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TESTO Tutto quanto aveva per vivere

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XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (12/11/2006)

Vangelo: Mc 12,38-44 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 12,38-44

38Diceva loro nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, 39avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. 40Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».

41Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. 42Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. 43Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. 44Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

Giunto al termine del suo ministero pubblico, Gesù quasi semplifica il suo insegnamento, nel contenuto e nel metodo, mostrando con esempi concreti di vita ciò che più conta all'occhio di Dio.

Il mondo giudica dall'apparenza, Dio vede nel cuore. Perciò la sincerità e la verità interiore è valore, non la facciata e l'immagine ostentata davanti agli altri. E lì nel cuore Dio può giudicare la radicalità del dono di sé, anche se agli occhi esterni può apparire gesto piccolo e insignificante.

1) VERITA' NON APPARENZA

Non esiste messaggio più urgente di quello del vangelo di oggi contro ogni forma di "fariseismo" dell'apparire, del prestigio, dell'immagine a scapito della sincerità e verità di se stessi. E' la religione del paganesimo moderno indotto dalla televisione e dalla pubblicità: ciò che conta è l'apparire giovani, vitali, efficienti; avere un posto di prestigio sui giornali e in tv, o anche solo una veloce apparizione; mostrarsi potenti in affari – magari senza scrupoli e a danno dei più deboli o del bene comune -: l'arrivismo del prestigio e dei primi posti. Non conta più né cultura, né competenza, né onestà, forse neanche professionalità; ciò che conta è far carriera e apparire potente, a scapito d'ogni altro valore personale e familiare (.. donne in carriera!). O anche semplicemente far soldi, lavorare, per apparire più capaci di altri di scialacquare in divertimento ed evasione, in futilità e banalità. I nuovi dei sono quelli del calcio, della moda, dello spettacolo, della canzone.. o, peggio, della più sfacciata trasgressività sessuale e libertaria! Si dice pagano appunto un mondo che invece del vero Dio adora gli idoli. Quando non si è più credenti, si diventa creduloni, boccaloni d'ogni più irrazionale novità e futilità.

É censurato da Gesù anche un fariseismo più miserevole, quello di chi approfitta del suo prestigio religioso per sfruttarlo a interessi propri, a scapito e inganno dei più deboli e dei poveri. La storia delle religioni, e della Chiesa stessa, è piena di queste situazioni abominevoli, a cominciare, tanto per fare un esempio di storia passata, dall'istituto della "commenda". Già altra volta Gesù aveva gridato allo scandalo di un tempio ridotto a spelonca di ladri e aveva compiuto quel gesto di purificazione scacciando i mercanti e proclamando la santità della sua casa di preghiera. Religione e affarismo è piaga di sempre nella comunità cristiana, e magari – proprio da farisei – coperti dal velo dell'iniziativa "sociale", col supporto di istituzioni, uomini e partiti che poco hanno di chiaro ed evangelico nella gestione del denaro e del potere.

"Tanti ricchi ne gettavano molte" di offerte, nota Gesù stando ad osservare chi metteva offerte per il tempio. Altra ostentazione censurata. Non è il quanto ciò che qualifica il valore di una offerta, ma il disinteresse. Pensiamo al modo e al metodo della sponsorizzazione. Magari si dà tanto, per la solidarietà, per la Chiesa stessa, ma... solo se ci sono dei ritorni, se c'è un prestigio, un guadagno, una immagine che fa promozione e .. quindi resa! Non che in sé sia male, ma non è certamente né valore morale né dono. E' sistema economico con le sue leggi del profitto; che comunque educa al proprio tornaconto e non all'altruismo e alla gratuità. Questo si dica di tante forme di "aiuti" ai paesi poveri, o semplicemente di iniziative umanitarie dove i proventi finiscono quasi tutti al solo sostegno dell'apparato e poco a beneficio di progetti utili e concreti.

2) TOTALITARIETA'

La vedova è lodata da Gesù perché pur avendo messo pochissimo, era però "tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere". Non del suo "superfluo", nota Gesù parlando degli altri, ma di qualcosa di vitale e decisivo, qualcosa che le è costato molto. Ciò che conta per Gesù è il tutto! Come è capitato alla vedova di Zarepta, ormai anche lei allo stremo di risorse per la sua vita e quella del figlio, ma pronta con quell'ultima goccia d'olio a condividerla con Elia in tempo di carestia generale. La condivisione di ciò che è più profondo e vitale, non del superficiale o dell'inutile; di ciò che più costa ed è interiore... è quanto qui viene richiamato come il cuore vero del dono di sé. Cioè una condivisione totalitaria, senza mezze misure e riserve.

Sull'esempio di Gesù stesso – ci richiama oggi la seconda lettura – che ha dato se stesso per noi fino all'ultima goccia del suo sangue: "Avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine" (Gv 13,1), proprio perché "non c'è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Gv 15,13). Sull'esempio di Dio – scrive ammirato san Paolo – "che non ha risparmiato il proprio Figlio ma lo ha dato per tutti noi" (Rm 8,32). La radicalità del dono è l'unica immagine del Dio che ha voluto mostrare di sé lo "spettacolo" della croce, perché "Dio è amore" (1Gv 4,8). Tale radicalità la esige anche da noi come suoi figli e discepoli. Valga per tutti l'esempio primordiale e normativo del sacrificio di Abramo (cf. Gen 22).

Radicalità con Dio che si invera nel dono generoso al prossimo. "Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede" (1Gv 4,20). Del resto, quella parola di Gesù: "chi perderà la propria vita per me la salverà" (Mc 8,35), fa certamente riferimento anche ad un dono di sé nel servire i fratelli per amore di Cristo, perché "qualunque cosa avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli l'avete fatto a me" (Mt 25,40). Il gesto d'offertorio che ci è richiesto ad ogni messa – anche espresso con denaro – è segno di ringraziamento per il frutto del nostro lavoro benedetto da Dio, quasi – come dice la Bibbia – offerta delle primizie. Poi esprime corresponsabilità nella gestione dei bisogni della comunità e solidarietà coi poveri. Sono doni che – simbolizzati dal pane e dal vino – ci vengono restituiti come presenza e azione divinizzante di Cristo per farci dono per gli altri.

"La farina della giara non venne meno e l'orcio dell'olio non diminuì". Non ci si perde mai ad essere generosi con Dio; è il miglior investimento. Dio non si lascia mai vincere in generosità, purché sia un dono puro. Poco o tanto, ma .. tutto, col cuore!

 

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