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TESTO Ringraziare desidero per le Parole, natura astratta di Dio

don Andrea Varliero

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XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (25/08/2024)

Vangelo: Gv 6,60-69 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 6,60-69

60Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». 61Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? 62E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? 63È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. 64Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. 65E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».

66Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. 67Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». 68Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna 69e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

«Volete andarvene anche voi?»: domanda che brucia in un momento drammatico, il fallimento di una vita, l'abbandono su tutti i fronti: non sono più la rabbia e il livore degli avversari, ora sono i discepoli a gettare la spugna, ad andarsene. Discorso duro, il pane: è insensato mangiarti per diventare come Te, è duro questo pane senza fortuna né ricchezza, senza salute né sicurezza. Da entusiasti a delusi: rimane un quasi niente. Se qualcuno avesse avuto intenzione di scrivere le gesta di un eroe mitico o di inventare di sana pianta una religione, di certo non si sarebbe messo a narrare di questo fallimento, di questo insuccesso da togliere il fiato. Una domanda che sentiamo viva: non vedi che le chiese si svuotano, che da una parte sei manipolato e dall'altra mal sopportato, nel tentare almeno una parola cristiana, considerato un illuso fuori dal mondo? Meglio sarebbe andartene, ritornare a ciò che conta davvero per il mondo. Quante volte questa domanda è arrivata alla mia vita, quante volte ho dovuto decidere se rimanere o no: incomprensioni, rapporti umani tesi, disillusioni, disamoramenti. Famiglie perfette, amici perfetti, comunità perfette, Diocesi perfette non esistono: dove c'è umanità c'è fragilità e fatica. Ho deciso di rimanere.

È la gioia più bella che viviamo, il poter decidere. Tante volte la tristezza nasce dal fatto che nessuno decide più nulla: abbiamo paura delle conseguenze per ogni nostra decisione, consapevoli che per una scelta che apre una porta, infinite altre porte si chiudono. Abbiamo talmente paura a decidere che stiamo fermi, da trattenere il fiato. Giovani che non riescono a decidere, vite irrisolte che non si sono mai decise. Karen Bixen, nella bellissima opera Il pranzo di Babette, scrisse: «Noi tremiamo prima di scegliere la nostra strada nella vita, e dopo averla scelta tremiamo nuovamente nel timore di aver scelto quella sbagliata. Ma viene il giorno in cui i nostri occhi si aprono e vediamo e capiamo che la grazia è invece infinita. La grazia, amici miei, ci chiede soltanto di aspettarla con fiducia e di accoglierla con riconoscenza. Ecco! Ciò che abbiamo scelto ci è dato, e pure, allo stesso tempo, ci è accordato ciò che abbiamo rifiutato. Anzi, ciò che abbiamo respinto è versato su noi con abbondanza. Perché la misericordia e la verità si sono incontrate, la rettitudine e la felicità si sono baciate!». Ciò che io ho scelto mi è stato dato a piene mani, ciò che io ho respinto mi è stato accordato in modo del tutto inaspettato: la scelta di diventare sacerdote si nutre di questa misericordia e verità che si abbracciano. La gioia del Pane, in cui decidersi, in cui impastare misericordia e verità, scelte umane e grazia divina.

Rimanere e ripetere quello che Pietro ha gridato: «Ma dove vuoi che andiamo? Tu solo hai parole di vita eterna». E Pietro mi fa ricordare, mi riporta al cuore le mie scelte: altrove non ho trovato parole degne di essere vissute fino in fondo. «Persona» è una di quelle parole: non consumatore né numero, non maschera né anonimo, né ottimo né efficiente. Persona che non coincide con i propri limiti, con i giudizi degli altri o quelli scritti dentro, ma persona che ritrova il proprio volto più vero nel Suo volto. Persona: il nostro volto restituito a noi stessi, volto di pane, di figli e di fratelli. «Gusto» è altra parola che Lui mi ha donato: il gusto di una vita bella di relazioni umane degne di essere chiamate tali, il sentirmi a casa in qualsiasi luogo del mondo, in famiglia in qualsiasi casa io entri, il gusto della generosità senza tornaconto. Il gusto della bellezza e della pienezza. Il gusto del pane, buono e generoso. «Senso» è parola che Lui mi ha lasciato: tutto assume un senso, anche il dolore, anche le lacrime. La ricerca del senso come ricerca intellettuale, filosofica, scientifica, artistica. Il senso come cultura e civiltà, alfabeto necessario alla libertà. Nulla mi è estraneo, tutte le domande e tutte le biblioteche del mondo sono senso che mi parla di Te: dare senso a questo mare di non senso è il dono più bello. Il senso del pane. «Resurrezione» è altra parola che Lui ha scritto in me: vivo una vita risorta; tante volte sono morto, altrettante volte mi ha rialzato, Lui mi ha risvegliato. Di resurrezione in resurrezione, di perdono in perdono, di pace in pace, di vita in vita prosegue il cammino, fino all'ultimo giorno, che sarà il primo giorno. Il Pane della resurrezione, il pane dei discepoli di Emmaus. Persona, gusto, senso, resurrezione: sono sicuro che nel cuore di ciascuno di noi ci sono altre parole vitali seminate da Lui. In un momento di silenzio riportiamole al cuore, hanno il sapore del pane: come Pietro ripeteremo «tu solo hai parole di vita eterna».

Il titolo riprende i versi della bella poesia di Mariangela Gualtieri, su Le giovani parole, Einaudi 2015

 

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