TESTO Forse non abbiamo più tempo per il cuore
don Angelo Casati Sulla soglia
II domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno B) (08/09/2024)
Vangelo: Gv 5,37-47
«37E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, 38e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato. 39Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. 40Ma voi non volete venire a me per avere vita.
41Io non ricevo gloria dagli uomini. 42Ma vi conosco: non avete in voi l’amore di Dio. 43Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete; se un altro venisse nel proprio nome, lo accogliereste. 44E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?
45Non crediate che sarò io ad accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza. 46Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me; perché egli ha scritto di me. 47Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?».
Il confronto è franco, dico quello tra Gesù e i Giudei; oserei dire duro, anche se non riesco a immaginare duri gli occhi di Gesù. Chissà se lui se l'aspettava una reazione simile. Noi no; lui forse un po' sì. Ma proprio così? E che cosa era capitato? Da dove veniva quel dibattere senza respiro? Gesù era ritornato dalla Galilea in Giudea. La Galilea era stata terra del primo e del secondo segno: il primo - e ci era stato un po' indotto dalla madre - per salvare una festa di nozze, con una smisuratezza di vino buono; l'altro segno per guarire a distanza il figlio, vicino a morire, di un funzionario regio. Salvare la festa, che fa parte dell'umano; salvare la vita, ogni vita: e non occorre la maiuscola perché sia vita. Ogni ritaglio ci fa umani.
Gesù arriva a Gerusalemme. Ora è alla porta delle pecore. C'è una piscina e sotto i cinque portici giace un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. Uno di loro da trentotto anni malato."Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: "Vuoi guarire?". Come lo sapesse che era molto tempo, non lo sappiamo. Una cosa sappiamo che alla visione di quel mondo dolente lui non ci aveva fatto l'abitudine pur se era spettacolo quotidiano alla porta delle pecore. Fare l'abitudine è quello che purtroppo accade a noi. Nessuna implorazione dal paralitico: "vedendolo giacere". Gli si stringeva il cuore. Gli disse: "Àlzati, prendi la tua barella e cammina". Ed era sabato. Ad ascoltare il fremere del cuore certo glielo avevano insegnato nella casa di Nazaret, Educato ai sentimenti fra le mura di casa.
Ma - perdonate se mi esprimo così - il fremere dei sentimenti era ed è di casa nella vita di Dio, nella relazione che vive e splende in Dio. In Dio - che ce l'abbiamo insegnato o no - c'è un fremere di sentimenti. Vorrei rileggervi due scorci del brano che oggi abbiamo ascoltato dal profeta Isaia, quasi una fessura per intravvedere che cosa si muove in Dio. Lui si mette in gioco in prima persona: "Non un inviato né un angelo, ma egli stesso li ha salvati; con amore e compassione li ha riscattati, li ha sollevati e portati su di sé, tutti i giorni del passato". E ancora: "Guarda dal cielo e osserva dalla tua dimora santa e gloriosa. Dove sono il tuo zelo e la tua potenza, il fremito delle tue viscere e la tua misericordia? Non forzarti all'insensibilità, perché tu sei nostro padre, poiché Abramo non ci riconosce e Israele non si ricorda di noi. Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore. Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema?". "Li ha portati su di sé"; "il fremito delle tue viscere; "non forzarti all'insensibilità".
Il figlio è a specchio del Padre: quando parla di testimonianza non allude a una parola evanescente, allude al suo fremere e al suo agire. Gesù ha appena finito di dire: "Il Padre mio agisce anche ora e anch'io agisco". E aggiunge: "Quello che il Padre fa anche il Figlio lo fa allo stesso modo". Come a dire: "Il Padre rialza, io rialzo e questo è dare testimonianza". Perché Dio, è padre e, come tale è un fremere di sentimenti. Così il Figlio. Che vede e si chiede da quanto tempo quell'uomo giace. Agisce. Conta più il sabato o l'uomo? Sembra che neppure lo sfiori il problema. "Non lasciare indurire i nostri cuori". Mi sembra preghiera per questi tempi, forse per tutti i tempi. Non invado campi che non mi appartengono: lascio agli psicologi, agli educatori, agli scrittori la lettura di quanto sta accadendo nei nostri giorni. Domandandomi però anche perché non ci sia posto per raccontare il bene che sta accadendo, anche in questo tempo, come in ogni tempo, ovunque.
Mi fa male però accorgermi come a volte venga meno in noi il fremere delle viscere, dei sentimenti, per ogni donna, per ogni uomo, per ogni scricciolo, per ogni filo d'erba, con il pericolo di fare come se tutto fosse disabitato, il pericolo che tutto diventi numero. E non hai più gli occhi di Gesù che si chiedeva come lo storpio potesse reggere dopo tanti anni. Una abitudine che mina la sensibilità. Accade una guerra, per i primi giorni senti fremere le viscere, vedi volti, vedi case, vedi scuole. Poi senti numeri, ripetono i giorni che dura una guerra. E ci fai l'abitudine. E qualcuno a dire che è un prezzo da pagare: scompaiono i volti, i sentimenti che li abitano. Assisti a una strage crudele, pensi agli ostaggi, a che cosa si muova nel loro cuore, poi diventano numeri. E quelli per i quali non sono numeri, inascoltati. E qualcuno a dire che sono il prezzo da pagare.
Poi vedi una striscia di territorio martoriato, fremi allo strazio degli occhi, sono persone come te, case come la tua, la vita fatta a pezzi. Poi diventano numeri disabitati: diecimila, ventimila, trentamila... solo numeri. E chi racconta il fremere del cuore? Pochi. E qualcuno a dire che è un prezzo da pagare. Vedi una strage in una famiglia. Emozione devastante, poi a tenere banco le indagini e quasi un ritornello: "Tutto era perfetto". Solo che tutto era nascosto. Che cosa abita un cuore o che cosa non lo abita? Forse non abbiamo più tempo per il cuore, o non diamo agli altri la sensazione che anche noi abbiamo fremiti dentro, patiamo debolezze e fragilità. Non è forse vero che solo nella confidenza si aprono racconti? Nel nido dove ti senti ascoltato per quello che sei, con le tue debolezze e i tuoi dubbi, con i tuoi sogni e le tue paure. Senti battere il cuore dell'altro. Puoi raccontare. Ritornare a raccontare. Ma non solo cose: il tempo che fa, i chilometri che hai fatto. Raccontare il cuore. E ascoltare, un ascoltare con empatia. E mi ritorna Wislawa Szymborska:
Ascolta
Come mi batte forte il tuo cuore.