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TESTO Una declinazione nuova e originale delle " dieci parole"

don Angelo Casati   Sulla soglia

V domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno B) (29/09/2024)

Vangelo: Lc 10,25-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 10,25-37

25Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». 26Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». 27Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». 28Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».

29Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». 30Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». 37Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

Di grande fascino le letture di oggi: che mi colpivano per la concretezza, con il loro affaccio sulla vita reale. Le parole che Mosè consegna a nome di Dio al suo popolo, ora in vista della terra promessa, sono per aprire vita: "perché tu sia felice e diventiate molto numerosi". A Dio sta a cuore la vita. Come se il sacro si sporgesse sulla vita. E infatti mette entusiasmo l'invito, quasi irrefrenabile, del Deuteronomio ad annodare le parole di Dio a persone e luoghi, e diventino racconto. Sentite: "Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte.".

Voi mi capite, o il divino diventa mescola sacra con la vita, o che ci sta a fare? Nelle parole consegnate da Mosè nel Deuteronomio, da Paolo nella lettera ai Romani, da Gesù nel vangelo di Luca, oggi era prorompente, sgusciava quasi da ogni riga, questo "Tu amerai". E' ciò che conta prima di tutto e più di tutto, ciò che ci fa eredi della vita eterna, ma anche ciò che ci fa vivi, e non solo apparentemente vivi, oggi. Siamo chiamati a rispondere, a un Dio che ci ama, amando: "Chi ama l'altro ha adempiuto la Legge. (...) qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: "Amerai il tuo prossimo come te stesso". La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la Carità". Ebbene vorrei innanzitutto sottolineare che questo "amerai" - ed è bellissimo - è parola che travalica religioni e tradizioni, racconta l'anima del mondo. Al dire di papa Francesco racconta il sogno di Dio; ed è dall'in principio. Scrive: "Dare carne alla fraternità universale è il sogno che Dio ci affida fin dagli inizi della creazione: chiunque partecipa a questa missione collabora al sogno di Dio". Chiunque: il samaritano eretico scismatico rifiutato dai giudei, disprezzato. Anche il non credente.

E dirà ancora "La chiesa accompagna questo cammino, perché è il vangelo che lo chiede: la chiesa non ha alternative; se non segue Gesù, se non ama come Gesù ama, perde il senso stesso del suo essere". Sogno di Dio è che noi diamo carne all'amore, alla fraternità. "Dare carne", mi colpisce per la sua incisività questa espressione di Papa Francesco che mette sotto accusa tante nostre discussioni e vaghezze. La parabola del samaritano va netta, senza sbavature, in questa direzione. Nella parabola Gesù racconta come si può dare carne alla parola "amerai" o come al contrario la si può venerare nei libri e nei luoghi sacri e renderla evanescente nella concretezza della strada. Gesù richiesto su chi amare non sta a teorizzare, a discettare, a fare disquisizioni. Come gli è congeniale - è la sua arte - racconta: fatti di vita e non teoremi.

Apre la parabola con una strada: "Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico". Gesù è stato per strade, dove c'è di tutto, c'è la vita: il suo sguardo era attento alla vita, a ciò che accade nella vita, era il suo orizzonte. Immaginate le volte che Gesù era sceso per quella strada, da Gerusalemme a Gerico, ne conosceva per come era fatta la possibilità delle imboscate; forse non gli era mai capitato di imbattersi in malcapitati spogliati e feriti, forse gliene avevano parlato, conosceva il pericolo di agguati. Ebbene in risposta alla domanda del dottore della legge sembra dire che la vita eterna la erediti dal modo in cui stai sulla strada: se, come il samaritano, tieni aperti gli occhi, se provi compassione, se ti fermi, se ti sai chinare o se, come il sacerdote e il levita, vedi e passi oltre. Decisiva la strada, non la frequentazione del tempio. E' sulla strada che metti in gioco il tuo essere prossimo o distante, o indifferente.

Metti in gioco la vita. Forse - dico forse - per un attimo anche Gesù ha provato un moto di insofferenza, quella che proviamo noi tutti quando sentiamo nell'aria il pericolo che i discorsi, che pure partono a volte da problemi seri, poi sconfinino in dissertazioni accademiche; e non ne sono esenti gli ambienti religiosi: anzi il racconto di Gesù, creato ad hoc, inquadra spietatamente i rappresentanti dell'ortodossia. Scrive Mons. Gianantonio Borgonovo: "L'evangelista narra una parabola al cui centro vi è una declinazione nuova e originale delle "dieci parole", che divengono vive nel contesto di quell'incontro. Il sacerdote e il levita erano legati alle leggi di purità: se avessero toccato quel morto - più o meno presunto - non avrebbero più potuto esercitare le loro funzioni cultuali e forse avrebbero dovuto attendere il loro turno per il servizio al Tempio di Gerusalemme ancora per parecchi anni.

Il samaritano, invece, che non aveva questi problemi, si fa prossimo del malcapitato, assume la stessa tenerezza di Dio e crea un nuovo decalogo nel tempio della vita: 1. Vide; 2. ne ebbe compassione; 3. gli si fece vicino; 4. gli fasciò le ferite; 5. vi versò olio e vino; 6. lo caricò sulla sua cavalcatura; 7. lo portò in una locanda; 8. si prese cura di lui; 9. tirò fuori due denari; 10. diede due denari all'albergatore. La legge di Dio è viva e chiede di essere declinata ogni giorno in modo nuovo e creativo: quanto più si approfondisce, tanto più diventa un fondamento che sostiene tutte le decisioni del cuore, tutti i moti della vita e tutti gli investimenti delle nostre forze".

Ci soccorra la grazia, ora tocca a noi una declinazione, nuova e originale, della parabola, che ancora una volta questa mattina ci è stata raccontata.

 

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