TESTO Commento su Luca 21, 5-11
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Martedì della XXXIV settimana del Tempo Ordinario (Anno I) (25/11/2003)
Vangelo: Lc 21,5-11
Il tempio di Gerusalemme era considerato una delle sette meraviglie del mondo. Ed ecco che ad alcuni che ammirano e magnificano il tempio, Gesù dà una predizione di sventura: il tempio sarà distrutto. Dio non bada alla bellezza dei marmi e alla preziosità dei doni, ma vuole un popolo dalla cui vita traspaia che Dio abita in mezzo ad esso. Il profeta Michea aveva predetto: "Udite dunque, o principi della casa di Giacobbe, o giudici della casa d'Israele, che avete in orrore la giustizia e pervertite ogni diritto, che edificate Sion con il sangue e Gerusalemme con l'iniquità!... Per colpa vostra, Sion sarà arata come un campo, Gerusalemme diventerà un cumulo di rovine e il monte del tempio un'altura boscosa" (3,9-12).
Gesù viene interrogato qui unicamente circa la fine del tempio. La distruzione di Gerusalemme non fa parte degli avvenimenti della fine del mondo. Essa è già avvenuta quando Luca scrive il suo vangelo.
L'intento primo dell'evangelista è mostrare che non stiamo andando verso "la fine", ma verso "il fine". Il dissolversi del mondo vecchio è contemporaneamente la nascita del mondo nuovo. Gesù non risponde alla nostra curiosità circa il futuro, ma vuole toglierci le ansie e gli allarmismi sulla fine del mondo, che non servono a nulla e producono unicamente del danno. Alla paura della fine del mondo e della morte Gesù offre l'alternativa di una vita che si lascia guidare dalla fiducia nel Padre, in un atteggiamento d'amore che ha già vinto la morte. Il Figlio di Dio diventato uomo ci ha già rivelato il destino dell'uomo e del mondo: il suo mistero di morte e risurrezione è la verità del presente e del futuro.
Per gli ascoltatori di Gesù la distruzione del tempio significava la fine del mondo e il ritorno del Figlio dell'uomo (cfr Mt 24,3). In realtà significa la fine di un mondo vecchio e l'inizio di un mondo nuovo.
Il credente in Cristo non deve dare ascolto a voci false e fuorvianti. Anche san Paolo ha dovuto avvertire i cristiani di Tessalonica, scrivendo loro: "Vi preghiamo, fratelli, riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e al nostro ricongiungimento con lui, di non lasciarvi così facilmente confondere e turbare né da pretese ispirazioni né da parole né da qualche lettera fatta passare per nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente. Nessuno vi inganni in alcun modo! (2Ts 2,1-3).
Verranno molti e usurperanno il nome stesso di Cristo e la predizione della sua manifestazione al mondo, dicendo: "Io sono". Con queste parole, che sono la traduzione del nome di Dio, ognuno di essi si presenterà come il salvatore mandato definitivamente da Dio per portare a compimento la storia del mondo. Gesù smaschera questi "salvatori" chiamandoli seduttori. San Paolo presenta così il seduttore: "Verrà l'apostasia e si rivelerà l'uomo dell'iniquità, l'avversario, colui che si innalza sopra ogni essere chiamato e adorato come Dio, fino a insediarsi nel tempio di Dio, pretendendo di essere Dio" (2Ts 2,3-4).
La mancanza di umiltà è il primo segno della menzogna. Uno solo è il Salvatore e il Signore: colui che si è fatto ultimo di tutti e servo di tutti. Tutti i seduttori sono mossi dall'orgoglio, dall'interesse, dall'invidia, dalla cupidigia. Usano Dio, la sua parola e i suoi doni per affermare il proprio io. Nei confronti di questi figuri Gesù ci dà un avvertimento grave: "Non lasciatevi ingannare!... Non seguiteli"(v.8).