TESTO Rimettere i debiti come via alla pace
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
Maria Santissima Madre di Dio (01/01/2025)
Vangelo: Lc 2,16-21
In quel tempo, [i pastori] 16andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. 17E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 18Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
21Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.
Quello della Maternità Divina di Maria è il primo dei tre dogmi mariani a essere stato proclamato: gli altri due (quello dell'Immacolata Concezione e quello dell'Assunzione) risalgano agli ultimi 180 anni, che nella Chiesa sono un tempo abbastanza recente. Maria viene invece proclamata “Madre di Dio” (oltre che di Gesù e di Cristo, come era ovvio) già nel V secolo, precisamente nel 431, al termine del Concilio di Efeso. Da allora inizia a essere venerata come tale grazie anche alla prima Basilica a lei dedicata nell'Occidente, quella di Santa Maria Maggiore a Roma: e infatti, il 1° gennaio di quest'Anno Santo coincide con il giorno in cui verrà aperta la Porta Santa di quella Basilica.
La festa liturgica di Maria Santissima Madre di Dio viene invece istituita nel 1931, 1500 anni esatti dopo il Concilio di Efeso, da papa Pio XI: inizialmente, era stata fissata per l'11 ottobre (giorno esatto della proclamazione del dogma a Efeso), poi la riforma liturgica del Concilio Vaticano II decise di collocarla in questa data, che coincide, oltre che con l'inizio del nuovo anno solare, anche con la conclusione dell'Ottava di Natale, giorno in cui, secondo la tradizione giudaica, Gesù fu portato al tempio per la circoncisione; per cui, la protezione particolare che Maria, come ogni mamma, assicurò al neonato Gesù sin dai primissimi giorni della sua vita, si decise che venisse invocata anche su di noi, suoi figli qui sulla terra, sin dal primo giorno di vita del nuovo anno.
Nel 1968, poi, in un mondo che vedeva concretizzarsi la minaccia di un nuovo conflitto mondiale a causa della Guerra del Vietnam in cui le due superpotenze (Unione Sovietica e Stati Uniti) erano direttamente coinvolte, quel grande uomo di pace e di dialogo che fu il santo papa Paolo VI istituì la Giornata Mondiale della Pace (giunta oggi alla sua 58ª edizione) assegnandole nel calendario la simbolica e significativa collocazione del primo giorno dell'anno.
Questa carrellata storica ci serve a ribadire la ricchezza e la bellezza di una giornata come questa, non solo perché a cavallo di una notte si sono festeggiati due anni, ma per sottolineare come da sempre la Chiesa vede il primo giorno dell'anno come un giorno di grandi speranze, da mettere sotto la protezione della nostra Mamma celeste e da vivere nel segno della pace, che è il bene allo stesso tempo più desiderato e più vituperato di quelli che l'uomo ha a propria disposizione.
Forse è anche a partire da questo concetto, ovvero la pace come bene a nostra disposizione, e non solo come diritto da rivendicare, che il messaggio di Papa Francesco per questa 58ª Giornata Mondiale della Pace si incentra sul tema della remissione dei debiti. Chiaramente, ciò che ha ispirato Papa Francesco è principalmente il Giubileo appena iniziato, che nella sua dimensione originale era l'anno di grazia (allora vissuto ogni 50 anni) nel quale il popolo ebraico “graziava”, in nome della misericordia di Dio, i debitori: chi aveva debiti enormi nei confronti degli altri non riuscendo a pagarli, si vedeva condonato tutto quanto. È da lì che poi papa Bonifacio VIII nel 1300 si fa ispirare per istituire l'Anno Santo come Anno di Grazia, nel quale - più che i debiti economici - i cristiani potevano vedere annullati i propri debiti nei confronti di Dio, e quindi i peccati commessi, e le pene che si era chiamati a scontare per essi, venivano totalmente cancellati, in cambio di un ritorno a Dio fatto di gesti di profonda conversione e di carità verso il prossimo.
In epoca moderna, i Papi hanno insistito molto perché i debiti da estinguere non fossero solo quelli legati al giogo del peccato, ma anche quelli che, economicamente parlando, mantengono sotto il giogo della schiavitù intere popolazioni sulla faccia della terra. Ogni paese del mondo ha un debito pubblico da estinguere nei confronti di altri paesi o anche di privati, in particolare delle banche: ma mentre il Giappone, che è il paese più indebitato al mondo, ha la possibilità, in forza della propria economia, di assolvere il proprio debito, il Sudan (che lo affianca in classifica) questa possibilità non l'avrà mai, e non perché troppo povero, bensì perché “impoverito”, che sappiamo bene non essere la stessa cosa. L'impoverimento dei paesi cosiddetti poveri è qualcosa che è stato creato dallo sfruttamento delle loro risorse da parte dei paesi ricchi (ma sarebbe meglio dire “disonesti”) e industrializzati che, per non dover pagare eccessivamente gli sforzi legati all'industrializzazione hanno ben pensato di colonizzare i paesi del sud del mondo ricchi di risorse naturali, creando squilibri economici, sociali, ambientali e sanitari.
Papa Francesco, come segno concreto di questo Anno di Grazia, chiede esplicitamente a tutti i paesi più ricchi il condono, totale o parziale, del debito che essi vantano nei confronti dei paesi più poveri, rilanciando un'iniziativa operata nel Giubileo del 2000 da San Giovanni Paolo II, ma rimasta totalmente inascoltata. E purtroppo, mi viene da pensare che quella di Papa Francesco rimarrà una voce che grida nel deserto anche in questa occasione, ancor più per il fatto che i molti focolai di guerra presenti nel mondo non fanno altro che aumentare la ricerca di risorse e di materie prime, e quindi impoverire ulteriormente i poveri.
Eppure, sarebbe sufficiente pensare che i peggiori debitori siamo noi stessi, ognuno di noi. Non parlo di debiti economici (magari, ci sono pure quelli, spesso dettati da reali necessità), ma di quei debiti che abbiamo nei confronti di Dio, della vita, degli altri e del pianeta.
Di Dio, perché i nostri errori verso di lui sono infinitamente più grandi dei meriti che possiamo vantare; della vita, perché nonostante ci intestardiamo a dire che tutto quello che abbiamo è merito nostro e del nostro lavoro, non abbiamo l'onestà di ammettere che se lo abbiamo potuto fare è perché la vita ce lo ha permesso, e non sempre per tutti è così; degli altri, perché spesso anche noi, con i nostri comportamenti, contribuiamo a rendere ancora più poveri quelli che già lo sono (basti pensare alle nostre abitudini alimentari e commerciali); del pianeta, perché continuiamo a parlare di attenzione all'ecologia e poi basterà fare due passi a metà di questo 1° gennaio per le vie e le strade delle nostre città per accorgerci di cosa avremo lasciato in terra...
Allora, mentre preghiamo il Padre Nostro, soprattutto in quest'Anno Giubilare, ricordiamoci l'impegno che ci prendiamo continuamente con il Padreterno: “Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”. O forse, sarebbe più giusto dire “ai nostri creditori”.