TESTO Ecco, questo rimane. E basta.
don Angelo Casati Sulla soglia
X domenica dopo Pentecoste (Anno B) (28/07/2024)
Vangelo: Mt 21,12-16
12Gesù entrò nel tempio e scacciò tutti quelli che nel tempio vendevano e compravano; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe 13e disse loro: «Sta scritto:
La mia casa sarà chiamata casa di preghiera.
Voi invece ne fate un covo di ladri».
14Gli si avvicinarono nel tempio ciechi e storpi, ed egli li guarì. 15Ma i capi dei sacerdoti e gli scribi, vedendo le meraviglie che aveva fatto e i fanciulli che acclamavano nel tempio: «Osanna al figlio di Davide!», si sdegnarono, 16e gli dissero: «Non senti quello che dicono costoro?». Gesù rispose loro: «Sì! Non avete mai letto:
Dalla bocca di bambini e di lattanti
hai tratto per te una lode?».
Che avrebbe cacciato con tale impeto quelli che vendevano e compravano nel tempio e rovesciato tavoli e sedie, forse non l'avremmo immaginato. Al contrario quali sarebbero stare le conseguenze di quel gesto lui di certo poteva sospettarlo: era la goccia che faceva traboccare il vaso. Ma si trattava del tempio; e un abbruttimento simile per lui era intollerabile, non poteva non insorgere. Disse, e suonava aspra la voce: "Sta scritto: "La mia casa sarà chiamata casa di preghiera". Voi invece ne fate un covo di ladri". Le letture oggi sembrano mettere a tema il tempio. Dall'arca portata da un popolo in festa sotto una grande tenda - era la lettura della scorsa domenica - ecco siamo arrivati all'arca tra le mura imponenti del tempio costruito da Salomone. Ma forse che Dio lo puoi chiudere in un tempio?
Quando la presenza di Dio la confini in un tempio - e per di più assolutizzi il tuo - è sequestro del divino. Manca l'aria. Ogni volta che leggo questo testo - e lo ripeto sino alla noia - rimango colpito da un particolare. Tutto perfetto nel tempio, fastoso, e l'arca posta nella cella più interna, dove una sola volta l'anno entrava il sommo sacerdote. Tutto perfetto, diremmo, con una stranezza: dal sacrario sporgevano le stanghe. Particolare sottolineato. Con una annotazione puntuale da parte dell'estensore, che scrive: "Vi sono ancora oggi". Le stanghe dell'arca, richiamo a quando era sollevata e portata, quasi a riaccendere la memoria di un Dio che è nella vita. E siccome ce lo dimentichiamo, una chiesa può essere un segnale sulle strade a noi smemorati. Passiamo - che so io - per via Manzoni e ci capita di incespicare in una chiesa, non ce l'aspetteremmo tra negozio e negozio, nel quadrilatero della moda. E che ci sta a fare?
Mi sto perdendo in pensieri: sporgono le stanghe? Ebbene lo abbiamo dimenticato, e dimenticandolo, lo abbiamo immobilizzato. Chi ci ricorda che tabernaculum in latino significa tenda? E custodisce del pane che è per la via, lo chiamiamo "viatico", pane per la via. E' un pane da prendere in piedi per uscire e camminare nella sua luce, un popolo in cammino. E ora vorrei dare un piccolo spazio al vangelo e mi aggrego a coloro che accompagnano Gesù nel suo ingresso nel tempio. Anche oggi, come la scorsa domenica, c'è un virare netto dell'obiettivo. Che prima riprende un tempio dissacrato. Dissacrato dal mercato dei venditori e dalla arroganza dei capi religiosi. E Gesù rovescia.
A volte ci dimentichiamo che la Parola di Dio è anche rovesciamento, rovesciamento di criteri nefasti. Che fanno la disavventura del mondo e possono entrare di soppiatto nella sfera del tempio. E' stata una amica in questi giorni a sottolinearmi la straordinaria attualità di un passo del libro della Sapienza, letto nella memoria di san Giacomo. Eccolo: "Quale profitto ci ha dato la superbia? Quale vantaggio ci ha portato la ricchezza con la spavalderia? Tutto questo è passato come ombra e come notizia fugace. I giusti al contrario vivono per sempre, la loro ricompensa è presso il Signore e di essi ha cura l'Altissimo". Fugace, per sempre. Faccio ritorno al tempio perché ora l'obiettivo inquadra coloro cui il tempio era stato precluso. Hanno trovato uno che ha spalancato loro le porte: "Gli si avvicinarono nel tempio ciechi e storpi, ed egli li guarì".
E, meraviglia delle meraviglie, sbucano i fanciulli a rovesciare l'indignazione dei capi dei sacerdoti e degli scribi, acclamando nel tempio: "Osanna al figlio di Davide!". Il tempio, per uno spazio purtroppo breve, si incantò, prese vita, alle acclamazioni dei fanciulli per il profeta Gesù da Nazaret. Poi tutto ripiombò nel buio. La lettura ha omesso l'ultimo versetto del racconto: "Li lasciò, uscì fuori dalla città, verso Betània, e là trascorse la notte". Una tristezza infinita. Poi finalmente una casa. A differenza del tempio. Che non è più una casa. Ebbene Gesù cita parole del profeta che alludono alla casa. Alludono certo alla preghiera, casa di "preghiera", giustamente sottolineata. Meno sottolineata, così mi sembra, la parola "casa": "La mia casa sarà chiamata casa di preghiera". So di forzare: non una preghiera che allontani l'aria di casa. Sentirci di casa, nonostante tutte le nostre diversità, respirare aria di casa nella chiesa.
Ecco l'immagine: spingi la porta, entri, ti senti guardato con amorevolezza. Al di là di tutto: sei figlia, sei figlio, sei sorella, sei fratello. Al di là di tutto. Basta questo ad accendere volti, sentimenti e gesti. Vorrei aggiungere che se c'è privilegio dovrebbe essere per gli ultimi: Gesù introduce i dimenticati, ciechi, storpi, bambini. Suona lontano, dimenticato, un passo della Didaché, testo del terzo secolo, che, pensate, prescriveva che ad accogliere nell'assemblea i poveri, uomini o donne che fossero, doveva essere il vescovo stesso e non i diaconi e che doveva essere ancora il vescovo a procurare loro un posto e che, se questo non si fosse trovato, doveva cedere il suo e sedere a terra ai loro piedi. Parole straordinarie.
Ed ora vi lascio con altre parole di grande fascino, quelle di Don Benedetto Calati, testo inedito, citato da Mons. Gianantonio Borgonovo. Eccole: "Passiamo dunque dalla grazia dei muri alla grazia dei volti! Ecco la benevolenza. Fermarsi. Che cosa rimane di noi? Della nostra vita? Tu rimani se hai saputo fermarti nello sguardo degli altri. Ecco, questo rimane. E basta".