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TESTO Morte? No, grazie, vita eterna

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

Commemorazione di Tutti i Fedeli Defunti (Messa II) (02/11/2006)

Vangelo: Mt 25,31-46 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 25,31-46

31Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Penso che sia pacifico per tutti che una delle tendenze più comuni alla natura umana sia quella di attribuire un significato alla morte, essendo questa un destino che ci accomuna tutti quanti. L'uomo cioè si è sempre domandato perché a un certo punto si debba morire, per quale motivo avviene che dopo aver attraversato il nostro tempo nello spazio vitale dei progetti e delle iniziative si debba finire inevitabilmente i nostri giorni in mezzo alla polvere. Addirittura il Libro del Quelet sembra in un certo suo periodare sembra attribuire la medesima sorte all'uomo e all'animale: ad ambedue lo stesso destino, confondersi con la terra senza distinzione né discriminazioni da parte della natura. Ecco perché tutto è vanità. Fortunatamente poi lo stesso Libro si smentisce.

Ma ad ogni buon conto, l'uomo comunque è ben differente da un animale e la sua razionalità gli permette di valutare a fondo il senso pieno di tutti gli eventi e delle cose e pertanto di interrogarsi sulla morte.

Più che interrogarsi però è meglio dire che l'uomo tenda a rinvenire la soluzione definitiva al problema morte: è mai possibile che io debba morire? E' concepibile che dopo una lunga vita di ambizioni e di attività il mio corpo debba ad un certo punto trovarsi pietrificato, maleodorante, per poi ridursi in polvere? Non c'è un'alternativa alla morte, un qualsiasi elisir di lunga vita o un espediente che sia in grado di garantirmi la prolungazione dell'esistenza sulla terra?

La domanda richiama la ricerca antropologica sull'uomo, quella del "senso" della vita e delle "cose ultime" e in tutti i casi è sempre pertinente. L'hanno affrontata filosofi, intellettuali, saggisti e anche il pensiero cristiano ha avuto modo di esprimersi sull'argomento.

Si è sempre espresso però a patire dalla Rivelazione, cioè dal dato di fatto che Dio comunica con l'uomo manifestando se stesso, la sua Parola accompagnata dai suoi prodigi attraverso l'intera vicenda della "Storia della salvezza". Soprattutto nell'evento Gesù Cristo che è la Rivelazione per eccellenza, il Dio entrato nella storia dell'uomo per attraversarla e condividerla sotto tutti gli aspetti, felici e avversi.

Ebbene, qual è la risposta che Dio offre nella sua Parola al problema assillante della morte?

La Scrittura risponde: non morte, ma vita eterna. Dio comunica in Isaia, in Giobbe, nel Libro dei Maccabei, nel libro della Sapienza e ancora altrove di non essere il Dio dei morti ma dei vivi e di volere per tutti il destino della vita che trascende e supera l'aspetto angoscioso della morte." Nel solo Antico Testamento Egli ci garantisce che al di là del nostro corpo mortale si trova la comunione piena con Lui nella gioia senza fine e che a questo noi tutti siamo destinati: "Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà." Afferma anche che Dio attende a braccia aperte ogni suo fedele e lo accoglie nella dimensione della gioia piena e senza fine ("Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi giusti") e che anche per noi non può esservi che motivo di allegria nell'anelito verso Dio a conclusione della nostra vita terrena, se è vero che Giobbe confida di vedere il Signore non appena sarà consumata la sua pelle mortale.

Ma è soprattutto in Cristo che Dio ci dà la garanzia della vita eterna. Nel Verbo incarnato Dio non manca infatti di esperire sulla propria carne quello che più volte abbiamo menzionato come il comune destino degli uomini e degli animali: la morte. Ne ha fatto esperienza in una condizione di espressiva crudeltà, nella solitudine e nell'abbandono da parte degli uomini e avvertendo perfino di essere stato abbandonato dallo stesso Dio Padre; quindi può ben essere consapevole dei sentimenti dell'uomo intorno alla fine della vita, può ben condividere lo stato di angoscia e di depressione che ci sconvolge di fronte alla prospettiva del trapasso, così come si evince del resto dalla lettura attenta dei Vangeli. Ma se Egli ha consapevolezza dello smarrimento causato dalla morte, a maggior ragione può affermare che "chiunque vive e crede in me anche se muore vivrà". Perché? Perché la morte non è l'ultima parola nella vita del fedele e del credente; per chi si associa a lui nella pienezza della vita di fede e di comunione con il Verbo segue inevitabilmente lo stesso destino di gloria che si chiama Resurrezione e che ha interessato lo stesso Signore. In altre parole, Cristo è morto ma è anche risorto, pertanto il nostro avvenire risiede proprio in questo evento che è la sua Resurrezione per la quale finalmente si trova la risposta definitiva alle vicende dell'uomo in merito alla morte: siamo destinati a risorgere con lui. Quella che comunemente noi chiamiamo la morte non è che il passaggio ad una nuova dimensione gloriosa per la quale ci troveremo a vivere una gloria invidiabile che spesso nella Scrittura viene equiparata ad un banchetto lauto e sostanzioso, un pranzo luculliano emblema di gioia e prosperità senza fine.

Ed eccoci allora alla motivazione che ci induce oggi a visitare i nostri cimiteri che come non mai pulluleranno di gente emanando da tutti i vialetti odori del polline fresco dei fiori: non sarà una celebrazione luttuosa quella che oggi riguarderà il nostro contatto con i defunti, ma piuttosto una professione di fede nel fatto che i nostri defunti vivono con Cristo e sono ora privi di ogni tormento umano e terreno. Davanti alle lapidi rinnoveremo insomma la speranza che essi non sono affatto scomparsi, ma appunto perché gratificati dalla pace infinita e dalla gloria eterna del Signore continuano a presenziare nella nostra vita realizzando la continua comunione con noi che li sentiamo vicini nella preghiera e nella vita sacramentale per mezzo di numerose Messe che per essi oggi saranno applicate.

Naturalmente la Rivelazione vuole il nostro consenso nelle parole della fede. Non possiamo infatti affidarci alla verificabilità in un dato che appartiene comunque alla sfera del mistero che è Dio; occorre che vi aderiamo con le risorse del cuore che si apre al Mistero stesso, cioè che vi crediamo e vi mostriamo fiducia con l'adesione spontanea sufficiente per trarne il vantaggio della consolazione e del sollievo interiore. Crediamoci e affidiamoci insomma. Se la Rivelazione è la risposta al problema della morte, la fede è la risorsa con cui approdare al beneficio della Rivelazione.

 

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