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TESTO La glorificazione di Gesù e l'amore del cristiano.

padre Tino Treccani

V Domenica di Pasqua (Anno C) (13/05/2001)

Vangelo: Gv 13,31-33a.34-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 13,31-35

31Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. 34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Il testo insiste sull'espressione "manifestare la gloria" (= lett. Glorificare). Già nel prologo incontriamo il termine "gloria": "E la Parola si fece uomo e abitò in mezzo a noi. E noi contempliamo la sua gloria: gloria del Figlio unico del Padre. Pieno di amore e fedeltà" (v. 14). In Giovanni, l'idea basica della gloria, è quella della "rivelazione". É una rivelazione progressiva, per mezzo di "segni" che Gesù realizza e soprattutto per mezzo della sua "adesione incondizionata" al progetto del Padre, fino alla morte di croce.. La totale fedeltà alla volontà del Padre e la totale coerenza nell'esecuzione del progetto divino danno a Gesù l'unicità della sua figliolanza. Per essere l' "unico" Figlio, è la "pienezza del dono della fedeltà" (= pieno di amore e di fedeltà).

La gloria di Gesù è, perciò, la rivelazione del progetto di Dio, concretizzato nel suo Figlio unico, nella sua umanità, dalla nascita alla croce.

Nell'Antico Testamento si credeva che Dio manifestasse la sua gloria nei fenomeni della natura (fuoco, lampi, tuoni, tempeste, ecc.) provocando un misto di curiosità che attrae e di paura che provoca distanza. Per il Vangelo di Giovanni, Gesù manifesta la gloria di Dio per il fatto di essere uno di noi, estremamente umano, al punto di diventare divino. La gloria di Dio è l'umano Gesù, che conferisce all'umano la sua espressione più alta.

"Ora il Figlio dell'uomo..." É l' "ora" di Gesù che culmina nel mistero pasquale. C'è una stretta relazione tra chi rivela e colui che è rivelato: "Io e il Padre siamo u no" (10,30).

I vv. 33-35 presentano il tema dell'amore. Gesù chiama i discepoli di "figlioletti". Di fronte all'imminente partenza di Gesù, la comunità ha un solo cammino per continuare unita a Lui: vivere l'amore. É lo statuto e l'identità di chi pretende rimanere unito a Gesù. É il "comandamento nuovo": Amatevi gli uni gli altri. Gesù non dice: "amatemi come io vi ho amato". Non chiede retribuzione per se stesso. Chiede che i discepoli si amino gli uni gli altri. É così che ameranno Gesù. L'amore è attivo. Deve essere manifestato con gesti. In questo modo, la rivelazione di Gesù si prolunga nell'amore delle persone nella comunità. "Da questo riconosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri" (v. 35).

Per riflettere

Il brano di oggi ci porta all'essenziale: le nostre azioni di amore saranno il giudizio finale sulla nostra vita: "non solo con parole e bocca, ma con azioni e in verità (1 Gv 3,18). E non si tratta di rendere solo un culto a Dio; bensì di incarnare la Vita stessa, credere che il nostro "umano" viene da Dio ed in questo umano pieno di amore e di fedeltà si rivela il centro della nostra fede. I dittatori amano le parate militari per nascondere dietro un insanguinato banchetto di morte la loro impotenza di poca gloria. I politici ingordi cercano la magia miracolistica nel sentimento religioso per nascondere sempre la stessa sete di non-amore. Non poche volte, sugli altari, proclamiamo la Gloria di Dio, dimenticando il nuovo comandamento, la nuova creazione: amarci. Forse abbiamo perso l'essenziale e lo rivestiamo di precetti, di norme, di tradizioni, deboli segni per l'uomo d'oggi, perché questo "amore fraterno" non emerge nelle nostre relazioni. Possiamo essere commensali di Lui, condividere lo stesso Pane e Vino, ma col cuore lontano, magari già a braccetto con la negazione del progetto divino. Mi è difficile immaginare un Gesù che chieda di volta per se stesso l'Amore che gratuitamente ci ha dato; come un Dio capriccioso che vuole tutte le attenzioni per lui. L'amarci è il perpetuare la presenza divina in noi. Certo che la celebrazione è necessaria, ma diventa insipida se non ci sprona ad amarci. E questo amarci implica azione, coraggio, annuncio e denuncia, nella coerenza del rispetto alla Vita di ognuno.

C'è da chiederci se le nostre comunità sono fucine di amore fraterno. C'è da chiederci se i nostri insuccessi nella vita spirituale non siano proprio affetti da attitudini intimiste ed interessate; se le "distrazioni nella preghiera" siano proprio il peccatuccio del cuore. Non sarà forse il nostro cuore, orgoglioso di stare troppo vicino ad un Dio immaginario e purtroppo incapace e lontano da un fratello concreto? Peccato è toglierci dalla comunione, dal pane quotidiano condiviso in casa ed immolato sulle croci della coerenza. Ed il Verbo si è fatto carne... tanto nei terroni come nei polentoni, si diceva una volta, e oggi nel marocchino "vu cumprà" come nel figlio con cui non dialoghiamo. La comunità cristiana ha la garanzia dello Spirito di Gesù, cioè i mezzi per aprire le porte dei nostri piccoli cenacoli o cattedrali. Può e deve rifiorire nell'esercizio della condivisione e del perdono. Rinasce quando sa dire "no" all'ingiustizia; è testimone del divino quando i suoi membri si amano come fratelli e sorelle. Crea vita nuova quando abbatte le distinzioni dei meriti onorifici e si riunisce attorno alla stessa tavola della solidarietà. Gesù si congeda dai suoi cari; sa che è giunta la sua ora. Non chiede niente per se stesso, chiede a noi di amarci; solo così Lui potrà continuare a vivere in noi. Altrimenti, lo seppelliremo con tutte le pompe ed incensi, ma non sarà più con noi, sarà solo un'immagine da contemplare e non un progetto da vivere.

I Vangeli non parlano mai di "dolcezze o gioie" nella preghiera di Gesù. Tacciono, perché lui si ritira a pregare e lo fa sempre nell'imminenza di impegni forti, di azioni coraggiose, in cui la sua amanità sperimenta la paura di fronte alle sfide. Cosa avrà detto al Padre? Sia fatta la tua volontà. Si compia il tuo progetto, in altre parole. Sia Vita e non morte.

Abbiamo ricordato oggi, nell'incontro mensile in Diocesi, il 15º anniversario dell'assassinato di padre Josimo Tavares: un vero martire che nella difesa dei poveri e degli esclusi ha saputo vivere il suo amore per Gesù, sacrificando la sua vita. Forse il nostro amarci ha dimenticato la "martyria", per questo preferiamo altre platee, dove non è facile riconoscerci come fratelli. Immaginiamo cosa diranno di noi cristiani gli uomini di oggi.

Eppure, amarci come lui ci ha amato, non è impossibile. Basta credere che in Gesù possiamo ripulire la nostra vita dalle reminiscenze teologiche antiche del puro e dell'impuro e soprattutto della retribuzione negoziata nei templi e nei santuari. Che siano case di Dio, da dove le persone possano uscire ricreate e rinnovate per rivivere la stessa profonda umanità del Figlio unico del Padre.

 

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