TESTO Fra i due atteggiamenti, quale il miglore?
padre Gian Franco Scarpitta S. Vito Equense
padre Gian Franco Scarpitta è uno dei tuoi autori preferiti di commenti al Vangelo?
Entrando in Qumran nella nuova modalità di accesso, potrai ritrovare più velocemente i suoi commenti e quelli degli altri tuoi autori preferiti!
XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (10/11/2024)
Vangelo: Mc 12,38-44
38Diceva loro nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, 39avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. 40Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
41Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. 42Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. 43Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. 44Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
Si descrivono due atteggiamenti differenti di religiosità o di esternazione della fede, che sebbene siano collocati in tempi lontani dal nostro, rivelano la loro attualità poiché si applicano anche ai nostri giorni.
Il primo di essi è quello dell'ostentazione di se stessi, della superbia e della vanità di coloro che approfittano della loro posizione per emergere sulla massa e per vantare diritti sugli altri, rappresentato dagli scribi e dai farisei esecrati da Gesù. Non sono pochi coloro che, forti della posizione anche in ambito ecclesiale, da veri ammazzasette, ostentano una religiosità soltanto affettata allo scopo di ottenere approvazione dalla gente, ammirazione, non di rado cogliendo l'occasione di prevaricare sugli altri e di ottenere favori e privilegi. Forti del loro abito e della loro posizione, taluni si gloriano di poter entrare in quei luoghi non consentiti ad altri, di passare avanti per primi nei luoghi pubblici e di ottenere favori e benefici dalla burocrazia, a dispetto di altri che li ottengono solo a stento e dopo tante attese.
Per esperienza personale, indossare l'abito religioso per la strada comporta a volte denigrazioni e derisioni e talora anche dispetti da parte di terzi; in altri casi però produce una sorta di riverenza a volte inopportuna, di rispettoso distacco o di eccessivo rispetto da parte di altri. E' proprio quest'ultimo il motivo per cui mi sento a disagio nell'indossare l'abito nelle ordinarie commissioni di tutti i giorni: non si viene visti con familiarità o con confidenza, ma collocati su un fantomatico piedistallo che lascia perplessi e che è causa di disagio. E a mio giudizio ottenere favori o privilegi che ad altri sono negati è più umiliante che incoraggiante. Ciò si verifica per una cultura globale latente diffusa specialmente nei piccoli centri, ma anche a causa della protervia e della presunzione di determinati soggetti che hanno sempre abusato del loro potere.
Non credo che essere elevati e riveriti in ragione della propria divisa corrisponda alla volontà di Gesù o dei Fondatori dei nostri Ordini Religiosi.
Il secondo atteggiamento è invece quello della semplicità e dell'immediatezza di chi, senza nulla ostentare e nulla pretendere, dimostra spontaneamente la sua fede e la sua devozione direttamente con i fatti e con le opere, come nel caso di questa vedova che suscita l'ammirazione e il plauso di Gesù. Il suo atteggiamento è occasione per impartire una lezione di vita ai suoi discepoli, più di tutti gli argomenti di elevata sapienza e di erudizione.
Questa povera donna infatti, entrando nel tempio e dirigendosi verso la zona del tesoro dove si raccolgono le offerte dei fedeli, vi getta dentro pochi spiccioli dal valore di un denaro, cioè tutto quello che possiede per vivere. Potremmo paragonare la sua offerta a un'intera pensione sociale odierna. Un attitudine che richiama anche quello della vedova di Sarepta, di cui alla Prima Lettura di oggi, che assieme al suo figlioletto, nonostante la miseria e le precarietà in cui è costretta a vivere non esita a fidarsi delle parole di Elia, quando questi le chiede ospitalità e cibo: con estrema premura e ricolma di grande fede e sollecitudine, accoglie l'uomo di Dio con un solo pugno di farina e poco olio nell'orcio, che si moltiplicano miracolosamente per riprodursi in tanto pane in grado da sfamare tutti per molti giorni. Episodio questo iconico delle fede e dell'accoglienza e della predilezione divina per le vedove, donne soggette a particolari discriminazioni sociali perché non più sostenute dalla figura rassicurante del marito. Analoghi episodi di accoglienza e di ospitalità senza riserve ed esercitate nell'esternazione della fede in Dio si hanno nell'apertura di Abramo nei confronti del Signore e dei suoi angeli, che gli si presentano improvvisamente in incognito (Gen 12); nel Nuovo Testamento Lidia, convertita di recente da Paolo, accoglie questi nella sua casa assieme ad altri apostoli, sempre esercitando una disponibilità nei riguardi del Signore; altri episodi di accoglienza e di ospitalità sono espressivi della fede e della carità che ne è l'atto di evidenza.
Il secondo di questi due atteggiamenti è evidentemente il più esaltante. Non sempre tuttavia si tessono le lodo e gli elogi delle persone che manifestano la loro sensibilità religiosa a partire dalle opere, come suggerisce San Giacomo: “Qualcuno potrebbe dire: tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede... Stolto, lo capisci che la fede senza le opere non ha valore? (Gc 2, 18 - 21). Senza riprodursi in discorsi raffinati di erudizione teologica, senza voler istruire né convincere nessuno a furia di digressioni o di raffinate argomentazioni spirituali e senza ostentare alcuna vanagloria o presunzione, tantissime persone dimostrano di aver molta fede semplicemente dando quell'esempio che parecchi dotti e illuminati non sanno dare, mostrando con atti di generosità concreta di credere davvero nel Dio amore e misericordia che professano. Quando, durante il mio primo anno in seminario, il Rettore comunicò a noi tutti che un'anziana signora, che voleva restare anonima, aveva rinunciato a farsi istallare a casa il sistema di riscaldamento per destinare l'equivalente della cifra a noi seminaristi, provai una sorta di smarrimento e di vergogna al pensiero che solamente ai potenti benefattori e ai grandi uomini facoltosi vengono tributati onori e benemerenze al momento del trapasso, con un funerale decorativo in pompa magna; forse mai si usa lo stesso trattamento verso pensionati che pur vivendo di stenti si erano prodigati verso gli altri dando con amore e generosità tutto quello che potevano, fossero pure pochi spiccioli. La riconoscenza umana è davvero troppo umana. Fortunatamente Gesù, nella stessa pagina evangelica odierna, ci dimostra un Dio che pensa e opera in maniera del tutto opposta a quella a cui siamo abituati, sapendo individuare la vera miseria nella spocchia e nella presunzione e la vera ricchezza nell'umiltà e nella generosità del povero. E saranno proprio loro a giudicarci accanto a Dio al momento della resa dei conti finale, i poveri e i derelitti vittime di questo sistema perverso ma esaltati e prosperosi agli occhi del Signore.
La vera fede è fatta di coerenza e di trasparenza e non può che rifuggire ogni vanità e autoesaltazione. Essa si rivela nell'umiltà e nella semplicità di vita, che sono i veri canali di comunicazione della verità.