TESTO Pietà non è pietismo
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (27/10/2024)
Vangelo: Mc 10,46-52
46E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. 47Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». 48Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». 49Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». 50Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. 51Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». 52E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
Sono pochissimi gli episodi di guarigione, nel Vangelo, in cui il malato viene chiamato per nome dall'evangelista. Quindi, se oggi Marco lo fa, è per farci comprendere che un incontro vero con Gesù non è una cosa qualsiasi: è un incontro personale, di due persone, di due storie, di due vicende ben definite, che a una cambia la vita, e all'altra permette di manifestarsi come il Dio della vita.
Questo commovente incontro di Gesù con Timeo, il cieco di Gerico, mi porta a pensare come uno dei compiti principali del cristiano sia quello di annunciare all'uomo che incontra sul proprio cammino che Dio è un Dio misericordioso, dal cuore grande, che ha compassione dell'uomo che grida verso di lui tutta la sua disperazione. In ogni parte del mondo, in ogni momento, si viene costantemente a contatto con un'umanità che in mille maniere grida verso Dio: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”.
Lo gridano i popoli che migrano perché rimasti senza casa e senza terra; lo gridano le popolazioni che non conoscono pace; lo gridano i popoli che soffrono la fame oltre 800 milioni di persone, 15 milioni dei quali nei paesi cosiddetti “sviluppati” (tra cui la nostra Italia), nei quali vengono sprecati, cioè, buttati nella spazzatura, un miliardo di pasti ogni giorno...
E l'elenco delle persone che gridano “pietà” in ogni angolo del mondo non finisce qui: donne violentate, prigionieri torturati, bambini abbandonati per strada, padri e madri di famiglia che perdono il lavoro per pure logiche di profitto, malati terminali che faticano non solo a vivere, ma anche a morire... nessun credente può rimanere sordo, di fronte a questa umanità che grida la sua disperazione.
“Avere pietà” di questa umanità, avere compassione, non significa “compatire” nel senso di “commiserare”: quello siamo capacissimi tutti di farlo, e anzi spesso ci riteniamo “a posto” solo per il fatto di aver detto anche solo “Poverini!” di fronte a certe immagini che i mezzi di comunicazione sociale ci mostrano ogni giorno.
Non basta; anzi, non serve proprio a niente. La compassione del Dio di Gesù Cristo (e il vangelo di oggi è eloquente) non è una sterile commiserazione delle sofferenze altrui, ma è una vera e propria “com-passione”, è un “soffrire insieme”, è “sentirsi partecipe” delle sofferenze dell'altro e fare qualsiasi cosa purché l'altro riesca ad abbandonare la propria situazione di sofferenza. Gesù non è venuto su questa terra solo per essere vicino all'uomo che soffre; Gesù è venuto perché l'umanità in lui abbia vita, e vita in abbondanza! Gesù non fa del pietismo o dell'assistenzialismo, di fronte all'uomo sofferente. Gesù è un liberatore, uno che ascolta il grido del povero anche là dove tutti (soprattutto quelli che dicono di essere suoi discepoli e cercano il primo posto nel Regno di Dio...) cercano di metterlo a tacere; lo fa alzare in piedi, gli fa dire con le sue stesse parole che sì, è possibile essere salvati; e una volta liberata, questa umanità sofferente, desidera che si faccia sua seguace, per proclamare a tutti la misericordia che le è stata usata!
Se come cristiani impegnato siamo bravi a lavarci spesso la bocca dicendo di voler essere per i più poveri il segno di un Dio che libera e che salva, allora dobbiamo partire da qui.
Da un atteggiamento in cui la consolazione e la vicinanza al povero non siano l'espressione di una fede formale che parla e parla, e poi lascia le cose così come sono;
da una maniera di gestire le risorse - e i progetti che da esse scaturiscono - capace di dare un reale sviluppo all'umanità povera, invece di portare avanti un assistenzialismo che non riesce mai a uscire da una “comoda” situazione di emergenza;
dobbiamo partire dall'annuncio senza paura di un Vangelo che smuova le coscienze di quei benpensanti (credenti o meno che essi siano) che hanno tutto l'interesse a “far tacere” il povero e a lasciarlo, oltre che povero, ignorante.
E dobbiamo giungere anche noi a ciò a cui Cristo giunge al termine di questo incontro con Timeo: annunciare al povero che è la sua fede nel Dio della vita che lo ha salvato, e che ora tocca a lui essere discepolo della misericordia e della compassione di Dio verso ogni uomo, in particolare verso colui che gli è simile nella povertà.
Aiutare un'umanità disperata a risollevarsi dalla sua situazione senza chiederle di fare altrettanto verso chi continua a soffrire, non fa altro che continuare a creare squilibri e dipendenze.
Con questa domenica si conclude pure il mese missionario. Chiunque si dica missionario, ovvero discepolo e annunciatore di Cristo e del suo Vangelo, in ogni parte del mondo, oggi deve lasciarsi scuotere da questa parola liberatrice; perché anche grazie alla pochezza delle nostre opere ci sia sempre un'umanità oppressa capace di riscattare la propria vita, e di fare altrettanto con chi ancora continua a soffrire, esortandolo con le parole del vero discepolo: “Coraggio, alzati! È il Signore che ti chiama!”.