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TESTO E' giunta l'ora

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

V Domenica di Quaresima (Anno B) (02/04/2006)

Vangelo: Gv 12,20-33 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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20Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. 21Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». 22Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. 23Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. 24In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. 25Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. 26Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. 27Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! 28Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».

29La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». 30Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. 31Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. 32E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». 33Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

Strana risposta quella che finalmente Gesù da' a Filippo e ad Andrea, mandatari di alcuni Greci che "chiedono udienza" per poterlo incontrare. Si direbbe che Gesù voglia sviare il discorso e che tenti una scappatoia per evitare di parlare con i nuovi interlocutori, visto che ribatte con una simile espressione: "E' giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo...", eppure andando a fondo alla situazione non è difficile comprendere il senso di questa risposta. I Greci infatti sono pagani, che hanno una visione del tutto razionale di ogni cosa, abituati alle congetture e alle astrazioni e che pertanto, probabilmente, si sarebbero aspettati un Gesù differente dal Figlio di Dio umiliato quale Egli si era sempre manifestato a tutti. Certo, Gesù non disdegna di poterli incontrare e sarebbe pronto perfino ad intrattenersi a lungo con loro, tuttavia riferisce loro pressappoco questo: "Non aspettatevi un Gesù sapiente, razionale e padrone dello scibile che metta in ginocchio le potenze e le presunte onniscienze umane; piuttosto, un Gesù che sta per essere consegnato nelle mani degli aguzzini per affrontare la croce per volontà del Padre.

Il discorso riguarda anche noi, in queste ultime tappe della Quaresima, nelle quali rifletteremo sulla vera potenza di Dio che è quella di autoconsegnarsi alla morte e seguiremo Gesù in queste tappe possibilmente non solo nei contesti liturgici celebrativi, ma anche rapportando alla nostra vita la passione del Signore. Non possiamo non configurarci al dolore di Cristo né rifuggire la croce del nostro dolore fisico e delle nostre angosce quotidiane come pure della nostra malattia e del dolore di ogni tipo giacché in tutto questo – afferma San Paolo – si completa nella nostra carne quello che manca ai patimenti di Cristo, mentre ogni privazione e ogni forma di male e di dolore acquistano nello stesso Signore il loro senso reale e diventano più sopportabili. Guardando a Cristo che si crocifigge e considerando che ciò avviene per la salvezza nostra e di tutti gli uomini non potrà non acquistare valore ogni forma di sofferenza e di solitudine e anche nell'atroce prova delle infermità fisiche si riscontra la stessa forza consolante e risolutiva del Signore che non manca di offrire la sua grazia e la sua compagnia invisibile ma certa.

Naturalmente anche in Gesù vi è il carattere di umanità. Questo vuol dire che in lui doveva esservi (e di fatto vi era) necessariamente il senso di paura, di angoscia e di smarrimento nella prospettiva delle atrocità del dolore fisico accompagnato dalle cattiverie e dagli insulti della turba; sicuramente avremo notato almeno una volta che ad incutere timore all'uomo non è tanto il fatto di dover morire, quanto piuttosto la consapevolezza di dover soffrire terribilmente prima del trapasso, specialmente quando si è coscienti di dover affrontare uno strumento di tortura. Ebbene, la paura di Gesù era quella di dover patire le arguzie del flagello e dei chiodi della croce e di doversi straziare di dolore prima di esalare l'ultimo respiro una volta appeso a quell'infame patibolo. Ma il timore non gli è di ostacolo nell'accettare con risolutezza il destino transitorio e necessario per condurre se stesso e gli altri alla gioia della resurrezione e il pensiero di dover poi risorgere lo incoraggia, così pure fonda anche la nostra costanza nella prova: pensiamo al premio futuro che si chiama Resurrezione!

Gesù accetta di patire per noi nell'estrema prova della passione.
Perché è giunta l'ora"

Questa è la parola chiave di tutto il discorso di Gesù: la sua ora. Che cosa significa questo termine "ora"? Alle nozze di Cana Gesù rifiuta di accogliere la richiesta di intervento da parte della madre perché "Non è ancora giunta la mia ora" e durante le sue predicazioni e la sua presenza nel tempio e fra la folla, nessuno può arrestarlo né mettere le mani su di lui, poiché "non è ancora giunta la sua ora"... Questa sta arrivando proprio adesso, quando egli sta per essere consegnato alla morte.

Ebbene, l'ora è il tempo propizio, il momento nel quale Dio ha stabilito di realizzare la salvezza degli uomini attraverso il sacrificio del suo Figlio.

Nel linguaggio comune "la mia/sua ora" è quella della morte; nel linguaggio evangelico giovanneo l'ora è invece il momento opportuno nel quale si realizza il piano con cui il Padre salverà l'umanità, ossia la morte in croce del Suo Figlio. In quel momento tutto quello che prima non avveniva diventa possibile nell'immediatezza: se prima Gesù non veniva arrestato nonostante fosse ben esposto al pubblico, adesso viene catturato da un'intera compagine di uomini che gli tenderanno una trappola notturna; se prima il diavolo si era allontanato da lui rinunciando ad ogni forma di tentazione e veniva da questi cacciato attraverso molteplici esorcismi, adesso insidierà Gesù nella persona di Giuda il traditore; se prima avveniva che nonostante tutto Gesù disponesse della compagnia e dell'esaltazione della gente, adesso si troverà a restare solo. Insomma, a differenza dei precedenti questo è il momento in cui tutto diventa fattibile affinché Cristo venga consegnato con facilità alla morte, non per la capacità degli uccisori, ma perché il Padre rende possibile il suo arresto e la sua condanna (Si veda il mio lavoro su qumran "L'arresto di Gesù nei quattro vangeli")

Non un Dio di sapienza e magnificenza intellettuale, simile a quello che i pagani potevano aspettarsi, ma un Dio che rinuncia a se stesso, consegnandosi nelle mani crudeli di coloro che da lui sono resi oggetto di salvezza, questi è Gesù in questo momento.

Ma è proprio necessaria questa sua autoconsegna e immolazione?

Lasciamo che a rispondere sia sempre lo stesso Signore: "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto". Come infatti un solo chicco di grano deve perdersi fra i meandri profondi della terra per recare il suo frutto di prosperità e di benessere per i fabbisogni dell'umanità, così Cristo dovrà affrontare l'oscurità del sepolcro per recare a tutti il beneficio di salvezza a tutta l'umanità e quindi è indispensabile che in lui si realizzi lo strazio della tortura e dello spargimento del sangue, poiché attraverso il patibolo e non in altre forme Egli potrà addossare su di sé tutte le pene che meriterebbero gli uomini a motivo del loro peccato.

Nella consegna di Cristo si adempie la realizzazione del disegno di salvezza e infine anche il rinnovamento dell'uomo nella sua profondità, poiché nella nuova Alleanza che scaturisce dalla croce si fonda anche la novità del cuore umano che sarà capace di ingenerare il bene e la giustizia, come il cuore di carne in antitesi al cuore di Pietra, evocato dalla Prima Lettura. Un cuore di carne che è lo stesso cuore di Cristo.

 

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