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TESTO Commento su Luca 1,39-48

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IV Domenica di Avvento (Anno C) (24/12/2006)

Vangelo: Lc 1,39-48 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 1,39-45

39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Le figure femminili dei Vangeli affascinano coloro che si avvicinano alle Scritture con animo limpido, soprattutto per la formidabile carica d'amore che in esse s'avverte. Gesù stesso ha vissuto questo fascino. Non è un caso che proprio ad una donna, Maria di Magdala, stupenda figura d'amica e di innamorata, Egli abbia per prima annunciato la resurrezione (cf Gv 20).

Maria non fa eccezione. La Chiesa primitiva, sempre molto attenta a decifrare e interiorizzare le figure significative dell'esperienza religiosa, aveva colto la presenza vitale di questa donna affascinante e al contempo misteriosa. Oggi non è più così: il processo di secolarizzazione pare aver contribuito ad estraniare Maria dalla nostra esistenza quotidiana. Essa, anziché essere considerata come la casa vivente di Dio in mezzo a noi, madre di umanità, viene spesso caricata di connotazioni poetiche ed idealizzanti, oppure – il che è un altro modo per negarla e rimuoverla dalla concreta esperienza esistenziale del credente – relegata in discutibili apparizioni e in immagini piangenti che nulla hanno da spartire con la gioia del messaggio cristiano il quale, lungi dall'andare alla ricerca di miracoli e di eroi, trova un senso compiuto nella faticosa esistenza umana d'ogni giorno.

Le letture di questa Quarta Domenica d'Avvento riportano, per così dire, un po' d'ordine in questa deformazione sistematica dell'immagine della Madre del Signore e ci indicono ad interrogarci su che cosa può ancora dire Maria alla coppia e alla famiglia di oggi.

Eccomi, sono la serva del Signore:
avvenga di me quello che hai detto.

Alleluia.

Nell'acclamazione al Vangelo viene proclamato il v.38 di Lc 1 che precede immediatamente il brano evangelico della Scrittura proposto dalla liturgia odierna.

Le visioni profetiche stanno per compiersi. È importante ricordarlo in un tempo neo-positivista in cui siamo ormai incapaci di visioni. Si avvera nella storia ciò che aveva profetato Michea: "Così dice il Signore: E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele...". Tutto è piccolo nella Scrittura. È piccola Nazareth, la città di Maria; è piccola Betlemme, la città dove è nato Gesù, il Messia promesso dai profeti; sono "piccoli" i pastori, poveri portatori di speranza. E "piccola" si riconosce Maria stessa, nella piccola Ain Karim con Elisabetta: "L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà (...la piccolezza!) della sua serva".

Una coppia ed una famiglia possono umilmente riconoscersi in questa piccolezza. Possono riconoscere la perenne fragilità della loro relazione, non per banalizzarla e distruggerla, ma per rinnovarla e ricostruirla ogni giorno. È fuorviante affermare che Maria ha pronunciato un "sì" definitivo. In realtà ha pronunciato il suo "sì" giorno dopo giorno, a mano a mano che accompagnava docilmente con la sua vita l'azione di Dio nella storia umana. Anche per noi, coppie di oggi, la fedeltà "per sempre" è una serie continua e quotidiana di atteggiamenti e di disposizioni fedeli.

L'umiltà di Maria non va però confusa con un atteggiamento remissivo e rassegnato. Maria teneva la testa alta e la schiena diritta, che è poi l'atteggiamento tipico di ogni vero obbediente non alla lettera della legge, ma allo spirito. Sa riconoscere ed accettare l'inaudito che si manifesta in lei. Non pone alcun ostacolo tra sé e la parola del Signore. Accetta cioè il progetto di Dio (un progetto di liberazione) con tutti i rischi che questo comporta: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto...". L'umiltà e la disponibilità, la "piccolezza" appunto, le hanno consentito di cogliere e di interiorizzare le "grandi cose" che Dio aveva preparato per lei. Tutta la storia della salvezza ( anche, e a maggior ragione, degli sposi) gravita attorno a questo movimento: accogliere il progetto di Dio. Da Mosè, a Maria, a Gesù. Quel Gesù che come Maria non ha posto ostacoli alla chiamata, come leggiamo nell'odierno brano della Lettera agli Ebrei: "Ecco io vengo... per fare, o Dio, la tua volontà...". Un progetto di cui Maria è stata tramite, e che dovrebbe essere – se solo ne fossimo capaci – nel cuore e nell'agire di ogni coppia.

Scrive Martin Lutero nel Commento al Magnificat: «Parlando delle "grandi cose" che Dio ha realizzato in lei, Maria allude unicamente alla sua Maternità divina. Questa grazia iniziale spiega tutti gli altri numerosi e sublimi favori di Dio. Riassume ciò che rappresenta il suo onore e la sua gioia; ci permette di comprendere perché Maria occupi, in capo all'umanità, un posto unico e assolutamente eccezionale». Ma tutto questo, fin dall'inizio, non le viene riconosciuto. Come ricorda René Girard (Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo): «Nella scena della nascita, si ritrova quell'infimo sussurro che annuncia lo scarso peso della rivelazione nel mondo degli uomini, il disprezzo da cui è circondata, le falsificazioni di cui è oggetto. Fin dall'origine, il bambino Gesù è l'escluso, l'eliminato, il nomade, colui che non ha neppure una pietra su cui posare il capo. La locanda non ne vuol sapere di lui; Erode lo cerca dappertutto per ucciderlo». Maria vive questo dramma, eppure conserva tutte queste cose nel proprio cuore e rinnova il suo "sì" al Signore: "L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà del, a sua serva" (Lc 1,48).

E lui, Gesù di Nazareth, figlio di Miryam, convoca tutti noi, tutte le nostre famiglie, per questo progetto di liberazione. Lui, che ha sofferto fame e sete, che è vissuto senza un tetto, che si è messo in cammino con gli uomini e le donne del suo tempo, poveri e ricchi, santi e peccatori, ci chiede di proseguire questo percorso e di riconoscere le "grandi cose" che Dio ha fatto e sta facendo per noi. Di accompagnarlo, perché in questo progetto lui c'è. C'è nelle case distrutte dei libanesi; c'è sotto i bombardamenti americani in Iraq; c'è tra i bambini massacrati dai terroristi suicidi; c'è tra coloro che conservano ancora un minimo di umanità e di dignità per protestare contro la vergogna di Abu Graib e di Guantanamo; c'è nelle carrette del mare stracolme di extracomunitari in fuga da paesi inospitali e luoghi di morte sicura, nelle file interminabili di profughi in cerca di cibo e di alloggio. C'è fra i palestinesi ai quali viene negata una patria. C'è fra le coppie e le famiglie che vivono la fatica dell'esistere, del dialogo, della fedeltà. C'è fra tutti gli sconfitti della storia.

In questa storia apparentemente perdente noi siamo chiamati a proclamare le grandi cose di Dio, la sua misericordia, cioè – letteralmente – il suo cuore umile e povero. A chiedergli, col salmista: "Risveglia la tua potenza e vieni in nostro soccorso. Fa brillare il tuo volto e saremo salvi..."(Sal 79,3-4). Per questo dobbiamo farci imitatori di Maria. Cercare di imitarla è l'unica "devozione" che conservi un senso. Imitare il suo coraggio. Il suo modello di relazione con l'Ineffabile. Se, nonostante l'infinita distanza – lei segnata, come ognuno di noi, dalla tapeinosis, dalla piccolezza, dal senso del limite e della creaturalità – Dio l'ha avvolta con il suo sguardo di benevolenza, come una madre avvolge nei pannolini il suo bambino, ebbene davvero non abbiamo nulla da temere. Lo sguardo compassionevole di Dio avvolge anche ognuno di noi, le nostre coppie spesso in difficoltà ed in crisi, le nostre famiglie così fragili e problematiche. L'essere compassionevole di Dio non è un vago sentimento di pietà, ma azione concreta che entra nella storia umana, che "libera", è assunzione di responsabilità nei confronti di coloro ai quali la "com-passione" è rivolta. E "salvezza".

Tutto questo ha intuito Maria all'annuncio dell'angelo; tutto questo ha annunciato la figlia di Sion alla cugina Elisabetta, con quell'inno – il Magnificat – che resta un capolavoro di poesia e di teologia; e tutto questo noi possiamo portare nel cuore stesso della nostra coppia e della nostra famiglia, dicendo ogni giorno il nostro faticoso sì all'esistere.

Traccia per la revisione di vita

• La nostra tenerezza di coppia e di famiglia è contagiosa? Rivela negli ambienti che frequentiamo l'infinita tenerezza di Dio?

• Le nostre famiglie hanno il coraggio di dire di "sì" al progetto di Dio che si rivela, spesso in modo inaspettato, nel corso della nostra vita di famiglia?

• Siamo capaci di trasmettere ai nostri figli, come Maria a Gesù, il senso della dignità, la capacità di camminare comn la testa alta e la schiena diritta?

Commento a cura di Luigi Ghia

 

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