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TESTO Donna, nessuno ti ha condannata?

mons. Antonio Riboldi

V Domenica di Quaresima (Anno C) (25/03/2007)

Vangelo: Gv 8,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. 3Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e 4gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». 6Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. 7Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». 8E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 10Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». 11Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Non si può leggere il brano, che il Vangelo ci propone in questa domenica di Quaresima, senza provare una grande emozione per la delicatezza, l'amore che Gesù mostra davanti alla donna adultera, che scribi e farisei gli avevano condotto davanti, Soprattutto per vedere come si sarebbe comportato, se seguendo la legge di Mosè o contro.

Possiamo facilmente immaginare lo stato d'animo di quella donna 'colta in flagrante adulterio'.

Già l'essere stata scoperta sul fatto, deve essere stato umiliante. Ma vedersi poi strattonata e portata per le vie, sotto il disprezzo di tutti, verso il monte degli Ulivi, dove anche Gesù presto avrebbe subito la stessa vergogna, come condannato alla crocifissione, era sapere che presto il senso di 'morte interiore', che già provava, sarebbe stata una realtà definitiva: posta in mezzo tra gli scribi e i farisei da una parte e Gesù dall'altra sarebbe stata lapidata per la sua colpa.

Chi di noi non ricorda il tempo, non tanto lontano, di 'tangentopoli', quando era all'ordine del giorno la sfilata con le manette ai polsi, sotto i riflettori impietosi della TV e il disprezzo generale? Ho conosciuto parecchie di queste persone, che finirono in manette, per quel reato.

Ne ricordo in particolare una, che ricopriva un alto incarico. Viveva in uno stato di ansia, da quando gli era giunto l'avviso di garanzia, pronta ad essere prelevata dalle forze dell'ordine e portata in tribunale, additata come un ignobile corrotto. "Mi sembrava di vivere nell'anticamera della morte. Morivo ogni giorno un poco, per il disprezzo che sempre più saliva nell'opinione pubblica e la vergogna di essere finito nella polvere. E non avevo alcuna colpa. Chi non ha provato 'il tintinnio delle manette', sotto i riflettori, con la sensazione di essere calpestato da tutti, come fosse un cencio, non può capire cosa abbia voluto dire la posizione di quella donna evangelica, in piazza, in attesa della sentenza di morte da parte di Gesù...perché chi l'aveva trascinata in quella piazza, aveva già decretato la sua condanna".

Ho rivisto quell'amico dopo quella esperienza. Anche se dichiarato innocente, era un uomo provato, come un semivivo, segnato da un dolore che non riusciva a superare, a nascondere. Non era più la persona 'importante', che avevo conosciuto, ma 'un relitto umano', che si trascinava a stento, evitando tutto e tutti, per schivare il disprezzo che gli si era appiccicato alla pelle, come una lebbra inguaribile.

Ed anche se non in quella forma, siccome tutti siamo fragili e quindi facili a sbagliare, a volte la nostra debolezza, più o meno grave, quando si manifesta agli occhi della gente, subito fa scattare il disprezzo o la condanna. E difficilmente riusciamo a cancellarne il ricordo.

È un 'sentirsi' privati della stima o del perdono, che sono la forza che ci consente di andare avanti. Ma per fortuna la meraviglia del Cuore di Dio è diversa.

Lui è 'un papà' e i papà non si concedono la disistima del figlio, anche quando sbaglia.

Il cuore di un papà non glielo consente, magari strilla, ammonisce, ma poi perdona, sempre, il figlio. Il cuore di un papà ama sempre. Come quello della mamma che era con me, quando visitavo i terroristi nelle carceri. Ci divideva da loro uno spesso vetro, che non permetteva alcun contatto. Ci si parlava con un microfono. Quella mamma meravigliosa, davanti alla figlia terrorista, piangendo e bagnando il vetro con le lacrime, continuava a recitare come un rosario: "Ti voglio bene...sei sempre mia figlia...ti voglio bene". Di fronte a questa immagine di amore, mi venne da piangere con lei.

Il perdono, e lo abbiamo meditato nel Vangelo del figlio prodigo, è davvero il grande Cuore di Dio, che non si fa scoraggiare dai nostri sbagli: neppure ci toglie un briciolo di stima, come si fa con i figli...ma conosce solo la commozione e 'le braccia al collo', quando il figlio si ravvede e rientra in se stesso.

C'era un tempo, in cui si pensava a Dio, non come un Padre che per perdonarci sacrifica Suo Figlio, Gesù, ma come un Giudice pronto a condannarci o punirci. E le nostre 'confessioni', tante volte, risentivano di questo carattere di 'giudizio', non di incontro gioioso.
Ma gustiamo, parola per parola, il Vangelo di oggi:

"Gesù si avviò verso il Monte degli Ulivi. Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da Lui ed Egli, sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici? Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei. E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata? Ed essa rispose: Nessuno, Signore. E Gesù le disse: Neanche io ti condanno: va' e non peccare più" (Gv 8, 1-11).

Se la settimana scorsa Gesù, con la parabola del figlio prodigo, rivelava la incredibile ampiezza della Misericordia del Padre, e Sua: "commosso gli corse incontro, gli gettò le braccia al collo e disse: Facciamo festa perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita", ancor più, nell'episodio della donna adultera, colta in flagrante adulterio e da condannarsi, secondo la Legge, alla lapidazione, mostra quanto in Lui prevalga la Misericordia su quella che noi, a volte, non so con quale diritto, chiamiamo giustizia.

La differenza, rispetto a noi, è che Dio non ama la morte del peccatore, ma desidera solo che si converta e viva. Noi, invece, a volte, preferiamo la morte del peccatore o la pena, disinteressati rispetto alla sua vita.

Quante volte, forse anche noi, per qualche sbaglio, dovuto alla debolezza umana, sorpresi nel fallo, ci siamo trovati come quella donna: al centro dell' attenzione, con tanti che gridavano chiedendo giustizia, terribilmente soli?

Se Dio ci vede 'caduti', qualunque sia la nostra colpa, preferisce darci una mano per rialzarci e aiutarci a tornare a vita nuova, come il figlio prodigo.

Fa davvero impressione, intorno a quella donna, da un lato la folla di giudici che ne invocano la morte e, 'con una raffinata malizia', vogliono anche condannare Gesù, e la sua sentenza, mentre dall'altra parte c'è proprio Lui, Gesù, che davanti al peccato tace, si china per terra, prendendo un netto distacco da loro, da noi, forse triste proprio per la nostra condotta di giudici senza pietà, che proprio non ci spetta. E come a confermare questa immensa Bontà e Misericordia di Dio, scrive il profeta Isaia: "Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò una strada nel deserto, immetterò fiumi nella steppa, mi glorieranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua nel deserto, fiumi alla steppa per dissetare il mio popolo, il mio eletto. Il popolo, che lo ho plasmato per me, celebrerà le mie lodi" (Is 43, 16-22).

Davvero meraviglioso è l'Amore di Dio... e noi abbiamo paura a gettarci nelle Sue braccia?!

Come ce la spieghiamo questa paura o vergogna? La Pasqua, che è ormai alle nostre porte, ci invita a sperimentare la Bontà del Signore, che ci aspetta tutti sulla porta di casa Sua, attende che rientriamo in noi stessi e, attraverso il sacramento della Penitenza, vuole poterci correre incontro e gettarci le braccia al collo. Dinnanzi alla nostra coscienza che, a volte, si oscura per la vergogna o paura, o di fronte ad una mentalità che preferisce affidarsi alla giustizia umana, che a volte chiude gli orizzonti della vita, ci attende Gesù che ci dice:
"Io non ti condanno! Va' in pace e non peccare più".

Scriveva Paolo VI, commentando questo Amore: "In un mondo che si divora nell'egoismo, individuale e collettivo, che genera gli antagonismi, le inimicizie, le gelosie, le lotte di interesse, le lotte di classe, le guerre, l'odio in una parola, noi proclameremo la Legge dell'Amore, che si diffonde e si dona, che sa allargare il cuore ad amare gli altri, a perdonare le offese, a servire gli altrui bisogni, a sacrificarsi senza calcoli, a farsi povero per i poveri, fratello per i fratelli, a creare un mondo nuovo di concordia, di giustizia e di pace" (28.6.1956).

Non mi resta, cari amici, che pregare ed augurare a tutti che la Pasqua, che è alle porte, ci faccia conoscere i passi verso il ritorno al Padre, per insieme cantare la Gioia dell'Alleluja!

 

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