TESTO Una spinta d' incoraggiamento
padre Gian Franco Scarpitta S. Vito Equense
II Domenica di Quaresima (Anno C) (16/03/2025)
Vangelo: Lc 9,28-36

28Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. 32Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. 34Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. 35E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». 36Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
Nella scorsa Domenica ci si concentrava sulle difficoltà che il cammino della Quaresima comporta, specialmente sulle prove e sulle tentazioni che insidiano ogni progetto di personale conversione.
Oggi il tema è incentrato invece sulle conquiste della penitenza e sulle garanzie di ogni percorso quaresimale quando questo sia svolto con fede, volontà e abnegazione.
Conversione e penitenza, che caratterizzano la vita quaresimale, non sono finalizzate a se stesse, non hanno come obiettivo la sola mortificazione della persona. Il loro epilogo è molto felice, perché sulla linea dello stesso Signore morto e risorto conducono alla gloria e all'innalzamento. Gesù ci invita a prendere la croce come condizione essenziale del nostro discepolato, ma partecipare della croce comporta risuscitare con lui e conseguire lo stesso premio di gioia e di liberazione che è la Pasqua. La croce contiene in se stessa i preamboli della resurrezione, come la stessa resurrezione reca in sé i segni della passione e della croce.
Tutto questo si riassume nel presente episodio denominato “trasfigurazione”, che nella versione di Luca vede Pietro, Giacomo e Giovanni condotti da Gesù su un monte, luogo della manifestazione del divino per antonomasia. Li vede avvinti dal fascino delle vesti bianche di cui Gesù è rivestito, fulgide vesti che esaltano la grandezza e la gloria divina; la nube, che era il luogo nel quale Dio si manifestava a Mosè per parlare faccia a faccia con lui (Es 33, 8 - 11), manifesta sempre il mistero della rivelazione di Dio che comunica con l'uomo in assoluta intimità.
Pietro è colui al quale, nella versione di Matteo, Gesù aveva dato quella risposta secca e perentoria quando aveva tentato di distoglierlo dal proposito di recarsi a Gerusalemme, dove sarebbe stato catturato e messo a morte: “Stai dietro a me, Satana....” (Mt 16, 23). Giacomo e Giovanni vengono definiti da Marco “boanerghes”, figli del tuono (Mc 3, 17) per la loro forte intraprendenza e per il loro zelo, a volte esplosivo, nell'operare. Se Pietro aveva sbagliato nell'essere incappato nel tranello di Satana, anche costoro dovevano aver esagerato più di una volta nella solerzia, anche sconfinando nel fanatismo. Così almeno risulta come dal racconto di una missione che assieme al loro Maestro svolgono in una certa occasione fra i villaggi di Samaria: Poiché alcuni abitanti del posto si erano rifiutati di accoglierli, Giacomo e Giovanni avevano esclamato: “Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi...”? Gesù in quell'occasione li aveva rimproverati (Lc 9, 51 - 56). Anche loro meritavano alla pari di Pietro una “tirata d'orecchie” per non aver ancora capito che Gesù agiva come inviato dal Padre, come Figlio di Dio che viene nel mondo per salvare tutti e la sua parole è sempre efficace. Anche quando taluni la rifiutano o recalcitrano davanti ad essa.
Adesso, alla presenza di manifestazioni teofaniche che descrivono la gloria del Signore, nonostante la paura e la tensione che portano Pietro a sproloquiare, comprendono le ragioni dell'imminente viaggio di Gesù verso Gerusalemme: il Signore nonché Dio creatore dell'uomo e del cosmo e della storia, Gesù Verbo Incarnato, al quale competono la gloria e la salvezza, deve necessariamente umiliarsi e sottomettersi alla volontà del Padre fino all'estremo supplizio. Il progetto di Dio è quello che il Figlio adempia ogni giustizia, cioè ogni sottomissione alla realtà umana e che assuma qualsiasi deprezzamento sulle sue spalle, fino alla crudeltà di una morte infamante e meschina. Solo questa è la condizione per riscattare l'uomo dal peccato: nella procurata umiliazione e soprattutto nel sangue egli sarà vittima sacrificale che risolleverà le sorti dell'intera umanità. Colui che va verso Gerusalemme è il Dio della gloria che deve sottostare all'impero delle tenebre per poterle poi vincere con la resurrezione. Il primo giorno dopo il Santo segnerà la vittoria, identificherà il vero Messia e Salvatore in un corpo glorificato ed esaltato che poi, elevato da terra, attirerà tutti a sé (Gv 12, 32). Prima che giunga quel giorno devono passare i giorni nefasti dell'ansia e del terrore, dell'angoscia e dell'abbandono e deve sopraggiungere il momento della morte.
A proposito di quest'ultima, Gesù non avrebbe realmente condiviso in tutto e per tutto la nostra natura se non si fosse disposto ad affrontare la morte in seguito al dolore e ai patimenti. La morte è un'incognita inesorabile e irrinunciabile nell'esperienza dell'uomo e occorre appunto saperne fare esperienza cercando di evitarla il più possibile, combattendola con tutte le armi, ma all'estrema occorrenza anche accettandola con risolutezza. Ciò soprattutto nella fede consapevole che la morte non è la fine di tutto, piuttosto è “l'inizio della vita” (Bonheffer).
La vittoria si gusta meglio al termine di ogni fatica; il premio procura maggiore gioia al termine di una lunga attesa; la conquista ci rincuora e ci motiva al termine di un lungo percorso di patimenti. In sintesi, la gioia della Pasqua ci risolleverà molto meglio se farà seguito a una quaresima costruttiva e impegnativa, anche se sacrificata sotto certi aspetti. Ne gusteremo la gioia e la letizia definitiva quanto intense saranno state le tappe della quaresima. Anche del resto siamo chiamati non soltanto a risorgere, ma anche a regnare sempre con Cristo.
Dirà poi il testo dell'Apocalisse che “la salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all'Agnello (Ap 7, 11). In questo episodio che si consuma su un monte che la tradizione identifica con il Tabor, Gesù manifesta di essere egli stesso, accanto al Padre, il Dio indomito e imperativo apportatore del suo Regno nelle parole, negli atti di giustizia e di misericordia ma soprattutto nell'immolazione sacrificale appunto quale Agnello votato al macello.
Siamo di fronte alla caparra della gloria che ci attende alla fine del percorso di quaresima, che segna la realizzazione della promessa di Dio nei nostri confronti, simile alla promessa che Dio aveva fatto ad Abramo e che viene realizzata in seguito a un suo atto di fedeltà (I Lettura). L'esperienza dell'antico patriarca di Israele ci invita anch'essa a coltivare la speranza in una benedizione futura che sarà incalcolabile e definitiva e che riguarderà la vita piena, quella appunto della resurrezione.