TESTO Commento su Matteo 13,54-58
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S. Giuseppe Lavoratore (01/05/2025)
Vangelo: Mt 13,54-58

54Venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? 55Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? 56E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». 57Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». 58E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi.
Nel Vangelo di oggi Gesù viene riconosciuto come il figlio del “falegname”. Come ha fatto notare papa Francesco: «Il termine greco tekton, usato per indicare il lavoro di Giuseppe, è stato tradotto in vari modi. I Padri latini della Chiesa lo hanno reso con “falegname”. Ma teniamo presente che nella Palestina dei tempi di Gesù il legno serviva, oltre che a fabbricare aratri e mobili vari, anche a costruire case, che avevano serramenti di legno e tetti a terrazza fatti di travi connesse tra loro con rami e terra. Pertanto, “falegname” o “carpentiere” era una qualifica generica, che indicava sia gli artigiani del legno sia gli operai impegnati in attività legate all'edilizia. Un mestiere piuttosto duro, dovendo lavorare materiale pesante come il legno, la pietra e il ferro. Dal punto di vista economico non assicurava grandi guadagni, come si deduce dal fatto che Maria e Giuseppe, quando presentarono Gesù nel Tempio, offrirono solo una coppia di tortore o di colombi (cfr Lc 2,24), come prescriveva la Legge per i poveri (cfr Lv 12,8). Dunque, Gesù adolescente ha imparato dal padre questo mestiere. Perciò, quando da adulto cominciò a predicare, i suoi compaesani stupiti si chiedevano: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi?» (Mt 13,54), ed erano scandalizzati di lui (cfr v. 57), perché era il figlio del falegname ma parlava come un dottore della legge». Il pensiero oggi va ai lavoratori, alle lavoratrici, soprattutto quelli che fanno lavori usuranti, magari sottopagati; o i lavoratori in nero, sfruttati; e a coloro che disperatamente cercano un lavoro, che si sentono senza dignità perché non lavorano. Sì, il lavoro dà dignità; mediante il lavoro l'uomo coopera e prosegue in un certo senso l'opera creatrice di Dio, che sin dalle origini gli ha affidato la cura e la custodia del creato per andare avanti. Come ha detto ancora il papa: «il lavoro [...] rende l'uomo simile a Dio, perché con il lavoro l'uomo è creatore, è capace di creare, di creare tante cose; anche di creare una famiglia per andare avanti. L'uomo è un creatore e crea con il lavoro. Questa è la vocazione. E dice la Bibbia che «Dio vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona» (Gen 1,31). Cioè, il lavoro ha dentro di sé una bontà e crea l'armonia delle cose - bellezza, bontà - e coinvolge l'uomo in tutto: nel suo pensiero, nel suo agire, tutto. L'uomo è coinvolto nel lavorare. È la prima vocazione dell'uomo: lavorare. E questo dà dignità all'uomo. La dignità che lo fa assomigliare a Dio. La dignità del lavoro. Una volta, in una Caritas, a un uomo che non aveva lavoro e andava per cercare qualcosa per la famiglia, un dipendente della Caritas [ha dato qualcosa da mangiare] e ha detto: “Almeno lei può portare il pane a casa” - “Ma a me non basta questo, non è sufficiente”, è stata la risposta: “Io voglio guadagnare il pane per portarlo a casa”. Gli mancava la dignità, la dignità di “fare” il pane lui, con il suo lavoro, e portarlo a casa. La dignità del lavoro, che è tanto calpestata, purtroppo». In questo giorno, chiediamo al Signore che ci aiuti a riscoprire la dignità del lavoro e la preziosità di ciò che siamo chiamati a compiere. E preghiamo specialmente per quanti soffrono a causa della mancanza del lavoro o perché sono sfruttati, sottopagati; preghiamo per i governanti, perché si diano da fare nel cercare veramente il bene comune, perché tutti possano lavorare e guadagnare il pane, perché questo guadagno dà dignità.