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TESTO Mio fratello gemello

don Andrea Varliero

II Domenica di Pasqua (Anno C) (27/04/2025)

Vangelo: Gv 20,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Didimo: nome strano, significa «il gemello». Tommaso, detto Didimo, ha un fratello gemello: sono io, sei tu. Siamo nati da un unico grembo, abbiamo vissuto insieme nove mesi: per questo, anche dopo l'acquisizione di un'esistenza autonoma, l'esistenza dell'uno riecheggerà per sempre in quella dell'altro. C'è tutto un mondo di non detto tra me e il mio gemello, un legame che neanche ricordiamo, avvenuto prima di ogni parola. Retaggio di un ricordo che precede la memoria stessa, e che dal corpo si insedia nella psiche come traccia indelebile. Una vita da gemelli sempre in tensione, tra quell'esperienza intima prima della nascita e quella spinta a differenziarsi per tutto il resto della vita. Io ho un fratello gemello, si chiama Tommaso: come lui, anche io non ero presente in quella stanza con le porte sprangate, stanza di aria stantia abitata dalla paura. Come lui, anche io faccio fatica a fidarmi di chi mi dice che Lui è risorto: troppo grande, troppo forte, troppo immenso che Lui sia ancora vivo in mezzo a noi. Come lui, anche io chiedo di poter toccare e vedere, chiedo ai sensi una prova: ne ho tutto il diritto, ne ho tutte le ragioni. Il mio gemello è come me, io sono come lui: vuole vedere, vuole toccare. Non posso più fidarmi, dopo quel fallimento totale veduto appeso alla Croce, non posso più seguire voci di altri esaltati, non posso più perdere tempo. Devo vedere, devo toccare.

Quel corpo risorto si siede a tavola come un amico, mangia e beve: lo riconosco, eppure non lo riconosco. Non è un fantasma, eppure faccio fatica a ricomprenderlo, non è più quello di prima. Non è stata una triste parentesi la Croce, un incidente subito rimarginato, un qualcosa da riporre nel cassetto perché ora è tutto a posto, anzi: i segni sono rimasti. Indelebili. Nessuna delle sue ferite della Croce è rimarginata, quel Corpo per l'eternità sarà un corpo di ferite aperte, di pelle squarciata. Mi dice: tocca queste ferite, tocca la mia pelle. La pelle, l'organo più vitale a tutti noi, la nostra barriera e il nostro confine. La pelle con le sue cicatrici, le sue ossessioni, i sentimenti espressi che diventano rossore o livore, la pelle che si irrigidisce o si corruga, la pelle diario ai nostri anni, alle nostre tensioni e stanchezze, la pelle che respira, la pelle confine tra interiorità e mondo, la pelle ferita di Gesù Risorto. Toccala, è rimasta aperta.

La fede è una ferita alla pelle, credere è lasciarsi ferire. Dunque, non esiste una fede senza ferite, non esiste una fede lineare. Si racconta che a san Martino apparve il diavolo in persona nelle sembianze di Cristo: il santo, tuttavia non fu tratto in inganno. Gli chiese: «Dove sono le tue ferite?». Io non credo in una fede senza ferite, in una Chiesa senza ferite, in un Dio senza ferite. Solo il Dio ferito, attraverso la nostra fede ferita, potrà guarire il nostro mondo ferito.

Beati! C'è una beatitudine conclusiva per Tommaso e per me, fratello gemello suo: beati coloro che crederanno! La felicità è accordare una ferita alla nostra pelle, la felicità è comprendere che non tutto è unicamente toccabile, non tutto è solamente visibile, non tutto è noiosamente a misura dei nostri poveri sensi. Una mia amica consacrata mi confidava che suo padre, già negli anni Cinquanta, dalla cattedra di fisica indicava ai propri studenti un mondo di intelligenza artificiale. Era considerato un pazzo. Nessuna prova, nessuna tangibilità, eppure quell'intuizione è diventata realtà. Un certo Galileo Galilei ci fece immaginare un sistema completamente diverso di rapporto tra pianeti. Nessuna prova, nessuna tangibilità, eppure quella sua teoria è diventata realtà col pendolo di Foucault. Fu considerato un eretico. Uno sguardo più ampio è la nostra fede, sensi amplificati sono il nostro credere: allora il silenzio, la lacrima, i piccoli gesti, i desideri, la possibilità di credere all'amore e all'umanità, una nuova possibilità, sono una direzione verso cui orientarci, una fede di Pasqua. Questo mio mondo non coniuga più nessun verbo al futuro, è un mondo vecchio che si ferma all'oggi, confonde l'oggi con l'eternità. Quel corpo risorto, quella voce di Pasqua mi indica invece un domani, un futuro. Mi apre una ferita, perché diventi finestra.

Mio Signore e mio Dio! È la professione di fede più bella, sulle labbra del mio fratello gemello. Non il Dio degli altri, il Dio lontano, il Dio senza volto e senza passione, ma il mio Dio: ci apparteniamo, cerchiamo di conoscerci ogni giorno di più, cerchiamo di volerci bene ogni mattino e ogni sera che passano. Mio Signore e mio Dio, come è la gioia di appartenersi, di ritrovarsi nel volto di chi si ama.

 

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