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TESTO Fede e gratuità caratterizzano la vita del cristiano.

padre Tino Treccani

XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (07/10/2001)

Vangelo: Lc: 17,5-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 17,5-10

In quel tempo, 5gli apostoli dissero al Signore: 6«Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.

7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? 8Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Continuiamo sempre la lettura di Luca, mostrando Gesù a cammino di Gerusalemme, e, di riflesso, il cammino della comunità cristiana, con le sue crisi e ricerche di soluzioni alle sfide proposte dalla pratica cristiana. Che tipo di fede avevano i primi cristiani? Forse anche loro si chiedevano: perché non riusciamo a riprodurre nella pratica il progetto di Gesù? Cosa ci manca per affrontare e superare le sfide che incontriamo sul cammino?

1. La fede genuina è capace di superare i vicoli ciechi (vv. 5-6)

I discepoli avevano ricevuto da Gesù il "potere di camminare sopra i serpenti, scorpioni e ogni forza del nemico" (10,19). E, tornando dalla missione, riconoscono che "pure i demoni ci ubbidiscono per causa del tuo nome" (10,17). Era questo l'ideale del discepolo.

Col passare del tempo, tuttavia questo potere sembra si sia affievolito. Quale sarà la causa?. Perché la comunità non si caratterizza più con quelle azioni e parole capaci di superare ogni avversità (= demoni, scorpioni, serpenti)?

Gli evangelisti cercano di scoprire il perché di questo affievolimento. Marco condensa la crisi di fede delle comunità nell'episodio dell'epilettico indemoniato (Mc 9,14-19) dove, nell'assenza di Gesù, i discepoli non riescono a mettere in pratica il mandato del Signore. Luca, a sua volta, ne ricerca la causa. In 17,5 gli apostoli chiedono: "Signore, aumenta la nostra fede!" Gesù risponde che non si tratta di "quantità" della fede, ma di "qualità". Deve essere genuina, come il seme che porta in sé tutte le potenzialità dell'albero. Ricordiamo il seme di mostarda (13,18-19). Se così fosse, la fede potrà superare i maggiori ostacoli, simbolizzati qui dal gelso, albero che, per causa delle sue radici profonde, non potrà essere sradicato da nessuno con le sue sole forze.

2. La gratuità di coloro che annunciano il Vangelo (vv. 7-10)

Il testo è proprio di Luca. Il fatto di non esserci paralleli negli altri vangeli, ci dice che questa parabola deve essere intesa alla luce dei problemi dell'evangelizzazione affrontati da Luca, compagno di Paolo. La parabola riflette la pratica pastorale paolina, ampiamente descritta in 1 Cor 9 e riassunta nei versetti 16-19: Paolo si fa "servo" di tutti. Paolo è servo del Vangelo: l'evangelizzazione non nacque per iniziativa propria, ma è "imposizione". Non ha diritto a stipendio. Meglio ancora: "il suo stipendio è annunciare gratuitamente", facendosi servo di tutti, ad esempio di Gesù (cfr. Lc 22,27: "Io sono in mezzo a voi come colui che serve"). Inoltre, l'immagine del servo che lavora la terra e custodisce gli animali (Lc 17,7, doppia giornata di lavoro, come Paolo in 1Ts 2,9) è la stessa che Paolo usa per caratterizzare il suo lavoro apostolico (cfr. 1Cor 9,7.10). Pur avendo diritto di usufruire di questo lavoro, non fa valere questo diritto (1 Cor 9,18; cfr. 1Ts 2,4-8).

Nonostante Gesù abbia affermato che l'operaio è degno del suo salario (Mt 10,10; Lc 10,7), Luca proietta questo ideale di vita vissuto da Paolo, come valido per tutti coloro che annunciano il Vangelo. Si può quindi interpretare questa parabola in chiave di evangelizzazione. Il discepolo evangelizza per mandato di Dio stesso, non per sua iniziativa. Di conseguenza, non deve esigere niente in cambio. Gesù, che affida ai discepoli il suo progetto, non si sente obbligato a rispetto dei discepoli quando questi compiono il loro dovere.

Per riflettere

Guardavo la mia chiesetta parrocchiale questa mattina: un corridoio vecchio, brutto, dal soffitto di assicelle infarcite di ragnatele ed altro e pensavo alla mia comunità, alla mia "perla" che attende l'annuncio del Vangelo. Mi chiedevo, se di fatto, sto annunciando il Vangelo o, se, invece, porto avanti delle tradizioni, dei costumi. Mettendomi le mani in tasca (per non metterle nei capelli) mi ritrovo le solite "ragnatele". Così mi ricordai delle parole di Gesù: "Siamo inutili servi..." E mi consolavo, senza nascondermi una certa soddisfazione: alla fin fine, mi dicevo, sto vivendo la gratuità; se la mia fede è debole, la ricompenso con la mancanza di un salario degno per mantenermi. Ma leggendo il Vangelo, la frase di Gesù continua: "... abbiamo fatto quanto dovevamo fare". Questo mi ha messo in crisi. In coscienza posso dire che "sto facendo quando devo fare?" La preoccupazione di riformare, di ripulire 'sta benedetta chiesa-corridoio mi distoglie dall'annuncio, o meglio, la preoccupazione della riforma è una scusa per ammorbidire la verità della mia poca fede.

A pranzo fui invitato da una famiglia che festeggiava il compleanno del papà, José. La moglie Leninha, ieri venne in parrocchia per farmi l'invito. Pensavo: sarà un pranzetto differente, senz'altro farcito. E oggi, nella semplicità, vedo una pentolina di fagioli e una di riso con qualche pezzettino di pollo dentro. Tra me, dicevo: "Opa! che pranzone! Arriva José dal lavoro e mi dice che sono magro e mi chiede se per caso sto facendo una dieta dimagrante. Mi venne da ridere, e data la nostra amicizia mi sono permesso di dire: "Caro José, nessuna dieta, ma molti inviti a pasti come questo per il tuo compleanno!" Visto il suo viso un po' incuriosito, me la cavai con un'altra frase: "Non preoccuparti, soffro di insonnia "braba" (difficile); per questo sono dimagrito".

É un'altra proposta dura di Gesù, sempre a cammino di Gerusalemme. Servi inutili che non possono reclamare di niente, se non di fare il proprio dovere. Evangelizzare i popoli, dentro le loro culture, senza ostentare meriti alla Geremia o Paolo di Tarso. Annunciatori e testimoni del Vangelo: ecco la nostra vocazione cristiana. Come le prime comunità anche, a noi, oggigiorno, può succedere di esserci intiepiditi e, di conseguenza, di ostacolare il progetto di Dio annunciato da Gesù. Forse la nostra fede è sminuita, in qualità, nonostante la quantità delle devozioni. Forse alla verità come "gratuità", preferiamo qualcosa di più umano, magari "una guerra agli infedeli". Oppure addobbiamo bene la nostra casa, magari presentandola come il modello dei sacri valori della libertà e della democrazia; solo che, fuori casa, ce ne dimentichiamo subito di questi nobili concetti e, per non imbrattare il nome dei nostri governi arlecchini, giustifichiamo la non etica delle multinazionali, come divinità intangibili. Che fare? Noi cristiani ci consegniamo spesso al fato, al destino, senza ammetterlo, perché ci fa comodo. Inoltre avanziamo meriti e allori di riconoscimento, senz'altro conquistati nell'arco di lunghi secoli, ma non sempre, ne calcoliamo i prezzi.

Facciamo pellegrinaggi su pellegrinaggi, ai più santi santuari del mondo (per il momento, i maggiori sono in Europa), chiediamo grazie e preghiamo per la nostra salvezza... Siamo servi inutili, non stiamo facendo altro che il nostro dovere. Paolo si è fatto greco con i greci e giudeo con i giudei: noi invece, vogliamo fare cristiani gli altri. Mi chiedo se, prima di convertire gli altri, riesco a convertire me stesso, chiedendo a Dio di migliorare la qualità della fede.

L'evangelizzazione non è un tema da salotto, né di un simposio: è vita donata, in sacrificio e gioia, come proposta e gratuità; è scambio del meglio che Dio ha messo nel cuore di ogni uomo e cultura; è coscienza che l'unico ovile è la comunione tra le razze e non una tavola rasa di codici; è dono schietto della gioia di vivere, anche con poco o meno di quanto pensiamo ci sia necessario. La qualità della fede, penso sia proprio credere che i poveri ci evangelizzano, non perché più santi di noi, bensì perché più bisognosi di dignità e di rispetto, di condivisione e di fratellanza, perché Dio ha messo la sua dimora tra di loro.

Ed è chiaro che pensare secondo il Vangelo è uno schiaffo alle "soluzioni mediatiche" delle società che si auto-denominano esemplari, è un "non avere i piedi per terra" secondo l'efficientismo del denaro; è "terrore e pericolo" per i detentori del potere. D'altra parte, i primi cristiani, furono tacciati di "ribelli e sobillatori" dal proprio Impero Romano. Il tempo è ironico a sufficienza: l'impero romano non esiste più, i cristiani si sono moltiplicati. Dobbiamo solo verificare se la nostra "quantità", in questi 20 secoli, è andata e va di pari passo con la qualità della fede in Gesù.

Se abbiamo superato i nostri antenati e stiamo dando al mondo il fior fiore del Vangelo, lodiamo il Signore: siamo stati servi e non tanto inutili. Se, purtroppo, abbiamo copiato i loro vizi, continuando ad ostacolare il Regno di Dio, chiediamo perdono al Signore, ammettendo che siamo inutili servi e che non abbiamo fatto il nostro dovere. Il tempo setaccerà le nostre chiacchiere: il grano buono resterà, la pula se ne andrà col vento, nonostante i nostri sforzi di averla spacciata e confusa come vangelo. Quando avremo tolto le cassettine delle elemosine nelle nostre chiese e le avremo sostituite con solidarietà e condivisione vere, avremo segni chiari che il nostro essere "servi inutili" sarà luce e sale per i popoli. Quando il profitto lascerà le nostre comunità e si trasformerà in equità di rapporti, potremo credere che la democrazia non è un sogno di qualche immaginario, ma il cammino che unirà veramente i popoli.

Il problema è che ci siamo imposti una ragione, individuale e collettiva, che ci impedisce di credere a queste utopie. Il problema è che non abbiamo fede, nemmeno piccola come un granello di senape: come spostare le montagne della fame nel mondo, il terrorismo, le fazioni (lasciamo perdere i nomignoli di destra e sinistra), l'individualismo, la prepotenza del mercato, se non so togliere le ragnatele dalla mia chiesetta? Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete. Chiediamo pace, diamola questa pace. Chiediamo giustizia, eliminiamo la vendetta. Chiediamo l'avvento del Regno di Dio, viviamolo. Non giustifichiamo con teorie le nostre omissioni. Il rischio è quello di trasformare il ricchissimo patrimonio della fede cristiana in pagliacciate bugiarde.

 

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