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TESTO La difficile arte di non essere come gli altri

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

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VII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (23/02/2025)

Vangelo: Lc 6,27-38 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 6,27-38

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 27A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, 28benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male.

29A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. 30Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.

31E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. 32Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. 33E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. 34E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. 35Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.

36Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.

37Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. 38Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

Amore e perdono come vie antitetiche alla ritorsione e al rancore. Gesù enuncia questi principi come irrinunciabili per la nostra morale, poiché egli stesso ne ha dato l'esempio con quella famosa esclamazione “Padre perdona loro, che non sanno quello che fanno” mentre i chiodi gli avevano ormai trafitto le membra contro il legno. Gesù ci da' prove attendibili dell'efficacia dell'amore al prossimo nemico e avversario, del perdono, della pazienza e della bontà verso coloro che ci odiano e ci perseguitano, reagendo così in senso antitetico alla mentalità corrente della vendetta e della recriminazione. Anche l'Antico Testamento menziona esempi di fruttuoso contraccambio di amore verso coloro che ci odiano.

Nella prima Lettura di oggi si parla di Davide, che nonostante sia stato costretto a fuggire all'ira del re Saul, che per invidia e gelosia lo voleva morto, nonostante abbia percorso valli e monti nascondendosi più volte per evitare la sua furia omicida, desiste dal vendicarsi di tanto male subito. Davide ha infatti la possibilità di colpire a morte il suo nobile persecutore, ora che si è assopito in preda a un torpore e potrebbe essere fatto fuori con un solo colpo di lancia. Potrebbe ucciderlo senza rischiare pericolo alcuno e porre fine così alla sua fuga e alla sua autotutela. Invece non ardisce colpire “il consacrato del Signore.” Gli risparmia la vita e anche in altre occasioni Davide addirittura piangerà la morte di chi lo stava perseguitando con intenzioni omicide.

Anche gli apostoli hanno dato testimonianza di questi valori di amore per i nemici e di perdono verso i persecutori; esempi eloquenti in tal senso se ne sono trovati tanti nel corso della vita cristiana e Tertulliano testimoniava nei primi secoli che “Amare gli amici lo fanno tutti, amare i nemici lo fanno solo i cristiani.” Gesù nel presente brano evangelico pone ancora una volta l'amore verso i nemici come condizione fondamentale di identità cristiana, rendendo anche evidente il concetto: Cosa fate di straordinario rispetto ad atei e a non cristiani se vi limitate a trattare bene soltanto chi vi tratta bene? Quale ricompensa sperate di ottenere (da Dio) se il vostro amore si limita ai soli vostri amici o peggio ancora verte a conseguire vantaggi o benefici? Occorre invece fare del bene a chi ci fa del male, rispondere con amore e misericordia a coloro che ci offendono, ricambiare con atti di bontà coloro che ci trattano con cattiveria o sfrontatezza e seppure c'è una giustizia legale alla quale si può far ricorso essa non va confusa con la vendetta o con il rancore covato dentro. Da qualche parte l'imperatore Marco Aurelio aveva detto che “La migliore vendetta è non essere come il tuo nemico” e un concetto simile di attenzione verso coloro che ci fanno del male è stato insegnato anche dalla paganità, ma soltanto Gesù rende questo concetto inequivocabile e invita a viverlo e ad incarnarlo con assoluta radicalità: trattare gli altri, anche i nemici e i reprobi, come fossero nostri fratelli e rispondere con il perdono al male ricevuto, facendo del bene a chi ci fa del male.

E tuttavia non è stata sufficiente la continua testimonianza di apostoli e di martiri affinché la pedagogia del perdono dei nemici non fosse alienata e bandita come illogica, assurda e inconcepibile dal comune sentire. Dal punto di vista puramente umano, e a dire il vero al giorno d'oggi, anche cristiano, una mentalità diffusa abituata ad espressioni del tipo “Lo perdono, ma Dio deve punirlo”; “Se muoio lo perdono, ma se vivo lo ammazzo” (frase tratta da un film) rispondere al male facendo il bene viene rifiutato come teoria improponibile e assurda, che a volte viene anche combattuta.

E oltretutto occorre anche ammettere che non è facile emulare in tal senso le grandi virtù del nostro Maestro, pur riconoscendone la validità. Difficile per una madre superare il rancore verso coloro che hanno barbaramente ucciso il proprio figlio, anche considerando che la giustizia è a volte troppo lenta e approssimativa. Impensabile che si possano dimenticare le cattiverie e le insensibilità di chi ti ha reso vittima di sfruttamenti, vessazioni e umiliazioni, o che abbiano condotto altri alla disperazione e al suicidio, come nei casi demoralizzanti di usura o di estorsione. Inammissibile parlare di perdono per coloro che ti hanno angariato, vessato, vilipeso fino a toglierti la dignità e il rispetto personale.

Paolo ci esorta a praticare queste difficilissime virtù perché esse sono garanzia di successo nella lotta contro gli stessi esecrabili nemici: fare il bene è un modo di vincere il male (Rm 12, 21). Probabilmente intende dire che la generosità e l'apertura verso coloro che ci hanno maltrattati, il perdono e la dimenticanze dei mali ricevuti sono reazioni che i nostri nemici non si aspettano e alle quali non sono in grado di rispondere con armi appropriate. Il nemico al quale si fa del bene in cambio del male resta ferito nel suo orgoglio, smascherato nella sua vera identità, schiaffeggiato dal nostro atteggiamento, che risulta più maturo e ragionevole. Con una vena di ironia Oscar Wilde diceva “Perdona ai tuoi nemici, niente li fa arrabbiare di più”; forse la rabbia che si ingenera in loro è appunto quella di ritrovarsi a noi inferiori e insufficienti.

Perdonare e rispondere al male facendo il bene trattando bene coloro che ci hanno maltrattati richiede un eroismo disarmante ed eroico, un coraggio davvero insolito che ci costi anche essere etichettati come stupidi e insensati. E' un eroismo che distingue il cristiano da tutti quanti gli altri uomini, che lo caratterizza come “stupido” e “stolto” alla pari del suo Signore che ha accettato la pazzia della croce e ancor prima la stoltezza di accogliere persecuzioni e riprovazioni senza colpo ferire. Saper perdonare i gravissimi torti e amare coloro che ci perseguitano è la vera prova del nove del cristianesimo: solamente in tal modo possiamo misurare l'entità della nostra appartenenza a Gesù; solo con queste attitudini speciali possiamo verificare quanto davvero siamo convinti del Vangelo o almeno ben disposti verso il Gesù vero, quello che prescinde dalle nostre istintività e dalle nostre comuni concezioni di pensiero. In altre parole, solo chi sa amare in senso eroico e coraggioso più degli altri può affermare di essere cristiano in senso pieno, perché proprio questo prova la sua vera identificazione al Salvatore Gesù Cristo.

Appunto la fede e l'apertura di cuore potrebbe facilitarci l'accettazione di una simile logica. La fede elevata e indiscussa è familiarità con Dio, assimilazione della figura e del messaggio di Gesù, incarnazione convinta della sua parola che porta a considerare che occorre amare il nemico perché noi stessi siamo stati resi oggetto di perdono e di misericordia divina. Se le mancanze dei nostri avversari sono per noi insostenibili, molto di più lo sono i nostri peccati e le mancanze nei confronti del Signore: essi sono pari a un debito inestinguibile nei confronti del Signore che solamente l'amore e la misericordia divina sono in grado di estinguere (Mt 18, 21 - 35). Se Dio non ci avesse riscattati nella croce del suo Figlio, saremmo gravati dal debito esorbitante del nostro peccato e non potremmo salvarci. Ecco che allora la fede ci conduce ad essere misericordiosi come misericordioso è il Padre nostro che è nei cieli.

 

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