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TESTO Commento su Luca 6,39-42

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Venerdì della XXIII settimana del Tempo Ordinario (Anno II) (10/09/2004)

Vangelo: Lc 6,39-42 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Dalla Parola del giorno

Gesù disse ai suoi discepoli: "Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello, e non t'accorgi della trave che è nel tuo?".

Come vivere questa Parola?

L'occhio è l'organo di senso che, più degli altri, ci pone a contatto con il mondo circostante. Mefatoricamente, è l'espressione più completa del rapporto con Dio, con gli uomini e con le cose, e rispecchia in qualche modo tutto l'aspetto della persona. Non a caso, nel vangelo, il cieco guarito diventa 'il tipo' di chi si pone alla sequela di Gesù e la conversione in atto, come nell'esperienza dell'apostolo Paolo, è quell'aprire gli occhi e non vedere nulla fin quando, lasciandosi guidare, non cadono le squame dell'incredulità.

Comprendiamo bene allora perché Gesù ricorre a questa immagine per renderci avvertiti sulla necessità di togliere dal nostro occhio la trave dell'incoerenza prima di estrarre dall'occhio del fratello la pagliuzza del difetto. Trave che occulta non solo il campo visivo della nostra vita interiore nascondendo all'evidenza quegli orizzonti di bene tracciati dal vangelo, ma che ci rende inabili alla correzione fraterna. Inabili perché ciechi! Bisogna infatti "vederci bene" – avverte Gesù – per correggere e guidare su strade d'autenticità.

Ma chi di noi può dire con assoluta certezza di vederci bene? Nessuno, credo. E' pur vero tuttavia che la nostra capacità visiva può via via acquisire limpidezza nell'esporsi incessantemente alla verità della Parola, che diventa come una lente correttiva attraverso cui lo sguardo si abilita a percepire le prospettive del Regno sempre in atto. Ecco perché nel vangelo c'è spazio solo per una correzione fraterna sapida di speranzosa fiducia, capace di vedere con chiarezza la pagliuzza che offusca e disorienta, ma anche pronta a riconoscere il bene che c'è.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, tergerò l'occhio dell'anima con il collirio di cui parla l'Apocalisse – l'intelligenza spirituale (cfr. 3,18) – per sottrarmi al giudizio miope che rimprovera le colpe del fratello mentre, serrato e superbo, brancola nel buio dell'autosufficienza.

Purifica ed affina il mio sguardo, Signore, perché mi sottragga alla cecità del giudizio malevolo e parziale, imparando a saper cogliere tra le pagliuzze del difetto quella trasparenza di bene che è dono Tuo.

La voce di un maestro di vita spirituale

Quando la forza di Dio è da noi rifiutata o trascurata, oscilliamo tra due posizioni: un po' in senso di bonaria comprensione per tutto e un po' in senso moralistico-deplorativo. Spesso ci manca lo sguardo che sappia vedere il male dell'uomo, ma con misericordia.
Carlo Maria Martini

 

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