TESTO Tutto ciò che vivremo nell' amore non andrà perduto
Domenica di Pasqua - Risurrezione del Signore (Anno C) (17/04/2025)
Vangelo: Gv 20,1-9

1Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 2Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». 3Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. 4Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. 5Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 6Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, 7e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. 8Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.
Il mattino di Pasqua inizia con una corsa.
Maria si affretta ad avvisare Simone e l'altro discepolo, che a loro volta corrono al sepolcro.
Ma perché tanta fretta? Perché quando si tratta di Gesù, l'amore non conosce lentezza. Pasqua è un invito a svegliarci, a scuoterci dal torpore spirituale, a metterci in moto con entusiasmo.
Se vi domandessi: “Che cos'è la Risurrezione?”, probabilmente molti risponderebbero: “È quando un morto torna in vita”. Ma non è proprio così. Nei Vangeli, la risurrezione è qualcosa di molto più profondo.
La risurrezione riguarda chi è vivo adesso. È il dono di una vita piena, capace di oltrepassare persino la morte. Non è una ricompensa futura per chi si è comportato bene, ma un modo nuovo di vivere, qui e ora. San Paolo lo dice chiaramente: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”.
Pasqua parla ai vivi, e per fortuna! Perché se riguardasse solo chi è già morto, a che servirebbe questa festa per noi? Sono io, siamo noi, a dover risorgere ora, nella vita di tutti i giorni.
Siamo qui oggi perché tutto è cominciato con quella corsa: dal sepolcro al cenacolo.
Maria di Màgdala corre per raggiungere i discepoli e raccontare ciò che ha visto. Ancora non sa che le sue parole cambieranno la storia.
E poi, ancora di corsa, dal cenacolo al sepolcro: vedo Pietro e Giovanni che si affrettano, portando con sé il peso del fallimento, della paura, del rimorso.
Pietro, che aveva promesso di dare la vita per Gesù, era stato poi smentito da una semplice domestica. Per tre volte aveva negato di conoscere il Maestro. E forse aveva detto la verità: non lo conosceva davvero, non ancora.
Insieme a lui corre Giovanni, il discepolo amato, colui che aveva appoggiato il capo sul cuore di Gesù durante l'ultima cena.
Giovanni, che era più giovane, arriva per primo al sepolcro, ma lascia entrare Pietro.
È un'immagine bellissima di come dovrebbe essere la Chiesa: gente che si aspetta, che non ha fretta di arrivare da sola. Ognuno ha i suoi tempi. La fede nel Risorto è qualcosa che si vive insieme, non da soli.
È come una corsa dove c'è chi arriva prima, ma ha la pazienza di aspettare chi è ancora indietro.
Il cuore - rappresentato da Giovanni - arriva prima, ma sa dare spazio all'autorità - Pietro. E questo è segno di amore e rispetto.
Giovanni entra, vede quei teli e capisce. Crede. Perché ha l'intelligenza del cuore, quella che sa leggere i segni anche quando non sono evidenti.
C'è un vecchio detto che dice: “I sapienti camminano, i giusti corrono, ma solo gli innamorati volano”.
Pietro invece, anche se entra per primo, non riesce a credere subito.
Per credere non serve vedere un miracolo clamoroso. A volte basta saper guardare ciò che hai davanti agli occhi. Ma ci vuole un cuore sveglio, aperto.
La fede non nasce da un ragionamento logico. Nasce da uno sguardo attento sulla realtà. È sentire, più che capire.
Credere non vuol dire “capire tutto”, ma fidarsi che in ogni cosa - anche in ciò che ci fa male, che ci confonde - c'è un senso.
Gesù non ha mai dato una spiegazione teorica al dolore. Non ha fatto un discorso sulla croce. L'ha attraversata. E poi è risorto.
Dio ha scelto di rispondere al dolore con un fatto, non con una spiegazione: la Risurrezione.
E il primo segno di Pasqua è proprio questo: un sepolcro vuoto. Un corpo che manca. Un'assenza che grida speranza.
Cristo è risorto perché l'amore non può essere sepolto. Dio ha voluto mostrarci che una vita vissuta per amore non finisce nel nulla. Come dice il Cantico dei Cantici: “Forte come la morte è l'amore”. Anzi, più forte!
Non è un caso che, quella mattina, siano andati al sepolcro proprio quelli che avevano sperimentato l'amore di Gesù: le donne, Maria Maddalena, Giovanni.
Sono loro, che si erano sentiti amati davvero, a riconoscere per primi che l'amore ha vinto la morte.
E ora? Ora abbiamo cinquanta giorni per lasciar crescere la nostra fede.
Pensaci: la Quaresima dura quaranta giorni, il tempo di Pasqua cinquanta.
Ci vuole più tempo a imparare a credere nella gioia che nel dolore.
Perché è facile sentirsi vicini a Gesù che soffre: tutti conosciamo la sofferenza. Ma sentirci vicini al Gesù risorto è più difficile: la gioia è una scelta, mentre il dolore ci capita.
Tanti cristiani sono così abituati alla tristezza da non accorgersi nemmeno che Gesù è risorto.
E invece sì, amici: il Signore è risorto!
Questo è il cuore di tutto!
Siamo discepoli di un Dio vivo, e sarebbe bello se questa gioia si vedesse nei nostri volti, nelle nostre messe, nei nostri incontri.
Cristo è risorto per tutti.
Per chi si sente solo, per chi non ce la fa più, per chi si prende cura degli altri senza che nessuno se ne accorga.
Per chi ha fatto una scelta difficile, per chi è lontano da casa, per chi non ha più una famiglia.
È risorto anche per chi si è dimenticato di Dio... o pensa che Dio si sia dimenticato di lui.
La Pasqua ci dice che quando scegliamo di amare, nessuna morte ha l'ultima parola. Nessuna pietra può chiuderci per sempre.
La bella notizia di Pasqua?
Siamo qui per vivere cose che meritano di non morire. Tutto ciò che è fatto con amore... resta. Sempre.
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