TESTO Commento su Luca 6, 43-49
Sabato della XXIII settimana del Tempo Ordinario (Anno I) (13/09/2003)
Vangelo: Lc 6,43-49
«43Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. 44Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. 45L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.
46Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico? 47Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: 48è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene. 49Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la distruzione di quella casa fu grande».
Nei versetti precedenti a questo brano (38-42) erano state elencate le caratteristiche dei falsi cristiani: ciechi, pretenziosi, severi verso gli altri e benevoli verso di sé e, soprattutto, illusi di non aver bisogno di perdono. Nei versetti 43-45 di questo brano ci viene presentato il nostro problema più serio: siamo piante cattive che producono frutti cattivi. Per guarire da questo inconveniente esiste un solo rimedio: dobbiamo accettare l'innesto nell'unico albero buono che produce frutti buoni: l'albero della misericordia di Dio, l'albero della croce di Cristo. E' inutile sforzarsi di fare frutti buoni fino a quando restiamo alberi cattivi. E restiamo alberi cattivi fino a quando non ci decidiamo ad essere totalmente di Cristo. L'albero della vita produce frutti di grazia e di misericordia, i frutti dello Spirito. "Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé" (Gal 5,22). Questa lista fornitaci dall'apostolo Paolo è sufficiente per capire se siamo cristiani buoni o cattivi.
Ma, mente un albero cattivo non può diventare buono, un uomo cattivo può e deve diventare buono. Il vangelo ci chiama a conversione, a passare dalla cattiveria alla bontà. L'essere cristiano si valuta solo dalla bontà del cuore, dalla bontà d'animo. Tutto il resto (preghiera, sacramenti, pratiche religiose, ecc.), o serve per diventare buoni d'animo, o non serve a niente. Questa bontà si manifesta attraverso l'amore concreto per il prossimo, un amore che antepone i fatti alle parole, secondo l'insegnamento della prima lettera di Giovanni: "Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità" (3,18). Cristiano non è chi parla come Cristo, ma chi vive e opera come Cristo.
La parabola della casa costruita sulla roccia o sulla sabbia conclude nel modo migliore tutto il discorso. La salvezza non consiste solo nel riconoscere Gesù come "il Signore", ma anche nel fare la sua volontà. La fede che si ferma alla conoscenza e non diventa esperienza che trasforma la vita, è una fede diabolica: "Tu credi che c'è un solo Dio? Fai bene; anche i demoni lo credono e tremano!... La fede senza le opere è morta"(Gc 2,19.26). Dalla parola ascoltata, accolta e custodita gelosamente nel cuore nascono necessariamente le opere buone della fede.
Il cristiano dev'essere ben piantato in Cristo, saldamente radicato e fondato nella fede (cfr Ef 3,17; Col 2,7). Deve aver raggiunto salde e profonde convinzioni e, soprattutto un serio impegno di vita, per non crollare davanti alle contrarietà e alle prove. Un cristianesimo fatto solo di belle parole, di bei gesti, di belle celebrazioni liturgiche non resiste alle immancabili persecuzioni e alle avversità della vita.