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TESTO Nodi alla gola

don Andrea Varliero

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (08/09/2024)

Vangelo: Mc 7,31-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 7,31-37

31Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. 32Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. 33Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; 34guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». 35E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. 36E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano 37e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Il Vangelo secondo Marco è di una forza e di una bellezza disarmante; un vangelo di chiaroscuri, di luce e di ombra, come un dipinto di Caravaggio. Un cammino essenziale che va dritto al cuore: in un'ora e mezza viene proclamato ad alta voce, sta completamente scritto su un manifesto. Lo immagino proclamato la notte di Pasqua, mentre adulti e giovani, uomini e donne, anziani e bambini si apprestano a vivere il Battesimo. Dopo averlo ascoltato, quei catecumeni entrano nel battistero accompagnati da una comunità; come quel giovane che nell'orto degli ulivi fugge via nudo, anche loro si spogliano. Come quel centurione pagano, il più violento tra i violenti, il più lontano tra i lontani, anche loro si immergono pienamente nel mistero di notte e di croce; nel momento in cui tutto sembra annegare gridano quelle stesse parole: «Veramente quest'uomo era figlio di Dio». Annegano, muoiono a qualcosa e rinascono in Qualcuno, riemergono. I loro occhi ora contemplano i mosaici dorati della volta illuminati dal fuoco, riverbero di un mistero di luce. Come quel giovane che accoglie le donne nel giardino del mattino di Pasqua, indossano una nuova veste, uno splendido abito bianco. Un Vangelo che immerge nel Battesimo.

Il nostro volto è un candelabro, è come la «menorah», il candelabro a sette braccia che sta davanti al Tempio, alla presenza di Dio. Le due candele più esterne sono le nostre orecchie, l'ascolto; due candele i nostri occhi, due candele le nostre narici; al centro sta la candela della bocca. Prime luci ad essere accese siano quelle dell'ascolto, tutto parte dall'ascolto; ultima ad accendersi sia sempre la bocca, ultima parola da pronunciare. Dall'ascolto alla parola, i sette fori di luce illuminati dalla sua presenza. A volte capita di incontrare lungo il cammino candelabri spenti, sordomuti, come quello di questa domenica, volto di un uomo senza nome, porta tutti i nostri nomi. Sordomuti con un nodo alla gola che impedisce di parlare e un nodo alle orecchie che impedisce di ascoltare: siamo esperti di nodi alla gola, sappiamo benissimo che cosa significhi quella parola che nasce dal cuore, ma non riesce ad arrivare alle labbra; forse, qualche volta, esce come una lacrima dagli occhi. Sordomuti, con nodi alla gola.

«Effatà», «Apriti!»: lo dice in dialetto, con la lingua di casa. Ci sono parole che chiedono di non essere tradotte, parole talmente belle e forti da rimanere così come sono, intraducibili; «effatà» è una di queste. Apriti al dialogo, apriti all'ascolto, apriti allo sguardo, apriti al profumo del mondo. In questi giorni un mondo sordomuto è stato spettatore di un ennesimo caso di violenza, una violenza che è sempre muta e sorda, nodi alla gola che non riescono ad esprimersi, che non riescono ad essere ascoltati. Come Chiesa siamo chiamati a continuare quegli stessi gesti del Maestro: un rapporto umano che prende in disparte; un abbraccio; la saliva sugli occhi, qualcosa che mi appartiene di intimo e vitale. Gesti inopportuni e scandalosi ai nostri giorni, gesti che invece dicono di una madre che si prende cura con misericordia, e di un padre che sta creando e plasmando nuovamente un figlio. Il corpo e i gesti precedono le sue parole.

Tutti noi abbiamo vissuto questa guarigione del sordomuto, rimasta come ultimo gesto del Battesimo, il rito dell'«Effatà»: un segno di croce sulle orecchie, perché possiamo presto ascoltare quanto l'Infinito opera nella nostra esistenza, e un segno di croce sulle labbra, perché possiamo farne parola. «Effatà»: apriti! Segno bello di crescita nell'ascolto e nell'alfabeto. Molte volte mi sento ripetere da giovani genitori che non doneranno il Battesimo ai loro figli, desiderano che sia una scelta libera e consapevole che si assumeranno loro, se lo vorranno. Una domanda mi affiora: è davvero libertà non dare un alfabeto, non insegnare una lingua, negare la storia di chi ci ha preceduto, la possibilità che l'Infinito entri nelle nostre vite? È libertà tenere sempre un nodo alla gola? E ripenso alla mia vita, alla mia libertà, ai miei nodi: quanti nodi alla gola di dolore, di senso di ingiustizia, di fallimento, di perdita di persone care, sciolti dalla sua Presenza. Mi ha insegnato a parlare il linguaggio dell'umanità e della speranza, come un paziente logopedista mi ha insegnato che cosa significhi l'altro, me stesso, la comunità. Senza di Lui davvero non sarebbero entrate queste parole nella mia vita. E quando vivo un momento di fatica e di difficoltà, quando un nodo irrisolto e irrimediabile mi preoccupa e mi blocca, mi rivolgo a Sua Madre, la invoco come la Madonna che scioglie i nodi. Ne scioglie di nodi, inimmaginabili.

 

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