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TESTO Non ve ne accorgete?

don Angelo Casati   Sulla soglia

VII domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno B) (13/10/2024)

Vangelo: Mt 13,24-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 13,24-43

24Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. 25Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. 26Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. 27Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. 28Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. 29“No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. 30Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel mio granaio”».

31Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. 32Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».

33Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».

34Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, 35perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:

Aprirò la mia bocca con parabole,

proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo.

36Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». 37Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. 38Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno 39e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. 40Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. 41Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità 42e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. 43Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!

Non ve ne accorgete?": la domanda nel rotolo di Isaia mi tocca - e dire "tocca" è dire poco -: "Proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?". Accorgersi. Io me ne accorgo? Noi, come popoli, ce ne accorgiamo? E come chiesa? La chiesa se ne accorge? Avere occhi e accorgersi. Perché oggi germoglia. O siamo ciechi e sordi? L'invito di Isaia è rivolto a un popolo cieco e sordo, Israele, noi: "Fa' uscire il popolo cieco, che pure ha occhi, i sordi, che pure hanno orecchi". Eppure a questo popolo di ciechi e sordi è detto: "Voi, proprio voi siete i miei testimoni". E non testimoni di un passato che si accartoccia su se stesso, nel ricordo di un "Signore, che aprì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti", e tutto finisce lì, ma di un passato che ti dà certezza che qualcosa sta germogliando oggi.

Non vi accorgete? Oggi germoglia. Ma dove vede il profeta i segni di un germogliare? Il popolo non è ancora sulla via di un ritorno dall'esilio. Il primo segno, che sta all'inizio di ogni germogliare, è la conversione a Dio. Non ci si incammina verso vere crescite, né verso vere liberazioni, se si rimane fermi a rimpianti sterili o, peggio ancora, legati a strategie corrotte. Corrotte dall'ipocrisia e dall'ingiustizia. Per germogliare e far germogliare occorre fare spazio dentro a parole alte, fare spazio a quel brivido segreto che ci abita - di vita, di bontà, di bellezza - cui diamo il nome di Dio. A noi toccherà piantare e irrigare, ma che fa crescere - ricordava oggi Paolo - è Dio.

Tieni vivo il cuore del seme, ciò che pulsa, apriti al mistero; non uccidere lo spirito, uccideresti l'anima che fa vivo il seme, rende sicuro il suo germogliare. Solo dando spazio all'invisibile, ritornerai dall'esilio. E sono a non finire gli esilii da cui ritornare. Del germogliare - e delle leggi del germogliare e del crescere - parlano anche le parabole di Matteo che ora Gesù ci ha raccontato: il grano cresce, il chicco di senape cresce, l'impasto di farina cresce. E, ancora una volta, ad innamorarci gli occhi di Gesù: lui passa, osserva il campo, vede grano ed erba cattiva che crescono insieme; passa, osserva un orto, si incanta a come cresce quello che fu un minuscolo seme di senapa; entra in una casa, gli occhi per una donna, vede gonfiarsi la pasta in cui la donna ha nascosto un grumo di lievito.

Lui si accorge: nulla di vistoso, di clamoroso, di immediato. Ecco, forse sta qui una delle cause della cecità e della sordità che fanno sì che non ci accorgiamo di ciò che sta germogliando nel visibile e nell'invisibile: siamo perennemente in sete - occhi e cuore - di ciò che è grandioso, di ciò che fa notizia, di ciò che è spettacolare e immediato. Immaginate se ci appartiene la pazienza delle crescite lente, che chiedono tempo e speranze, la pazienza del contadino! Di più, la parabola del grano e della zizzania ci porta lontano dall'abbaglio di un sogno ingenuo, quello di una terra tutta luce senza ombre, nel segno di una immacolata perfezione o di un mondo pervenuto a piena e sontuosa fioritura. Non è così per quanto concerne la terra: chi conosce l'arte della cura dei campi - e Dio la conosce e noi dobbiamo impararla - sa che grano ed erba cattiva crescono insieme.

E c'è altro da capire - e spesso lo scordiamo - che grano e zizzania, bianco e nero, non sono solo nel mondo, ma anche in noi. "Matteo" scrive padre Antonio Spadaro "dispiega le coordinate delle contraddizioni del mondo. Il male cresce col bene. E non è facile esserne sempre consapevoli. Dentro ciascuno di noi cresce la zizzania insieme al frumento. Le nostre motivazioni sono miste, complicate; i nostri desideri sono un campo di semi che prima o poi germoglieranno e si riveleranno per quello che sono". La vita dunque un campo di grano e zizzania: accorgersene, prenderne consapevolezza, non significa per altro farne un motivo di rassegnazione passiva o di lamento estenuante, o peggio ancora farne un motivo perverso per giustificare eventuali folli sradicamenti.

Il vangelo ammonisce: metteresti in questione anche il grano buono. I volti degli sradicatori impassibili ci ricordano quelli implacabili degli inquisitori di cattiva memoria. Ma ancora, a proposito del crescere, il Maestro di Nazaret volle dare una lezione - rimarrà la sua - quella della piccolezza; aveva visto riempirsi di nidi e di voli di uccelli l'albero di senapa e aveva pensato che di lì si parte per le storie più vere, quelle che hanno un futuro affidabile: quella era la legge del regno di Dio, il segreto della storia più vera, un elogio della piccolezza, che a ben vedere attraversa luminosamente tutto l'evangelo. In contrasto netto, insanabile, con l'esaltazione spudorata della grandiosità, dell'imponenza, della tracotanza, che non fanno nido né voli, fanno caserme e sequestro.

Credere nelle crescite è anche rifuggire toto coelo dalla logica spietata della immediatezza, che ci fa precipitosi, impazienti, insofferenti di tutto ciò che chiede tempo. Tieni invece negli occhi le mani tenere fiduciose della donna della parabola, che, se pur la farina ha misura di quaranta chili, crede che a gonfiarla poco a poco basti il soffio di un grumo di lievito. Lei per esperienza sa che la lentezza non è per ciò stesso disvalore, può essere stupore per un misurato divenire, per un minimo di gonfiore, sa che basta poco se il lievito non è corrotto, ma sincero.

Forse il tutto sta in una briciola di parole di Madre Teresa, che un'amica in questi giorni mi ha ricordato: "Non tutti possiamo fare grandi cose, ma possiamo fare piccole cose con grande amore".

 

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