TESTO Commento su Luca 24,13-35
Missionari della Via Missionari della Via - Veritas in Caritate
Mercoledì fra l'Ottava di Pasqua (23/04/2025)
Vangelo: Lc 24,13-35
Due discepoli disorientati e delusi camminavano verso il villaggio di Emmaus e si raccontavano le loro pene. Gesù si fa loro vicino, intercetta la loro delusione, e loro si aprono e spiegano tutto a questo pellegrino sconosciuto che sembra ignaro dei fatti della sua terra. Il loro racconto è disfattista, è il ripercorrere una storia fallimentare che sembra aver segnato la loro vita, tant'è che dicono: «Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute». La delusione è palpabile e la mancanza di speranza è il motivo ricorrente del loro racconto: tutto ciò che loro speravano non era accaduto. Eppure, quel pellegrino, quello straniero, fa ripercorrere loro le Scritture, fa rivivere in loro la speranza di Israele, il ricordo di un Cristo che doveva patire, che non avrebbe vinto secondo criteri umani. Quando lo straniero si stava accomiatando da loro qualcosa li fa rimanere aggrappati a quella interpretazione nuova dei fatti e chiedono: “resta con noi!”. La prima opera che lo Spirito Santo fa nella nostra vita è donarci una lettura diversa delle cose. Lo Spirito Santo è proprio il narratore di Dio, Colui che viene a dirti: “falla raccontare a me la tua storia!”. Le cose raccontate da Dio, come la stessa Scrittura, fanno emergere la bellezza di un processo di salvezza, ci rivelano che Dio interviene anche quando ti sembra che per te sia stato preparato solo il deserto senza cibo, anche quando il mare che ti ostacola, il sopruso ti viene davanti, anche quando sperimenti il fallimento più totale. I discepoli di Emmaus che richiedevano speranza, che cercavano luce mentre erano nel dispiacere, vennero intercettati dai passi di Dio che si fermò con loro e spezzò il pane. Lì lo riconobbero: quel gesto e quella celebrazione parlò ai loro cuori. Noi spesso cerchiamo liturgie sofisticate, grandi oratori, spettacoli, eppure Dio, anche dalle mani del più vile sacerdote, si presenta come pane per noi. Oggi non dimentichiamo la grandezza di Dio che si spezza per noi, che non ci lascia soli nella delusione. Diciamo al Signore, davanti a quel pane spezzato: “grazie perché non solo sei capace di raccontami la mia storia non come una via fallimentare ma come un processo di salvezza, ma soprattutto perché ti doni come cibo per me, ti spezzi per me, ti fai riconoscere, vivo e presente”. E noi riconosciamo Dio nello spezzare il pane? Percepiamo la sua grandezza nascosta in quella piccola ostia? Lo riconosciamo anche nello straniero che si accosta a noi, nel povero, nel derelitto ai crocicchi delle strade? Riconosciamo la sua voce nel mondo e i suoi passi nel nostro cammino? Oggi come ti intercetterà Gesù?
«Ogni cristiano, credo, si muove e lavora in mezzo agli altri come i discepoli di Emmaus. Costoro erano in viaggio verso il villaggio di Emmaus insieme con un forestiero [...]: dovettero condividere lo stesso pane per riconoscere in lui Gesù (cf Lc 24, 13-35). [...] Come sconosciuto che il Signore arriva sempre nella propria casa e dai suoi: “Ecco io vengo come un ladro” (Ap 16,15; cf. 3,3). Coloro che credono in lui sono chiamati incessantemente a riconoscerlo così, abitante lontano o venuta da altrove, vicino irriconoscibile o fratello separato, accostato per via, rinchiuso in prigione, alloggiato presso i derelitti, o ignorato, quasi mitico, in una ragione al di là delle nostre frontiere. Anche il “mistico” irrompe sempre nella chiesa come un guastafeste, un importuno, un estraneo. [...] Per contro, ogni cristiano è tentato di diventare un inquisitore [....] di eliminare l'estraneo. [...] Il movimento apostolico e missionario [...] non ha essenzialmente lo scopo di “conquistare”, bensì di riconoscere Dio là dove, finora, non era percepito» (Michel de Certeau).