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TESTO Camminero' alla presenza del Signore (264)

don Remigio Menegatti   Parrocchia di Illasi

XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (17/09/2006)

Vangelo: Mc 8,27-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 8,27-35

27Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». 28Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti». 29Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». 30E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.

31E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. 32Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. 33Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».

34Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 35Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà.

Per comprendere la Parola di Dio alcune sottolineature

La prima lettura (Is 50, 5-9) parla di un misterioso personaggio, conosciuto di solito come "servo di YHWH". Un uomo, ma forse anche tutto un popolo, che vive tante sofferenze a causa della missione ricevuta da Dio. Nonostante questa tribolazione non viene meno nella fiducia nel Signore che lo assiste, ne prende le difese, sta dalla sua parte. Un "servo" convinto di non restare deluso anche quando tutto e tutti sembrano schierati contro di lui; non si turba perché Dio resta dalla sua parte.

Il vangelo (Mc 8, 27-35) riporta il dialogo tra Gesù e i suoi discepoli: loro lo riconoscono come Messia, e lui spiega con chiarezza lo stile con cui intende vivere la sua missione. Anche lui realizza la figura del "servo di YHWH", che si trova ad affrontare la chiusura di tanti e non smette di confidare nel Padre suo, deciso di adempiere fino in fondo la missione che Dio gli ha affidato.

Salmo 114
Amo il Signore perché ascolta
il grido della mia preghiera.
Verso di me ha teso l'orecchio
nel giorno in cui lo invocavo.

Mi stringevano funi di morte,
ero preso nei lacci degli inferi.
Mi opprimevano tristezza e angoscia
e ho invocato il nome del Signore:
«Ti prego, Signore, salvami».

Buono e giusto è il Signore,
il nostro Dio è misericordioso.
Il Signore protegge gli umili:

ero misero ed egli mi ha salvato.

Egli mi ha sottratto dalla morte,
ha liberato i miei occhi dalle lacrime,
ha preservato i miei piedi dalla caduta.
Camminerò alla presenza del Signore

sulla terra dei viventi.

Il salmo è come un distillato della preghiera e professione di fede di tante persone, tanto del popolo ebreo quanto di ogni altra etnia della terra. Si tratta di sempre persone "giuste", fedeli al Signore, legate ai valori essenziali della vita e, forse proprio per questo, sperimentano l'opposizione, le critiche, la sofferenza causata da chi si contrappone a loro.

Il salmo inizia raccontando le sofferenze subite, ma si concentra soprattutto sulla risposta di Dio e sulla liberazione sperimentata come frutto della fedeltà. La seconda parte ricorda i gesti di salvezza con cui Dio si manifesta fedele a chi lo accoglie: è misericordioso, protegge gli umili, asciuga le lacrime di chi soffre, difende quanti si pongono la loro fiducia in lui.

Alla fine si conferma la volontà di continuare in questa avventura di fede usando l'immagine di un cammino che conduce al Signore, un cammino da percorrere con decisione e gioia, anche quando può essere "in slaita".

Un commento per ragazzi

"Ma allora è proprio necessario soffrire per seguire il Signore?", e poi "Questa sofferenza da chi è voluta? Da Dio stesso?" Così sembrano dire alcuni degli adulti con delle affermazioni che non si capisce bene se sono proverbi o professioni di fede.

Potrebbero essere questi alcuni dubbi che nascono ascoltando le letture di questa domenica: un servo di Dio che soffre; un Figlio di Dio che mette in guardia chi lo vuole seguire prospettando fatiche e sofferenze. Dubbi che certamente non infondono grande entusiasmo, e non stimolano slanci esagerati. Che sia proprio così?

Una certa fatica è legata a tutte le esperienze della vita. In alcuni casi la subiamo senza andare a cercarla, come nella malattia, altre volte sappiamo bene che la troveremo e non ci sottraiamo, convinti che ne vale la pena. Si tratta, in questo secondo caso, di fare alcune attività che ci piacciono, come uno sport particolarmente impegnativo. I ragazzi che nelle calde giornate di agosto, con il termometro che sale oltre i trenta gradi sono sul campetto in cemento impegnati nella partita sanno bene cosa significa sudare, ma non si tirano indietro.

Gesù non soffre per sport, quasi per riuscire in un'impresa estrema che gli dia l'onore delle cronache e l'applauso della gente. Anzi, in tanti casi esige che non si parli delle sue imprese, come ad esempio i miracoli, e altre volte si allontana da chi lo cerca per metterlo sul trono del ristorante che lavora a prezzi scontatissimi.

Gesù è il grande profeta, che è deciso a compiere la sua missione anche se deve faticare e soffrire. È sempre consapevole che Dio è dalla sua parte, perché lui - il Figlio - è fedele alle proposte del Padre suo. Può contare sulla forza di Dio, sul suo sostegno, certo di non restare deluso.

Inoltre dice con chiarezza ai discepoli – quanti lo circondavano allora, come pure a noi adesso – che si tratta dell'unica strada percorribile; non possiamo pensare di essere suoi discepoli se sfuggiamo la sofferenza che è legata tante volte alla missione ricevuta: mostrare l'amore di Dio. Non si tratta della sofferenza fine a se stessa, ma di un dolore che genera la vita. Gesù stesso paragona questo dolore a quello della donna che partorisce: è nella sofferenza per il dolore che prova, ma anche nella gioia perché dona la vita a un figlio. Gesù soffre per il rifiuto, come il contadino che vede cadere del seme sulla strada, tra le spine, in mezzo ai sassi, ma non smette per questo di seminare, sicuro che comunque il frutto del suo lavoro è sempre benedetto da Dio e sarà abbondante.

Forse noi ragazzi siamo della generazione del virtuale, e pensiamo che ogni cosa si faccia semplicemente con un clic su qualche tastiera, o spostando il mouse in un mega computer che simula la vita.

Poi scopriamo che la sofferenza, la malattia, la morte non sono i diversi gradi di difficoltà di un gioco, per sua natura virtuale. R rischiamo allora di sentirci naufraghi della vita, magari passiamo subito a incolpare qualcuno che, secondo una certa idea diffusa, prova il gusto sadico di buttarci a mare e vedere poi se ce la sappiamo cavare da soli.

Un aiuto lo troviamo in Gesù, il campione che non si ritira quando la gara diventa impegnativa, quando sembra che tutti siano divenuti suoi avversari. Lui è il vincitore, proprio perché non è rimasto in panchina in attesa di momenti facili. È sceso e continua a scendere in campo nel grande gioco della vita, per stare al nostro fianco e darci la vittoria.

Un suggerimento per la preghiera

Padre, anche noi riconosciamo che tu sei "conforto dei poveri e dei sofferenti", e ti chiediamo a nome nostro e di tanti nostri fratelli: "non abbandonarci nella nostra miseria: il tuo Spirito Santo ci aiuti a credere con il cuore, e a confessare con le opere che Gesù è il Cristo, per vivere secondo la sua parola e il suo esempio, certi di salvare la nostra vita solo quando avremo il coraggio di perderla".

Libri di don Remigio Menegatti

 

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