita al pensiero della morte, perché credo nel giudizio di Dio sulle mie responsabilità, sul mio operare che è stato buono o cattivo.
Spero soprattutto che nessuno vada all'inferno; ma se qualcuno ci va, allora - mi dico - rischio di andarci anch'io, che non mi sento tanto diverso dagli altri nell'acconsentire all'egoismo che mi abita.
E le immagini del paradiso, da vecchio? Sono svanite. Oggi non so dire, non so immaginare, non oso neppure pensare di dire qualcosa che lo descriva. Nella mia fede è solo una cosa: una grande comunione in Gesù Cristo, in cui regnerà l'amore. Sono convinto che chi ho amato qui sulla terra, lo ritroverò anche di là, e così continueranno il nostro amore e la nostra amicizia. Se pensassi di andare di là e di non trovare più i miei amici, preferirei allora non andarci!
Spero di ritrovare questa terra che tanto ho amato, certamente da Dio trasfigurata, ma ancora questa terra con le sue colline, le sue vigne, i suoi boschi... Sì, vorrei che continuassero le "storie d'amore" vissute qui; anzi, che riprendessero quelle che si sono interrotte e, senza gelosie né concorrenze, potessimo tutti insieme bere alle coppe del vino dell'amore.
Per farvi sorridere, cari lettori, vi confesso che ho un'altra paura: di finire sì in paradiso, ma vicino a persone che non mi piacevano, sebbene fratelli o sorelle nella fede e magari anche di rinomata santità. No, questo proprio no! Ma forse, se Dio mi salverà, sarò cambiato tanto da sopportare anche questo. Purché il Signore non mi faccia perdere gli amici, quelli che ho amato bene e quelli che ho amato male: li vorrei con me.
mortevita eternaparadisorapporto con Dioeternitàpienezza
inviato da Simone Pestelli, inserito il 07/02/2016
PREGHIERA
ACR, Cammino 2006-2007, Appendice 12-14
Non vedo molto bene da vicino, Signore.
Almeno le cose che mi riguardano:
i miei errori, i miei difetti.
Mentre inquadro benissimo quelli degli altri:
per me non ne azzeccano una giusta,
sbagliano sempre.
Per caso, secondo te, ho problemi di vista?
Sarà per questo che non distinguo i contorni,
non capisco chi ha bisogno di me.
Confondo le illusioni con le cose importanti.
Trovo che è più importante
apparire una brava persona
piuttosto che esserlo veramente.
Devo avere anche un po' di strabismo.
Vorrei andare di qua e, invece, vado di là,
seguire il bene e cado nella trappola del male.
Se continuerò così, Signore, perderò del tutto la vista.
È ora che mi regali un paio di occhiali nuovi
che mi facciano inquadrare chi sono io veramente.
Mi aiutino ad accorgermi
di chi mi passa accanto perché lo senta come fratello o sorella.
Mi facciano vedere che chi chiede una mano
non è un peso ma una possibilità
per restituire quanto ho ricevuto da te,
che chi non mi è simpatico
rappresenta un' occasione per dimostrare
che esiste un altro modo di stare con gli altri.
Fai in modo, Signore, che con i tuoi occhiali
io ti veda in ogni azione della mia giornata,
da passare in tua compagnia.
attenzionegiudizionon giudicaresolidarietàegoismoaltruismoaperturachiusura
inviato da Qumran2, inserito il 03/02/2016
PREGHIERA
Suor Mariangela Tassielli, Cantalavita.com
Cos'è la tua volontà, Signore?
Come compierla perché
si realizzi e porti vita?
Spesso siamo campane vuote,
e in noi risuonano
echi stonati del tuo Vangelo:
sono i tanti sì che diciamo
in fretta, con superficialità,
senza metterci in gioco,
senza perdere nulla di noi.
Insegnaci, Signore Gesù,
a vivere come te, a rispondere
al Padre come hai fatto tu:
non a parole, ma con la vita,
non con altisonanti promesse
che si perdono nel vento,
ma con scelte umili e coraggiose.
Convertici, Signore,
riportaci a Dio Padre;
insegnaci a invertire
il senso del nostro andare,
per allontanarci dai sentieri
di morte e raggiungere
le sorgenti della vita. Amen
inviato da Suor Mariangela Tassielli, inserito il 03/02/2016
PREGHIERA
31. Vai e fai anche tu come ho fatto io
sr Mariangela frp Tassielli, Paoline
Strade, angoli, piazze e quartieri... sono tanti i luoghi in cui uomini e donne, senza nome, muoiono per indifferenza o solitudine.
Non esistono, Signore, samaritani che appaiono dal nulla. Non ci sono, Gesù, samaritani che arrivano da altri mondi.
Esistiamo noi, con le nostre scelte, E ci sei tu con la tua audace proposta:
«Vai e anche tu fai ciò che ho fatto io. Vai e tendi la mano a chi è povero. Vai e sorridi a chi è solo. Vai e apri il tuo cuore a chi è triste. Vai e abbraccia chi è caduto e sanguina».
Signore Gesù, rendi vera la nostra fede, insegna al nostro cuore ad amare veramente, aiuta le nostre gambe e le nostre mani ad andare verso gli altri, perché il mondo possa scoprire, e sentire il tuo amore, nel nostro credere, amando. Amen.
inserito il 03/02/2016
ESPERIENZA
32. Voi non avrete il mio odio 5
Antoine Leiris è un papà di un bambino di 17 mesi. Fino alle tragedie di Parigi accanto a sé aveva una donna che amava e, quel piccino, una mamma amorosa. Erano una famiglia. Ma non si piega al rancore questo papà francese e ai terroristi che hanno ucciso la moglie, una delle 129 vittime dell'altra sera, lui ha scritto una lettera, affidandola a facebook. Eccola:
Venerdì sera avete rubato la vita di una persona eccezionale, l'amore della mia vita, la madre di mio figlio, eppure non avrete il mio odio. Non so chi siete e non voglio neanche saperlo. Voi siete anime morte. Se questo Dio per il quale ciecamente uccidete ci ha fatti a sua immagine, ogni pallottola nel corpo di mia moglie sarà stata una ferita nel suo cuore. Perciò non vi farò il regalo di odiarvi. Sarebbe cedere alla stessa ignoranza che ha fatto di voi quello che siete. Voi vorreste che io avessi paura, che guardessi i miei concittadini con diffidenza, che sacrificassi la mia libertà per la sicurezza. Ma la vostra è una battaglia persa. L'ho vista stamattina. Finalmente, dopo notti e giorni d'attesa. Era bella come quando è uscita venerdì sera, bella come quando mi innamorai perdutamente di lei più di 12 anni fa. Ovviamente sono devastato dal dolore, vi concedo questa piccola vittoria, ma sarà di corta durata. So che lei accompagnerà i nostri giorni e che ci ritroveremo in quel paradiso di anime libere nel quale voi non entrerete mai. Siamo rimasti in due, mio figlio e io, ma siamo più forti di tutti gli eserciti del mondo. Non ho altro tempo da dedicarvi, devo andare da Melvil che si risveglia dal suo pisolino. Ha appena 17 mesi e farà merenda come ogni giorno e poi giocheremo insieme, come ogni giorno, e per tutta la sua vita questo "petit garçon" vi farà l'affronto di essere libero e felice. Perché no, voi non avrete mai nemmeno il suo odio.
Clicca qui per vedere il post originale su Facebook
Clicca qui per vedere ed ascoltare il testo letto da Donato Intini
inviato da Qumran2, inserito il 19/11/2015
ESPERIENZA
Non molto tempo fa ho accompagnato un amico al cimitero. Non era più giovanissimo ma in buona salute, con la moglie era in una casetta in montagna quando di notte un infarto gli ha chiuso gli occhi per sempre.
Aveva lasciato detto che il suo corpo fosse cremato, così per la prima volta sono andato al crematorio al Cimitero dei Lupi, non mai avuto occasione, non sono un frequentatore di cimiteri: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti» (Mt 8,22) ha detto Gesù. Le persone che ho amato le porto con me tutti i giorni e andare a visitare il luogo della conservazione dei loro resti biologici non è tra i miei interessi. Quando per diversi motivi sono andato nei cimiteri cittadini avevo fatto l'abitudine a un ordine caotico, con tutte le tombe in fila una accanto all'altra, una sopra l'altra; tra quelle tombe troviamo l'abbandono con vasi vuoti, i fiori secchi, il vento che si è divertito a lasciare traccia del suo passaggio ma anche la stravaganza di girandole al vento, di fiocchi colorati, alberi di Natale, troviamo l'abbondanza di fiori freschissimi, o artistiche composizioni di fiori di plastica, un po' di buon gusto e tanto kitsch. Poi sgabelli, scalette, scope, secchi... un armamentario di cose diverse che i frequentatori di quei luoghi lasciano lì per il giorno successivo. La parola cimitero significa "Luogo del riposo" e credo che dovremmo rispettare di più questo riposo. Invece non è così, è diventato il luogo delle esternazioni, spesso di degrado e, con la necessità di posti, il riposo è interrotto da esumazioni e nuove collocazioni.
Arrivando nel giardino davanti al crematorio ho avuto l'impressione di un luogo assai curato dove il rispetto della morte si traduce in vita. Ci sono grandi libri in bronzo con incise frasi che aiutano a pensare alla preziosità della vita proprio lì dove giunge al compimento, alla ricapitolazione del tutto, quando arriva sulla soglia del tempo e sta immergendosi nella eternità.
Perché in fondo questa è la morte: l'attimo in cui nel passaggio dal tempo al "non tempo" tutta la nostra vita, le nostre azioni, i nostri pensieri, le paure, i desideri, le sconfitte, le gioie e le sofferenze, come un fiume in piena arrivano e finalmente si liberano nel mare dell'eternità.
Mi ha colpito, all'interno del crematorio, nell'angolo della saletta di commiato e di attesa l'immagine del Crocifisso. È scolpito nel legno d'ulivo, l'artista più che modellare il legno si è fatto condurre da quel tronco, dalle sue venature, contorsioni... la storia di quella pianta continua ad esprimere e raccontare. Tra tutti i piegamenti, le storture, gli arzigogoli del legno c'è una fessura, ampia che attraversa il corpo del Cristo.
Ecco, quel legno ci racconta l'amore di Gesù, il suo cuore è spalancato, è un invito ad entrarvi, attraversarlo e andare oltre. Perché se l'amore ci conquista non ci rende prigionieri ma ci libera: la morte è la vita liberata.
Il giorno dopo siamo andati a raccogliere le ceneri perché aveva chiesto che fossero disperse; nell'angolo del cimitero c'è un giardinetto all'ombra di vecchi alberi, qua e là qualche statua forse reduci di altre storie: una colonna spezzata, una croce, una madonna... in terra come delle aiuole colme di sassi. In quella ai piedi della Madonna sono state versate le ceneri del mio amico, un po' acqua le ha trascinate più in basso togliendole alla nostra vista.
La preghiera è sgorgata spontanea di fronte al niente che rimane della nostra prosopopea umana, che certi addobbi tenderebbero a mantenere; davanti a quel barattolo di ceneri la nostra povertà è evidente ma anche la ricchezza del Creatore che dalla polvere ha tratto la grandezza dell'uomo. Eppure quella pochezza manifesta tutta la grandezza di Dio che, sola, si erge sulla storia degli uomini e la guida.
inviato da Don Luciano Cantini, inserito il 29/10/2015
RACCONTO
Racconta una leggenda sioux che, una volta, Toro Bravo e Nube Azzurra giunsero tenendosi per mano alla tenda del vecchio stregone della tribù e gli chiesero: «Noi ci amiamo e ci vogliamo sposare. Ma ci amiamo tanto che vogliamo un consiglio che ci garantisca di restare per sempre uniti, che ci assicuri di restare l'uno accanto all'altra fino alla morte. Che cosa possiamo fare?».
E il vecchio, emozionato vedendoli così giovani e così innamorati, così ansiosi di una parola bella, disse: «Fate ciò che dev'essere fatto. Tu, Nube Azzurra, devi scalare il monte al nord del villaggio. Solo con una rete, devi prendere il falco più forte e portarlo qui vivo, il terzo giorno dopo la luna nuova. E tu, Toro Bravo, devi scalare la montagna del tuono; in cima troverai la più forte di tutte le aquile. Solo con una rete prenderla e portarla a me, viva!».
I giovani si abbracciarono teneramente e poi partirono per compiere la missione.
Il giorno stabilito, davanti alla stregone, i due attendevano con i loro uccelli. Il vecchio li tolse dal sacco e costatò che erano veramente begli esemplari degli animali richiesti. «E adesso, che dobbiamo fare?», chiesero i giovani.
«Prendete gli uccelli e legateli fra loro per una zampa con questi lacci di cuoio. Quando saranno legati, lasciateli andare perché volino liberi». Fecero quanto era stato ordinato e liberarono gli uccelli.
L'aquila e il falco tentarono di volare, ma riuscirono solo a fare piccoli balzi sul terreno. Dopo un po', irritati per l'impossibilità di volare, gli uccelli cominciarono ad aggredirsi l'un altro beccandosi fino a ferirsi.
Allora, il vecchio disse: «Non dimenticate mai quello che state vedendo. Il mio consiglio è questo: voi siete come l'aquila e il falco. Se vi terrete legati l'uno all'altro, fosse pure per amore, non solo vivrete facendovi del male, ma, prima o poi, comincerete a ferirvi a vicenda. Se volete che l'amore fra voi duri a lungo, volate assieme, ma non legati con l'impossibilità di essere voi stessi».
Se realmente ami qualcuno, lascialo volare con le sue proprie ali...
libertàmatrimonioamorecoppiaautonomia
inviato da Qumran2, inserito il 20/10/2015
RACCONTO
35. Il tassista newyorkese ed il segreto per vivere felici 5
David J.Pollay, Efficacemente.com
David era di fretta, il suo treno sarebbe partito tra meno di mezz'ora e le previsioni del traffico non presagivano nulla di buono. Senza pensarci troppo saltò sul primo taxi libero, in direzione della stazione. Il taxi giallo sfrecciava sulla corsia preferenziale, quando all'improvviso una macchina scura sbucò da un parcheggio poco più avanti: il tassista premette con tutta la sua forza il pedale del freno e le ruote iniziarono a fischiare. Dopo alcuni secondi, che erano sembrati interminabili, il taxi finalmente si fermò, a pochi centimetri dalla macchina scura.
David aveva il cuore in gola, ma le sorprese non era ancora finite. Il guidatore disattento, non solo non si scusò, ma iniziò ad inveire contro il tassista, per poi andarsene con un bel dito medio che sporgeva dal finestrino. David non poteva crederci: quel tizio stava per causare un'incidente potenzialmente mortale ed invece di scusarsi si era comportato da perfetto stronzo. Ma a sorprenderlo davvero fu la reazione del tassista...
Il tassista non solo non si scompose più di tanto: sorrise e salutò amichevolmente il guidatore disattento. David era incredulo: "Come hai potuto lasciarlo andare così? Stava per ucciderci!". Fu allora che David venne a conoscenza della "Legge del Camion della Spazzatura". Continuando a sorridere il tassista guardò David nello specchietto e disse:
"Un sacco di persone sono come camion della spazzatura. Vanno in giro pieni di ‘rifiuti': frustrazioni, rabbia, malcontento. Più questi ‘rifiuti' si accumulano e più loro sentono l'urgenza di cercare un posto dove scaricarli. E se glielo permetti, te li scaricheranno addosso. Quindi amico, quando qualcuno cercherà di scaricare la sua rabbia e la sua frustrazione su di te, non prenderla sul personale. Sorridi, augura loro ogni bene e vai avanti. Credimi: sarai più felice."
inserito il 18/07/2015
TESTO
36. A coloro che non trovano pace
Carissimi,
l'idea di rivolgermi a voi mi è venuta stasera quando, recitando i vespri, ho trovato questa invocazione: «Metti, Signore, una salutare inquietudine in coloro che si sono allontanati da te, per colpa propria o per gli scandali altrui».
Per prima cosa mi son chiesto se, nel numero delle mie conoscenze, ci fosse qualcuno che poteva essere raggiunto da questa preghiera.
E mi sono ricordato dite, Giampiero, che, dopo essere passato per tutta la trafila dei gruppi giovanili della parrocchia, un giorno te ne sei andato e non ti sei fatto più vedere.
L'altra sera ti ho incontrato per caso. Pioveva. Eri fermo sul marciapiede e ti ho dato un passaggio. In macchina mi hai chiesto con sufficienza se durante la quaresima continuavo a predicare le «solite chiacchiere» ai giovani, riuniti in cattedrale. Ci son rimasto male, perché mi hai detto chiaro e tondo che tu ormai a quelle cose non ci credevi più da un pezzo, e che al politecnico stavi trovando risposte più utili di quelle che ti davano i preti.
Mi hai raccontato che a Torino hai conosciuto Gigi, ex seminarista e mio alunno di ginnasio, il quale ti parla spesso di me. Ho notato che avevi una punta d'ironia e sembrava che ti divertissi quando hai aggiunto che ora sta con una ragazza, bestemmia come un turco, e fuma lo spinello.
Quando all'improvviso ti ho chiesto se eri felice, mi hai risposto che ne avremmo parlato un'altra volta, perché dovevi scendere e poi era troppo tardi.
Addio, Giampiero! L'invocazione del breviario stasera la rivolgo al Signore per te. E per Gigi. E la rivolgo anche per te, Maria, che ti sei allontanata senza una plausibile ragione. Facevi parte del coro. Ora a messa non ci vai nemmeno a Pasqua. Tu dici che hai visto troppe cose storte anche in chiesa, e che non ti aspettavi certe pugnalate alle spalle proprio da coloro che credono in Dio. Non so che cosa ti sia successo di preciso. Ma l'altro giorno, quando sei venuta da me per implorare un ricovero urgente al Gemelli a favore del tuo bambino che sta male, e io ti ho esortata ad aver fiducia in Dio, e tu sei scoppiata a piangere dicendomi che in Dio non ci credi più... mi è parso di leggere in quelle lacrime, oltre alla paura di poter perdere il figlio, anche l'amarezza di aver perduto il Padre.
Non temere, Maria. Pregherò io per il tuo bambino, perché guarisca presto. Ma anche per te, perché il Signore ti metta nel cuore una salutare inquietudine.
Vedo che non afferri il senso di una preghiera del genere. Di inquietudini nei hai già tante e non è proprio il caso che mi metta anch'io ad aumentartene la dose. Tu sai bene, però, che in fondo io imploro la tua pace. Ecco, infatti, come il breviario prolunga l'invocazione su coloro che si sono allontanati da Dio: «Fa' che ritornino a te e rimangano sempre nel tuo amore».
E ora, visto che mi sono messo ad assicurare preghiere un po' per tutti, vorrei rivolgermi anche a voi che, pur non essendovi mai allontanati da Dio, non riuscite ugualmente a trovar riposo nella vostra vita.
Per sè parrebbe un controsenso. Perché Dio è la fontana della pace, e chi si lascia da lui possedere non può soffrire i morsi dell'inquietudine. Però sta di fatto che, o per difetto di affido alla sua volontà, o per eccesso di calcolo sulle proprie forze, o per uno squilibrio di rapporti tra debolezza e speranza, o chi sa per quale misterioso disegno, è tutt'altro che rara la coesistenza di Dio con l'insoddisfazione cronica dello spirito.
Mi rivolgo perciò a voi, icone sacre dell'irrequietezza, per dirvi che un piccolo segreto di pace ce l'avrei anch'io da confidarvelo.
A voi, per i quali il fardello più pesante che dovete trascinare siete voi stessi. A voi, che non sapete accettarvi e vi crogiolate nelle fantasie di un vivere diverso. A voi, che fareste pazzie per tornare indietro nel tempo e dare un'altra piega all'esistenza. A voi, che ripercorrete il passato per riesaminare mille volte gli snodi fatali delle scelte che oggi rifiutate. A voi, che avete il corpo qui, ma l'anima ce l'avete altrove. A voi, che avete imparato tutte le astuzie del «bluff» perché sapete che anche gli altri si sono accorti della vostra perenne scontentezza, ma non volete farla pesare su nessuno e la mascherate con un sorriso quando, invece, dentro vi sentite morire. A voi, che trovate sempre da brontolare su tutto, e non ve ne va mai a genio una, e non c'è bicchiere d'acqua limpida che non abbia il suo fondiglio di detriti.
A tutti voi voglio ripetere: non abbiate paura. La sorgente di quella pace, che state inseguendo da una vita, mormora freschissima dietro la siepe delle rimembranze presso cui vi siete seduti.
Non importa che, a berne, non siate voi. Per adesso, almeno.
Ma se solo siete capaci di indicare agli altri la fontana, avrete dato alla vostra vita il contrassegno della riuscita più piena. Perché la vostra inquietudine interiore si trasfigurerà in «prezzo da pagare» per garantire la pace degli altri.
O, se volete, non sarà più sete di «cose altre», ma bisogno di quel «totalmente Altro» che, solo, può estinguere ogni ansia di felicità.
Vi auguro che stasera, prima di andare a dormire, abbiate la forza di ripetere con gioia le parole di Agostino, vostro caposcuola: «O Signore, tu ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te».
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inviato da Francesco De Luca, inserito il 16/06/2015
TESTO
Il mio papà...
che si sveglia presto per andare al lavoro...
che tifa per me quando gioco a calcio...
che mi accompagna a scuola e con lui arrivo sempre in ritardo...
che sa tutto dei computer e sa aggiustare ogni cosa...
che aiuta la mamma...
che mi telefona di continuo per saper come sto...
che mi aspetta fino a tardi...
che mi ha insegnato ad andare in bicicletta ed anche a nuotare...
che nasconde gli sbadigli per stare un po' con me...
che mi sa consolare...
A lui ho rubato il suo tempo,
a lui ho preso tutti i suoi pensieri,
a lui ho sequestrato tutto il suo amore...
Lui non tiene niente per sé,
e tutto quello che è suo è anche mio...
Lui mi ha dato la vita,
e ogni giorno dà la sua vita per me...
Lo stringo forte al cuore, il mio papà,
vorrei dargli anch'io qualcosa, ma...
so solo dire: "Ti voglio bene, papà!".
inviato da Luisella Carratù, inserito il 16/06/2015
RACCONTO
Apoftegmi dei Padri del deserto
Vivevano in una stessa cella due fratelli assai celebrati per la loro umiltà e pazienza. Un po' alla volta, passando gli anni, si erano accomodati il loro nido eremitico in modo perfetto. La cella l'avevano fatta di vinchi e tutta intonacata; attorno poi avevano piantato un bell'orto con rigagnoli d'acqua derivati da una sorgente vicina, che lo mantenevano fresco tutto l'anno e così ricco di erbaggi e di frutti da averne anche da regalare agli altri eremiti. Non mancavano neppure piccole aiuole di fiori e di erbe odorifere che servivano ad adornare il piccolo altare dell'oratorio.
Un giorno un vecchio monaco che aveva sentito parlare delle grandi virtù di questi due fratelli, volle accertarsene di persona: «Andrò a vedere», disse, «se sarà tutto oro o se vi sarà anche del piombo».
Accolto con molta riverenza e fatta orazione, chiese di vedere il giardino. «Venite venite», dissero i due, e vo lo accompagnarono. «Bello bello!», faceva il vecchio arricciando il naso: «anche troppo bello per degli eremiti...» E, preso un bastone, si mise a menarlo con gran furia a destra e a manca, sbattendolo sui cavoli, l'insalata, i cetrioli, i fiori. Pareva impazzito. I due stavano lì a mani giunte a guardarlo, ed ebbero appena il fiato di dire: «O Dio!», ma non aggiunsero altro.
Più tardi, prostratisi ai piedi di quel santo Padre che nel frattempo s'era seduto all'ombra a tergersi il sudore, gli dissero: «Padre, se ti piace, vorremmo andare a cogliere un poco di quel cavolo che c'è rimasto, e così lo cuoceremo e lo mangeremo tutti e tre insieme». Il vecchio non credeva ai propri orecchi: tutto stupefatto, li abbracciò e disse: «Rendo grazie a Dio, perché veramente lo Spirito Santo abita in voi».
fraternitàconcordiapace interiorepazienzaumiltà
inviato da Il Patriota Cosmico, inserito il 09/06/2015
TESTO
Cammina facendo attenzione ai segni.
Non ci sono bussole che indichino da che parte sta Dio,
ma ci sono dei secoli sul cammino.
Il che tuttavia non ti evita di camminare nella notte
e di ferirti incontrando uno spuntone di roccia.
Ma anche nella notte più tenebrosa ci sono delle stelle.
Chi cerca Dio è una persona attenta!
La ricerca di Dio comporta che si rimetta costantemente
in questione la propria esistenza
e che si abbandonino le proprie sicurezze.
Dio lo si incontra al termine di un lungo cammino.
Chi cerca Dio è un nomade!
Gli esploratori senza entusiasmo
non scoprono nulla e soprattutto
non fanno nascere il desiderio di seguirli.
A volte si va avanti vacillando,
ma sempre con la gioia nel cuore,
perché ci si affretta verso colui che attira e seduce.
Chi cerca Dio è un appassionato!
Il mondo deve essere cambiato oggi.
E' oggi, con i compagni di questo momento,
in mezzo alle gioie e alle difficoltà di questo tempo,
con le possibilità che ci sono offerte ora,
che noi dobbiamo intraprendere la grande avventura
per cercare di riportare il mondo a Dio.
Chi cerca Dio appartiene al suo tempo!
Nel cammino fidati di colui che stai cercando!
Anche se tutte le stelle sembrano spegnersi
e tutte le promesse andare a vuoto,
tu sai che Dio non può chiamarti,
ne destare la tua, voglia di esplorare e di trovare,
per abbandonarti, alla fine, nell'oscurità della notte.
Quando sale la nebbia e ti afferrano la paura e il dubbio:
allora, ti resta solo la fiducia in colui che ti ama e ti cerca.
E credere è proprio dare fiducia,
al di là di ogni apparenza contraria.
Chi cerca Dio è fedele!
camminofiduciafedericerca di Dio
inviato da Qumran, inserito il 05/05/2015
TESTO
Erri De Luca, Nel nome della Madre
Glielo dissi il giorno stesso. Non potevo stare una notte con il segreto. Non trascorrerà intero il giorno sulla rottura della tua alleanza. Eravamo fidanzati. Nella nostra legge è come essere sposati, anche se non ancora nella stessa casa. Ed ecco che ero incinta. La voce del messaggero era arrivata insieme a un colpo d'aria. Mi ero alzata per chiudere le imposte e appena in piedi sono stata coperta da un vento, da una polvere celeste, da chiudere gli occhi. Il vento di marzo in Galilea viene da nord, dai monti del Libano e dal Golan. Porta bel tempo, fa sbattere le porte e gonfia la stuoia degli ingressi, che sembra incinta. In braccio a quel vento la voce e la figura di un uomo stavano davanti a me.
Ero in piedi e l'ho visto contro luce davanti alla finestra. Ho abbassato gli occhi che avevo riaperto. Sono sposa promessa e non devo guardare in faccia gli uomini. Le sue prime parole sul mio spavento sono state: "Shalòm Miriàm". Prima che potessi gridare, chiamare aiuto contro lo sconosciuto, penetrato nella stanza, quelle parole mi hanno tenuto ferma: "Shalòm Miriàm", quelle con cui Iosef si era rivolto a me nel giorno del fidanzamento. "Shalòm lekhà", avevo risposto allora. Ma oggi no, oggi non ho potuto staccare una sillaba dal labbro. Sono rimasta muta. Era tutta l'accoglienza che gli serviva, mi ha annunciato il figlio. Destinato a grandi cose, a salvezze, ma ho badato poco alle promesse. In corpo, nel mio grembo si era fatto spazio. Una piccola anfora di argilla ancora fresca si è posata nell'incavo del ventre.
Il mio Iosef, bello e compatto da baciarsi le dita, si stringeva le braccia contro il corpo, cercava di tenersi fermo, ripiegato come col mal di pancia. La notizia per lui era una tromba d'aria che scoperchiava il tetto. Tentava un riparo con il corpo, smarrito in faccia, i muscoli che saltavano fuori dalle braccia. Si proteggeva il ventre teso e magro, non si permetteva di toccarmi, di scuotere la mia calma così opposta al suo sgomento, senza poter fingere un po' di agitazione.
Ero in piedi, schiena dritta, un'agilità nuova mi dava slancio, mi accorgevo di essere più alta e più leggera precisamente al centro del corpo, sotto le costole nell'ansa del ventre. Là dove lui accusava il colpo e il peso coi muscoli contratti di un atleta sotto sforzo, io ricevevo una spinta dal basso verso l'alto da aver voglia di mettermi a saltare. I suoi capelli a ciuffi scossi sbattevano sulla fronte chiara, ballavano davanti agli occhi. Glieli misi in ordine con un paio di carezze svelte. Nel suo scompiglio era ancora più bello.
"Cos'altro ha detto, cos'altro", chiedeva Iosef affannato con la testa tra le mani, gli occhi a terra. "Sforzati di ricordare, Miriàm, è importante, cos'altro voleva far sapere?"
Gli uomini danno tanta importanza alle parole, per loro sono tutto quello che conta, che ha valore. Iosef le voleva per poterle serbare, riferire. Immaginò subito le conseguenze legali. L'annuncio aveva rotto la nostra promessa. Ero incinta di un angelo in avvento, prima del matrimonio. Perciò chiedeva altre parole da riportare all'assemblea, in cerca di una difesa di fronte al villaggio.
"Cos'altro ha detto, Miriàm? Ti prego, sforza la memoria, è accaduto solo poche ore fa." "Ero sopra pensiero, Iosef, stupita da un rimescolio del corpo, dalla polvere chiara che mi aveva investito senza lasciare traccia a terra, solo addosso. Ce l'ho ancora, la vedi?" "Lascia stare la polvere, pulirai dopo, adesso aiutami, cosa racconterò agli anziani?"
Mentre accadeva guardavo in basso, la veste fino ai piedi. Sotto, il mio corpo chiuso era calmo come un campo di neve. Mentre parlava io diventavo madre. Gli uomini hanno bisogno di parole per consistere, quelle dell'angelo per me erano vento da lasciar andare. Portava parole e semi, a me ne bastava uno.
Ero rimasta in piedi innanzi a lui e in piedi stavo davanti a Iosef. Lui sedeva, si alzava, si risedeva, chiedeva di mettermi seduta, ma restavo in piedi. Eravamo promessi ed era già un atto grave stare soli sotto lo stesso tetto. Avevo chiesto il colloquio, l'avevano concesso ma c'era stato un gran trambusto, ed era quasi sera. E poi non volevo sedermi. Con le mani intrecciate sul ventre piatto mi toccavo la pelle per sentire sulla punta delle dita la mia vita cambiata. Era per me il giorno uno della creazione.
Mi sforzavo di ricordare qualcosa per consolarlo. Mi stava a cuore il suo sgomento, m'importava di lui mortificato dalla rottura del nostro patto di unione.
Iosef fu sorpreso dalla mia quiete. Si attaccò anche a lui. Si alzò in piedi, sollevò la testa, asciugandosi la faccia con il dorso di quelle mani sante che avrei voluto baciare. "Conosci la legge, Miriam?" "Conosco la legge." "Per filo e per segno?" "Non bene come te, non tutte le parole. Spetta a voi uomini conoscerle a memoria. So le conseguenze." "Ascoltami, Miriàm. C'è una possibilità. Tu domani vai da sola in campagna con un pretesto, in cerca di qualche erba invernale per fare un decotto. E torni a sera dal campo dicendo di essere stata aggredita e violata lì, di aver gridato, ma senza risposta. E già successo, si sa di altri casi di ragazze che sono riuscite a evitare così l'accusa di adulterio."
Guardai Iosef per la prima volta. Conoscevo la sua faccia serena anche sotto le mosche e la fatica. Ora vedevo un uomo desolato che provava a governare la situazione progettando menzogne. Quanto dev'essere importante per gli uomini la legge, per ridurli a questo. Dissi: "Quell'uomo messaggero è venuto da me a mezzogiorno, porte e finestre aperte, spalancate. Io mi sono trovata in piedi davanti a lui nella mia stanza e non ho pronunciato una sillaba, non ho neanche risposto al suo saluto, altro che gridi."
Ero felice. Avrei voluto abbracciare il mio Iosef, per lui mi era salita in petto una tenerezza mai provata. Il rispetto, la soggezione che ci insegnano verso l'autorità maschile, abbassano i sentimenti affettuosi. Ma l'annuncio dell'angelo e la risposta del mio corpo quel giorno mi avevano affrancato. Non arrossivo, la fiducia di essere nel giusto mi dava la prontezza necessaria e un contegno nuovo. Anche il mio silenzio era cambiato. Con la tenerezza venne la gratitudine. Mi aveva creduto. Contro ogni evidenza si affidava a me. Sulla sua bella faccia non s'era mosso neanche un muscolo del sospetto, un aggrumo di ciglia, uno sguardo di sbieco. E aveva visto la sua Miriàm per la prima volta, perché era la prima volta che lo guardavo in faccia senza abbassare la fronte, come neanche le mogli osano fare. Mi aveva creduto, ero felice e calda di gratitudine per lui. "Fai quello che è giusto, Iosef. Io oggi sono tua più di prima, più della promessa."
annunciazionefiduciaGiuseppemariaaffidamento
inviato da Qumran, inserito il 21/01/2015