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TESTO La barca e le reti, il fallimento e l' arte di ricominciare

don Andrea Varliero

V Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (09/02/2025)

Vangelo: Lc 5,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, 2vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. 3Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.

4Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». 5Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». 6Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. 7Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. 8Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». 9Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; 10così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». 11E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

Un fallimento, un buco nell'acqua completo. Strano il suo modo di insegnare la Parola. Non si siede in cattedra, non sale sul monte, non parla dal pulpito: si siede invece sulla barca. Sospeso: in una situazione fragile e precaria, in bilico tra acqua e cielo, tra terra e vento. È lì che la Parola è più forte, è più vera, è più autentica, lì dove la vita è precaria e fragile, dove siamo chiamati a stare in equilibrio, sospesi, in bilico, per non affondare.

Hanno fallito i pescatori: «Abbiamo pescato una notte intera e non abbiamo preso nulla», dice Pietro, e noi insieme a lui. «A volte, essere dei falliti è di per sé una vocazione», scriveva T.S. Eliot. Abbiamo vissuto anni e anni di catechesi, e non abbiamo lasciato un segno. Abbiamo cercato di testimoniare la fede ai nostri figli, e sono così distanti. Abbiamo seminato pace e gesti di riconciliazione, e sembra sempre di ripartire da zero. Abbiamo cercato di creare comunità, ma il cuore è altrove. Abbiamo investito tutto di noi stessi in quella relazione, ed eccoci soli. L'angustia, il senso di fallimento, la preoccupazione, fare i conti con la propria vita e la chiamata: non ho mai trovato in nessun altro testo sacro un senso di fallimento descritto in modo così cristallino. Questo mi conforta, mi conferma che non sto leggendo una favola a lieto fine, che credere non è una fuga dalla realtà. Il fallimento è firma di autenticità. A rileggere meglio la mia vita, sono stati i momenti di fallimento quelli più vicini al Signore.

Le reti: da riassettare, da calare sulla sua Parola, le reti che si strappano per la troppa quantità di pesci. Paradossalmente le reti le conosciamo bene, oggi meglio di allora: siamo la società della rete, perennemente connessi, sempre in rete. La rete di informazioni, la rete di relazioni che viviamo, la rete di persone che ci ha formato, la rete su cui contare o non contare. Tutto è in rete, tutto è connesso. Gettare le reti sulla sua Parola, abitare le relazioni sul Vangelo.

«Abbiamo faticato una notte intera, e non abbiamo preso nulla. Ma sulla tua Parola getterò di nuovo le reti». Grande, immenso Pietro: per lui il fallimento non è stata l'ultima parola, non ha tirato i remi in barca, lui ha vissuto la splendida arte di ricominciare. Sulla tua Parola. Siamo dei ricomincianti, grazie alla sua Parola. Dal nostro vocabolario togliamo quel «mai più», quell'«ormai»: è sempre possibile un nuovo inizio, un ricominciamento. L'importante non sta nel non cadere, nel non fallire: l'essenziale sta nel saperci rialzare, nel ricominciare. Una preghiera dice: «Nell'avventura imprevedibile della grazia tu, Signore, rifiuti categoricamente di fornirci una carta topografica. Il nostro cammino si fa di notte. Ciascun atto da compiere si illumina a suo turno, come uno scatto di segnali. Sovente la sola garanzia che abbiamo è la fatica quotidiana dello stesso lavoro, ogni giorno da fare, della stessa vita da ricominciare, degli stessi difetti da correggere, delle stesse sciocchezze da non commettere. Ma al di là di questa garanzia tutto il resto è lasciato alla tua fantasia, che ci lega al suo libero e imperscrutabile gioco» (F. Ebner).

«Pietro, non temere, sarai operatore di vita». Per trecentosessantacinque volte, una per ogni giorno all'anno, ci viene ripetuto: «Non temere». Difficile, Signore; difficile, non temere: eppure è la nostra chiamata fondamentale, passare dalla paura alla rivincita. Operatore di vita è la sua chiamata, è la nostra chiamata. Più vita attorno a noi, più vita accanto a noi. Mi rendo conto che, quando tiro i remi in barca, quando nella mia vita la stanchezza toglie generosità e dono, quando il tarlo del «chi me lo fa fare» entra tra i pensieri, lì la vita stessa si arrende, si arresta, si ferma. Il miracolo più bello avviene nella generosità, quando non faccio conto, ma dono.

Non è solo il miracolo di una pesca miracolosa. Luca scrive chiaramente che le reti si sono rotte e le navi sono affondate; noi abbiamo aggiunto il «quasi»: le reti «quasi» rotte e le barche «quasi» affondate, per paura di andare fino in fondo. Tutto si è rotto, tutto è affondato: sono i dolori di una nascita, sono il necessario andare fino in fondo, per poter nascere in modo del tutto nuovo. In questo mare di paura e in questa notte di fallimento, è nata la Chiesa. Una fragile barca, una barca che fa acqua da tutte le parti, una fragile zattera insufficiente nell'Oceano Mare. Eppure, necessaria. Alzo lo sguardo al soffitto della nostra chiesa: è la carena di una nave, è un viaggio immenso insieme a uomini e donne, fratelli e sorelle, peccatori perdonati come me, chiamati a prendere il largo. Sulla tua Parola.

 

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