TESTO L' azione del vignaiolo come invito al sacramento della riconciliazione
III Domenica di Quaresima (Anno C) (23/03/2025)
Vangelo: Lc 13,1-9

1In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
6Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. 8Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
Una possibile interpretazione della parabola del fico (Lc 13,6-9)
Ognuno di noi può identificarsi con il fico della parabola di Gesù. Il terreno in cui siamo radicati potrebbe corrispondere alla comunità cristiana in cui abbiamo avuto la grazia di celebrare i sacramenti dell'iniziazione cristiana (Battesimo, Cresima, Eucaristia). I sacramenti dell'iniziazione cristiana, soprattutto l'Eucaristia, che celebriamo continuamente nella nostra vita (almeno una volta alla settimana, la domenica, il giorno del Signore), possono essere paragonati al concime che fertilizza il terreno della nostra comunità. L'acqua che irrora la “terra-comunità”, con il “concime-Battesimo, Cresima, Eucaristia” è la Parola di Dio proclamata, ascoltata e pregata in tutte le circostanze della vita, sia nelle sante Messe, sia nelle case, nei centri di ascolto o negli incontri di catechismo; sia individualmente che in comunità.
Di tutti i sacramenti, l'Eucaristia è il più importante. Perché?
La Chiesa fa l'Eucaristia e l'Eucaristia fa la Chiesa.
La Chiesa fa l'Eucaristia, in altre parole: la comunità cristiana, guidata dal vescovo Diocesano, celebra la Santa Messa attraverso il ministero essenziale del sacerdote insieme al diacono (collaboratori diretti del vescovo nel sacramento dell'Ordine). Nella celebrazione dell''Eucaristia, i ministri ordinati (sacerdote e diacono) sono segni sacramentali di Cristo e, attraverso l'azione dello Spirito Santo, permettono la presenza viva e reale di Cristo morto e risuscitato nella storia dell'umanità, sia nel pane e nel vino consacrati nella celebrazione all'interno della chiesa, sia nella vita delle persone più povere e sofferenti fuori dalla chiesa. Lo Spirito Santo, attraverso il sacerdote, trasforma il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Cristo. Lo stesso Spirito Santo rende possibile la presenza di Cristo risuscitato nella vita dei poveri. Grazie al diacono, siamo tutti invitati a completare la nostra comunione eucaristica compiendo le opere di carità o di misericordia fuori dalla chiesa, senza escludere nessuno. E queste opere di misericordia possono essere paragonate ai frutti del fico.
L'Eucaristia fa la Chiesa, cioè: la comunione eucaristica ci rinnova come membra vive del corpo ecclesiale di Cristo, affinché ciascuno di noi possa continuare a essere come un buon fico che offe i frutti saporiti delle opere di misericordia.
Perché il fico della parabola non porta frutto?
Il fico senza frutti ci preoccupa! Nonostante il buon terreno, ben concimato e benedetto dalla pioggia, le nostre radici, simbolo della nostra coscienza e della nostra libertà, sono indotte a non cercare il sostentamento spirituale nei sacramenti e nell'incontro orante con la Parola di Dio. Cercano il sostentamento umano e materiale nel terreno sassoso e più profondo del nostro egoismo umano. La Parola di Dio, attraverso l'apostolo Paolo, è una catechesi importante per noi oggi, affinché possiamo valorizzare i sacramenti dell'iniziazione cristiana e la preghiera incentrata sulla “salda roccia-acqua” della Sacra Scrittura, senza correre il rischio di diventare come quel fico inutile e senza frutti.
La maggior parte del popolo di Israele, liberato dalla schiavitù dell'Egitto con il passaggio del Mar Rosso, ebbe sempre la possibilità di vivere bene, anche camminando nel deserto e potendo finalmente entrare nella terra promessa. Ma quella generazione morì nel deserto a causa dell'idolatria (1 Cor 10,7, ricordando il vitello d'oro di Es 32), dell'impurità (1 Cor 10,8, ricordando il Baal Fegor di Num 25). Molti furono morsi da serpenti velenosi perché avevano parlato contro Dio e Mosè (1 Cor 10,9, ricordando Num 21,4-9), molti altri perché avevano mormorato contro Dio (1 Cor 10,10, ricordando Num 17,6-15). Interpretato per noi cristiani, l'apostolo Paolo sembra dire: siamo stati battezzati nell'acqua rigenerante del Battesimo, la cui immagine simbolica è l'antico passaggio del Mar Rosso e la liberazione del popolo di Israele. Abbiamo la possibilità di entrare in comunione con il corpo di Cristo nel sacramento dell'Eucaristia, così come il popolo di Israele poté mangiare la manna nel deserto. Abbiamo la possibilità di bere dalla sorgente di acqua vivificante della Parola di Dio, che è anche per noi la solida roccia su cui costruire la casa della nostra vita, così come il popolo d'Israele bevve l'acqua che usciva dalla roccia di Meriba. Abbiamo tutto ciò che ci serve per non morire spiritualmente, per non essere come un fico senza frutti. Tuttavia, le nostre radici sono costantemente tentate di nutrirsi del terreno sassoso dell'idolatria del denaro, dell'esaltazione dell'individualismo e delle capacità umane, della fiducia nel potere della conoscenza tecnica e scientifica, senza approfittare dell'esperienza dell'azione dello Spirito Santo attraverso i sacramenti e la Parola di Dio. Il Cristo risuscitato ci avverte: attenti al pericolo della nostra morte spirituale, che può anticipare la nostra morte fisica! Le tristi notizie di morti violente e di disgrazie che continuano a verificarsi in mezzo a noi, come ai tempi di Gesù, ci ricordano che la nostra vita terrena è fugace. Da un momento all'altro il nostro essere “fico” potrebbe finire e potremmo trovarci con frutti o senza frutti. E Gesù ci avverte due volte: «Se non vi convertite, morirete tutti allo stesso modo!» (Lc 13,3b, 5b).
La conversione inizia ringraziando il vignaiolo “Spirito Santo” per il suo lavoro.
Il padrone della vigna della parabola del “fico senza frutti” può rappresentare Dio Padre, unito al Figlio, che ha già compiuto la sua missione in questo mondo con la sua morte e risurrezione e ha lasciato il “terreno” della Chiesa, con i suoi fichi e le sue vigne, alle cure dello Spirito Santo. Ci sarà sicuramente un giudizio finale sulla qualità della nostra vita in questo mondo! L'insistenza del vignaiolo, che intercede presso il suo padrone per avere pazienza di fronte al fico infruttuoso, ci ricorda un passo della Lettera ai Romani in cui l'apostolo Paolo immagina la sofferenza e il lavoro dello Spirito Santo per farci perseverare nel cammino della santità. «Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio» (Rm 8,26-27). L'azione del vignaiolo, che lavora la terra perché il fico della nostra vita torni a dare frutti buoni di gratuità e di carità, può significare per noi la possibilità di vivere il sacramento della riconciliazione come una vera esperienza di conversione. Il sacramento della riconciliazione è l'esperienza di riutilizzare la grazia della nostra iniziazione cristiana, nutrendo nuovamente le radici della nostra coscienza e della nostra libertà, soprattutto con la pioggia della Parola e il concime dell'Eucaristia. L'esperienza della riconciliazione e di una nuova missione può essere paragonata all'esperienza del «roveto ardente di fuoco che non si consumava» (Es 3,2), che Mosè sperimentò sul Monte Oreb. Quel fuoco che non bruciava e non consumava il roveto può significare la misericordia e la fedeltà di Dio Padre, unito al Figlio, che continua ad coinvolgere, senza mai abbandonare o distruggere, la vita fragile e peccaminosa di ciascuno di noi, come Mosè. La misericordia e la fedeltà di Dio sono immensamente più grandi del suo giudizio definitivo che condanna la nostra vita a causa delle nostre infedeltà e dei nostri peccati. Il Salmo responsoriale canta questo (Sal 103)! Mosè fu salvato dalla sua condizione di assassino e fuggiasco, che si era accomodato nella vita di Madian. Fu riscattato per la nuova missione di diventare il liberatore del popolo nel nome di Dio. Gli fu rivelato che il nome di Dio, Yahweh, significa davvero la certezza della sua presenza nella sua vita e nella storia del suo popolo. «Io sono colui che sono» (Es 3,15) significa: «Ci sono che ci sono». La misericordia e la fedeltà di Dio ci accompagnano in ogni fase della nostra vita, sia quando siamo come un fico con i frutti, sia quando diventiamo come un fico senza frutti. Cogliamo l'occasione dell'azione dello Spirito Santo, nostro vignaiolo, per tornare a portare frutti di carità e gratuità, dando valore al sacramento della riconciliazione.