TESTO Dove sei tu, uomo, in tutto questo?
III Domenica di Quaresima (Anno C) (23/03/2025)
Vangelo: Lc 13,1-9

1In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
6Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. 8Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
In qualsiasi modo fossero cucinate, le patate erano mal sopportate da mio nonno. Mi sono sempre chiesto il perché, visto che per tutti noi invece erano il piatto della festa, qualsiasi fosse la ricetta: purè, lesse, fritte, al forno. Mio nonno, durante la seconda guerra, era sopravvissuto al campo di concentramento di Hannover grazie ad un cuoco, che di nascosto permetteva di mangiare le bucce delle patate tra gli scarti della cucina del campo. Si ricorda di una fila settimanale e la scelta: da una parte la morte, dall'altra la vita. Per lui fu la vita. Quella che è stata la sua sopravvivenza, una buccia di patata, è stata per l'intera sua vita anche il sapore della morte. Piccole e grandi storie abitano le nostre vite e le nostre case, ricordi che lentamente spariscono, non riusciamo a tenerne memoria. È tutto così accelerato, ci dimentichiamo di ieri e non abbiamo passi per domani. Oggi, unicamente oggi: è vita?
Eppure, dovremmo ri-cordare, riportare al cuore. La mia vita e la grande Storia: l'Italia violenta e feroce con gli attentati degli anni Settanta, la guerra in Libano già nei primi anni Ottanta, la caduta del muro di Berlino, piazza Tien An Men, la guerra del Golfo, la distruzione delle statue di Buddha e la salita dei talebani, le Torri Gemelle, le guerre in Iraq e in Afghanistan, il terrorismo di Al Qaeda, la primavera araba e l'instabilità del Medio Oriente, le nuove ondate migratorie, la guerra tra Ucraina e Russia, l'attentato del 7 ottobre in Israele e Palestina, un'unica grande guerra come un fiume carsico. Ricordare: ne va della vita, ne va delle nostre scelte, ne va dei nostri figli. Vanno da Gesù e gli fanno ascoltare le notizie certe di duemila anni fa, così simili a quelle di oggi: morte e terrorismo, potere e mani insanguinate da parte del potente di turno, Pilato. Catastrofe per una torre crollata, forse un terremoto, forse un attentato, forse un incidente. E assieme alla cronaca gli portano una domanda: dove sta il senso a questo eterno ripetersi della Storia? «Dov'era Dio in tutto questo?»
E Gesù guarda in faccia quei volti allarmati: no, non è stata né una punizione, né un castigo divino. No, non è Dio a godere del male e a fare giustizia con altra violenza. No, non è la domanda di dove sia Dio in questa eterna cronaca di disgrazie e guerre. La domanda è altra: «Dove sei tu, uomo, in tutto questo?». «Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo». Ci sono delle conversioni immense da affrontare, sia nella Grande Storia che nella piccola storia, sia nelle scelte sopra le nostre teste che nei nostri personali giorni. Ritornare a ricostruire dalle macerie, ritornare ad una umanità che possa dirsi tale. Un giardino da custodire, una mano da disarmare, una parola da pronunciare, un'economia da rimodulare, una violenza da curare, una lacrima da asciugare, un egoismo da superare: sta tutto nelle nostre mani.
Indifferenti, come un fico piantato tra le vigne, senza alcun frutto: la tentazione è tagliarlo alla radice. Che ci sta a fare? Come un uomo che non serve a nulla, che anzi genera violenza e guerra, che uccide e ruba, che ci sta a fare? Eliminalo. Grazie a Dio, non è così: Lui rispetta noi, ha la pazienza di una madre. La storia va avanti con tutto il Male che c'è, e Lui che cosa fa? Scava e getta letame, fino a finire Lui stesso sottoterra, e finirà Lui stesso come concime, maledizione e peccato, portando su di sé tutto il nostro Male. Ma, come scrive un poeta «Dai diamanti non nasce niente, è dal letame nascono i fiori». Imparare dal Crocifisso la cura e la pazienza, imparare dal Crocifisso a non fuggire, ma abitare, imparare a stare. Imparare dal Crocifisso il dono.
Un roveto ardente nella prima lettura, un fuoco che arde senza bruciare, un luogo santo dove togliersi i sandali per rispetto. Quel roveto è meraviglia: Mosè lascia entrare la meraviglia nella sua quotidiana stanchezza, nel suo fallimento. Quel roveto è visione. Quel roveto è incontro: Dio è abbracciabile in qualsiasi luogo, in qualsiasi dettaglio, anche nel roveto di un deserto. Quel roveto è Nome, il nome più bello: Io ci sono. Io, tra le pieghe assurde della Storia, ci sono. Io sono il Dio dei legami: Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di mio nonno, di mia madre, della mia comunità, della mia storia. «Dio di»: è il nome più bello pronunciato, dice la nostra storia, a chi apparteniamo, dice chi noi siamo. Proviamo a pronunciare i nostri nomi non più come assoluti, ma come appartenenza: «di». Nascerà una nuova storia, sarà possibile un'altra Storia.