TESTO Quando è festa negli occhi di Dio
don Angelo Casati Sulla soglia
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II domenica dopo la Dedicazione (Anno B) (03/11/2024)
Vangelo: Lc 14,1a.15-24
1Un sabato si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
15Uno dei commensali, avendo udito questo, gli disse: «Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!». 16Gli rispose: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. 17All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: “Venite, è pronto”. 18Ma tutti, uno dopo l’altro, cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: “Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego di scusarmi”. 19Un altro disse: “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi”. 20Un altro disse: “Mi sono appena sposato e perciò non posso venire”. 21Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al suo padrone. Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: “Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi”. 22Il servo disse: “Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto”. 23Il padrone allora disse al servo: “Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia. 24Perché io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena”».
Frammenti dalle letture, senza la pretesa di illuminare l'affresco, con il desiderio umile di scoprirne qua e là tocchi dell'anima, fili sottili che fanno intreccio. E vorrei iniziare da un grumo di parole del rotolo di Isaia. Ogni volta che le leggo, mi fermo; e, pur se cerco di continuare, è come se mi richiamassero indietro. Forse hanno fermato anche voi. Sono in bocca a Dio: "Non dica lo straniero che ha aderito al Signore: "Certo, mi escluderà il Signore dal suo popolo!". Non dica l'eunuco: "Ecco, io sono un albero secco!"". Sia un eunuco a dirlo, sia uno straniero, sia una donna o un uomo, chicchessia, ognuno di noi sente in queste parole come il riverbero triste, desolato, sconsolato di una ferita profonda e vado immaginando gli occhi, il velo negli occhi, di chi nella vita è sul punto di pronunciarle o le ha già, purtroppo, a volte, forse troppe volte, pronunciate: "Ecco, io sono un albero secco!".
Quanta amarezza, da strazio. Vorrei dire, da strazio anche per chi le ascolta. E tu quante volte le hai ascoltate e quante forse ti sei sentito impotente a cancellarle dalla piega di quegli occhi dolenti e hai pregato Dio che arrivasse dove tu non potevi. Perché per Dio non è così. Per lui nessuno è, né sarà mai, un albero secco; né mai lo sfiorerà pensiero di escludere qualcuno. Dio ci ha dato nome di "figli", che è nome di casa, ha sapore di pane e di occhi. Siamo noi che creiamo nomi di esclusione: nella vita, e ai nostri giorni, quanti nomi che dicono esclusione, nomi che gridano disistima, o indifferenza, persino ribrezzo; ha perso colore il nome di "figlio".
Come dicessimo: "Tu nel territorio del mio cuore non hai posto. Sì, perché, prima che escluderlo dalla casa o dalla chiesa o dalla terra il diverso lo escludiamo dal territorio del cuore. E' il primo territorio che andrebbe bonificato. Ed è pazzesco che la spinta a tagliare alberi considerati secchi venga talvolta da noi che dichiariamo di credere in Dio, in un Dio che dà loro nome di "figli", nome di "suo popolo": un Dio che la sua casa la chiama "casa di preghiera per tutti i popoli". Voi mi capite, non stiamo parlando solo di un fenomeno - e già ci sarebbe da rabbrividire, quello dell'immigrazione - ma di un modo di guardare il mondo: rami secchi da tagliare dalla nostra terra o dalla città o dalla famiglia o dalla scuola o dal mondo del lavoro o dalle nostre stesse comunità. Ho troppo indugiato sull'albero secco.
Vorrei imparare da Dio, vorrei imparare Dio. Viene in soccorso anche la parabola. E' solo una suggestione: fa il rovescio dello sradicamento dell'albero vecchio, la leggo come un canto all'accoglienza senza 'sé e senza 'ma', a custodire nella vita, dico anche quella più quotidiana, un modo nuovo e antico di vedere e di sentire, il modo di Dio. Già è bello che sia una parabola a pranzo, nella bellezza del mangiare insieme; bello che Gesù accetti invito anche da un fariseo, e non esclude. Però, quando è il punto, le cose le dice. E ad aprire il varco al punto è una esclamazione di un invitato: "Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!". Gesù, che legge sin nel tono della voce, è come se vi cogliesse una sfumatura di presunzione: a quella cena i chiamati siamo noi. E racconta di una cena, una cena sulla terra, l'altra sarà il seguito.
E già dalle prime parole dà respiro all'ampiezza: "Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti". Grande cena, molti inviti: questo nelle corde di Dio. Tant'è che il pieno della sala gli sta così a cuore che alla fine quasi costringe ad entrare. Sogno: forse li costringe perché esitano - albero secco - vestiti come sono, vestiti di povertà e fragilità: "Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi". Questi sono di quelli che ancora sanno meravigliarsi: "Una cena! Una cena per noi!". Essere alla stessa tavola, mangiare lo stesso pane, e bere il vino, fare festa. Ed esserci tutti anche gente di strade e di piazze, tutti, una smisuratezza, la bellezza.
La bellezza sta dove non c'è la logica stretta del contraccambio. E dove Dio rivela la sua arte, la sua originalità, che non sta in un colore solo: fanno colore per lui anche gli abiti dei poveri, degli storpi, dei ciechi e degli zoppi. Ebbene tutto questo non è niente o poco niente per quelli danno nome a cose per loro ben più importanti che l'essere negli occhi di Dio o di qualcuno. Al primo posto mettevano altro, altro che vedere festa negli occhi di Dio per la sala piena. Si erano autoesclusi. Se fossero venuti. ci sarebbero stati a metà o anche meno: con la testa ai buoi da provare o a una moglie tenuta come in un sequestro di dominio.
Sento venire anche da questa parabola un invito a stare lontano dall'aria del possesso, dalla legge del contraccambio, dalla durezza della presunzione. Stare nel gratuito di Dio. Che Gesù ci raccontò con la sua vita. Avvicinarci a questa logica significa costruire squarci di umanità oggi e avere un'anima per godere del futuro di Dio. Nel vangelo di Luca la parabola sembra nascere da un invito di Gesù a non lasciarsi imprigionare dalla legge del contraccambio; vi leggo: "Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch'essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti" (Lc 14, 12-14).
Poi abbiamo dimenticato, presto abbiamo dimenticato. Io ho dimenticato.