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TESTO Una simpatica compassione

don Alberto Brignoli   Amici di Pongo

XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (21/07/2024)

Vangelo: Mc 6,30-34 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 6,30-34

30Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. 31Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. 32Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. 33Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.

34Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Da prete, mi capita spesso di giungere a fine giornata oppure al termine di un periodo particolarmente intenso (penso, qui nella mia realtà, alla stagione estiva) con il desiderio intenso di ritagliarmi un po' di spazio “per me”, per dedicarmi non solo alle consuete attività pastorali, ma anche al mio ricupero fisico, mentale e spirituale. Qualsiasi cosa possa aiutarmi a tirare un po' il fiato, è sicuramente ben accetta!

E teorizzo pure, con accuratezza, la legittimità di questi “stacchi”: è vero che devi essere una persona dedita agli altri, ma se ogni tanto non ti prendi i tuoi momenti per ricaricarti, non solo non sei più di utilità a nessuno, ma addirittura potresti fare danni, perché sei nervoso, non sei rilassato, e poi rispondi in maniera inadeguata a chi ti cerca perché ha bisogno anche solo di parlare con te. Questa teoria, poi, è perfettamente supportata dal brano di Vangelo di oggi, nel quale Gesù invita i Dodici di ritorno dalla missione a ritirarsi con lui in disparte, in un luogo deserto, e riposarsi un po'.

Sarebbe troppo comodo, tuttavia, far terminare la lettura di questo brano proprio lì, a metà del versetto 31! Il discepolo onesto, del Vangelo non legge solamente le parti che interessano a lui: lo legge nella sua interezza, e cerca di viverlo in pienezza anche quando non piace; anche quando la vita di ogni giorno ti dimostra che il tempo a disposizione per te stesso è poco, perché la gente non sta a calcolare quando è il tuo momento di riposo, e nemmeno lo può sapere. Ti cerca perché ha bisogno, e allora tu, come i Dodici, cerchi nuovamente di fuggire, magari il più lontano possibile, attraversando il mare in cerca di un altro luogo deserto, per poi accorgerti che la gente è più svelta di te, e ti precede là, dove tu volevi ritagliarti il tuo spazio di silenzio e di riposo. Per cui, il tempo che volevi per te è andato malamente in fumo, insieme a tutte le tue belle teorie.

Ma questo non vale solo per noi preti. Anzi, vale ancora di più per chi ha una vita meno “privilegiata” della nostra (sì, perché alla fine, bene o male, noi preti abbiamo la possibilità di programmarci la giornata con più facilità rispetto a chi lavora dovendo timbrare il cartellino ogni mattina).

Penso, ad esempio, a un genitore che torna a casa stanco morto da una giornata di lavoro, e invece di gettarsi sotto la doccia, mangiare in tranquillità e godersi un po' di pace davanti alla televisione, è costretto a mettere pace tra i due bambini che litigano, o deve convincerli a fare quei compiti che non c'è stato verso di fargli fare nel pomeriggio, oppure deve uscire nuovamente per la famigerata “assemblea condominiale”, oppure per la riunione dei genitori della Prima Comunione, mancando alla quale non potrà mai sapere con che tipo di fiori verrà addobbata la chiesa quel giorno...;

penso a una donna che deve correre tutto il giorno per accudire il marito gravemente malato e alla sera, esausta, riceve la telefonata dell'anziano genitore che ha urgente bisogno di lei perché non riesce ad addormentarsi;

penso a un chirurgo che ha operato tutto il giorno e quando si sta togliendo il camice viene avvisato di prepararsi per un intervento urgente, o - molto più semplicemente - anche solo al pizzaiolo che in una torrida sera d'estate non ne può più di fuoco e di brace e deve rimettersi a impastare massa per due clienti che hanno voglia di pizza alle undici e mezza di sera...

Ognuno, in questo “impasto quotidiano”, ci metta dentro l'ingrediente delle sue vicende personali, e provi a considerare, con onestà, qual è la sua risposta a queste ”indebite invasioni” del proprio legittimo e meritato spazio di riposo. Come rispondiamo, a chi viene nuovamente in cerca di noi anche se stanchi e affaticati? Con rassegnata abnegazione oppure accettando gioiosamente ogni imprevisto? Con un profondo senso del dovere o un'inutile e dannosa reazione di rabbia? Oppure, come il Maestro, proviamo “compassione” per le necessità dell'uomo, chiunque esso sia?

Quando sono andato a leggermi l'etimologia della parola “compassione” e ho notato con una certa sorpresa che qualcuno la rimanda alla parola greca “simpatia”, devo dire che io di compassione “simpatica” per chi mi impedisce di avere dei legittimi spazi di riposo ne nutro veramente poca... per cui, se questo è l'atteggiamento del Maestro, ho ancora molto da fare per cercare di essere simile a lui. E quello che mi colpisce è che per essere come il Maestro non sembra che occorra fare molte cose: lui scende dalla barca e (almeno per il momento) non fa miracoli, non guarisce malati e non compie alcun rito. Solamente, prova “compassione” e “si mette a insegnare molte cose”. Per i miracoli, c'è tempo. Adesso, solo si accontenta di dire una buona parola, di ascoltare e confortare, di spendere tempo per stare con tutta questa gente, e non solamente con il gruppetto dei “suoi”.

Per essere uomini e donne dediti agli altri, allora, serve una cosa sola, necessaria e previa a tutte le altre: occorre “compassione” (sì, proprio quella del verbo “compatire” che due anziani coniugi usano reciprocamente l'uno con l'altro!), occorre “soffrire - con”, condividere le sofferenze degli altri.

Occorre un atteggiamento di “sim-patia” verso coloro che stanno peggio di noi: e questo, anche quando siamo stanchi morti e avremmo il legittimo desiderio di chiudere il mondo fuori dalla porta di casa nostra, di spegnere il cellulare, e lasciare che i nostri pensieri e le nostre preoccupazioni vaghino il più possibile lontano da noi.

Possiamo, quindi, riposare, quando ne abbiamo bisogno? Altroché, ed è doveroso farlo, perché non solo ci è necessario, ma è un nostro diritto. Ma a condizione che non ci dimentichiamo mai di avere “compassione” per chi sta peggio di noi: il Maestro, con noi non l'ha mai fatto, e credo che non lo farebbe mai.

 

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