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Paolo Curtaz Ti racconto la Parola
XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (14/08/2024)
Vangelo: Gv 6,51-58
«51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Combatte, il Signore Gesù.
Non piega il capino, rassegnato, non usa parole zuccherose, non si arrende alla situazione.
Amareggiato per la reazione della folla che ha saziato e che non ha capito nulla del significato del segno che ha fatto, il Maestro inizia una disputa con la gente che lo ha raggiunto.
Ha parlato di pancia piena, ha invitato a cercare l'unico pane che sazia, ha ribattuto colpo su colpo alle obiezioni delle persone che, in fondo, volevano solo mangiare gratis, non certo convertirsi.
Alza la posta, il Signore, in quello che sarà il più duro scontro con i suoi discepoli. Dirimente e definitivo.
Non accetta le mezze misure, non fa compromessi, figuriamoci. Tira diritto perché in gioco c'è la vita eterna, cioè la vita dell'Eterno.
Hanno messo in dubbio il segno, ne hanno chiesti altri, hanno irriso la sua pretesa di essere più grande di Mosè. Altro che manna.
L'unico pane che sazia, afferma, è lui. Gesù.
Urca.
Di più
Fidarsi di Gesù, seguire le sue parole, credere nel volto di Dio che ci rivela, ci permette di partecipare alla vita stessa di Dio.
Per accedere a Dio, dice il Signore, dobbiamo cibarci di lui, delle sue parole, del suo insegnamento.
Decidere di diventare discepoli significa prendere Gesù come modello, come fonte di ispirazione. Il nostro pensiero, direbbe san Paolo, diventa il pensiero di Cristo.
Vediamo il mondo, gli altri, noi stessi, Dio, così come lo vede Cristo. Siamo affascinati dal suo modo di porsi, è convincente la sua chiave di interpretazione della vita e, alla fine, il nostro cuore si spalanca alla verità tutta intera.
Frequentare il Signore, ascoltarlo, pregarlo, meditare le sue parole, cambia inesorabilmente il nostro modo di essere. Gesù diventa pane quotidiano e lo fa perché il mondo abbia vita.
Dio è il cibo del mondo, è colui che può portarci ad un livello di comprensione della realtà inatteso e spalancarci alla condivisione.
Facendosi cibo, nutrendo la nostra anima, Dio ci dona la vita e questa vita ci aiuta a risolvere le grandi questioni irrisolte del mondo. Molte di queste questioni, la povertà, la fame, la violenza, la guerra, siamo noi a doverle affrontare, come il ragazzo del miracolo, senza aspettare che sia Dio a soffiarci il naso.
Ancora di più
Non soltanto ci nutriamo delle sue idee, delle sue parole ma, addirittura, di lui, del suo corpo.
È una riflessione delicata e ardita, che ha messo in crisi l'uditorio e i discepoli.
Gesù chiede di cibarci di lui, di mangiare la sua carne. Siamo chiamati a diventare cannibali?
Con il termine carne, in Israele, si intende la pienezza della persona, compresa la fragilità, la fatica, ciò che ci inquieta. Non si tratta più solo di cibarsi della Parola, della dottrina del Maestro, ma di assumerlo nella sua totalità. Anche nel suo aspetto umano, caduco, poco eclatante, banale.
Non è assurdo che siamo qui a parlare di un ebreo marginale vissuto duemila anni fa e perso nella nebbia della Storia? Non è irrisorio e marginale rispetto al caos che attanaglia il mondo? Non dobbiamo forse, oggi che non siamo più applauditi come cristiani, assumere questa carne fragile che è Cristo oggi?
Il sangue indica il principio vitale degli esseri, ciò che li tiene in vita (infatti gli ebrei ancora oggi mangiano solo carne di animali morti per dissanguamento).
Gesù chiede di assumere la sua essenza, che è il rapporto col Padre.
Mangiare di lui significa diventare come lui, “cristificarsi”, assumere la prospettiva del Maestro.
Accorgerci che ciò che ci rende vivi, che ci tiene in vita, è ciò che rendeva vivo e teneva in vita il Signore: il suo rapporto intimo col Padre.
Questo è ciò che chiede il Signore alla folla che lo segue, che si è nutrita e che ora è invitata a scegliere di osare di più, di scegliere Cristo. Ma la comunità cristiana ha ulteriormente approfondito il significato di questo intenso discorso.
A noi, oggi, tutto appare fin troppo chiaro: Gesù parte dal pane distribuito per parlare di un altro pane che lui darà e che è la sua carne da mangiare per dimorare in lui. Come non pensare all'ultima cena? Come non sentire riecheggiare in queste parole il fate questo in memoria di me pronunciato dal Maestro prima di essere ucciso?
Eucarestie
Gesù parla di questo dono semplice e tremendo, gioioso e durissimo, che ci obbliga alla fede, che ci scardina dalle abitudini, che è l'Eucarestia.
Ogni domenica ci raduniamo per ripetere la cena, un gesto di caldo affetto e di obbedienza al Maestro, ogni domenica ci nutriamo del pane della Parola e del pane eucaristico, custodiamo questo pane nelle nostre Chiese per i nostri malati, per segnalare una Presenza nel caos anonimo delle nostre città.
Siamo qui per questo, per questo ci raduniamo, perché affamati, perché abbiamo urgente bisogno di saziare il cuore, di illuminare il cammino, di credere, finalmente, senza ambiguità, senza ritrosia. Credere con tutto il cuore e con tutta l'anima.
Gesù svela un mistero: non solo cibarsi di lui ci nutre il cuore, non solo ci dona la vita vera, la vita eterna, ma cibarsene con consapevolezza ci porta a vivere per lui.
Lo vedo nella mia vita: più frequento il Vangelo e il Maestro Gesù e più ne resto affascinato, più ne sono innamorato, più imparo a conoscere me e gli altri.
Perciò san Paolo può dire che l'incontro col Maestro ti cambia la vita, ti cambia dentro. Che non fai più le cose di prima, per scelta, con gioia, non per un ipotetico moralismo che ti blocca e ti castra, ma per una conversione profonda che inizia con l'incontro con Cristo e che dura per tutta la vita, cercando di capire quale sia la volontà (sempre luminosa) di Dio per me. Così il libro dei Proverbi ci invita al banchetto di Dio, a mangiare insieme acquistando saggezza, acquistando intelligenza, l'intelligenza che ci permette di leggere la nostra vita con lo sguardo di Dio.
Fine del discorso, fine della provocazione.
Gesù ha detto qualcosa di inatteso, di folle, di straordinario.
Non seguiamo una filosofia, una tradizione, una religione.
Seguiamo un uomo che proclamiamo essere il rivelatore del Padre, il narratore di Dio, il definitivo sì di Dio all'umanità.
Cibarsi di Cristo, accoglierlo in tutta la sua umanità e la sua divinità, in tutta la sua pretesa di essere il Figlio di Dio, cambia la vita.
Ecco, la proposta è fatta.
E adesso?