TESTO Commento su Giovanni 8,31-42
Missionari della Via Missionari della Via - Veritas in Caritate
Mercoledì della V settimana di Quaresima (09/04/2025)
Vangelo: Gv 8,31-42
In questo tempo di Quaresima meditiamo sempre più intensamente sulla passione di Gesù e su tutte le mancanze di libertà che ci rendono persone schiave e schiavizzanti. Gesù possiamo dire che è stato vittima di persone che credavano di essere libere ma non lo erano. È la verità che fa liberi, che fa prendere decisioni che non sono corrotte dal possesso, che ci fa custodire gli altri e non distruggerli. Secondo le parole di Gesù non possiamo essere liberi se la Parola di Dio non trova accoglienza vera in noi: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Anche nella Chiesa le più grandi follie (che hanno creato e creano scandalo) vengono dalla mancata accoglienza della Parola di Dio, che viene proclamata ma non si fa carne e spesso viene resa un consiglio astratto ed estemporaneo, utilizzata strumentalmente, ma non vissuta come Parola viva ed efficace che opera in noi (cf Eb 4,12). Le peggiori follie spesso non sono frutto di un male strutturato e pensato ma dalla superficialità nel vivere la fede che genera repulsione in tanti cuori sinceri. Se la fede diventa un vestito elegante che sfoggiamo socialmente per sentirci migliori degli altri, se la fede dunque non si incarna in noi, non testimonieremo la forza liberante del Vangelo. Quando viviamo in modo superficiale è facile illuderci di essere liberi semplicemente perché le cose vanno secondo i nostri desideri o perché la fede è per noi strumentale, perché ci presenta socialmente come “brave persone” o perché, come nel caso di alcuni, ci procura un ruolo sociale o ci colloca politicamente. In questa prospettiva rischiamo di diventare “cristiani da salotto”, “attori della cristianità”, impeccabili solo in apparenza, pronti a esibirci nella società con mani pulite ma vuote. La vera libertà richiede autenticità e si manifesta con forza soprattutto quando dire la verità comporta sacrifici personali, quando seguire la Parola di Dio richiede impegno e costa fatica. Solo in questa autenticità evangelica la libertà trova il suo senso più profondo. Cosa è successo a quei buoni cristiani che si sono arruolati in guerra e hanno ucciso persone in nome dell'obbedienza? Cosa succede a coloro che in nome di Dio fanno la guerra o la benedicono? Cosa succede a coloro che vanno in Chiesa o fanno parte di una comunità cristiana ma alimentano divisioni? Dov'è la verità, la libertà, l'essere seguaci di Cristo che è amore? Quando la nostra fede viene messa alla prova nel quotidiano, quando dobbiamo schierarci dalla parte del bene ed essere costruttori di pace, quello è il momento nel quale si rivela ciò che amiamo. Se amiamo la terra e le cose della terra non ci sporcheremo per difendere gli immigrati, i poveri, i maltrattati. Se amiamo le cose del cielo, saremo inquieti finché la Parola non si fa carne in noi: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste». È un atto quotidiano di libertà vivere da cristiani nel luogo di lavoro, soccorrere il povero e lo straniero, soffrire per la verità, farci vicini a gente considerata disonorevole, persino a prostitute e filibustieri. Non faceva così Gesù? Cosa serve dirci cristiani ed essere schiavi dei pregiudizi, essere schiavi della vanità, essere schiavi del peccato anche se travestiti con insegne di libertà? E noi siamo persone libere? Siamo realmente capaci di fare totalmente spazio a Dio al punto che la Parola si faccia carne in noi? Qualsiasi ruolo ricopriamo, anche come sacerdoti o consacrati, non dovremmo mai abbassare la guardia, mai dovremmo dimenticare che siamo chiamati a libertà e a fuggire dalle schiavitù. Possiamo essere benissimo persone schiave del potere, del denaro, del pregiudizio, uomini e donne litigiosi, escludenti, schiavizzanti. Siamo disposti ad essere persone che accolgono realemente la Parola di Dio e che sanno essere libere davanti alle mentalità schiavizzanti, pagando persino di persona?
«Noi riusciamo a conseguire la libertà soltanto se ci facciamo una giusta opinione della vita. Se non m'importa di quanto progredirò nella carriera e di quanto potrò guadagnare, allora sarò interiormente libero. Allora potrò oppormi alle ingiustizie che si perpetrano nella mia azienda. Allora potrà anche rischiare di nuotare contro corrente. Questo perché io non mi definisco a partire dalla reazione del capo o dell'approvazione degli altri, ma a partire da Dio. Se io sono consapevole di avere le mie radici in Dio, sono libero e non avrò bisogno di continuare a sbirciare che cosa pensano gli altri di me, nemmeno se mi accolgono bene. Naturalmente devo anche agire con giudizio ed essere consapevole dei miei limiti. Non posso combattere come un donchisciotte contro il mondo intero. Devo sapere quanta libertà mi posso concedere, in quale misura mi sorregge la fede di essere radicato in Dio. [...] L'adattarmi continuamente per essere ben voluto dagli altri e per raggiungere i gradini più alti della carriera mi priva, oltre che della mia liberà, anche della mia dignità. Mi piegherà. E questo mi farà ammalare sia nel corpo che nell'anima» (p. Anselm Grün).